Eccomi...come promesso con il capitolo 8....a me piace molto questa parte e spero che sarà cosi anche per voi....E' molto intensa da parte di entrambi....e ci si inizia ad addentrare in meccanismi un po' più complicati per quanto riguarda la sfera sentimentale....ma nn voglio aggiungere altro....Buona lettura!!!
A proposito il corsivo è sempre il punto di vista di Mike...
Capitolo 8
Il mio porto sicuro
Cercai di riprendermi, mentre il telefono continuava fastidiosamente a squillare. Notai che Michael mi stava guardando, un po’ preoccupato dalla mia reazione, ma senza dire niente. Io risposi al suo sguardo con un’occhiata insofferente, poi mi voltai e corsi fuori dal negozio.
Fissai ancora per alcuni istanti quella scritta: CASA. Poi chiusi gli occhi e risposi.
-Pronto! –
- Pronto? Alex? Stai bene? Dove diavolo sei? –
Era mia madre, fra le varie opzioni, forse era quella che preferivo.
- Ciao mamma. –
Usai tutto l’astio che potevo, nel mio tono di voce.
- Si può sapere dove sei? Sono due giorni che sei sparita. –
E solo ora mi cercavano? Prima non gli era venuto in mente che non c’ero? Oh, si. Chiaro. Evidentemente mio padre aveva comprato qualche altra cosa che voleva intestare a me, certo. Questo spiegava tutto.
- Me ne sono andata, mamma. –
Avevo il gelo nella voce. Non immaginava, nemmeno lontanamente, quanto stessi soffrendo, in realtà. Perché infondo era mia madre, e avevo deciso che non avrei più voluto rivederla.
- Cosa vuol dire che te ne sei andata? –
- Sono andata via, mamma. Non tornerò più a casa. –
Silenzio. Avevo un nodo che mi congelava la gola. Avrei voluto gridare, ma respirai profondamente e aggiunsi:
- E tu dovresti lasciare … papà!-
Mi metteva i brividi anche solo pensare a lui.
- Torna immediatamente a casa, signorina! E’ un ordine, o ti verremo a prendere noi … e allora saranno guai, per te!-
- Si, addio mamma! – Chiusi il telefono, spengendolo.
Stringevo i pugni, fin quasi a farmi sanguinare le mani, per colpa delle unghie. Credo che Michael avesse, in qualche modo, assistito alla telefonata, dalla vetrata del negozio. Senza però udire alcunché.
A quel punto, pensai, avrei dovuto proprio cominciare a dirgli qualcosa di me.
Ma restavo lì impalata, rivolta verso il vetro, a guardarlo. Aveva capito che c’era qualcosa che non andava. Imboccò al volo la porta scorrevole e si precipitò da me, immobile sul marciapiede.
- Stai bene Alex? – era davvero molto preoccupato, lo sentivo nella sua voce, ma ancora di più, lo vedevo nei suoi occhi.
- No, non molto. –
- Posso chiederti chi era al telefono? –
- M-mia … M-madre! – avevo fatto il primo passo, gli avevo detto qualcosa, di quest’enorme macigno che mi opprimeva il petto.
- Torniamo in albergo, vuoi? –
- Si, grazie! –
Arrivò la macchina a prenderci in pochi minuti. Avevo già fatto caricare tutti i doni, da portare all’ospedale, sul furgone. Io sarei andato più tardi. Volevo riportare Alex in albergo, e assicurarmi che stesse bene. Non mi era piaciuto per niente vederla così scossa.
Era sua madre al telefono, almeno qualcosa mi aveva detto. Sapevo una piccola cosa in più, un piccolo granello di sabbia, lasciato sulla via, per me. Era un inizio.
In macchina, se ne era stata tutto il tragitto, in silenzio, a guardare fuori dal finestrino.
Un penny per i tuoi pensieri … continuavo a ripetermi nella testa. Eppure non le chiesi nulla.
Allora, una famiglia l’aveva! … ma sicuramente aveva dei grossi problemi con loro. Questo mi era chiaro, infine. Ma altro ancora non sapevo. E avrei aspettato. Che fosse pronta a parlarmene liberamente, se era quello che voleva.
Giunti in albergo, come al solito dal retro, l’aiutai a scendere dall’auto. La sua mano tremava come tutto il suo corpo.
- Alex … -
- Sto bene Michael, è solo un attimo di sconforto, non ti preoccupare. –
Furono le uniche parole che mi disse, restò muta anche in ascensore, nonostante fossimo soli. Le avevo posato una mano sulla spalla, per farle sentire che ero vicino a lei. Per darle un po’ di calore.
Aprii la stanza e la feci accomodare. La vidi dirigersi verso il divano, dove, a terra, avevo lasciato le sue cose. Si tolse la parrucca nera e si sciolse i lunghi capelli biondi. Mi faceva male vederla così triste. Era stata una giornata meravigliosa, fino a che non aveva squillato quel dannato telefono. Che ti è successo Alex? Avrei voluto stringerla forte a me, ma non ne avevo il coraggio. L’unica cosa che riuscii a fare, fu di sedermi al suo fianco e accarezzarle la schiena.
Oh, accidenti. La mia vita continuava a perseguitarmi. Dovevo dire a Michael che ero scappata da casa. Ma non sapevo proprio come affrontarne i motivi. Beh, per quelli magari c’era ancora tempo.
Parlare per l’ultima volta con mia madre era stato doloroso. Nonostante tutto, un po’ di bene gliene volevo, era pur sempre mia madre. Era stata una stupida, ma era mia madre.
In più, ero arrabbiata con me stessa, perché questo mio silenzio, lo vedevo, stava facendo soffrire Michael. E io non volevo essere causa di altro dolore, per lui. Sentivo che lo avevo fatto stare bene, fino ad ora. Non volevo rovinare tutto.
Ma adesso ero io, ad aver bisogno di lui. E forse di nessun altro. L’unica spiegazione che riuscivo a darmi, era che lui, come nessun altro al mondo, mi era vicino. Lui mi capiva, l’aveva fatto dal primo istante che lo avevo visto.
Quando si sedette accanto a me, sul divano, e prese ad accarezzarmi la schiena, non seppi più resistere. Mi sentii come attanagliare da una morsa dolorosa allo stomaco e scoppiai in lacrime. Piansi per tutto il dolore che avevo sopportato fino a quel momento, per tutto quello che avevo sempre cercato di nascondere, anche a me stessa. Piansi e cercai rifugio tra le sue braccia. Non ebbi nemmeno la lucidità di pensare a quello che stavo facendo. Mi gettai su di lui, a braccia aperte. Mi strinsi, con tutto il mio dolore, al suo petto, in cerca di un luogo caldo e sicuro, dove rifugiarmi. Singhiozzavo. Incapace di vedere e sentire nient’altro, all’infuori del mio dolore. Stavo crollando a pezzi e sperai che lui fosse in grado di impedirlo. E così fece. Era scivolato indietro, a causa della mia irruenza nell’abbracciarlo, ma subito rispose al mio grido di aiuto. Mi abbracciò di rimando, dolcemente, cercando di calmare i miei singhiozzi.
- Alex, calmati … va tutto bene … ci sono io qui con te. Sei al sicuro! –
- Oh, Micheal …-
- Si, sono qui, non ti lascio, non aver paura –
Il suo abbraccio era il mio porto sicuro. Le mie paure potevano trovare pace. Cercai di calmarmi, ascoltando la sua voce. Si era messo a canticchiare una nenia, sembrava una ninna nanna. Non aveva parole, ma sapeva di tranquillità e di pace.
- Michael .. io … sono scappata da casa … - Gli dissi infine, fra le lacrime, che ancora si ostinavano a bagnarmi il viso, ponendo un velo tra i miei occhi ed i suoi.
- Shhh … va tutto bene … -
- Non voglio tornarci mai più … aiutami, ti prego – avevo la voce rotta dal pianto.
- Alex, io sarò sempre qui ad aiutarti … -
Le sue parole, in quel momento, suonarono per me, come la musica più dolce che potesse esistere.
- Grazie! Grazie Michael, con tutto il cuore. –
- Non devi ringraziarmi … Semmai io devo ringraziare te … -
Non capii cosa intendesse con quella frase finale, ero troppo sconvolta, per valutare attentamente l’assurdità che aveva detto. Come poteva voler ringraziare me? Lasciai correre … e cercai di sollevarmi da lui, per guardarlo negli occhi.
Mi stava a guardare con un‘infinita dolcezza. Le sue mani si mossero delicatamente sul mio viso, per asciugarmi dalle lacrime. Era così speciale quello che provavo per lui.
- Oh, scusami … ti ho bagnato tutti i vestiti, mi dispiace … - mi accorsi che gli avevo inzuppato la camicia con le mie stupide lacrime.
- Non fa niente, anzi … - si tolse la camicia, restando in t-shirt. Poi si tolse la barba e il naso finito. Ecco. Adesso il principe si era rivelato. Ridacchiai.
- Sei contenta che ho tolto la barba? – mi chiese mentre si finiva di ripulire il viso. Sollevato di vedermi sorridere.
- Stai molto meglio senza … - arrossii non poco nel dirglielo.
Stavo un po’ meglio, quello sfogo mi aveva fatto bene. Ma non volevo restare sola. Stavolta gli chiesi:
- Ehm … Posso? –
- Certo che puoi. –
Così mi avvicinai, dolcemente, a lui. E appoggiai la testa sul suo petto, abbracciandolo. Chiusi gli occhi e mi misi in ascolto del suo cuore. Lui mi abbracciava a sua volta, con delicatezza. Mi accarezzava la schiena con movimenti regolari. Appoggiò la sua guancia sulla mia testa, sussurrandomi qualcosa che non riuscii a sentire. Stavo ascoltando il battito del suo cuore, così vicino e in sintonia con il mio. Così calmo, così reale. Mi addormentai così, tra le sue braccia, al suono della sua vita. Finalmente avevo trovato un rifugio, il mio porto sicuro.
- Oh Alex, non aver paura. Io sono qui con te. Io sono qui per te. Ti voglio bene Alex. -
Le sussurrai lievemente, appoggiando il mio viso tra i suoi capelli. Profumavano di buono, di fiori e miele. Conosco il dolore, lo conosco bene. So cosa vuol dire soffrire a causa della propria famiglia. Ero grato al destino, che ci aveva messo sulla stessa strada. Mai avrei immaginato quello che stava capitando. Mai avrei neanche osato desiderare tanta perfezione. Si, Alex. Tu eri perfetta, perfettamente combaciante con la mia anima. Il tuo dolore era il mio dolore e la tua gioia era la mia gioia.
- Dormi Alex, sii serena. Io sono qui con te. E ci sarò sempre. Ti voglio bene.-
A voi la parola....
e ancora grazie a tutte voi, per tutti i complimenti.....Thanks!