DangerousLucy
00mercoledì 14 aprile 2010 19:21
Eccomi qua per postare il capitolo 10! con un pò di ritardo! scusate!! ma che fatica finirlo in tempo!
Ok! buona lettura e spero vi piaccia!
Capitolo 10
Alessandra teneva stretto tra le mani il suo guanto, ancora incredula per quella sorpresa inaspettata, sbalordita dalla capiacità di Michael di rendere tutto così magico, di lasciare l’impronta indelebile, di riaccandere la magia anche quando questa sembrava essere ormai svanita. Ale sorrideva, mordicchiandosi il labbro inferiore con aria compiaciuta, gratificata dal gesto di lui. Infilò il guantino e l’accostò al suo volto, quasi a volere una carezza, ad immaginare una carezza di Michael. Sentì il suo profumo su di esso e per un breve attimo ebbe la sensazione che fosse ancora li con lei. Rilesse il biglietto un infinità di volte, le infondeva sicurezza, le sue parole le lasciavano sperare che nella sua vita ci fosse ancora posto per qualcosa di meraviglioso. Si posò le dita sul collo, accarezzandosi delicatamente, ripensò ai suoi baci appena sfiorati, a quanto avrebbe voluto che non si fermasse, a quanto desiderasse baciarlo sulle labbra. Non sapeva quando l’avrebbe rivisto, ma sentiva che sarebbe successo. Neanche quasta volta gli aveva chiesto il numero, di nuovo sparito nel nulla, lasciandosi dietro una scia di mistero che sapeva di magico. Ale così tornò a torturarsi sul se e quando l’avrebbe rivisto, poteva accadere in qualsiasi momento e questo sadicamente le piaceva. “Perché le donne amano crogiolarsi nell’incertezza, nell’ansia dell’attesa? La vita è un brivido che ti trascina via, come la frase di una canzone, quanto è vero! Il desiderio del brivido inaspettato mi fa sentire viva, da questo istante ogni giorno può riservarvi qualcosa di magico, sentirò di nuovo il cuore pulsarmi forte nel petto tanto da togliermi il respiro! E’ così bello avere qualcosa da aspettare!” - pensava a questo Ale quando le venne in mente Chiara, sorrise divertita,lei si che si stava torturando nell’attesa di sapere qualcosa. Mossa a pietà per la sua amica, decise di chiamarla e soddisfare la sua curiosità.
- Oh cielo! Ale sei tu! aspetta aspetta… non dirmi niente…lui è li….e me lo vuoi passare, vero?
- No, tesoro! mi spiace, è andato via!
- Stai scherzando? no perché se è vero…tu non sei un amica, sei un mostro! Sono anni che ti assillo con lui, sai che la mia camera è una succursale sfigata di Neverland!!! come hai potuto non chiamarmi e farmi parlare con lui?
- Scusami Chiara, hai ragione! ma mettiti nei miei panni! Ero così sconvolta dalla sua persenza che a stento riuscivo a ricordarmi di respirare.
- E certo che mi ci vorrei mettere nei tuoi panni, puoi giurarci che vorrei! – l’ira di Chiara non accennava a placarsi.
-Ti prego non avercela con me! La prossima volta prometto che la prima cosa che farò sarà farti parlare con lui. Prometto!
- La prossima volta? ci sarà una prossima volta? vuoi dire che vuole rivederti?
-Beh! penso di si?
-Allora la serata è andata bene! Oh mio Dio! aspetta…. devo sedermi, non lo reggo sto colpo! HAI…FATTO… - Chiara riusciva a fatica a finire la frase - …hai fatto…. sesso con lui?
- Chiaraaa!!! ma sei impazzita? – Ale sentì le guance divampare, si sentì terribilmente a disagio, non aveva ancora mai pensato ad una cosa simile, procedeva a piccoli passi, i suoi pensieri erano ancora per un innocuo bacio. Ma le parole pronunciate da Chiara, fecero scattare in lei dei pensieri arditi, per un istante pensò di fare l’amore con lui, si diede un colpo in fronte con la mano che poi fece scivolare sugli occhi, quasi a coprirsi pudicamente per quel pensiero azzardato che la turbava.
- No, scusa! io devo ancora digerire il fatto che la mia amica abbia conquistato la mia star preferita, non darmi subito un colpo mortale simile! Puoi aspettare un po’? ti prego!
Ale rideva, i deliri di Chiara su Michael Jackson erano da sempre irresistibili.
- Hai finito di parlare a vanvera? Non abbiamo fatto sesso ne ci siamo baciati, contenta?
- Uff! che sollievo!! Sant’uomo il mio Michael!
- Però….
-Però cosa? ecco lo sapevo che c’era qualcosa!
- Beh! è stato molto dolce, romantico….simpatico!
- Ok ok! dove vuoi arrivare?
- Ci sono stati dei momenti molto intensi!
- Del tipo?
- Mi ha baciato la mano, poi sul collo, mi ha stretto a se…. oh! Chiara io credo di amarlo sul serio – dall’altra parte del telefono Chiara ascoltava in silenzio mordicchiandosi le unghia, era felice per Ale ma in cuor suo si sentiva gelosa all’idea di qualcuna nel cuore di Michael, però pensò che se proprio doveva esserci qualcuno meglio che fosse la sua amica. Ale continuò il suo racconto.
- Avevi ragione! E’ una persona molto semplice, dolce, ma… si sente solo, non capito, chiuso in gabbia dorata dalla quale non riesce ad uscire, costretto a vivere con la sua solitudine, cerca disperatamente qualcuno con cui condividere il suo mondo. Mi fa una tenerezza infinita il velo malinconico dei suoi occhi……- Chiara la interruppé.
- Ti prego smettila!! mi sembra di vederlo qui davanti a me, povero amore mio! Non riesco a trattenere le lacrime!
- Già! Le sue parole sono pura poesia, i suoi gesti arrivano diritti al cuore….- Ale proseguì il suo racconto, rispondendo ad ogni domanda di una sempre più curiosa Chiara.
Michael, di rientro a casa, non riusciva a non pensare ad Alessandra. Nel buio del suo SUV riaffioravano i sorrisi di lei, come lampi di luce nell’oscurità della sua anima ferita. Sorrise tra se nel ripensare alle buffe espressioni di lei nel provare il moonwalk, si sentiva sereno, uno stato d’animo che non provava più da molto, troppo tempo, quasi a non ricordarlo nemmeno. Per lui fu come se, la presenza di Ale, gli avesse alleggerito l’anima. Respirò profondamente, soddisfatto, quasi a godersi ogni secondo di quella pace interiore. Infilò le mani in tasca e solo in quell’attimo si accorse del cellulare spento. Esitò un istante, poi lo rimise in tasca, aveva deciso di rimandare il ritorno nel suo mondo spietato, di aspettare ad essere di nuovo sommerso di impegni e telefonate, aveva scelto di rimanere in quello stato di grazia e di pace almeno per la durata del tragitto verso casa.
Rientrò nella sua casa sulla Sunset Boulevard. Le stanze erano al buio, aveva dato ordine alla servitù di non aspettarlo in piedi. Si avviò verso la sua camera da letto nell’oscurità. Appena entrato, prima ancora di accendere la lampada, si accorse della luce rossa intermittente della segreteria telefonica del suo numero privato, quello alla quale nemmeno la servitù aveva accesso. Si avvicinò piano, sul display vide il numero delle chiamate, sette. Premette il tasto per ascoltarle.
- biiiiip….Mike sono Liz, tesoro che fine hai fatto? il tuo cellulare è spento, mi fai preoccupare! adesso che hai finito la tournee volevo passare del tempo insieme! chiamami appena senti il mio messaggio, anche in piena notte! …- “cara la mia Liz, ha sempre un pensiero per me. La chiamerò domani, anch’io ho voglia di sentirla, di stare un po’ con lei!”- poi proseguì distratto all’ascolto degli altri messaggi - …biiiip….Michael sono Joseph, che diavolo di fine hai fatto? dovevamo discutere di quell’affare, per una volta che ti chiedo un favore, tu mi volti le spalle e sparisci…aaahh ma perché spreco ancora del fiato con te…clip! – “mio padre…sempre il solito”, i suoi occhi si tinsero di nuovo di malinconia, era tornato nel suo mondo. –biiiip….. ciao Michael – la voce rotta dal pianto di una donna attirarono tutta la sua attenzione, si avvicinò alla segreteria, sentì il sangue gelarsi nelle vene, l’aveva riconosciuta, era Jen, la sorella maggiore di Adam, il ragazzino malato di tumore che stava aiutando da tempo. Jen parlava piano, a stento, tra le lacrime.- ….ho provato a…cercarti sul cellulare…ma …non ti ho trovato…ed ho chiamato qui…. oh! Mike! Adam….Adam ci ha lasciati! ha smesso di lottare… di soffrire inutilmente….- non riuscì a finire l’ascolto, fu colto dalla rabbia, strappò il filo della segreteria dal muro, quasi a voler interrompere così anche il dolore che cresceva dentro il suo cuore. Aveva fallito, si sentiva perdente, non era riuscito a salvarlo, si accasciò a terra, con la schiena poggiata al letto, con la testa sulle ginocchia piegate e si lasciò andare al pianto, silenzioso, doloroso, solitario. Tirò fuori il cellulare dalla tasca, doveva chiamare Jen, chiamare il suo avvocato che si occupasse dei funerali, ma riuscì soltanto a riaccenderlo, fu colto da un’altra profonda crisi di pianto, un dolore sordo gli lacerava il petto, pianse tutte le lacrime che aveva. D’un tratto il suo cellulare iniziò a squillare, qualcuno dopo aver provato svariate volte, finalmente lo trovava libero. Lo prese in mano, a stento riuscì a leggere chi fosse sul display, le lacrime gli annebbiavano la vista. “JOSEPH” , nella sua mente, all’improvviso, sentì ripetersi all’infinito la parola che gli era stato pribito pronuncire fin da piccolo, ma che in cuor suo desiderava urlare al mondo intero: “papà…..papà”. Si sentiva indifeso, in cerca di protezione mentre continuava a guardare quel nome lampeggiante sul display. Rispose tra le lacrime, in cerca del conforto paterno, con la speranza che questa volta lui si comportasse da padre e l’avrebbe consolato.
- Che diavolo ti prende ora? – il suo tono burbero non l’abbandonava mai.
- Adam, il ragazzino che aiutavo … è morto.. ed io…- non gli diede nemmeno il tempo di finire che lo interruppe.
- Ancora con queste storie di ragazzini malati? lo vedi come ti riduci ogni volta? ma chi te lo fa fare?! senti ti cercavo per quel contratto che ti ho chiesto… -
Per Michael fu l’enesima pugnalata al cuore, l’ennesimo rifiuto da parte di suo padre di comprenderlo, di sentirlo figlio suo. Si sentì come se una voragine si aprisse sotto di lui, che lo ingoiasse. Riattaccò il telefono. Il dolore era troppo intenso e Michael si sentiva privo di forze, un dolore martellante diritto al cuore, troppo grande per poterlo sopportare da solo. Tirò totalmente il cassetto del comodino facendolo cadere a terra, si inginocchiò vicino ad esso frugando nervosamente tra le cose al suo interno, le lacrime continuavano a solcargli il viso, ad appannargli la visuale. Non era più solo, c’erano loro, le care, vecchie e maledette amiche di ogni notte, ma soprattutto di questa, pensò questo quando aprì il flacone di sonniferi e ne buttò giù un paio. Si sdraiò sul pavimento, rannicchiato su se stesso, come un feto nel grembo materno ed aspettò tra le lacrime che il buio calasse sul suo dolore.
Il giorno seguente, si svegliò intontito, i suoi occhi erano vuoti, come se la sua voglia di vivere si fosse esaurita nel pianto. Si trascinò sotto la doccia come un automa, avrebbe voluto buttar giù un altro paio di pillole, forse anche di più e tornare nella sorta di limbo che si era creato, ma doveva andare al funerale di Adam, almeno questo doveva farlo. La giornata era piovosa, tanto per far sentire ancora di più il peso del suo dolore, Michael guardò in alto verso il cielo grigio, facendosi cadere alcune gocce di pioggia sul viso, poi la sua guardia del corpo tornò a ripararlo con l’ombrello. Guardava davanti a se la piccola bara e aveva la sensazione che una piccola parte del suo cuore finisse sotto terra assieme ad Adam. Non poteva fare a meno di ricordare il suo sorriso, nonostante il volto emaciato e la testolina senza capelli, che aveva in quei giorni a Neverland, a quanto si era divertito con Buble, lui adorava le scimmie. Nelle sue orecchie ancora il suono della sua voce: “Mike, non voglio morire, no, non ho paura se dovesse succedere, ma se muoio so che mamma starebbe male per me ed io questo non lo voglio!”. Dove lo trovano tutto questo coraggio, tutta questa forza e saggezza i bambini malati? Continuava a ripeterselo.
Like a comet
blazing cross the evining sky
gone too soon
Like a rainbow
fading in the twinkling of an eye
gone too soon…
Tornò a casa e senza mangiare, si infilò nella sua stanza. Un sorso d’acqua e giù di nuovo le sue pillole. Andò avanti così per giorni, non curante di nessuno, nemmeno di se stesso.
Erano passati giorni da quella sera, Ale in un primo momento era eccitata dall’idea della sua comparsa a sorpresa, ma man mano che i giorni passavano cominciava a temere di non rivederlo mai più. Poi tornava a casa ed in camera sua, il suo guantino e le sue parole nel biglietto riuscivano a tenere viva la fiammella della speranza.
Cominciava ad isolarsi dal resto del gruppo, nell’ora di pranzo preferiva portarsi avanti con le esercitazioni piuttosto che stare con Susy e gli altri. anche quella mattina fu così.
-Ehi ma che ti prende Ale? – le si avvicinò Susy
- Niente Susy, sono periodi! mi va di stare da sola con i miei pensieri.
-Sicuro? se mi dici la verità, io di giuro che rispetterò i tuoi momenti, a patto che finiscano presto! io e Ross abbiamo trovato un posto qui in ospedale che….credimi…devi essere dei nostri!
-Ok! promesso! sarò dei vostri! ma adesso voglio starmene sola!
Tornò a pensare a lui e a chiedersi perché non si facesse vivo.
La pioggia continuava ad abbattersi copiosa su Los Angeles da diversi giorni ormai, Ale stentava a crederci che in California potesse mai esserci un tempo simile. Se ne stava seduta sul tappeto a sorseggiare una tazza di latte caldo, ascoltava le canzoni di Michael Jackson e non poteva non rivedere il suo volto li accanto a lei, su quel tappeto, i suoi baci alla sua mano,i suoi occhi. Si perdeva tra le note delle sue canzoni, ricchi di sospiri intensi e toni di voce sensuali ed ammalianti. All’improvviso un forte tuono fece saltare la luce, si ritrovò al buio. A tentoni arrivò alla penisola della cucina in cerca di candele. Ormai era tardi, aveva deciso di andarsene a letto accompaganta dalla luce tenue della sua candela, quando sentì bussare alla sua porta. Era spaventata, chi poteva essere a quell’ora della notte. Sentiva il respiro affannato dalla paura, le vene le pulsavano alla tempie dalla tensione. Rimase immobile al centro della stanza. Poi si sentì chiamare.
-Ale, scusa l’ora….sono Michael!
Ed il brivido che tanto aveva aspettato per giorni arrivò a trascinarla via in un turbine di piacere. Corse alla porta e l’aprì di scatto. Se lo trovò di fronte, bagnato, con gli occhi tristi di un cucciolo smarrito.
-Mike! che ci fai qui a quest’ora! entra, sei tutto bagnato. ti prendo degli asciuugamani!
-No, ti prego stai qui!- la prese per una mano, impedendole di allonatanarsi.
- Tutto bene Michael?
- Si! è che… non riesco a dormire, io… mi vergogno… ma non so da chi altro andare! Puoi dirmi di no se vuoi, ma…io… ti giuro.. che…. non voglio approfittare di te… non ti farò del male… credimi… posso dormire qui stanotte? anche sul tuo tappeto… ma non voglio stare solo…stanotte, per favore, stanotte no! – gli occhi di Michael si riempirono di lacrime, Ale era esterefatta, era così fragile ed indifeso davanti a lei. Si avvicinò a lui senza dire una parola, allargò le sua braccia per accoglierlo e lui si strinse a lei, lasciando andare le lacrime che cercava invano di trattenere. Ale gli accarezzò la schiena, i suoi vestiti erano bagnati.
- Mike, devi asciugarti, ti fa male stare così! ti preparo una tazza di latte caldo e se ti va mi racconti cosa ti è successo!
La luce non accennava a tornare, ma ad Ale non dispiaceva, averlo li a lume di candela le piaceva e adesso avrebbe trovato il modo di tranquillizzarlo. Ne era certa. Pian piano Michael le raccontò di Adam, di quanto avesse fatto per aiutarlo a sconfiggere la malattia e di quanto gli facesse male non esserci riuscito. Ale non lo interrompeva, avrebbe potuto dirgli ben poco per consolarlo, ma capiva dal tono della sua voce che desiderasse soltanto essere ascoltato, capito. Si commosse assieme a lui, accettò di condividere il suo dolore. Michael cominciava a stare meglio, il dolore non si cancella, deve fare il suo corso, ma condividerlo rende più facile sopportarlo.
-Dai non dire sciocchezze, non dormirai sul tappeto, il mio letto è grande per tutti e due!- Ale gli prese la mano e lo tirò con se verso la camera da letto.
Frugò nell’armadio e tirò fuori un pigiama da uomo.
-Per sbaglio, nell’imballare la mia roba ci è finito anche questo di Roberto, credo che per stanotte possa andare, prendilo è pulito.
- Chi è Roberto? il tuo fidanzato?
- Beh! lo era, un po’ di tempo fa! – ci teneva a precisare la cosa, non voleva che i fantasmi di un ex potessero turbarlo.
Ale si sedette al centro del letto, mentre Michael sbottonava piano la sua camicia rossa. Ale non avrebbe voluto guardarlo ma non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, pian piano, bottone dopo bottone, il suo torace si rivelava a lei. Delle macchie color cioccolato sul suo petto attirarono la sua attenzione. Aveva sempre letto sui giornali del suo cambiamento di colore della pelle, di quanto lui, invano, si difendesse dalle accuse di rinnegare la sua razza, rivelando la sua malattia, la vitiligine. E adesso quelle macchie erano li davanti a lei, in un istante capì tutta la sua sofferenza per essere costantemente messo sotto accusa per qualche stranezza, come sempre infondata, lottava invano come Don Chichotte contro i mulini a vento. Si avvicinò a lui, allungò piano la mano verso le macchie e con le dita le sfiorò appena.
- Questo era il colore della tua pelle?
Michael non rispose, strinse le palpebre, come se quelle parole facessero male, un sospiro doloroso uscì dalle sue labbra.
Ale non aveva intenzione di ferirlo, ma di condividere anche questo dolore con lui, per fargli sentire che era li per lui, che avrebbe potuto alleviare anche questo dolore insieme. Avvicinò il suo viso al suo torace nudo, poggiò le sue labbra su una macchia color cioccolato e gli diede un dolcissimo bacio, lungo, come una carezza. Michael aprì gli occhi, abbassò lo sguardo su di lei, le strinse il viso sul suo petto, poi chinò il capo e la baciò sulla testa, tra i suoi soffici capelli. Era riuscita a condividere anche questo dolore con lui e ne era felice. Ale, se ne stette in silenzio, stretta al suo petto, con la guancia sulla sua pelle calda e umida di pioggia, sentì il suo respiro e per la prima volta sentì il battito del suo cuore e le sembrò la musica più dolce del mondo. Il suo cuore era di nuovo accanto a quello di lui e ci sarebbe rimasto per tutta la notte.
....continua
kiss kiss Lu