La vera storia di un racconto inventato...[FanFiction]29
Buona lettura...
Cap 29
Al mio ingresso si alzò di scatto.
Rimasi distante vicino alla porta, come pronta a scappare o forse più probabilmente come in attesa che lui si avvicinasse a me.
-Che…che…ci fai qui Mike?- sillabai
-Non rispondevi alle mie telefonate né ai miei messaggi…Venirti a cercare era l’unico modo che avevo per chiederti scusa davvero…
-Ma guarda…io adesso…
-No Susie, ti scongiuro. Almeno stavolta ascolta quello che ho da dirti. Sto soffrendo, sto soffrendo come un cane, perché ho perso l’unica cosa preziosa che non si può comprare con il denaro. Ho perso un cuore pulito come il tuo che ha saputo confortarmi nei momenti di sofferenza e farmi sorridere nella gioia. Che mi sarebbe stato accanto anche se non fossi stato un personaggio stravagante ma semplicemente un uomo difficile. Che mi ha fatto capire cosa significa avere vicino l’affetto di una donna vera come te, che sa sorridere alla vita, che sa sollevarsi dopo le cadute e che sa conquistarsi le sue soddisfazioni senza diventare schiava del proprio stesso talento. Che ha il coraggio di vivere le proprie emozioni anche se questo significa rischiare tutto e che mi ha insegnato che a quaranta anni, quando sembra che la vita ti abbia ormai sepolto sotto la seduzione degli eccessi, si può ancora imparare ad apprezzare le cose semplici che fanno di una vita qualsiasi la tua vita speciale.
Io non sono neanche un briciolo di quello che sei tu Susie. Sono un uomo solo a metà e ho bisogno di averti vicino per sentirmi intero.
Il mio castello era stato attaccato.
Capii che paradossalmente odiarlo non mi impediva di volergli un bene immenso. Come facevo a dimenticare quello che aveva fatto per me in tutti quegli anni.
Dovevo ammetterlo, quell’uomo avrebbe potuto farmi qualsiasi torto ma io non avrei mai smesso di essere la sua piccola Susie per il resto della mia vita. Chiamatela scarsa autostima, chiamatela sottomissione, chiamatela disperazione. Io lo chiamo semplicemente amore.
Il silenzio e un tremore diffuso furono le uniche risposte che seppi dare a quell’immensità che aveva sfondato dentro di me.
Aprì le braccia e con la voce impastata di commozione mi disse
-Ti scongiuro Susie…non negarmi questo abbraccio…
Gli corsi incontro, e quando il calore di quel contatto mi cinse d’assedio, anche l’ultima carta del mio castello di illusioni era stata abbattuta.
Da quel momento decisi di viverlo giorno per giorno, senza aspettative, senza progetti; solo lui, così com’era, senza avere altre pretese. Ma non gli concessi nient’altro che i miei consigli, il mio sostegno, i miei sorrisi, la mia amicizia. Non avrebbe avuto nulla di più fin quando non avesse fatto pace con se stesso, con il suo cuore e con il suo cervello, e avesse imparato a crescere. Almeno ci provai, ma quegli sforzi non furono altro che becere vigliaccate nascoste dietro a continui viaggi di lavoro. Partivo, tornavo, ripartivo, lo evitavo ma poi come una droga mi facevo penosamente della gioia che provavo e che leggevo nei suoi occhi di bambino ogni qual volta mi rifacevo viva dopo tanto tempo.
Cominciai a perdere d’occhio la sua quotidianità, le persone che frequentava. Ma non me ne feci un problema, era un uomo adulto, non doveva avere bisogno di me come balia, e poi recuperare i miei spazi mi aiutava a disintossicarmi da lui.
Del resto Mike non era il “guaiuncello del quartiere”, come diceva qualcuno, e i suoi ritmi di vita non erano proprio come quelli dei comuni mortali, erano i ritmi di vita di Michael Jackson e stargli dietro significava rinunciare totalmente a se stessi per essere la sua ombra silenziosa o il suo chiacchierone grillo parlante. Non avevo ancora raggiunto questo livello di nichilismo, per cui mi concessi ancora degli spazi di dignitosa realizzazione personale.
Tuttavia la nostra reciproca incostanza nel sentirci si alternava a periodi di totale e sacra devozione dell’uno verso l’altra. Per noi non c’erano vie di mezzo, tutto era portato all’estremo; noi eravamo estremi. O vicini vicini o lontani lontani. Ma Mike era per me come le piramidi in Egitto, non devi averle accanto per sapere che sono delle meraviglie mondiali.
Questo era il modo speciale di essere noi…era il nostro modo speciale.
Era parecchio che non ci vedevamo, la compagnia e l’associazione assorbivano totalmente le mie giornate, in più ero stata in Italia in occasione delle feste di Natale; al mio ritorno volle sorprendermi con una rinfrescata di imprevedibilità, tanto per non venire meno al solito canone vicini vicini, lontani lontani. Questa volta fece le cose veramente in grande, nel suo estremo modo speciale.
Ero appena scesa dall’aereo, presi il palmare e controllai la posta elettronica. Con mia sorpresa trovai un messaggio di Mike. “Susie devo parlarti di una cosa importante che ti riguarda. Appena leggi questa mail chiamami.”
Doveva essere qualcosa di urgente per cui presi un taxi e mi diressi direttamente a casa sua.
Mi aprì la domestica.
-Ah…salve Susie, come sta?
La guardai perplessa. Tina era una donna di poche, anzi pochissime parole. Erano anni che lavorava da Mike e da quando la conoscevo non mi aveva mai rivolto la parola. Quella improvvisa loquacità mi spaventò quasi.
-Ciao Tina…Eh tutto bene, sono un pochino stanca per il viaggio, la tratta Italia-America sembra allungarsi con gli anni…vengo direttamente dall’aereoporto. Mike è in casa?
-Ehmhmhmh…il sig. Jackson? Eh si…ehm anzi veramente non tanto. Cioè è impegnato, è nello studio sta lavorando…- mi rispose ambigua ed esitante.
Intanto entrai in casa, poggiai a terra la valigia, mi tolsi il cappotto. Lì mi sentivo a casa, ero a mio agio. Tra me e Mike non sono mai esistiti formalismi, quella era come casa mia.
Avanzai nel lungo corridoio diretta verso lo studio, mentre Tina come un cane da guardia mi seguiva nervosa e a passo frenetico borbottando una serie imprecisata di scuse.
La mail di Mike mi dava la sicurezza che mi aveva cercata e che doveva parlarmi. Ero impaziente di sapere cosa avesse da dirmi con tanta urgenza, per cui una volta di fronte alla porta del suo studio bussai convenzionalmente e senza attendere la risposta entrai spedita.
-Susie!...non ti aspettavo ancora… - mi accolse Mike con gli occhi sbarrati, evidentemente sorpreso dal vedermi “già” lì
-Oh Mike scusami tanto…credevo fossi solo…Ehm mi scusi anche lei…- dissi mortificata rivolgendomi al signore seduto dall’altro lato della scrivania. Un uomo di colore, stempiato e con i capelli lievemente spruzzati di bianco, che a testa bassa e senza rivolgermi la parola accennò solo un leggero gesto di saluto con la mano.
- Eeee…senti, aspettami in salotto. Devo sistemare una questione e ti raggiungo…
Chiusi la porta bruscamente ed attesi in soggiorno, trascinandomi per tutto il corridoio l’imbarazzo per la mia sbadataggine che con gli anni non si arrendeva a smussare i suoi angoli.
Il viaggio stavolta mi aveva massacrato; ormai erano anni che vivevo in America e solo in occasione delle feste tornavo a Napoli perché sentivo l’esigenza di stare vicino ai miei fratelli e alla mia famiglia, ma poi ripartivo sempre. Oltre al lavoro e agli affetti che qui avevo costruito c’era qualche altra cosa che mi richiamava oltreoceano come fosse una calamita. Chi mi stava vicino lo sapeva, Mike lo sapeva.
- Ehi…eccoti qua. Temevo te ne fossi andata…-disse Mike, che in compagnia del suo ospite mi raggiunse in salotto.
-Scusami se sono entrata così, ma ho letto la tua mail, ero in aereoporto, mi sono precipitata. Credevo fosse urgente…
-Si…in effetti lo è Susie…volevo appunto…
-Va bè ma forse è meglio che ne parliamo un’altra volta che dici? magari avete ancora da fare?- gli risposi facendogli un cenno verso quell’uomo che senza aprire bocca si era messo anche lui a sedere di fianco a Mike senza manifestare l’intenzione di andare via.
Era stranissimo. La sua presenza mi inquietava. Teneva tra le mani un cappello che nervosamente stropicciava, lo sguardo basso, il piede che martellava il pavimento, sembrava agitato.
- Eh no Susie…il signore è qui per lo stesso motivo per cui ti ho chiamata…Però prima…di…
- Ah si giusto…non ci siamo nemmeno presentati, che sbadata, non ne combino una giusta oggi…- dissi sorridente porgendogli la mano-… Mi chiamo Susanna De Matteo, piacere di conoscerla…
Un discografico, un regista, un attore, un manager, un musicista…Pensai subito ad una offerta di lavoro, ad un ingaggio per la mia nuova compagnia, ad una proposta interessante.
Niente di tutto questo.
Nulla di ciò che avevo immaginato corrispondeva alla reale identità di quella persona; ah si, forse solo una cosa, che era un musicista. O meglio lo era stato.
Quasi esitante mi strinse la mano, come riluttante a rinunciare al tormento di quel povero cappello. Si alzò leggermente per tendermi il braccio. Sollevò finalmente lo sguardo e quegli occhi da soli bastarono ad aggiungere quel frammento che mancava nel mosaico della mia vita, quel frammento con la cui assenza ero cresciuta…quel frammento che si chiamava papà.