Buonasera ragazze [SM=x47938] adesso che ho un pò di tempo di tempo libero mi sono data da fare... c'è un bell'impiccio qui...vabbè non vi anticipo niente!!!!
capitolo e basta
Capitolo 21.1
Scendo dal taxi con un'euforia che non credevo nemmeno più di possedere, sembro una quindicenne al suo primo appuntamento e non ve lo nascondo, mi piace da impazzire sentirmi così. A ogni passo sento di poter volare, penserete che volare sia una cosa impossibile, ma vi assicuro che non lo è.
Solo nel momento in cui smetti di credere di poterlo fare perdi la capacità di farlo.
Avete mai visto Peter Pan, il cartone animato della Walt Disney che si rifà al romanzo di James M. Barrie? Quando Peter entra nella stanza dei bambini gli dice che per arrivare sulla sua isola che non c’è bisogna saper volare. E come si fa a spiccare il volo? Basta pensare a qualcosa di molto bello. Ai regali del Natale, alla neve…un pizzico di polvere di fata e il gioco è fatto. Ma vi dirò…non c’è niente di tutto questo nella mia mente ora, tanto meno della polverina magica sulla mia testa, semplicemente perché non ne ho bisogno, il mio pensiero felice nonostante tutto è solo lui, Michael, isola che non c’è compresa in tutto il pacchetto. Se non è una favola questa allora mi domando cosa possa esserlo.
Il crepuscolo posa le sue oscure ombre sul cielo vivo, fa sembrare l’atmosfera molto più calda, quasi afosa, tipica di una serata di metà giugno in cui si intravedono le colline di Los Olivos bruciare sotto il sole che cade lentamente.
Il profumo incontrastato che questo parco riesce ad emanare è sempre lo stesso, almeno per quello che riesco a ricordare. Le giostre sono stranamente tutte ferme, le catene che sorreggono i piccoli sedili rossi oscillano leggermente sotto la brezza, ma nessuna dolce melodia accompagna il loro giro. Regna un silenzio che mette quasi malinconia, tra le fronde della vecchia quercia sotto cui io e Michael amavamo sedere per poter parlare ore e scherzare, intravedo davanti alla porta illuminata dell’ingresso una figura in controluce della quale ancora non distinguo i tratti.
Mi avvicino ancora e Grace, mi saluta aspettando che arrivi sulla soglia per potermi abbracciare.
-Nicole, ciao tesoro! Da quanto tempo…-
-Ciao Grace, come stai?-
Una volta superati i convenevoli, vado dritta al punto, diretta a l’unica forza che mi ha spinto fin qui.
-Grace, Michael è in casa?-
Lo sussurro appena, ho timore che mi possa sentire reclamare il suo nome, senza più averne alcun diritto, mi sento inaspettatamente fuori luogo qui dentro per la prima volta.
-Cercavi Michael?-
Domanda piuttosto inutile non ti pare?
-Si dovrei parlargli.-
Se ne sta lì e mi fissa con un’aria strana, non ho idea di cosa le stia passando per la mente, non sono venuta qui per giocare a nascondino.
-E’ partito circa un’ora fa.-
-Cosa?-
Partito.
Se ne è andato.
E con lui anche tutte le mie speranze…
I miei occhi rimangono attaccati a quelli di Grace aspettando di sentirmi dire che no, non è vero che è partito, che si è sbagliata partirà tra un’ora, non che è partito da un’ora.
Mi sento più stupida di prima.
-Voleva cambiare aria, lasciarsi tutto alle spalle…-
Percepisco solo rumori ovattati, non ho bisogno di sentirmi dire queste cose, non da Grace.
Mi invita ad entrare, vorrei avere la lucidità per riuscire ad inventare una scusa, una qualunque banale sciocchezza, ma non perdo nemmeno tempo a cercarne una. La mia mente è tanto vuota quanto colma di interrogativi lasciati in sospeso perciò assecondo il suo cenno gentile e mi ritrovo nel cuore dell’ingresso di Neverland. Mille ricordi sovrapposti, sbiaditi, che credevo di aver messo da parte in uno dei tanti cassetti impolverati della memoria, ora si sono scrollati un po’ di quella polvere di dosso e riesco ad intravederne i particolari.
La sua risata che riecheggia tra le mura, i suoi passi silenziosi su quelle scale, i baci dati al buio respirando insieme questa stessa aria. Quanto mi è mancato questo posto, non ci sarebbero parole a sufficienza per descriverlo.
L’orologio in oro con la riproduzione di Amore e Psiche di Canova, quante volte ho visto formare il mio riflesso sul vetro di quel quadrante e disperdersi tra le lancette. È tutto allo stesso posto eppure, sembra tutto così diverso.
Manca un’unica cosa per rendere questo momento perfetto, ma purtroppo niente di più lontano dalla perfezione si annida in questo istante privo di logica, l’ennesimo scherzo del destino, inizio a pensare che in qualche modo abbia ragione a remarci contro.
-E’ stato molto male durante i mesi del processo.-
-Che vuol dire è stato male? Cosa aveva? Ma adesso sta bene?-
Con il suo solito fare melodrammatico si siede lentamente sul divano in velluto rosso, mi domando perché ogni volta ci metta così tanto per rispondere ad una domanda. Beh, in questo caso tre domande, ma è lo stesso.
-Nicole lo sai meglio di me, non parla molto della sua vita strettamente privata.-
Vai al dunque per favore? Quantè prolissa questa donna!
Già ho miei vari turbamenti, secondo voi ho voglia di perdere tempo con questa qui?
Sospiro. Infondo la calma è la virtù dei forti.
-In certi momenti stentavi a riconoscerlo, i suoi occhi diventavano…assenti.-
-Ma si, Grace ci avevo fatto caso anch’io. Da cosa dipendeva?-
Adesso si guarda le mani. Non ce la può fare, deve prendere aria per almeno mezz’ora ogni due parole. Che ansia…mantengo la calma solo perché grazie al cielo ho ancora un po’ di buon senso e poi non voglio che quell’antipatico di Frank venga a sapere che con il mio solito caratteraccio ho litigato con la tata dei bambini di Michael.
-Grace!-
-Gli antidolorifici Nicole, pillole per dormire, insomma qualunque cosa lo distraesse dal processo.-
Ecco. Perché me lo dice ora?
-Grace, ma…allora era vero, perché non me l’hai detto prima, avremmo potuto fare qualcosa.-
E’ lei a sospirare adesso, sarebbe bello se con un semplice sospiro si potessero risolvere i problemi, annegare tutto in un soffio e lasciarseli alle spalle come se non fossero mai accaduti realmente.
La verità a questo punto è che non so niente di più di tutti gli altri, anzi, Grace, la tata, ne sa molto più di me.
Non mi rassegno, non mi pento, lo farei se si trattasse di un uomo qualunque, ma in Michael non c’è nulla dell’uomo qualunque. Non si tratta più di tenergli la mano lungo il cammino, di stargli accanto cercando di lenire le sue ferite, ora devo riuscire a capire il più possibile di questo problema che assomiglia sempre più ad un mistero.
***
Con un gusto ancora amaro sulla bocca, accumulata la decima ora di volo sulla pelle, mi rendo conto di quanto New York sia diventata casa mia.
Non c’è il caldo torrido della California che ti scalda immediatamente il sangue e fa arrossire le guance, non c’è la malinconia, non ci sono errori lasciati accartocciati negli angoli delle strade.
Ci sono palazzi che toccano il cielo, il mio nuovo ufficio, un chiosco che fa i migliori hot dogs che abbia mai mangiato e la mia migliore amica. E’ strano come un luogo riesca a farti sentire diversa. Cambiare aria, capisco ora la scelta di Michael di andare addirittura fino in Bahrein.
-Che faccia da funerale!-
-Grazie Sophie sei sempre di grande conforto…-
-E’ da quando sei tornata che hai il muso fino al pavimento.-
-Ma si metti il dito nella piaga, io mi faccio un toast!-
-Un toast? Andiamo bene, potrei capire mi faccio un barile di vodka, ma Niki un toast è troppo trasgressivo non credi?-
-Se….-
-No eh?-
-Ma con la sottiletta.-
-Oh mio Dio! Era una mezza specie di battuta quella?-
-Sophie…non so neanche di cosa stiamo parlando, mi sono persa al barile di vodka.-
-In effetti…vabbeh ho capito sto zitta.-
-Brava.-
Accende il televisore, canticchiando qualcosa di indecifrabile, passano soltanto un paio di secondi e lo schermo si fa nuovamente nero.
-Uffaaaaa.-
Si rigira sul divano stirandosi come un gatto e guardando immobile il soffitto. Posa il telecomando sul cuscino, cerco di non dare attenzione ai suoi mille movimenti nervosi.
All’improvviso si siede incrociando le gambe e tamburellando con le dita su un ginocchio.
-Nicole!-
-Dimmi.-
-Andiamo in Bahrein.-
-Sophie!-
-Si.-
-Zitta.-
-Dai ma perché? Se Maometto non va alla montagna.-
-Maometto c’è andato alla montagna è la montagna che non si è fatta trovare.-
Scoppiamo a ridere.
-Sophie, non ho idea di dove sia, un conto è andare a Neverland un altro è girarsi tutto il Bahrein.-
Lascio le fette di prosciutto nella confezione e rimetto tutto a posto nel frigo, le fette di pane in cassetta nella dispensa, e spengo il tostapane. Non ho fame per niente, pensavo di distrarmi con un panino, ma non ha funzionato molto. Quando Sophie si mette in testa una cosa…
Squilla il telefono e la vedo letteralmente saltare sull’apparecchio senza neanche avergli dato il tempo di fare un secondo squillo. Prendo il succo d’arancia che ho vicino e ne verso un po’ nel bicchiere.
Il ragazzo che doveva sistemare il condizionatore ancora non si è fatto vivo, sembra proprio che ormai dovremmo passare l’estate in queste condizioni.
-Niki è per te.-
Finisco di mandare giù l’ultimo sorso di succo.
-Chi è?-
-E’ Michael.-
-Sophie quando la smetterai con questi stupidi scherzi?-
-Scema dico sul serio.-
Mi porge il telefono senza fili, cerca con lo sguardo si rendere il più credibile possibile la sua affermazione. Non può chiamarmi come nulla fosse dopo due anni, sono sicura che non è lui, anzi spero che non lo sia, è meglio per lui che non lo sia. “Mi dispiace” è l’ultima frase che ho ascoltato uscire dalle sue labbra, sempre al telefono e poi il nulla più totale. Non sarà lui di certo, lo so.
Porto il ricevitore all’orecchio, riesco soltanto a fare un lieve morbido sospiro che arriva immediatamente dall’altra parte donando coraggio all’altra persona di farsi avanti e iniziare a parlare senza che abbia avuto nemmeno il tempo di riflettere un secondo.
-Nicole.-
Il mio nome, pronunciato ancora un volta da una voce che riconoscerei tra mille, mi annoda subito le parole in gola. Nella mia mente scende immediata la confusione che racchiude due anni di silenzi ininterrotti, pensieri, supposizioni tutto quanto scatenato contemporaneamente alla velocità della luce, con una sola banale parola.
-Michael…-
Istintivamente porto una mano alla bocca, la sento tremare come la mia voce poco prima. Non sono riuscita a nascondere l’emozione, Sophie mi guarda con un’aria rassicurante, cerca di darmi coraggio, conforto, tutto con un unico sguardo che fortunatamente ha l’effetto desiderato.
-Quanto mi sei mancata Nicole…non ne hai idea.-
Oh si che ce l’ho, se è stato anche solo la metà di quanto tu sei mancato a me, allora ti sono mancata da morire. Vorrei dirlo, ma perdermi nei suoi occhi mi avrebbe dato la forza di farlo, così sento invece quella fredda sensazione che la lontananza crea inevitabilmente.
-Am…-
Lascio che la parola muoia nel palmo della mia mano. E’ difficile riuscire a perdere un’abitudine tanto deliziosa.
-Cosa?-
-Eh? Cosa…cosa?
Lo sento scoppiare in una risata cristallina, contagiosa e sorrido guardando Sophie che scuote la testa quasi rassegnata.
-Comunque…c’è qualcosa che volevi dirmi?-
-Mike hai chiamato tu, tu che mi volevi dire?-
-Ho saputo che eri passata a Neverland, ah tanto ho deciso di venderla, non riesco più mettere piede in quella casa, troppi ricordi spiacevoli…tranne quelli passati con te.-
Sorrido ma preferisco far finta di nulla, riporto subito la conversazione sull’argomento casa.
-Vendi Neverland?-
-Non la sento più mia…-
-Capisco, non hai tutti i torti in effetti.-
Lasciamo passare un interminabile momento di silenzio che diffonde solo imbarazzo.
-Niki…-
-Mike…-
Ci chiamiamo esattamente nello stesso istante, questo non fa altro che gettare ancora più incertezza in questo nostro strano riavvicinamento.
Svanisce tutto nella ricerca impalpabile di poter dire qualcosa di più, di riuscire a tirar fuori quelle sensazioni rimaste inespresse per tutto questo tempo.
Solo impercettibili risate nervose riecheggiano timidamente attraversando i piccoli fori nel telefono ed arrivando insieme alle orecchie ormai assetate di sentire ancora quella voce.
-Niki io ho ancora bisogno di te, forse adesso più di prima.-
Respiro profondamente decisa a non lasciarmi sopraffare almeno dall'emozione.
Il tono della sua voce è così diverso dall’ultima volta, molto più lucido, molto più vivo…molto più suo.
-Michael sei dall’altra parte del mondo.-
-Lo sai che basta solo una parola, una sola e salto sul primo volo diretto per New York.-
-Non puoi tornare adesso, Mike ragiona per favore.-
-Vieni tu da me allora, dico a Frank di venirti a prendere.-
-No ma…-
-Niki io…-
-No ti prego non dire niente.-
Sospira sofferente riesco ad immaginare il suo volto in questo momento ed è così reale che mi stringe il cuore.
-Non dirò niente se non vuoi.-
-Ho paura che sia la stessa cosa che vorrei dirti anch’io ed è terrorizzante sapendoti così lontano…-
-Niki puoi dirlo…-
-No sarebbe inutile.-
Cade il silenzio. Sospiro soltanto, suonano così amare queste parole che faccio fatica a razionalizzarle.
-Sappi però che le sento lo stesso, ogni giorno più forte, sarei dovuto venire a riprenderti due anni fa, lo so…solo che…non ero proprio in me…-
-Non ti devi giustificare…-
-Nicole.-
-Si.-
-Se fossi lì sarebbe diverso?-
-Non lo so, forse si.-
-Mi dispiace anche per questo, ma l’America si era fatta troppo opprimente per me…io…-
-Capisco benissimo, hai fatto la cosa migliore, io al posto tuo me ne sarei andata anni fa.-
-Michael ma…come stai?-
-Come sto? Mi sento quasi sollevato, non solo per come è finito il processo, ma allontanandomi da tutto devo occuparmi solo dei miei figli e i loro sguardi, i loro sorrisi, riescono a farmi sentire bene.-
-Sono degli angeli.-
-Si.-
-Mike adesso dovrei andare…-
Dopo avermi lasciato il numero della sua nuova residenza, mi saluta facendosi promettere che lo avrei chiamato presto.
Il cuore lentamente ritrova il suo normale battito tranquillo e non riesco a fare nient’altro se non a lasciarmi andare sul pavimento, sedendomi incrociando le gambe, fissando il telefono spento, con ancora l’eco della sua voce intrappolato all’interno. Adesso si che sento la fredda fitta della mancanza, una solitudine che mi spiazza, fare i conti con la lontananza, con una miriade di pensieri che si accavallano l’un l’altro. Neanche Sophie riesce a trovare qualcosa da dire.
Mentre la testa si fa pesante un’unica gocciolina brilla sotto la luce e si fa spazio lasciando dietro di se una scia salata sulla guancia, prima di cadere a terra e allargarsi in un cerchio perfetto.