ok ci siamo senza forse...
Capitolo 19
Sgattaiolo dalla camera da letto di Michael con i capelli arruffati, indossando la camicia bianca che ho raccolto da terra e che mi copre solo fino a metà della coscia. Non ho nemmeno perso tempo a chiudere i bottoni, l’ho semplicemente avvolta il più che potevo e la tengo stretta con le braccia conserte, in fondo devo soltanto andare in cucina a prendere un bicchiere d’acqua.
Guardo in tutte le direzioni, senza sporgermi troppo dal muro che si solleva prima delle scale.
Via libera.
Scendo di fretta, cercando di non fare alcun rumore, sotto i piedi scalzi sento la superficie liscia e fredda del parquet, aumento il passo al pensiero che tra poco sarò di nuovo al caldo, sotto le lenzuola…
Riempio il bicchiere e finalmente un senso di sollievo invade ogni centimetro del mio corpo. Ma improvvisamente la luce della cucina si accende.
-Tana per Niki!-
-Porca miseria Sophie, vuoi farmi prendere un colpo?-
Avanza verso di me agitando il dito a destra e sinistra.
-No, no non ci provare…tesoro…bella camicia è nuova?-
Poso il bicchiere nel lavandino e mi appoggio sul mobiletto vicino incrociando le gambe.
-Come mai sei ancora in piedi?-
-Ha chiamato Bill abbiamo parlato un po’ e non sono riuscita più ad addormentarmi.-
-Che ti ha detto stavolta?-
Bill è un uomo di circa trent’anni, di bell’aspetto, ma ha la curiosa abitudine di chiamare solo ed esclusivamente quando gli serve qualcosa. Sono due anni ormai che si lasciano e si riprendono a intermittenza, la cosa peggiore è che Sophie si è innamorata di lui da subito.
L’ho vista piangere fino a perdere le forze ed addormentarsi troppe di quelle volte che spero abbia finalmente imparato a mettere da parte il cuore e dar retta a un minimo di amor proprio.
Quell’uomo non merita nemmeno una delle sue lacrime.
-Ma niente solite cose, che è cambiato, che possiamo riprovare…-
Si ferma e sospirando profondamente continua.
-Sinceramente non lo so, non lo stavo nemmeno ascoltando, l’ho mandato al diavolo prima che potesse intortarmi di nuovo.-
-Grande!!! Meriti molto di meglio.-
-Niki che rimanga tra noi…-
Mi fa cenno di avvicinarmi a lei e inizia a parlare sottovoce.
-Più che altro poteva fare un piroutte, Billie Jean era lontano anni luce.-
-Sophie ancora con Billie Jean?!-
-Tesoro, forse non ti sei vista, sei sconvolta, dovresti vedere i tuoi capelli.-
-Perché che cos’hanno?-
Inizio a sistemare i capelli con la mano.
-Niki sembri uscita da un campo profughi, cosa cavolo state facendo? Non ti ho mai vista più sbattuta di così, è il caso di dirlo.- è stranamente seria quando fa certe battute -racconta immediatamente.-
Ridiamo come due cretine, piuttosto sghignazziamo sotto i baffi.
-Ma non c’è niente da raccontare.-
-Ecco lo sapevo, eri talmente fuori che nemmeno te lo ricordi.-
-Sophie non si può spiegare a parole, come faccio?-
-I dettagli vogliamo i dettagli.-
-Forse dovresti chiamare Bill, mi sembri un po’ troppo curiosa su certe cose ultimamente.-
-Niki, ma che me ne frega di Bill, non ho sbavato ore davanti ai suoi gold pants, a proposito, non dovevi farmele vedere quelle cose, sono sensibile io.-
Prima che io intraprendessi questa…relazione come Michael, Sophie non aveva idea nemmeno di cosa fosse il moonwalk.
Purtroppo e sottolineo purtroppo ho avuto la straordinaria idea di farle vedere qualche dvd, da quel momento mi tormenta in cerca di aneddoti e dettagli piccanti di qualsiasi tipo. Considerate che abbiamo visto il tutto nella sala proiezione, quindi il formato gigante dello schermo non fatto altro che peggiorare la situazione.
Se le dicessi cosa davvero c’è sotto rimarrebbe shockata per almeno due anni, non me la toglierei più di dosso, sarebbe persino in grado di pedinare Michael per scoprire chissà quale segreto nascosto. È al limite della follia.
Mi volto verso la finestra alle mie spalle, Neverland di notte, con tutte quelle luci è ancora più magica.
Quella magia arriva dritta ai miei occhi, scendendo per il cuore e lì si ferma, scaldandolo lentamente senza che me ne accorga.
-Sophie le sue mani, dovresti vederle…sono perfette! Grandi, morbide, forti e delicate allo stesso tempo, mi basta una carezza e mi sciolgo come neve al sole.-
-Le mani? Mmm andiamo avanti…-
-Hai mai fatto caso al suo sorriso? Ultimamente è raro vederlo, ma quando guarda i suoi bambini…gli occhi, quegli occhi Sophie, è iniziato tutto da lì. Volevo fotografare la sua anima pensa un po’.-
-Ci sei riuscita?-
-Credo di si. Ma mi sembra così complessa, ogni volta che penso di averla afferrata mi sfugge in un attimo.-
-Sei proprio andata Nicole.-
Ride giocando con una mela che ha appena trovato nel cesto sull’enorme tavolo della cucina.
-Completamente.-
Dico tra le risate che mi fanno tremare la voce.
-Nic che fine hai fatto?-
-Oh scusate!-
Michael ci appare all’improvviso davanti la porta, con i capelli arruffati.
Ha i pantaloni del pigiama con Tom e Jerry stampati sopra e la vestaglia rossa chiusa dalla cinta sulla vita che lascia intravedere una buona porzione della sua pelle nuda al di sotto.
-Ciao Mike!-
-Ciao Sophie. Come stai?-
-Bene. Ma….ho sonno, direi che ora che vada a letto…Buona notte.-
Si dirige verso la porta poi si volta verso di me e mi fa l’occhiolino girandosi verso Michael.
-…na na I’m the one….na nan naa mmm…-
Se ne va intonando a bassa voce una melodia che dovrebbe essere BJ, Michael mi guarda divertito e un po’ confuso.
-Era Billie Jean vero?
-Si lascia perdere Mike, è una storia lunga…-
-Avevi detto che dovevi bere un bicchiere d’acqua, non ti ho vista più salire, mi stavo preoccupando.-
Si avvicina a me scostandomi i capelli dal viso e sorridendo dolcemente.
Le sue mani, il suo sorriso, i suoi occhi…penso nuovamente e un velo di tristezza mi ricopre lo sguardo.
-Che succede?-
Se ne accorge subito, gli occhi sono lo specchio dell‘anima, accidenti vorrei non fosse così almeno per una volta.
-Ho paura…non so perché, ma ho paura.-
Le parole escono senza che prima la ragione le possa modificare, ho paura che tutto possa finire, ho paura di una marea di cose, ho paura soprattutto di non poter vivere più niente di tutto questo.
-Non devi aver paura, io non ti farò mai del male.-
-Dici sul serio?-
Mi chiude il viso tra le mani e mi costringe così a guardare nei suoi occhi.
-Assolutamente. Mai. Preferirei farne a me piuttosto.-
Chiude il concetto con un punto ineguagliabile, mi bacia incastrando il mio labbro superiore tra le sue e si stacca dolcemente abbracciandomi.
Stretta così tra le sue braccia, ancora una volta ogni dubbio svanisce, ancora una volta il mondo, la razionalità, ogni pensiero lascia il posto alla meravigliosa sensazione di pace che mi avvolge quando gli sono accanto.
Non mi farebbe mai del male, basta soltanto questo. Io gli credo.
Mi avvicino al suo orecchio.
-Dove eravamo rimasti?-
Lo sussurro piano, soffiando e sento un brivido attraversare il suo corpo prima di prendere tra le labbra il lobo e baciarlo lentamente.
Mette le mani attorno ai miei fianchi, stringe la carne che incontra affondando le dita come in un barattolo di marmellata, avvicina il mio bacino al suo imitando un movimento che non fa altro che accrescere l’urgenza di sentirlo ancora più vicino.
Fa scivolare le mani sulla vita e inaspettatamente mi solleva da terra continuando a baciarmi il collo mentre le mie mani vagano dolcemente tra la morbidezza dei suoi capelli neri.
Mi fa poggiare sul tavolo in legno della cucina, un mela cade dal cesto dopo lo scontro del suo corpo che si avvicina voglioso al mio senza controllo.
La camicia che indosso si apre immediatamente quando le sue mani iniziano a toccarmi segnando un percorso immaginario senza alcun senso preciso. Apro la cinta della vestaglia e sento finalmente la sua pelle sulla mia.
Chiede insistentemente l’accesso alla mia bocca con la lingua, un permesso che gli concedo ben volentieri, così come lui concede alla mia mano di regalargli con estrema lentezza un piacere che lo fa fremere di desiderio. Mi fa stendere con la schiena sul tavolo, le mie gambe gli circondano i fianchi, con un dito attraversa lo sterno arrivando all’ombelico per scendere poi ancora più in basso allargando la mano e sfiorandomi con il palmo risalendo sul fianco.
-Sei bellissima.-
Torna con un dito a sfiorare l’elastico del mio intimo e lo sposta quanto basta per potersi fare spazio e affondare lentamente, con una lentezza esasperante, lo sento riempire perfettamente ogni fibra e restare fermo per qualche secondo in modo da farmi prendere consapevolezza di quella nostra unione.
Con le mani sui miei fianchi si aiuta nella corsa al piacere che già mi invade corpo e mente spazzando ogni pensiero ragionevole.
Lo vedo dal basso, osservo il suo petto muoversi ritmicamente e iniziare ad imperlarsi appena di sudore.
Sotto la luce il riflesso lo fa sembrare ancora più ambrato, più delineato, i nostri sguardi si incontrano e lo sento rallentare quando il mio piacere stava per farsi più intenso. Mi fissa negli occhi con un’espressione di tenerezza e sensualità che non saprei spiegare. Gli lancio un’occhiata intrisa di voluttà e così per reazione affonda con ardore quasi violento tanto da farmi inarcare la schiena e chiudere gli occhi per l’intenso piacere. Porto una mano alla bocca per non far uscire alcun suono, con le braccia lungo il tavolo muovo il bacino verso di lui e un gemito leggero fuoriesce dalle sue labbra. Ci perdiamo entrambi nel momento in cui il sangue sembra fermarsi e lasciare il posto alle miriadi di sensazioni che esplodono in contemporanea sotto la pelle.
Ancora uniti si abbassa sopra di me, accarezzandomi il viso, metto subito la mia mano sulla sua e la stringo sorridendogli.
Non servono parole, non servono sguardi ne gesti, non abbiamo bisogno di nulla se non l’una dell’altra.
***
14 febbraio 2003.
Abbiamo deciso di uscire un po’ per le strade di Los Angeles, io e Sophie, come facevamo spesso prima che Michael entrasse nella mia vita e assorbisse gran parte del mio tempo e delle mie energie insieme al lavoro che mi impegna ogni giorno di più.
-State sempre chiusi lì dentro.-
-Ma che dici, ci sono solo chilometri e chilometri di terreno…-
-Si infatti perché uscite spesso, ma se non fate altro che starvene chiusi in camera da letto.-
Camminiamo lungo la via principale di Santa Monica, la 3rd Street Promenade, entriamo da Starbucks per prenderci il nostro solito espresso.
-Anzi, in cucina dovrei dire dati gli ultimi avvenimenti.-
Si contorce dalle risate mentre ci sediamo al tavolino vicino la vetrata che permette di poter sorseggiare uno splendido caffè guardando le eccentriche persone che passano lungo le vie californiane.
Quanto mi è mancata la vita normale.
-Vuoi una mela Niki?-
-Ooooh e basta!-
Continua a ridere guardandosi intorno.
-Speriamo di non incontrare nessuno, non mi va per niente oggi.-
Finalmente il cameriere arriva portando un vassoio con su due grosse tazze di caffè e una fetta di torta di mele con due forchette. Sophie non ha perso l’occasione per lanciargli una delle sue occhiate maliziose e per un attimo mentre tornava al bancone non ha inciampato contro un tavolino.
-Ah ma lo sai che è tornato Daniel?-
Per poco il caffè non mi va di traverso, tossisco appena cercando di non dargli troppa importanza.
-Interessante…-
Le dico portando nuovamente la tazza alle labbra e soffiando leggermente nella speranza che si raffreddi un po’.
-Era così per parlare.-
Tiro il cellulare fuori dalla borsa per vedere l’ora. Non ho mai sopportato gli orologi. A dire il vero la cosa che più mi da fastidio sono gli orecchini, non so perché, forse non ho mai trovato il paio che mi stesse veramente bene, anzi non l’ho mai cercato ora che ci penso. Peccato. Solo anelli, bracciali e collane. Cosa strana lo so, soprattutto se mi viene in mente la collana che mi ha regalato Daniel.
“1 nuovo messaggio”
Lo leggo immediatamente, non resisto un secondo quando vedo qualcosa sul display.
“7 chiamate senza risposta” wow sono ricercata penso.
-Sophie!-
-Mmm-
Dice mentre manda giù l’ultimo pezzetto di torta.
-Sophie, Michael…cioè Grace, dobbiamo andare.-
-Eh? Cosè un rebus?-
Mi alzo lasciando tutto così comè, prendo la borsa e la chiudo di scatto, lasciando fuori il cellulare per poter rileggere il messaggio quasi sperando che non ci sia più e che sia stato solo frutto della mia immaginazione.
E invece è ancora lì, lo rileggo di nuovo. E poi ancora una volta.
Grace dice che Michael è stato ricoverato in ospedale, sento il cuore fermarsi, o accelerare troppo da perderne la cognizione, so solo che le mani mi tremano e il sangue pulsa violentemente sulle tempie.
All’uscita del locale la tv enorme che sovrasta l’ingresso manda le immagini del notiziario, parlano del processo, ma non capisco neanche un parola. Non riesco a pensare, non riesco nemmeno a mettere un piede davanti all’altro per poter camminare e corro, corro più veloce che posso mentre le lacrime all’improvviso salgono fino alla gola e creano un nodo talmente grande che mi blocca il respiro.