Ok!
ce l'ho fatta...ecco qui il continuo, si accetta di tutto, anche gli insulti.
Capitolo 20
Grace gioca con i bambini cercando di mantenere un sorriso naturale e convincente il più possibile. Forse lo è per i piccoli,ma per me decisamente no.
Non c'è nessun altro a parte lei, nessuno che io riesca a riconoscere. Prima di entrare infatti abbiamo aspettato stranamente troppo tempo davanti al cancello.
-Dov'è papà?-
La domanda di Prince mi fa rabbrividire. Vedo Grace voltarsi verso di me, riesco solo a guardarla con un cenno di speranza chi si trasforma presto in una subdola richiesta di aiuto, nulla traspare dai suoi occhi, ovviamente neanche lei sai cosa sia successo realmente.
-E' fuori per lavoro, tra poco torna a casa.-
Dico avvicinandomi al piccolo Prince e accarezzandogli i capelli con una mano spettinando alcune ciocche biondissime che tornano però subito al loro posto. Faccio segno a Grace di seguirmi, allontanandoci almeno un po' dai bambini per poter parlare liberamente, accoglie il mio invito e con aria turbata sospira profondamente contorcendosi le dita di entrambe le mani.
-Grace sto impazzendo, dovè Michael? Cosa è successo?-
Si guarda attorno, senza cercare nulla da guardare ma soltanto per evitare il mio sguardo arrossito dal nervosismo e dalle lacrime.
Non dice nullla.
-Sono ore che ci tengono qui...io non resisto un secondo di più.-
Mi guarda per un attimo, un effimero secondo e torna a posare le pupille su qualcosa di incerto fuori dalla finestra che pare sia molto più confortante di ciò che ha davanti. Di chi ha davanti.
Frank, il capo della sicurezza aspetta con pazienza un qualsiasi segnale, dice che Michael è in ospedale per un forte attacco di influenza,niente di grave.
Niente di grave...come si fa a dire che non è niente di grave? Nessuno parla, non so nemmeno in quale ospedale sia stato portato, a dir la verità non so nemmeno se è stato portato in ospedale.
-Frank ma che cazzo è successo? Si può sapere?-
-Michael ha dato ordini precisi di non diffondere alcuna notizia.-
-Ma porca troia ti sembro la CNN per caso?-
-Sophie lascia perdere, ti prego.-
-Niki come fai ad essere così calma...dove diavolo sta Mike?-
-Sophie davvero,ti prego!-
-Non capisco, non so proprio come fai...-
Sento il cuore soffocarmi, sembra che qualcuno lo stia spingendo con forza, che lo stia schiacciando lentamente con un pugno, un pugno che fa male come la lama di un coltello mentre trafigge la carne,la lacera e il sangue fuoriesce lasciando la prova concreta di quel dolore lancinante. Trattengo a fatica le lacrime.
Ha dato l’ordine di non dire niente a nessuno, che nessuno sapesse cosa fosse accaduto, nessuno. E io rientro tra quel nessuno che esclude ogni fraintendimento.
-Sophie...è Michael che non vuole farci sapere come sta.-
-Niki ma....-
-No è così,- la interrompo.
-Hai sentito Frank, non ha lasciato detto niente per me.-
Vedo la sua espressione mutare radicalmente,vedo la sua sicurezza abbandonarla goccia dopo goccia e con lei anche la mia volontà.
-Vado di sopra.-
Mentre cammino svogliatamente verso il secondo piano mi ritrovo a dover passare proprio davanti alla cucina. Fino a ieri si preoccupava se non mi vedeva tornare dopo dieci minuti, cosa dovrei fare io adesso?
-Frank-
Lo chiamo voltandomi, facendo qualche passo indietro.
-Nicole lo sai, non posso dire niente.-
-Si lo so, volevo chiederti se avevi una sigaretta.-
-Certo, non sapevo fumassi.-
Allunga la mano verso la mia, porto subito la sigaretta alle labbra,un ricordo così lontano, così sbiadito si propaga tra i miei pensieri. Avevo iniziato durante il terzo anno al liceo, senza un motivo reale, del resto quale motivo sarebbe plausibile abbastanza per iniziare a fumare? Quando ho lasciato la casa di mio padre, quel giorno di Natale e sono venuta qui a Los Angeles senza aiuti né sostegno né amici, avevo deciso di cambiare la mia vita il più radicalmente possibile, smettere con questa robaccia era solo una piccola tesserina in tutto il puzzle dei miei problemi. Ed ora eccomi qui...
-Grazie.-
Seduta sul pavimento con le gambe incrociate e la schiena che poggia sull'ampia finestra della camera degli ospiti più vicina alla stanza di Michael, aspiro l'ultima boccata e il pensiero che mi farà più male di tutto questo, mi fa sembrare questa vicenda un po' meno dolorosa.
La camera degli ospiti, sono solo un ospite ed è questa la realtà. Stupida Nicole! Sono stata davvero stupida,stupida a non accorgermene prima. In fondo cosa sono io per lui? Un ospite, un passatempo, qualcosa di temporaneo che prima o poi lascerà il posto ad altro. Eccolo qui, il momento in cui ci si sveglia dal sogno, quando hai ancora le immagini chiare e nitide davanti agli occhi, ma sai di non poterle più vivere, sai che è tutto finito,che sei sveglia e che è ora di ricominciare a vivere, come tutti gli altri. Vorrei immortalare questo momento per potermi ricordare in futuro che niente è mai per sempre.
Fuori, nel giardino i segni riconoscibili di un’invasione che ha lacerato non solo oggetti e serrature, ma anche l’anima e il corpo di un uomo che non credo più di conoscere affondo, l’FBI con i loro mandati di perquisizione sono riusciti a sfigurare l’unico posto in cui si sentisse realmente felice. L’ho visto passeggiare diverse volte lungo il sentiero illuminato, di notte, con le mani in tasca, con l’aria di chi non sente più suo ciò che ha tra le mani.
***
Il buio è sceso sulla contea di Santa Barbara, il cuore si scontra con la ragione e l’appiccicoso strato pregno di dubbi e incertezze si fa largo nella mia mente fino ad arrivare allo stomaco, attanagliandolo.
Prendo le mie cose dall'armadio, le piego lentamente senza prestare alcuna attenzione ai movimenti che compio.
Tra i vestiti messi alla meno peggio intravedo una catenina, fina e un pò attorcigliata che disegna uno scarabocchio sul copriletto bordeaux.
La prendo e tra le dita cade morbido il ciondolo che oscilla leggermente. La collana di Daniel. Bel momento per vedermi sbattere in faccia la parola in cui adesso credo meno di qualunque altra. Amore.
Gran bella parola.
In quanti si sono impegnati a scriverne, a cantare in suo nome, quanti artisti hanno cercato di dipingerne l'essenza più vera, quanti esperti discutono senza riuscire mai veramente a spiegarla.
E quante lacrime, quante lacrime versate dal primo momento in cui lo incontri fino alla fine.
Sophie bussa piano alla porta ed entra in punta di piedi. Vorrei ringraziarla per aver fatto cessare i miei pensieri con quel ticchettio sul legno. Mi guarda mentre preparo le valigie, guarda la catenina che ho lasciato sul letto e si siede sprofondando sul materasso con un tonfo sordo.
-Torniamo a casa?-
Annuisco fingendo di essere concentrata sulla spallina di un vestito rimasta impigliata nelle stampella.
-Sicura?-
Sospiro lasciando cadere l'abito nella valigia intrappolato ancora nel gancetto e di cui mi importa ben poco.
-Si.-
Il taxi si dirige verso Santa Monica e un senso di smarrimento mi fa tremare le mani, sono stranamente calma, sembra che niente possa turbarmi più di così.
Quando il cellulare ha iniziato a squillare erano circa le due di notte, in silenzio ho promesso a me stessa che la prossima volta in cui avesse suonato avrei risposto senza nemmeno guardare il display, al primo squillo. Speravo non riaccadesse, spero che chiunque fosse si sia stancato di chiamare. Ma è inutile mentire, tanto vorrei rispondere a quel telefono e sentire la sua voce chiamare il mio nome supplicandomi di tornare da lui.
E così ecco di nuovo la suoneria riempire il silenzio dentro la vettura gialla e il mio cuore tremare ad ogni squillo.
Rispondo senza guardare.
-Pronto?-
La mia voce esce roca, bassa, irriconoscibile. Dall’altro capo si sente a malapena un respiro.
-Nic…-
La sua voce. Rotta dalle lacrime. Chiudo gli occhi cercando di frenare l’emozione, mi mordo il labbro e lascio che un interminabile lasso di tempo passi in completo silenzio.
-Mi dispiace.-
Sento la linea cadere, mi sembra di sprofondare in un abisso senza riuscire a capire più il perché. Spengo il telefono, è l’unica cosa sensata che mi viene in mente in questo momento. Lo lancerei contro il vetro, urlerei, farei scorrere le lacrime fino a perderne il sapore sulle labbra. Invece non ho la forza di fare niente di tutto questo.
Con gli occhi lucidi nascosti accuratamente sotto le lenti scure degli occhiali da sole, decisamente fuori luogo alle 3 di notte, attraverso l’entrata del mio appartamento dopo così tanto tempo che mi sembra di non essere mai stata qui prima d’ora. Ma la realtà presto scansa la memoria, sul tavolino dell’ingresso ritrovo il biglietto scritto di suo pugno in cui mi paragonava ai fiori della primavera. Un messaggio ben lontano da quelle sole poche righe che sono riuscita a scrivere prima di partire.
"L'amore è come una saponetta ce l'hai in mano finché non la stringi troppo forte. Credevo di doverlo afferrare per averlo, ma l'amore scivola via come quella saponetta se lo stringi troppo forte. Bisogna imparare a tenerlo con leggerezza, lasciarlo volare quando vuole.
Così adesso ti lascio libero di poter volare..."