In The Name Of Love (in corso). Rating: verde

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°CucciolaJackson°
00venerdì 18 giugno 2010 15:58
bellissimo.... eh finalemte un pò soletti ;);)
marty.jackson
00sabato 19 giugno 2010 12:19
bellissimoooooooooooo!!! sei davvero bravissimaa!! si però adesso urge il prossimo! soli soletti chissà cosa succederà [SM=x47979]
bacii [SM=x47938] [SM=x47938]
BEAT IT 81
00domenica 20 giugno 2010 22:24
Tati ho letto ora il capitolo nuovo.....bello!!!!!!!!!!!!!!! Micheal è troppo dolce e premuroso con Joy e questa sua richiesta alla fine.....mhhhhhhh......gatta ci cova!!!!! Qlc mi dice che Cupido ha fatto centro ;-)))))))) . Aspetto con ansia il seguito!!!! Bravissima!!!!!! Baci Sara
tati-a4ever
00lunedì 21 giugno 2010 10:13
Re:
ludo.94, 18/06/2010 14.22:

bellissimo tati!!!! e ora che si diranno questi due!!mmmm.... aspetto il prossimooo!! un bacio,ludo



Grazie ludo! [SM=g27819] Be', il prossimo capitolo, il numero sette, ho cercato di farlo più speciale possibile :D Quello che si diranno spero sarà abbastanza "soddisfaciente" delle tue speranze ^__^

°CucciolaJackson°, 18/06/2010 15.58:

bellissimo.... eh finalemte un pò soletti ;);)



Grazie cucciola! [SM=x47938]

marty.jackson, 19/06/2010 12.19:

bellissimoooooooooooo!!! sei davvero bravissimaa!! si però adesso urge il prossimo! soli soletti chissà cosa succederà [SM=x47979]
bacii [SM=x47938] [SM=x47938]



Mio Dio, Marty, mi imbarazzi XD [SM=x47984] Anche tu in attesa del prossimo? Bene bene, *risata malefica*, spero proprio sarà di tuo gradimento :D Grazie ancora e baci :*

BEAT IT 81, 20/06/2010 22.24:

Tati ho letto ora il capitolo nuovo.....bello!!!!!!!!!!!!!!! Micheal è troppo dolce e premuroso con Joy e questa sua richiesta alla fine.....mhhhhhhh......gatta ci cova!!!!! Qlc mi dice che Cupido ha fatto centro ;-)))))))) . Aspetto con ansia il seguito!!!! Bravissima!!!!!! Baci Sara



Grazie Sara, sei sempre molto gentile! ^__^ Michael penso sia veramente fatto così, dolce e premuroso come lo hai descritto tu, e perciò sono orgogliosa di descriverlo così! Joyce e la sua richiesta: gatta ci cova? Aspetta a dirlo! [SM=g27828] Spero che il Settimo possa piacerti quanto questi! Bacioni e grazie tanto tanto! [SM=g27838]
BEAT IT 81
00lunedì 21 giugno 2010 14:57
Oddio, ora mi hai incuriosito ancora di più, nn vedo l'ora di leggere il settimo capitolo e sono arci convinta che Cupido ha davvero colpito ;-)))))))). Aspetto con ansia il seguito. Bacio Sara
tati-a4ever
00lunedì 21 giugno 2010 16:26
Re:
BEAT IT 81, 21/06/2010 14.57:

Oddio, ora mi hai incuriosito ancora di più, nn vedo l'ora di leggere il settimo capitolo e sono arci convinta che Cupido ha davvero colpito ;-)))))))). Aspetto con ansia il seguito. Bacio Sara




Eheh... Questa volta ti lascio senza dire niente. [SM=g27832]
Un po' di curiosità fa sempre bene, aumenta la voglia di lettura [SM=x47979]
BEAT IT 81
00lunedì 21 giugno 2010 22:26
Re: Re:
tati-a4ever, 21/06/2010 16.26:




Eheh... Questa volta ti lascio senza dire niente. [SM=g27832]
Un po' di curiosità fa sempre bene, aumenta la voglia di lettura [SM=x47979]




Uffa!!!!!!!!! Io sono curiosa!!!!! Nn vedo l'ora di leggere il prox capitolo [SM=g27828] . Baci Sara
tati-a4ever
00martedì 22 giugno 2010 13:03
Re: Re: Re:
BEAT IT 81, 21/06/2010 22.26:


Uffa!!!!!!!!! Io sono curiosa!!!!! Nn vedo l'ora di leggere il prox capitolo [SM=g27828] . Baci Sara



Eheh [SM=g27828] Dai, ti dico solo una cosa - tanto per farti aumentare d'ansia: cambierà un poco le cose in entrambi i punti di vista [SM=x47979] Bacioni!
BEAT IT 81
00martedì 22 giugno 2010 14:02
Re: Re: Re: Re:
tati-a4ever, 22/06/2010 13.03:



Eheh [SM=g27828] Dai, ti dico solo una cosa - tanto per farti aumentare d'ansia: cambierà un poco le cose in entrambi i punti di vista [SM=x47979] Bacioni!




Eh, xò così nn mi aiuti !!!!!! Anzi sì, vuol dire che ho ragione io e che Cupido ha già colpito [SM=g27828] [SM=g27822] [SM=g27828] ...Nn vedo l'ora di leggere il tuo nuovo capitolo. Baci Sara
tati-a4ever
00martedì 22 giugno 2010 22:47
Re: Re: Re: Re: Re:
BEAT IT 81, 22/06/2010 14.02:


Eh, xò così nn mi aiuti !!!!!! Anzi sì, vuol dire che ho ragione io e che Cupido ha già colpito [SM=g27828] [SM=g27822] [SM=g27828] ...Nn vedo l'ora di leggere il tuo nuovo capitolo. Baci Sara



Non è detto [SM=g27829]
Bacioni!
BEAT IT 81
00mercoledì 23 giugno 2010 09:51
Re: Re: Re: Re: Re: Re:
tati-a4ever, 22/06/2010 22.47:



Non è detto [SM=g27829]
Bacioni!




Come nn è detto?!? Oddio scusa, sono davvero troppo curiosa [SM=g27821] , aspetterò pazientemente il tuo nuovo cappy. Baci Sara
tati-a4ever
00mercoledì 23 giugno 2010 19:22
Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re:
BEAT IT 81, 23/06/2010 9.51:




Come nn è detto?!? Oddio scusa, sono davvero troppo curiosa [SM=g27821] , aspetterò pazientemente il tuo nuovo cappy. Baci Sara



"Non è detto" perchè non sempre tutto è ovvio ;D
Se ho tempo sposto stasera.
Baci!
tati-a4ever
00sabato 26 giugno 2010 12:03
Caspiterina... Sono in un ritardo pazzesco T___T Scusatemi!
Ecco il capitolo!


CAPITOLO VII

Avevo accettato il suo invito senza opporre resistenze. Non avevo rifiutato non solo perché non sarei riuscita a dire no, ma anche perché la verità era che ci volevo rimanere davvero con lui, per ancora un bel po’ di tempo. Era il mio desiderio di una vita... Perché mai dovrei aver declinato la richiesta? Non sarei mai stata così stupida!

Lo avevo guardato negli occhi, col fiato un po’ corto, e avevo socchiuso le labbra senza dire una parola. Avevo fissato il basso, profondamente sbalordita da quella richiesta – perché veramente lo ero! –, ed infine avevo emesso la sentenza.

«Be’, non so Michael...», dissi guardando il suo volto allarmato e rammaricato. Sembrava fosse sull’orlo di volermi pregarmi da tanto mesto era il suo volto! Questa era la seconda volta che cascava a una delle mie “trappole” sceniche.
Sorrisi furbescamente.
«Che cosa mi porterai a visitare adesso?»

Ed ecco il mio adorato sorriso abbagliante!
Il luccicare normale dei suoi occhi si fece più vivo, tanto che si poteva notare chiaramente la differenza fra quelle profonde oscurità e quei riflessi di diamante puro; le avrei osservate per un bel po’ di tempo. Il riso illuminava a dismisura ogni centimetro del viso, il suo respiro si fece emozionato e allo stesso tempo più tranquillo.

Era raggiante. Felice di avermi lì con lui, come un bambino che non vuole che il suo più caro amico lo lasci solo. Forse questo era il punto. Non voleva essere abbandonato a sé stesso, ma solo che qualcuno gli facesse compagnia. Desiderava qualcuno che si divertisse con lui e non gli ricordasse quanto può essere triste rimanere senza nessuno accanto, anche se fra tutte quelle meraviglie di giostre e svaghi vari.

Sapevo cosa si provava. Io avevo dovuto abituarmi a quella atroce emozione chiamata solitudine. Da quando ero piccola andavo contro corrente, contro ogni persona che non poteva capire quello che potevo desiderare o sognare. Era una sensazione orribile, ma ci dovevo convivere. Era difficile, tremendamente difficile.

Le ferite aumentavano ogni volta che finivo contro qualcosa di diverso, non si cicatrizzavano, ma forse per questo che avevo cominciato a vivere la vita a modo mio. Da sola, coi miei sogni, la musica e i bambini, il mio cuore continuava a battere. Per chissà quale strano e misterioso motivo, io non avevo mai abbandonato le uniche cose che riuscivano a farmi sentire bene. I miei rapporti con le persone non si potevano veramente definire “rapporti”. Non avevo amici tali da essere definiti “amici”. Mi isolavo da chi non poteva capirmi e, siccome sapevo che nessuno avrebbe mai potuto , rimanevo sola.

Per questo motivo io lo capivo. Capivo il suo essere radiante a quel mio “sì”, il sorriso brillante come quello di un bambino che non desidera altro che compagnia. E io volevo la sua vicinanza. La volevo perché forse – conoscendolo meglio – avrei scoperto che lui sapeva che cosa si provava.

Forse avevo più ragione di quanto non riuscissi a credere...
Che idiota. Dopo tutto questo tempo, la speranza non aveva ancora smesso di condizionarmi.

«Rimani?», chiese lui con quel suo sorriso “ultra bright”. Insomma, era chiaro che volesse una conferma a parole!
«A quanto pare penso proprio di sì...» Feci spallucce, un’espressione bambinesca in viso, ed evitai il suo sguardo. Mi sentivo tanto bimba quando agivo così!
«Che bello!...», esclamò lui.

E mentre le parole gli uscirono dalle labbra, sfiorò il palmo della mano con la sua. Era stato un contatto istantaneo, uno sfioramento impercettibile che tuttavia non aveva intenzione di scostarsi dalla mia pelle. Un atto simultaneo alle sue parole, un gesto tremendamente istintivo quanto irrefrenabile.

Entrambi posammo i nostri occhi su quel accostamento lieve delle nostre mani. Lo osservai dritto in viso, curiosa, realmente provata, sentendo un balzo al cuore. Lui fece lo stesso – una scintilla illuminò in modo molto visibile il suo sguardo imbarazzato e allarmato – e rigettò un’altra occhiata intimidita alle nostre mani. Non disse niente, si apprestò solo ad allontanare la sua pian piano, come se non fosse accaduto niente e facendo finta di niente.

Ma io non glielo permisi. Prima che potesse riposarla lungo il suo fianco, in fretta, la strinsi a quella che aveva sfiorato. Non sapevo che mi prendeva, né perché avevo agito in quel modo impulsivo. Non mi imbarazzai. Quel istinto aveva avuto la vittoria contro i sentimenti più ovvi che si potessero provare in un tale momento. Il mio cuore batteva forte in petto, ma non per questo ritirai la mia mano.

Il suo sguardo e il mio parlarono da soli. Lui di scatto mi fissò, stupito e scombussolato, e in un primo momento rimasi profondamente legata a quell’occhiata vivida e vigorosa. Sembrava chiedermi “Perché non ritiri la mano?”, “Che cosa sta succedendo?”. Non arrossii, non mi immobilizzai... Sorrisi e basta. Gli sorrisi per dimostrargli che il suo gesto era ben accettato, che non doveva temere e nemmeno imbarazzarsi di quel fatto. Glielo feci capire con gl’occhi, perché le parole non sarebbero uscite neanche richiamandole in quel primo momento.

«Quindi...», dissi con un tono quasi infantile. «Dove mi porterai adesso?»

Lui sbatté gli occhi come per riprendersi, gettando un ultimo sguardo alla stretta delle nostre mani, nel frattempo che le sue guance assunsero un colorito più roseo. Era timido - forse per il fatto che io ero una donna, che ne so - ma strinse di rimando. Aumentò la pressione della sua mano senza aver paura e senza aspettare un secondo di più. Mi lanciò un’occhiata interessata, discreta ma folgorante, e poco dopo sorrise. Il suo sorriso era ogni volta più spettacolare, forse molto più lucente di come era stato quello di prima.

«Dovunque tu voglia», mi disse lui col suo fare terribilmente e meravigliosamente enigmatico. Ecco, quando mi rivolgeva certe espressioni – con frasi così ad enorme effetto! – io ero capace di sciogliermi lì su due piedi!
«Be’...», risposi inclinando un po’ la testa, guardando in alto. «Mi mancherebbero alcuni su delle giostre su cui ancora non ho mai messo piede... Ma quelle possiamo ben saltarle se tu vuoi!»
Lui sorrise. «Non voglio che tu stia ancora male, perciò... Ehm, al massimo ne possiamo fare una tranquilla... Ti piacerebbe andare sulla ruota panoramica? C’è un panorama stupendo da lassù, ma se hai paura possiamo lasciar perdere», disse guardandomi con attenta analisi e apprensione.
Entrambi osservammo la stessa direzione, lui mi indicò la ruota panoramica e la sua maestosità era intimidatoria quanto davvero affascinante! «Perché no!», risposi con un sorriso, tornandolo ad osservare. «E poi ho sempre sognato di andarci! Sono quasi del tutto convinta che non soffrirò per niente!»
Sorrise di nuovo.

Decidemmo di andare sulla ruota panoramica, perciò – ancora con la sua mano legata alla mia – c’incamminammo verso quella grande costruzione. Un inserviente e assistente di quella giostra ci fece salire, estremamente gentile, e chiuse la cabina, dando il comando poi all’edificio di mettersi in moto. Un colpo piano dette il segnale che la ruota panoramica era in funzione.

Neanche là abbandonai il nostro contatto. Ero emozionata, l’euforia di salire sempre più in alto mi faceva battere il cuore senza mezzi freni; tutto mi dava una spinta per legare con maggior pressione la mano di Michael. Mentre io m’apprestai a guardare al di fuori dei finestrini della cabina, lui continuò a studiarmi.

Se c’era una cosa che lui non facesse, era quella di smettere di osservare ogni mio gesto, alle volte non facendosi neanche scoprire. Qualcuno potrebbe essersi sentito un po’ sotto torchio, sempre sotto costante osservazione, ma lui non lo faceva apposta: era curioso di sapere com’eri veramente, voleva scrutare dentro i tuoi atteggiamenti per scoprire quanta verità si trovava in te. E io ero molto simile a lui; non amavo molto parlare, ma ero una abile osservatrice e ascoltatrice.

«Hai paura?», mi chiese avvicinandosi un po’ al mio orecchio, con tal voce soave che sarebbe riuscito a far venire i brividi a chiunque lo ascoltasse. Coi fremiti addosso - non solo causati dalla giostra - lo guardai sorridente.
«Sono senza parole. È tutto bellissimo, e neanche siamo arrivati in cima in cima!», risposi spalancando i miei occhi verdi, provocandogli una lieve risata soffocata. Tornai a guardare fuori, umettandomi il labbro inferiore. «Non avevo mai pensato che fosse questa l’emozione che si potesse provare...»
Un attimo di silenzio indecifrabile, poi parlò, più seriamente di quanto non potessi credere.

«Posso chiederti una cosa?», chiese a tonalità molto soffice, come se avesse paura che lo giudicassi indiscreto.
«Dimmi», risposi, osservandolo diritto nei suoi occhi scuri. In fondo, sapevo già che cosa volesse mai chiedermi. Sapevo ogni cosa anche solo esaminando il viso di Michael poiché, in realtà, non era poi un gran arcano per me.
«...Perché non sei mai andata in un parco divertimenti?», ma la sua più che una domanda fu un ordine curioso di conoscere ogni dettaglio dei miei perché nascosti.

Non trovai motivo perché negargli di sapere la realtà. Quelle rivelazioni non sarebbero servite a reprimere il vuoto di quel peso enorme nel cuore, era vero, ciò nonostante mi sentivo in dovere di dirglielo. Con nessun altro mi sarei scomposta a dichiarare quei miei segreti giovanili e turbamenti infantili, perché con lui sì? Era una domanda a cui non seppi darmi risposta immediata.

«La storia è lunga, ma se ti fa piacere sapere la realtà ti racconterò tutto...»
«Ti ascolto, se vuoi...», rispose di getto, intanto che i nostri sguardi si incrociavano in un misto di emozioni caotiche nel bel mezzo di un silenzio così carico. Presi un respiro e parlai.
«Ti ho già raccontato che i miei genitori si sono separati quando io ero solo una bambina molto piccola, no...?»
Lui annuì. Non disse nulla perché voleva proseguissi senza interruzioni, perciò dopo un ennesimo atto di preparazione mentale decisi di raccontare la mia storia. L’infanzia di Joyce. La mia.

«Be’, quella separazione causò in me profondi tagli nell’anima. Fin da quando nacqui, mio padre non si è mai curato di me - sembrava non gli interessasse neppure la mia nascita, né i miei compleanni, né ogni mio desiderio. Ogni giorno se ne stava a lavoro fino a tardi – faceva il manager di una grande azienda commerciale – e a volte perfino non tornava a casa neanche la notte; usciva alle sei e mezza di mattina e, quando era più fortunato, tornava a casa alle dieci di sera.
Tuttavia non ha mai disprezzato il suo lavoro, anzi, lo amava più di mia madre e di me. Certe volte, quando se ne voleva stare con la sua amante e non meno che sua segretaria d’ufficio, mentiva a mia madre dicendo che aveva ancora troppo lavoro da fare e che si sarebbe fermato in un hotel. Era una bugia bell’e buona, credibile, e soprattutto era un’ottima scusa per non tornare a casa e divertirsi e basta.
Mia madre si prese cura di me senza mio padre, da sola, utilizzando il denaro che lui conservava nel suo ottimo stipendio. Lei non lavorava, aveva semplicemente scelto di accudire me, unica sua figlia, con la speranza che un giorno avrebbe convinto il marito a starsene un po’ di più con la famiglia e scegliere un lavoro meno impegnativo. Ma il suo desiderio svanì prima che potessi compiere tre anni.
Venne a scoprire dell’amante e quello fu un ottimo motivo per scegliere la separazione. L’indifferenza di mio padre verso me e lei stessa, assieme a quella scoperta, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Ci pensò parecchio, io stessa mi ricordo di averla sentita minacciare il divorzio, ma nella realtà aveva lui il coltello dalla parte del manico. Che cosa avrebbe fatto lei, povera casalinga senza un soldo, con una bambina da accudire, senza i denari di lui?»

Il ricordo divampò nella mia mente come un’ombra e la vista cominciò ad ovattarsi. Scene offuscate di fatti passati mi accecarono come flash di scatti di macchine fotografiche, ricordavo solo le scene più importanti: mia madre e mio padre che litigavano furiosamente, le lacrime di lei, la sfacciata rabbia di lui, mio padre che saliva le scale del primo piano nelle quali io ero seduta, a fissarli con occhi impauriti, e mia madre che dal salotto gli lanciava un vaso colpendo il muro e frammentandosi sui gradini.

Michael non spostò i suoi occhi neanche un istante dal mio viso. Mi studiava con un’espressione profonda, paralizzato dal mio racconto, lo sguardo carico di mestizia e disperazione, compassione e rammarico. Ad ogni modo, proseguii nel racconto, senza che la mia voce s’incrinasse. Quelle parole non potevano portarmi alle lacrime, perché la maggior parte le avevo già consumate molti anni prima... Addirittura prima che lei morisse.

«Mia madre fu perciò costretta a vivere con lui per molti altri anni. Il suo amore per me svanì pian piano, come mio padre anche lei cominciò a dimenticare la ragione che l’aveva spinta a lottare contro la solitudine. Non sorrideva più, cominciò a smettere di mangiare e cominciò ad assumere compresse antidepressive, morfina... Per lei il mondo le si era rivoltato contro, Dio aveva smesso di starle vicino, io non ero mai esistita. Secondo lei se ero morta o viva non facevo differenza, la sua mente era convogliata in un unico delirio: voleva solo morire.
E mentre lei pensava a come fuggire da quella vita crudele e mio padre continuava a non fregargli una miseria di quello che succedeva a casa, io dovetti crescere nella più completa solitudine. Non volevo abbandonare mia madre, non lo avrei mai fatto, perciò rinunciai a tutto quello che dovevo possedere per aiutarla a tirarsi su.
Rifiutai di uscire con gli altri bambini a giocare, rifiutai anche solo il minimo divertimento e la gioia di essere bambina. Sacrificai me stessa. Abbandonai il mio ruolo da bambina e cercai di divenire adulta con lo scopo di aiutare la mia famiglia. Sapevo benissimo che, agendo così, non sarei mai riuscita a vivere la mia infanzia. Ogni cosa che era giusto provassi come tutti gli altri bambini per me non esistette...»

Spezzai il racconto per qualche istante di silenzio, abbassando lo sguardo sulle mie ginocchia, cercando di trattenere a stento una lacrima improvvisa. Avevo smesso di piangere per il mio passato da tempo, non potevo iniziare di nuovo con quella storia! Sapevo che era difficile per il mio cuore aprire i cancelli della verità e lasciar uscire le emozioni che avevo provato. Quei ricordi, al solo pronunciarli, ritornavano più chiari dell’acqua di una sorgente di montagna.

Emisi un sospiro tremante, sbattendo gli occhi per cercare di contenermi, e la stretta della mano di Michael aumentò. Non lo osservai – sapevo che mi stava guardando – e non volli neanche vedere che faccia avesse. Stava di fatto che, con quella pressione di sicurezza, le parole uscirono da sole dalla mia bocca.

«Né mia madre e né tanto meno mio padre hanno mai pensato di fare qualcosa che per me significasse importante. Non si rendevano conto che anche il minimo gesto da parte loro sarebbe riuscito a farmi stare bene... Volevo che fossero orgogliosi di me, ma non mi mostrarono mai il loro affetto. I miei compleanni per loro erano giornate come tutte le altre, le mie riuscite a scuola non significavano niente...
Non mi hanno mai portato in un parco divertimenti perché a loro non fregava niente. Cercai più volte di dir loro che mi sarebbe piaciuto andare, soprattutto a mia madre, ma per lei la mia voce era silenzio. Ogni volta che si veniva a sapere - a scuola o per le strade della mia città - che sarebbe stato aperto un parco giochi, soffrivo tantissimo. Guardavo gli altri bambini, sognando di essere lì con loro. Mi si spezzava il cuore...
Il mio era solo un immenso bisogno di giocare, divertimento e compagnia. Quel che necessitavo era non sentirmi sola, sentirmi amata. Cercavo così tanto l’amore dei miei genitori che rinunciai a tutto. Poche volte giocai con i bambini, pochissime... Li guardavo giocare oltre la finestra di casa mia, per le strade. Era tutto così difficile...»

Con il palmo libero della mano cancellai dalle mie gote due lacrime, mordendomi il labbro inferiore per trattenere invano il dolore. Quelle gocce salate calde e allo stesso tempo taglienti come lame di coltelli sapevano sempre come lacerarmi dentro. Erano sempre dietro l’angolo, pronte ad avventarsi contro di me.

«Scusa...», dissi poco dopo qualche minuto di silenzio. Ancora non avevo avuto il coraggio di guardarlo in viso. «E’... E’ un argomento molto triste... Mi rendo conto di aver rovinato tutta l’atmosfera magica... Della ruota panoramica, adesso...»

Michael mi lasciò la mano e se la portò in viso, assieme all’altra. Solo quando la lasciò e lo guardai con un’espressione indecifrabile capii il perché del suo gesto. Si era portato le mani in volto, nascondendolo fra esse. Lo aveva fatto perché anche lui stava piangendo.

Rimasi con gli occhi spalancati, visibilmente scossa. Michael Jackson stava piangendo per quello che gli avevo appena raccontato? O stava piangendo perché era triste per qualcosa di cui sapeva solo lui? Era la prima volta che lo vedevo commuoversi a tal punto e mi sentivo una sciocca. Mi sentivo stupida per avergli messo tristezza con la storia del mio passato e la situazione si era trasformata in un disastro a causa mia.

Mi si stava spezzando il cuore. Vederlo in quello stato - piangere per le mie insulse parole o per chissà quale vero motivo - era in grado di distruggermi ancora di più. Sentii il mio cuore frantumarsi in minuscoli pezzettini e cercavo a freno di contenere le lacrime. Non ero sull’orlo di piangere a causa del racconto, ma a causa della sua fragilità del momento. Mi faceva star male, mi riempiva l’anima di una sofferenza che non avevo provato spesso.

Sembrava così disarmato... Dovevo fare qualcosa perché smettesse, una qualsiasi cosa perché smettesse di piangere per me o per chicchessia o per chissà quale motivo. No, volevo dirgli, per favore non fare così, mi spezzi il cuore ancora di più. Lui no. Non era lui che doveva piangere.

«Michael...», dissi avvicinando una mano al suo volto coperto. Con un fremito le afferrai, spaventata dal suo attimo di malinconia che riusciva a rendermi debole al suo stesso dolore. «Non fare così... Ti prego, scusa... Scusa!...»

Sobbalzò appena quando riuscii a sfiorarle con leggerezza, scosse lievemente il capo e mi emise altri due soffici singhiozzi. Non so come ce l’avrei fatta, se quella cosa sarebbe continuata ancora per molto. Probabilmente ci saremmo trovati entrambi a piangere come due fontane, per giunta nel bel mezzo di una gita sulla ruota panoramica di un pomeriggio che, invece, dove essere indimenticabilmente bello e, per ovvietà di cose, senza lacrime.

«Non è colpa tua...», emise in un sospiro, asciugandosi con i palmi delle mani le sue guance bagnate. I suoi occhi erano un po’ arrossati, guardavano il basso. «Tu... Tu hai detto cose che...»
Fece per ricoprirsi il viso ma glielo impedii; posai le mie dita sulle sue gote, gli asciugai altre due lacrime e con fare dolce lo accarezzai. Mantenne il suo sguardo distante dal mio fino a quando non parlai.
«Ho detto cose che avrei fatto meglio a tenere richiuse dentro me... Mi sono messa a parlare a vanvera di cose di questo genere invece che stare zitta... Sono riuscita a farti piangere per questo mio odioso passato che... Che non merita di essere condiviso...»
«Tu non sai quello che stai dicendo...»

Il suo tono basso e insofferente riuscì a bloccarmi. Mi guardava con uno sguardo vuoto, quasi angosciato. Ero scioccata da quella risposta, poiché riuscì ad insinuarmi ancora più dubbi di quanti ne avessi già prima. Se non piangeva per la tristezza del mio racconto, perché allora? Forse ero troppo scema in quel momento per farmi delle chiare e lucide deduzioni, ma la risposta non tardò arrivare.

«Io... Non capisco...», ammisi con sincero rammarico, abbassando lo sguardo e poi riguardandolo. La sua espressione non era mutata. «E’ colpa mia se stai piangendo, queste cose sono assurde... Non...»
«Per me non sono assurde...», disse lui angosciato. Io divenni ancora più confusa di prima.

Sospirò in un sussulto, guardò le sue ginocchia, poi prese le mie mani fra le sue e le abbassò, non lasciando la presa. Quel suo atto era lancinante quanto meraviglioso: riusciva in un certo senso a mettermi senso di sicurezza e assieme uno stato di assoluta innocenza. Perché qualcosa nel suo modo di fare era contradditorio; era disarmato dallo sconforto, agli occhi di uno sconosciuto poteva sembrare perfino fragile e indifeso, e nonostante tutto riusciva a donarti una straordinaria sensazione di protezione, quasi volesse intendere che con lui non avevi niente da temere, che eri al sicuro. Forse però quelle cose le provavo solo io.

«Tutto quello che mi hai raccontato... In un certo senso l’ho vissuto anche io», rispose piano. Da quel momento non riuscii più a togliergli gli occhi di dosso e lui, un po’ più tranquillo di prima, decise di spiegarmi meglio il perché di quelle sue lacrime. Dette una lunga occhiata al panorama al di fuori della ruota e emise un ulteriore profondo respiro.

«Nemmeno io ho vissuto un’infanzia... Ne sono stato privato come te, ma in un modo diverso. Anche io scelsi una strada diversa da quella che dovrebbe essere seguita, solitamente, da un bambino normale. Conoscevo i rischi, sapevo che non sarei potuto mai più tornare indietro, ma la ragione per cui agii così fu per amore. Ho voluto il successo e la popolarità perché volevo essere amato, perché non mi sono mai sentito completamente così. Tu hai fatto quasi la mia stessa cosa. Hai voluto aiutare tua madre ad ogni costo, rinunciando alla tua infanzia e a giocare con gli altri bambini solo perché desideravi il suo affetto. Anche tu hai agito per bisogno d’amore...»

Mi fissò amaramente, mentre io consumavo altre lacrime che per anni avevo ben evitato di piangere. Come diavolo faceva a capire così bene cosa si provava? Lui era riuscito a capire anni e anni di quelle che erano le mie intenzioni più di tutte le altre persone che avevo conosciuto, e soprattutto aveva riunito in un’unica frase quello che io avevo sempre più desiderato dalla vita. Michael mi conosceva da poco, eppure aveva capito tutto.

«Io... Io non so che cosa tu abbia passato precisamente, non voglio sapere ogni dettaglio perché so che stai dicendo la verità...», fece una pausa, si bloccò un secondo e poi riprese con più dolore nella sua espressione del volto. «Io ho visto cose che un bambino non doveva vedere e ho passato momenti che non avrei dovuto vivere. La mia famiglia era più complicata di quanto sembrava... Mio... Mio padre mi picchiava quando ero molto piccolo...»

Rimasi col respiro bloccato in gola. Ero in uno stato sempre più forte fra lo shock e la rabbia, fra il dispiacere e la voglia di abbracciarlo e stargli vicino. Non ricordavo bene se queste cose le avessi già lette nella sua biografia; con tutto quel caos in mente, ogni altro pensiero sembrava ovattato. Lo lasciai parlare, troppo impotente per reagire.

«Ha fatto un gran lavoro insegnandomi a stare sul palco come artista, ma come padre era molto, molto severo», disse lui guardandomi come se soffrisse di gravi sensi di colpa. «Detesto giudicarlo, ma al suo posto, mi sarei comportato in maniera molto diversa. Non... Non ho mai provato un sentimento d’affetto per lui...»
«Michael...», dissi a voce molto bassa.

Il mio cuore non riusciva a sopportare quelle parole, dette anche con fin troppa gentilezza, tant’è che desiderai farlo smettere per non lasciar che soffrisse. Stava male. Lo sentivo come il freddo che ti congela le ossa quando sei fuori, al freddo, in mezzo a una tormenta di neve. Lui mi guardò, con gl’occhi lucidi. Presi un sospiro, di nuovo, e in un gesto incondizionato gli accarezzai una gota.

«...Che cosa altro ti ha fatto per farti sentire in questo modo?»
E lui abbassò lo sguardo.

«Quando lui perdeva la pazienza e si arrabbiava... Ci picchiava. Spaccava i mobili dalla rabbia... Ha fatto cose molto violente, crudeli...». La pressione delle nostre mani si strinse. «Era un uomo molto violento, ci picchiava molto forte. Aveva... Era come morire... Lo odiavo per questo, lo odiavo! Tutti noi, i miei fratelli, lo odiavamo... E sentivo mia madre, quando lui faceva quelle cose, gridare: “No, Joe! Li ammazzerai! No...”»

La sua voce era un misto di rabbia e supplizio. La sua anima era tormentata da quella ferita che continuava a sanguinare anche nonostante il tempo, un incubo ricorrente nella notte senza stelle, un perdono che però non era abbastanza forte da riuscire a dimenticare. E io, come lui, stavo male. Provavo molto più rancore di quanto una persona normale doveva provare, non tolleravo! Mi tremava il respiro. Ero arrabbiata. Non volevo, non era lui che doveva patire tal tormento e crudeltà!

«Michael, basta!», esclamai a voce energica e piena di sevizia. «Non... Non sei obbligato a dirmi queste cose, se ti fanno... Questo effetto», gettai fuori fissandolo negl’occhi castano scuri.

Volevo aiutarlo e non sapevo come. Si era offerto di raccontarmi la sua storia, come io avevo fatto prima con lui, e forse si sentiva in debito. E io non volevo questo. Non volevo obbligarlo a dire qualcosa che gli avrebbe fatto male, perché non me lo sarei mai riuscita a perdonare. C’era dell’altro in tutta quella faccenda, tantissime altre cose del suo passato che dolevano, cose che forse nemmeno sarei stata capace di concepire ed incassare.

Lui mi fissò, calò il silenzio, ed io mi sentii in dovere di continuare a tirare fuori le mie scuse.
«Anche io credo in quello che dici. Non... Non voglio che tu stia male... Non devi... Non sopporto...»

Lo sguardo era un’evidente preghiera torturata dal senso del colpa. Era come se gli stessi chiedendo di smetterla, che non volevo più sentire qualunque cosa volesse raccontarmi. Ero un’egoista forse, probabilmente facevo tutto quello per impedire anche a me stessa di soffrire del suo stesso dolore, ma le mie intenzioni era limpide nella mia testa: lo stavo facendo per lui, perché non reggevo vedendolo così e senza il suo magnifico sorriso felice.

Lui mi scrutò con supplizio, abbassò gli occhi, e strinse le mie mani portandosele più vicino a sé, al suo petto. I suoi gesti erano come accordi di una melodia silenziosa e triste, tormentata e assillata dal passato; un dolce insieme di note soffici e delicate, troppo pure per essere contaminate e troppo meravigliose perché non si potessero non amare.

«Io credo in te...», dissi facendogli alzare i suoi occhi su me. «Io non posso capire cosa significhi appieno quello che hai provato, però di una cosa sono certa: anche dopo tutto quello che hai passato, sei rimasta una persona buona. Non ti sei fatto condizionare dall’odio, stai cercando di perdonare e so che è difficile. Ti ammiro perché io non riesco ad agire nel tuo stesso modo...»

Sospirai, stringendogli la mano. Stava in silenzio, a volte mi osservava negl’occhi altre volte li svoltava verso il basso o verso il panorama al di fuori della grande giostra. Tutto il resto continuava ad andare avanti, la ruota panoramica continuava a girare, ma il tempo fra noi si era fermato. Anche se il tempo passava, noi ce ne stavamo immobili nel nostro dolore condiviso, con lo scopo di aiutarci a vicenda.

«So che cos’è la solitudine. Forse l’ho provata in modo molto diverso da come l’hai sentita tu, ciò nondimeno la sensazione credo sia la stessa... Ma ricordati una cosa, una cosa che ho imparato dove tutte le ferite che ho ricevuto sul mio cuore: non smetterai di sentirti amato fin quando non perderai te stesso. Non sarai mai solo, anche quando passerai delle situazioni orribili... Ma forse non sono la persona più giusta a dire certe cose...»

E Michael mi abbracciò.
Sì, lui abbandonò le mie mani, mi strinse le mani dietro la schiena e mi spinse dolcemente a sé. Mi abbracciò, semplicemente, in una morsa d’affetto troppo immensa da ricevere tutta in una sola volta.

Il mio cuore era così pieno, pieno di sentimenti che non sarei riuscita a spiegare nemmeno alla mia anima, provando emozioni che non avrei mai pensato potesse un semplice essere umano provare. Un senso di liberazione, una pace interiore che, con solo un abbraccio, può riuscire a spiccare il volo. In quel silenzio palpabile a pelle entrambi lasciammo le parole scorrere lontane, lontane dalle nostre labbra. Non c’era sensazione che si potesse descrivere, né c’erano concetti con cui potevo spiegare quello che sentivo dentro.

Il suo viso sfiorava i miei capelli castani e lisci, accarezzandoli con il suo respiro leggero. Il mio era infossato poco distante dall’incavo del suo collo, fra i suoi capelli neri e riccioluti. Per quanto la situazione dovesse essere triste o, per lo meno, imbarazzante, non potei fare a meno che godermi quel istante assaporando ogni delicata sensazione.
Sentivo il suo profumo, intenso sulla sua pelle, di un aroma che sapeva percuotere ogni tuo senso. Era davvero buono, fresco, impossibile da descrivere. Un misto fra bergamotto, gelsomino e sandalo, assieme a qualche altra essenza che non riuscii a riconoscere. Non potevi non rimanerne colpita, ma, ovviamente, solo io in un momento del genere potevo farmi problemi su quale essenza utilizzasse nel suo profumo !
E ripensavo a tutte le volte che mi ero chiesta, fra me e me, come potesse essere l’odore della sua pelle. Avevo sempre desiderato scoprire il gusto della fragranza che portava addosso, non chiedetemi il perché! In quel momento credo però che non fossi abbastanza cosciente del fatto che, dopo tanto tempo, un mio piccolo e bizzarro desiderio si era avverato! Forse un giorno mi sarei sentita davvero realizzata!

«Grazie...», disse ad un certo punto, riscuotendomi dalle mie riflessioni ridicole e senza senso, portandomi a respirare un’altra ondata intensa del suo aroma. La sua voce era davvero vicina al mio orecchio...
«Non dirlo... Io non ho fatto niente», risposi sorridendo, ancora mezza rincoglionita. Lui mi allontanò leggermente da egli, mentre le sue mani tornarono a cercare le mie. Le strinsi senza esitazioni.
«Invece sì...», soffocò lievemente, gettandomi un’occhiata curiosa e assieme molto attenta.

Dentro di me ero felice come una pasqua per quello che mi stava accadendo, però cercavo di non dimostrarlo in modo chiaro. Se fosse solo riuscito ad immaginare quanto stessi esultando internamente, forse ne sarebbe rimasto un tantino scioccato. Avete presente i bambini piccoli? Precisa. Ero innocentemente felice di essere lì con lui, anche nonostante la tristezza che per un attimo aveva affondato i nostri cuori.

Ad un certo punto guardai fuori dal finestrino e aggrottai percettibilmente le sopracciglia; chissà da quanto tempo eravamo lì! Si sarebbero preoccupati per la nostra incolumità? Mi chiedevo come ancora non avessero deciso di farci scendere dalla ruota panoramica, dopo tutto quel tempo...

«Vuoi scendere?», chiese Michael. Lo guardai fisso e per un momento fui indecisa se chiedergli: “Ma come diavolo fai a leggermi sempre nella mente? Ammettilo, hai i super poteri!”. Ma tenni quell’idea per me!
«Mh-mh», dissi annuendo con un sorriso. Lui ricambiò il gesto, abbassando gli occhi.

Quando scendemmo – non chiedetemi come! – mi ritrovai l’inserviente della giostra guardarmi con uno sguardo non del tutto convinto. Ovviamente feci finta di niente, ringraziai cordialmente, e seguii Michael dovunque lui mi stesse portando. Diede un’occhiata anche alle nostre mani congiunte. Pregiudizi? Sospetti? Qualunque cosa avesse mi scivolò via dalla mente. Stare con Michael mi riusciva ad allontanare da tutto quello che era il mondo “estraneo” al mio.

Mi chiese se avevo intenzione di vedere il lago di Neverland, e io accettai energicamente. Prendemmo il trenino per arrivare, e dopo circa un quarto d’ora o forse più arrivammo a destinazione. Durante il “viaggio” ci ritrovammo a chiacchierare riguardo a tante cose, di Ryan, di Neverland, dei bambini...

Mi disse che conosceva Ryan da un bel po’ di tempo – come me lo aveva conosciuto attraverso i giornali – e che adorava la sua compagnia; ci passava assieme giornate a volte. Ne era davvero affezionato, in un modo che mai mi sarei aspettata da parte sua! Non parlammo della sua malattia – pensai che per entrambi fosse abbastanza doloroso pensarci – ma solo della sua personalità. Tutti e due pensavamo che era un ragazzo puro e semplice, ma non ci dicemmo che era troppo giovane perché se ne andasse lontano da questa vita terrena.

Parlammo di Neverland e mi spiegò di come, durante le riprese del video “Say, Say, Say”, si innamorò di questo territorio e lo comprò facendolo diventare la beltà che era. Mi disse che voleva farlo diventare un posto come riferimento ai bambini malati di malattie terminali, aiutarli nelle loro cure con amore e impegno e farli sentire in un posto dove possono essere semplicemente chi loro desideravano essere. Voleva che giocassero liberi e senza preoccuparsi, almeno per una volta nella loro vita, dei loro problemi.

Giuro che, durante quel racconto così sentito, ero intenta a cercare di non piangere. Non poteva esistere un’anima così gentile, altruista. Forse il mio cuore era abituato a persone troppo meschine e disoneste per pensare che potesse esistere qualcuno come lui o, probabilmente, che esistesse qualcuno che agisse pensandola alla mia stessa maniera. Io condividevo il suo punto di vista, lo appoggiavo, come lui amavo i bambini e desideravo amarli per farli sentire amati. I bambini erano la salvezza di questo mondo.

«Io amo stare con i bambini», mi disse con adorazione nello sguardo. «Sono in grado di insegnarci l’affetto, la quintessenza dell’affetto, innocenza allo stato puro. Questo è il motivo per cui li amo così tanto. Riesco molto più facilmente a relazionarmi con loro. Giocano, non ti chiedono nulla... E tu non chiedo nulla a loro se non amore e innocenza, e di trovare in loro vera felicità e magia. I bambini mi danno la forza e la fiducia e l’amore che serve per andare avanti e tener duro...»
«Capisco quello che vuoi dire...», disse con voce tremante, nel frattempo che i suoi s’impuntarono su di me come la reazione di una calamita al suo opposto. Lo guardai sorridendo lievemente. «Per quello ho lavorato tanto coi bambini. Ho voluto essere maestra d’asilo e delle elementari perché desideravo dar loro insegnamenti, ma soprattutto imparare dai loro. Diventando adulti perdiamo la loro innocenza... Ho cercato di far capire loro la bellezza dell’essere bimbi».
Dopodiché emisi una risata ironicamente non divertita.
«E poi, a dirla tutta, sto meglio con loro che con tutti gli altri. Con loro mi relaziono divinamente, con le altre persone un po’ meno... Non riescono mai a capirmi, non interessa loro cosa provi il mio cuore. Sono tutti così superficiali e legati alla materia che mi fanno fastidio; mi allontano da questa gente pensando che non ci voglio avere niente a che fare, non voglio essere come loro. I bambini non sono così. Il mio rapporto con loro è diverso. Capisci?»
«Sì, capisco perfettamente», mi disse lui, con i suoi occhi luccicanti di una luce che parlava da sé. Osservava ogni particolare del mio viso, ma i miei occhi erano il suo punto di riferimento. Era grandioso come lui si mostrasse così attento a me, ai gesti che compivo. Sembrava perfino estasiato dalle mie parole.

Sorrisi abbassando gli occhi verso le nostre mani, ignorando un piccolo ciuffo di capelli che andò a intrigarmi a malapena la vista. Prontamente, Michael lo spostò molto delicatamente con l’indice della mano sinistra, spostandomelo dietro l’orecchio sinistro. Sentii il calore infuocarmi pian piano le guance, per non parlare del cuore. Il respiro sembrò morire per un infinito secondo di stupore, nel frattempo che la mia anima si librava nell’aria.
Lo guardai ad occhi un po’ spalancati, ma sorrisi maggiormente consapevole del nostro chiaro e distinto senso di imbarazzo. Lui cercò di sviare gli occhi, timidamente, nonostante fossero alla continua ricerca del contatto visivo.

Dopodiché mi venne in mente un’idea, un qualcosa che forse a Michael gli sarebbe piaciuto. Era anche un modo per non spezzare per sempre i contatti fra noi, siccome non ero molto sicura che avrei avuto spesso occasioni del genere. Avrebbe accettato? Rifiutato? Forse aveva già altri impegni e sarei stata stroncata sul nascere... Era sempre interessante provare a chiedere, prima di tirare somme. Perciò, con una ansia incontenibile e il mio sguardo sempre più acceso gli rivolsi parola.

«Senti, Michael, vorrei chiederti una cosa... Non ti spaventare! Una cosa da nulla...», dissi partendo già da subito sulla difensiva. Lui mi scrutò incuriosito, sicuramente chiedendosi il perché di tal agitazione.
«Dimmi», rispose diligente. Dio... Come facevo a chiedergli una cosa del genere? Era contro i miei principi morali chiedere ad un uomo un invito... Dovetti tuttavia farmi forza. Non si tornava più indietro!
«Mi... Mi piacerebbe farti conoscere i miei bambini...», risposi tremante. Lui rimase chiaramente perplesso da quella mia frase, addirittura spalancò a malapena i suoi grandi occhi da cerbiatto! Mi resi conto della frase mistica che avevo enunciato e mi apprestai ad essere più chiara. «Sì, insomma, i bambini che seguivo alle elementari...»
«Oh!», rispose lui più tranquillo – a me sembrava perfino sollevato da un peso! Strinse le labbra in una morsa serrata e socchiuse gli occhi. «Devo vedere se ho appuntamenti per quel giorno... Quando?»
«Oh, pensavo il 7 marzo. Quel giorno è anche il compleanno di una delle bimbe, Emily, ci tenevo molto ad andare per festeggiare. Ci sono andata ai compleanni di tutti loro, ma... Be’, se volevi venire sarei molto contenta...», risposi titubante sulla reazione di lui.
Lui m’osservò con fare molto dolce e gioioso, ma potevo capire fosse un po’ preoccupato. E io, balbettando come una perfetta imbecille, cercai di rassicurarlo nella miglior maniera che potessi fare. «Non ci saranno adulti, niente stampa, niente tv... Tengo sempre queste cose al segreto, e fortunatamente nessuno mi ha mai scoperto...».

Quanto mi sentivo ridicola. Io, tentare qualche manovra di rassicurazione quando la realtà dei fatti era che gli stavo apertamente pregando di venire! Se c’era qualcosa a cui io non arrendevo mai, quella era la mia dignità. Non sopportavo supplicare la gente perché mi faceva sentire così tanto ridicola e stupida quanto una persona che si faceva facilmente manipolare. Per mia fortuna non lo ero, e sebbene quello che stavo compiendo era un gesto di gran lunga sofferente quanto umiliante, lo scopo sarebbe stato di sicuro molto appagante!

Lui però sembrò capire il mio sforzo e, invece che dimostrarsi contrariato, mi sorrise con grande dolcezza.
«Devo vedere se ho appuntamenti che posso rimandare o se, ancora meglio, non ne ho per quel giorno. Ti saprò dire se... Ehm...», si bloccò poi riprese, arrossendo di poco sulle gote. «Posso avere il tuo numero di telefono? Così al massimo riescono ad avvisarti...»
«Certo!», annuii e promisi di darglielo una volta sarebbe stato il tempo di tornare a casa, visto che non avevamo carta e penna per scrivere. Eppure qualcosa mi mise la pulce nell’orecchio, l’ennesimo dubbio depressivo...

Non mi avrebbe chiamato lui per darmi conferma. Con quel “loro” sottointeso della precedente frase, come potevo non intuire che non sarebbe stato lui a chiamarmi? Forse pretendevo un po’ troppo dalla vita, però sarebbe stato un gesto carino. Joyce, mi dissi, spera intanto che non abbia niente da fare. Be’, un po’ era normale che mi rattristassi... Mi sarebbe piaciuto parlare a telefono con lui... Sì, era evidente che ci stavo prendendo gusto a fantasticare!

Scendemmo dal treno e facemmo un giro al lago. Inizialmente mi chiese sul mio lavoro, su come erano i bambini, interessato da ogni mio racconto per quanto insignificante che potesse essere. Era affascinato da quel discorso, perciò mi decisi da subito a parlare di loro uno per uno, descrivendoli nei lati caratteriali e fisici. E Michael mi ascoltava, concentrato, finché ad un certo punto non mi disse di aspettarlo un momento. Mi disse “Torno subito, aspetta qui” e se ne era andato. Potete immaginare la confusione che avevo in testa in un attimo del genere.

Ero proprio in un sentiero poco coperto dagli alberi, a pochi metri di distanza dalla grande distesa d’acqua del lago. Feci qualche passo avanti, tanto per consumare il tempo, guardandomi intorno. Era tutto così bello che pensai di aver anch’io, in futuro, un posto come quello nel quale vivere. Magari con dei cavalli, i miei animali preferiti... Una cavalcata in un posto verde e isolato, senza cancelli e catene ad impedirmi il passaggio, proprio come facevo ogni estate quando andavo dalla nonna e gli zii in Texas. Quanto mi mancava Midnight, la mia dolce cavalla dalla pelle soffice e bianca...

«AH!», urlai non appena sentii la forte scossa di acqua pervadermi la schiena. Feci un salto di circa mezzo metro, la mia espressione in volto era congelata quasi quanto le mie povere spalle. Mi voltai e chi vidi? Chi se non lui?!

Michael se ne stava con una espressione dannatamente incantevole quanto divertita che mi fece rinsanire qualche istinto omicida sepolto da molto tempo dentro di me. Rideva come un pazzo, on il secchio d’acqua fra le mani, qualche pistola d’acqua per terra, in procinto di cadere a terra per la mancanza di fiato! Io lì, scioccata, con le mani in alto e il respiro bloccato in gola. Non che fosse acqua calda, per intendersi... Faceva sì caldo per essere a marzo, ma non era una goduria ricevere una secchiata gelata nel punto più critico che potesse esserci!

E dovreste aver visto come se la spassava! Rideva del mio viso sconcertato, della mia reazione e soprattutto del mio sguardo che da scioccato cominciava ad assumere un tono linciante quanto desideroso di sfida. Forse non sapeva che ero molto, molto competitiva... Mi piacevano le sfide, soprattutto se c’entrava l’acqua!

«Sai... E’ una regola di Neverland... Quando si entra, non si può uscire senza non essersi bagnati!...», disse con le lacrime agli occhi, prima di ritornare a ridere come un pazzo. E come potevo io essere seria con uno come lui? Come facevo a non ridere sentendo la sua risata cristallina e acuta? Pian piano mi sciolsi anche io in quella risata contagiosa.

«Non vale però... Non sei leale!», esclamai ridendo. Lui gettò il secchio lontano, spalancando i palmi delle mani in alto.
«L’inizio non è mai leale!», disse sorridente.

Io aggrottai le sopracciglia come una bambina piccola, incrociando le braccia al petto ed inclinando il capo. Lui mi scrutò con attenzione, scoprendo che stavo tramando chissà quale tranello per riuscire a bagnare anche lui. Fu indeciso se avvicinarsi o meno, mentre il suo sorriso prese una piega più furbesca e ingegnosa, intenzionata a leggermi dentro per capire chissà quale fossero le mie intenzioni.

«Che cosa vuoi fare adesso? Vuoi vendicarti?», mi chiese con fare indagatore. Feci una smorfia bambinesca.
«Può darsi...», e così cominciai ad avvicinarmi a lui. Michael indietreggiò sempre sorridendo beffardo.
«Non hai armi con cui distruggermi, lo sai...»
«Ah no? Be’, il lago mi sembra un ottima vendetta...»
«Non lo faresti...»
«No, hai ragione...», dissi furbetta.

Sembrò capire le mie intenzioni, perché entrambi svolgemmo lo sguardo sulle pistole d’acqua poco lontano da noi, ci osservammo e corremmo verso di esse, cercando uno di battere sul tempo l’altro. Entrambi cercavamo di ingombrare i passi dell’altro, ma quando arrivammo alle pistole entrambi le afferrammo nello stesso momento e... All’attacco! Colpi d’acqua, urli, schiamazzi, risate a più non posso! Sembravamo veramente due bimbi giocattoloni, due bambini piccoli che si erano trovati e che non sembravano intenzionati a perdere.

«Non sei abbastanza veloce!», disse lui dopo che riuscì a scapparmi da un attacco fallito. Si divertiva a minacciarmi, eh... Ma non pensate che io non fossi arrendevole al solo primo tentativo.
«E tu non abbastanza... Abile!», esclamai colpendolo in pieno la seconda volta, sul petto. Lui fece un balzo indietro, saltellando come una cavalletta e ridendo. Io ne risi. «Visto?»
«Vuoi la guerra, eh?... Preparati a scappare!», mi disse ad un certo punto, facendo assumere al suo viso un’occhiata diabolica che dava la chiara intenzione di non volermi dare tregua.

Ci rincorremmo a vicenda, ci bagnammo dappertutto – perfino le scarpe non rimasero intatte -, ma ci divertimmo molto. Io mi divertii molto. L’unico mio desiderio, fin da piccola, era quella di trovare un giorno una persona che avrebbe capito i miei bisogni, che avrebbe giocato con me, con la bambina che in fondo ero ancora dopo tutto quel tempo. Volevo giocare. Fare quello che non avevo potuto fare tanti anni prima. Divertirmi con chi riusciva a capirmi dentro. Michael sembrava fosse una persone di quelle, persone che come me non chiedevano altro se non ridere alla vita e godersela con giochi e divertimenti.

Alla fine di quel gioco, quando entrambi ci eravamo vinti alla consapevolezza di essere tutti e due pieni d’acqua fino alla punta dei capelli, decidemmo di chiudere la partita con risultato pari. Eravamo entrambi due testardi, perché inizialmente nessuno dei due era in procinto di ammettere la propria sconfitta. Mi chiese se volevo stendermi al sole, almeno per riposarmi un po’ e scaldarmi, e io accettai con piacere. Eravamo distesi molto vicini, i nostri occhi erano catturati dal cielo limpido e nitido dinanzi. Non dicemmo nulla per un po’, ma il silenzio non ci fu d’impiccio. A nessuno di noi il silenzio ci procurò imbarazzi, ma semplicemente un modo per rilassare la nostra mente. Io mi sentivo così bene...

Poco dopo lui si alzò con il busto, rimanendo con le mani adagiate sul terreno e volto il capo dalla mia parte.
«Ti va di mangiare qualcosa? Poco distante da qui c’è una macchina che fa dei buoni gelati...»
Sorrisi, ancora distesa sull’erba, col sole che fra un po’ m’accecava – peccato che il sole fosse niente comparato alla bellezza di Michael... «Con piacere! Golosa come sono non posso rinunciare a questo dolce invito...»

Sorridente, si alzò in piedi e mi porse entrambe le mani per alzarmi da terra. Soffocai un lieve “Grazie” e mi aiutò ad alzarmi. Dovetti appoggiarmi un po’ alle mie gambe, siccome avevo paura di essere pesante. La mia povera anima era fissata sul mio peso corporeo in una maniera un pochino allucinante... Dopotutto non ero mica uno stecchino io!

Senza che questa volta le nostre mani si legassero, mi portò alla famigerata macchinetta del gelato. Con mio stupore, fu direttamente lui a farmelo. Ringraziai e, quando se l’ebbe fatto anche per sé stesso, concludemmo il mezzo giro del lago. Anche se il sole stava cominciando a tramontare, il suo calore riuscì ad asciugare i nostri vestiti in meno di mezz’ora. Il sole stava tramontando, e io dovevo andare a casa.

“Ti accompagno”, mi disse di rimando. Ci portammo fino ai cancelli di Neverland e disse all’inserviente di turno, che era ancora Jack, quello di poche ore prima, di chiedere a qualcuno di portare direttamente l’auto qui. L’altro chiamò dalla centralina un numero e avvisò. Mentre aspettavamo, mi sentii in dovere di dare a Michael tutti i miei ringraziamenti.

«Grazie Michael», dissi dolcemente, fissandolo intensamente negl’occhi. «E’ stata una delle più belle giornate della mia vita intera. Poche volte ho passato il mio tempo così... Davvero, grazie di cuore!»
Lo vidi sorridere, arrossire poco sulle guance. «Non dire grazie, sono io che ringrazio te! Grazie per tutto...»
«Non ho fatto niente...», dissi sorridendo. Poi assunsi un’espressione imbronciata. «Che ti vada giù o no, sono io che dico grazie. Non si discute qua...»
«Ah davvero? Be’, mi dispiace correggerti ma qua sono io soltanto che ti ringrazio...»
«Non penso proprio», dissi protestando.
«Tu dici?», chiese alzando un sopracciglio, autorevole.
«Certo! Io sono una donna seria...», esclamai incrociando le braccia e dando un gesto secco del capo come a dire “Non protestare, perché non sai con chi ti stai mettendo contro, ragazzo!”.
Silenzio serissimo, poi risate.

«Sei simpaticissima, Joyce...», disse fra il riso.
Colpo al cuore. Grave, grave colpo al cuore. Mi aveva fatto un complimento del genere o avevo sognato?
«Spero davvero di riuscire a venire quel giorno...», dichiarò infine, diventando più serio. Lo guardai, sorrisi, e abbassai gli occhi arrossendo. Il rumore dell’auto interruppe il silenzio che si era intanto creato.

«La sua macchina, Signorina Owen», disse l’uomo che scese dalla mia auto, lasciando le chiavi e il motore accesso all’interno dell’auto. Ringraziai e mi rivolsi a Michael. Ancora una volta continuò a studiarmi, però stavolta sorridendo. Ricambiai, ma mi accorsi di essermi dimenticata una cosa fondamentale: il numero di telefono.

«Oh, Michael, il numero!», esclamai improvvisamente, facendogli prendere quasi un colpo!
«Oh è vero!», disse anch’egli, ma quando stette per rivolgersi ad un inserviente per avere carta e penna lo bloccai.
«Non ti preoccupare, ho io l’occorrente...», corsi verso l’auto e presi carta e penna da un cassetto sotto il sedile.
Solo io potevo tenere quelle cose in macchina, ma non volevo che se mai mi sarebbe venuta l’ispirazione per una canzone non avessi il materiale dove riportare i miei pensieri! Poteva accadermi dappertutto, e di certo non volevo perdere l’occasione di un tale e fortunato momento.

Scrissi il numero, strappai velocemente l’angolo del foglio nel quale avevo scritto e glielo consegnai a Michael. Lui lo prese, tenendolo con le mani in modo molto accurato e soffice, leggendo i numeri impressi. Poi mi guardò entrare in auto, allacciare la cintura e mettermi su gli occhiali da sole. Ricambiai l’occhiata. Sorrisi con serenità.

«Ci sentiamo, Michael...», dissi. «Grazie...»

I cancelli di Neverland si aprirono maestosi di fronte a me, ingranai la marcia, mollai l’acceleratore e partii oltre quel posto incantato, verso il crepuscolo, non prima di aver rivolto un ultimo cenno a Michael.
tati-a4ever
00sabato 26 giugno 2010 12:03
Caspiterina... Sono in un ritardo pazzesco T___T Scusatemi!
Ecco il capitolo!


CAPITOLO VII

Avevo accettato il suo invito senza opporre resistenze. Non avevo rifiutato non solo perché non sarei riuscita a dire no, ma anche perché la verità era che ci volevo rimanere davvero con lui, per ancora un bel po’ di tempo. Era il mio desiderio di una vita... Perché mai dovrei aver declinato la richiesta? Non sarei mai stata così stupida!

Lo avevo guardato negli occhi, col fiato un po’ corto, e avevo socchiuso le labbra senza dire una parola. Avevo fissato il basso, profondamente sbalordita da quella richiesta – perché veramente lo ero! –, ed infine avevo emesso la sentenza.

«Be’, non so Michael...», dissi guardando il suo volto allarmato e rammaricato. Sembrava fosse sull’orlo di volermi pregarmi da tanto mesto era il suo volto! Questa era la seconda volta che cascava a una delle mie “trappole” sceniche.
Sorrisi furbescamente.
«Che cosa mi porterai a visitare adesso?»

Ed ecco il mio adorato sorriso abbagliante!
Il luccicare normale dei suoi occhi si fece più vivo, tanto che si poteva notare chiaramente la differenza fra quelle profonde oscurità e quei riflessi di diamante puro; le avrei osservate per un bel po’ di tempo. Il riso illuminava a dismisura ogni centimetro del viso, il suo respiro si fece emozionato e allo stesso tempo più tranquillo.

Era raggiante. Felice di avermi lì con lui, come un bambino che non vuole che il suo più caro amico lo lasci solo. Forse questo era il punto. Non voleva essere abbandonato a sé stesso, ma solo che qualcuno gli facesse compagnia. Desiderava qualcuno che si divertisse con lui e non gli ricordasse quanto può essere triste rimanere senza nessuno accanto, anche se fra tutte quelle meraviglie di giostre e svaghi vari.

Sapevo cosa si provava. Io avevo dovuto abituarmi a quella atroce emozione chiamata solitudine. Da quando ero piccola andavo contro corrente, contro ogni persona che non poteva capire quello che potevo desiderare o sognare. Era una sensazione orribile, ma ci dovevo convivere. Era difficile, tremendamente difficile.

Le ferite aumentavano ogni volta che finivo contro qualcosa di diverso, non si cicatrizzavano, ma forse per questo che avevo cominciato a vivere la vita a modo mio. Da sola, coi miei sogni, la musica e i bambini, il mio cuore continuava a battere. Per chissà quale strano e misterioso motivo, io non avevo mai abbandonato le uniche cose che riuscivano a farmi sentire bene. I miei rapporti con le persone non si potevano veramente definire “rapporti”. Non avevo amici tali da essere definiti “amici”. Mi isolavo da chi non poteva capirmi e, siccome sapevo che nessuno avrebbe mai potuto , rimanevo sola.

Per questo motivo io lo capivo. Capivo il suo essere radiante a quel mio “sì”, il sorriso brillante come quello di un bambino che non desidera altro che compagnia. E io volevo la sua vicinanza. La volevo perché forse – conoscendolo meglio – avrei scoperto che lui sapeva che cosa si provava.

Forse avevo più ragione di quanto non riuscissi a credere...
Che idiota. Dopo tutto questo tempo, la speranza non aveva ancora smesso di condizionarmi.

«Rimani?», chiese lui con quel suo sorriso “ultra bright”. Insomma, era chiaro che volesse una conferma a parole!
«A quanto pare penso proprio di sì...» Feci spallucce, un’espressione bambinesca in viso, ed evitai il suo sguardo. Mi sentivo tanto bimba quando agivo così!
«Che bello!...», esclamò lui.

E mentre le parole gli uscirono dalle labbra, sfiorò il palmo della mano con la sua. Era stato un contatto istantaneo, uno sfioramento impercettibile che tuttavia non aveva intenzione di scostarsi dalla mia pelle. Un atto simultaneo alle sue parole, un gesto tremendamente istintivo quanto irrefrenabile.

Entrambi posammo i nostri occhi su quel accostamento lieve delle nostre mani. Lo osservai dritto in viso, curiosa, realmente provata, sentendo un balzo al cuore. Lui fece lo stesso – una scintilla illuminò in modo molto visibile il suo sguardo imbarazzato e allarmato – e rigettò un’altra occhiata intimidita alle nostre mani. Non disse niente, si apprestò solo ad allontanare la sua pian piano, come se non fosse accaduto niente e facendo finta di niente.

Ma io non glielo permisi. Prima che potesse riposarla lungo il suo fianco, in fretta, la strinsi a quella che aveva sfiorato. Non sapevo che mi prendeva, né perché avevo agito in quel modo impulsivo. Non mi imbarazzai. Quel istinto aveva avuto la vittoria contro i sentimenti più ovvi che si potessero provare in un tale momento. Il mio cuore batteva forte in petto, ma non per questo ritirai la mia mano.

Il suo sguardo e il mio parlarono da soli. Lui di scatto mi fissò, stupito e scombussolato, e in un primo momento rimasi profondamente legata a quell’occhiata vivida e vigorosa. Sembrava chiedermi “Perché non ritiri la mano?”, “Che cosa sta succedendo?”. Non arrossii, non mi immobilizzai... Sorrisi e basta. Gli sorrisi per dimostrargli che il suo gesto era ben accettato, che non doveva temere e nemmeno imbarazzarsi di quel fatto. Glielo feci capire con gl’occhi, perché le parole non sarebbero uscite neanche richiamandole in quel primo momento.

«Quindi...», dissi con un tono quasi infantile. «Dove mi porterai adesso?»

Lui sbatté gli occhi come per riprendersi, gettando un ultimo sguardo alla stretta delle nostre mani, nel frattempo che le sue guance assunsero un colorito più roseo. Era timido - forse per il fatto che io ero una donna, che ne so - ma strinse di rimando. Aumentò la pressione della sua mano senza aver paura e senza aspettare un secondo di più. Mi lanciò un’occhiata interessata, discreta ma folgorante, e poco dopo sorrise. Il suo sorriso era ogni volta più spettacolare, forse molto più lucente di come era stato quello di prima.

«Dovunque tu voglia», mi disse lui col suo fare terribilmente e meravigliosamente enigmatico. Ecco, quando mi rivolgeva certe espressioni – con frasi così ad enorme effetto! – io ero capace di sciogliermi lì su due piedi!
«Be’...», risposi inclinando un po’ la testa, guardando in alto. «Mi mancherebbero alcuni su delle giostre su cui ancora non ho mai messo piede... Ma quelle possiamo ben saltarle se tu vuoi!»
Lui sorrise. «Non voglio che tu stia ancora male, perciò... Ehm, al massimo ne possiamo fare una tranquilla... Ti piacerebbe andare sulla ruota panoramica? C’è un panorama stupendo da lassù, ma se hai paura possiamo lasciar perdere», disse guardandomi con attenta analisi e apprensione.
Entrambi osservammo la stessa direzione, lui mi indicò la ruota panoramica e la sua maestosità era intimidatoria quanto davvero affascinante! «Perché no!», risposi con un sorriso, tornandolo ad osservare. «E poi ho sempre sognato di andarci! Sono quasi del tutto convinta che non soffrirò per niente!»
Sorrise di nuovo.

Decidemmo di andare sulla ruota panoramica, perciò – ancora con la sua mano legata alla mia – c’incamminammo verso quella grande costruzione. Un inserviente e assistente di quella giostra ci fece salire, estremamente gentile, e chiuse la cabina, dando il comando poi all’edificio di mettersi in moto. Un colpo piano dette il segnale che la ruota panoramica era in funzione.

Neanche là abbandonai il nostro contatto. Ero emozionata, l’euforia di salire sempre più in alto mi faceva battere il cuore senza mezzi freni; tutto mi dava una spinta per legare con maggior pressione la mano di Michael. Mentre io m’apprestai a guardare al di fuori dei finestrini della cabina, lui continuò a studiarmi.

Se c’era una cosa che lui non facesse, era quella di smettere di osservare ogni mio gesto, alle volte non facendosi neanche scoprire. Qualcuno potrebbe essersi sentito un po’ sotto torchio, sempre sotto costante osservazione, ma lui non lo faceva apposta: era curioso di sapere com’eri veramente, voleva scrutare dentro i tuoi atteggiamenti per scoprire quanta verità si trovava in te. E io ero molto simile a lui; non amavo molto parlare, ma ero una abile osservatrice e ascoltatrice.

«Hai paura?», mi chiese avvicinandosi un po’ al mio orecchio, con tal voce soave che sarebbe riuscito a far venire i brividi a chiunque lo ascoltasse. Coi fremiti addosso - non solo causati dalla giostra - lo guardai sorridente.
«Sono senza parole. È tutto bellissimo, e neanche siamo arrivati in cima in cima!», risposi spalancando i miei occhi verdi, provocandogli una lieve risata soffocata. Tornai a guardare fuori, umettandomi il labbro inferiore. «Non avevo mai pensato che fosse questa l’emozione che si potesse provare...»
Un attimo di silenzio indecifrabile, poi parlò, più seriamente di quanto non potessi credere.

«Posso chiederti una cosa?», chiese a tonalità molto soffice, come se avesse paura che lo giudicassi indiscreto.
«Dimmi», risposi, osservandolo diritto nei suoi occhi scuri. In fondo, sapevo già che cosa volesse mai chiedermi. Sapevo ogni cosa anche solo esaminando il viso di Michael poiché, in realtà, non era poi un gran arcano per me.
«...Perché non sei mai andata in un parco divertimenti?», ma la sua più che una domanda fu un ordine curioso di conoscere ogni dettaglio dei miei perché nascosti.

Non trovai motivo perché negargli di sapere la realtà. Quelle rivelazioni non sarebbero servite a reprimere il vuoto di quel peso enorme nel cuore, era vero, ciò nonostante mi sentivo in dovere di dirglielo. Con nessun altro mi sarei scomposta a dichiarare quei miei segreti giovanili e turbamenti infantili, perché con lui sì? Era una domanda a cui non seppi darmi risposta immediata.

«La storia è lunga, ma se ti fa piacere sapere la realtà ti racconterò tutto...»
«Ti ascolto, se vuoi...», rispose di getto, intanto che i nostri sguardi si incrociavano in un misto di emozioni caotiche nel bel mezzo di un silenzio così carico. Presi un respiro e parlai.
«Ti ho già raccontato che i miei genitori si sono separati quando io ero solo una bambina molto piccola, no...?»
Lui annuì. Non disse nulla perché voleva proseguissi senza interruzioni, perciò dopo un ennesimo atto di preparazione mentale decisi di raccontare la mia storia. L’infanzia di Joyce. La mia.

«Be’, quella separazione causò in me profondi tagli nell’anima. Fin da quando nacqui, mio padre non si è mai curato di me - sembrava non gli interessasse neppure la mia nascita, né i miei compleanni, né ogni mio desiderio. Ogni giorno se ne stava a lavoro fino a tardi – faceva il manager di una grande azienda commerciale – e a volte perfino non tornava a casa neanche la notte; usciva alle sei e mezza di mattina e, quando era più fortunato, tornava a casa alle dieci di sera.
Tuttavia non ha mai disprezzato il suo lavoro, anzi, lo amava più di mia madre e di me. Certe volte, quando se ne voleva stare con la sua amante e non meno che sua segretaria d’ufficio, mentiva a mia madre dicendo che aveva ancora troppo lavoro da fare e che si sarebbe fermato in un hotel. Era una bugia bell’e buona, credibile, e soprattutto era un’ottima scusa per non tornare a casa e divertirsi e basta.
Mia madre si prese cura di me senza mio padre, da sola, utilizzando il denaro che lui conservava nel suo ottimo stipendio. Lei non lavorava, aveva semplicemente scelto di accudire me, unica sua figlia, con la speranza che un giorno avrebbe convinto il marito a starsene un po’ di più con la famiglia e scegliere un lavoro meno impegnativo. Ma il suo desiderio svanì prima che potessi compiere tre anni.
Venne a scoprire dell’amante e quello fu un ottimo motivo per scegliere la separazione. L’indifferenza di mio padre verso me e lei stessa, assieme a quella scoperta, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Ci pensò parecchio, io stessa mi ricordo di averla sentita minacciare il divorzio, ma nella realtà aveva lui il coltello dalla parte del manico. Che cosa avrebbe fatto lei, povera casalinga senza un soldo, con una bambina da accudire, senza i denari di lui?»

Il ricordo divampò nella mia mente come un’ombra e la vista cominciò ad ovattarsi. Scene offuscate di fatti passati mi accecarono come flash di scatti di macchine fotografiche, ricordavo solo le scene più importanti: mia madre e mio padre che litigavano furiosamente, le lacrime di lei, la sfacciata rabbia di lui, mio padre che saliva le scale del primo piano nelle quali io ero seduta, a fissarli con occhi impauriti, e mia madre che dal salotto gli lanciava un vaso colpendo il muro e frammentandosi sui gradini.

Michael non spostò i suoi occhi neanche un istante dal mio viso. Mi studiava con un’espressione profonda, paralizzato dal mio racconto, lo sguardo carico di mestizia e disperazione, compassione e rammarico. Ad ogni modo, proseguii nel racconto, senza che la mia voce s’incrinasse. Quelle parole non potevano portarmi alle lacrime, perché la maggior parte le avevo già consumate molti anni prima... Addirittura prima che lei morisse.

«Mia madre fu perciò costretta a vivere con lui per molti altri anni. Il suo amore per me svanì pian piano, come mio padre anche lei cominciò a dimenticare la ragione che l’aveva spinta a lottare contro la solitudine. Non sorrideva più, cominciò a smettere di mangiare e cominciò ad assumere compresse antidepressive, morfina... Per lei il mondo le si era rivoltato contro, Dio aveva smesso di starle vicino, io non ero mai esistita. Secondo lei se ero morta o viva non facevo differenza, la sua mente era convogliata in un unico delirio: voleva solo morire.
E mentre lei pensava a come fuggire da quella vita crudele e mio padre continuava a non fregargli una miseria di quello che succedeva a casa, io dovetti crescere nella più completa solitudine. Non volevo abbandonare mia madre, non lo avrei mai fatto, perciò rinunciai a tutto quello che dovevo possedere per aiutarla a tirarsi su.
Rifiutai di uscire con gli altri bambini a giocare, rifiutai anche solo il minimo divertimento e la gioia di essere bambina. Sacrificai me stessa. Abbandonai il mio ruolo da bambina e cercai di divenire adulta con lo scopo di aiutare la mia famiglia. Sapevo benissimo che, agendo così, non sarei mai riuscita a vivere la mia infanzia. Ogni cosa che era giusto provassi come tutti gli altri bambini per me non esistette...»

Spezzai il racconto per qualche istante di silenzio, abbassando lo sguardo sulle mie ginocchia, cercando di trattenere a stento una lacrima improvvisa. Avevo smesso di piangere per il mio passato da tempo, non potevo iniziare di nuovo con quella storia! Sapevo che era difficile per il mio cuore aprire i cancelli della verità e lasciar uscire le emozioni che avevo provato. Quei ricordi, al solo pronunciarli, ritornavano più chiari dell’acqua di una sorgente di montagna.

Emisi un sospiro tremante, sbattendo gli occhi per cercare di contenermi, e la stretta della mano di Michael aumentò. Non lo osservai – sapevo che mi stava guardando – e non volli neanche vedere che faccia avesse. Stava di fatto che, con quella pressione di sicurezza, le parole uscirono da sole dalla mia bocca.

«Né mia madre e né tanto meno mio padre hanno mai pensato di fare qualcosa che per me significasse importante. Non si rendevano conto che anche il minimo gesto da parte loro sarebbe riuscito a farmi stare bene... Volevo che fossero orgogliosi di me, ma non mi mostrarono mai il loro affetto. I miei compleanni per loro erano giornate come tutte le altre, le mie riuscite a scuola non significavano niente...
Non mi hanno mai portato in un parco divertimenti perché a loro non fregava niente. Cercai più volte di dir loro che mi sarebbe piaciuto andare, soprattutto a mia madre, ma per lei la mia voce era silenzio. Ogni volta che si veniva a sapere - a scuola o per le strade della mia città - che sarebbe stato aperto un parco giochi, soffrivo tantissimo. Guardavo gli altri bambini, sognando di essere lì con loro. Mi si spezzava il cuore...
Il mio era solo un immenso bisogno di giocare, divertimento e compagnia. Quel che necessitavo era non sentirmi sola, sentirmi amata. Cercavo così tanto l’amore dei miei genitori che rinunciai a tutto. Poche volte giocai con i bambini, pochissime... Li guardavo giocare oltre la finestra di casa mia, per le strade. Era tutto così difficile...»

Con il palmo libero della mano cancellai dalle mie gote due lacrime, mordendomi il labbro inferiore per trattenere invano il dolore. Quelle gocce salate calde e allo stesso tempo taglienti come lame di coltelli sapevano sempre come lacerarmi dentro. Erano sempre dietro l’angolo, pronte ad avventarsi contro di me.

«Scusa...», dissi poco dopo qualche minuto di silenzio. Ancora non avevo avuto il coraggio di guardarlo in viso. «E’... E’ un argomento molto triste... Mi rendo conto di aver rovinato tutta l’atmosfera magica... Della ruota panoramica, adesso...»

Michael mi lasciò la mano e se la portò in viso, assieme all’altra. Solo quando la lasciò e lo guardai con un’espressione indecifrabile capii il perché del suo gesto. Si era portato le mani in volto, nascondendolo fra esse. Lo aveva fatto perché anche lui stava piangendo.

Rimasi con gli occhi spalancati, visibilmente scossa. Michael Jackson stava piangendo per quello che gli avevo appena raccontato? O stava piangendo perché era triste per qualcosa di cui sapeva solo lui? Era la prima volta che lo vedevo commuoversi a tal punto e mi sentivo una sciocca. Mi sentivo stupida per avergli messo tristezza con la storia del mio passato e la situazione si era trasformata in un disastro a causa mia.

Mi si stava spezzando il cuore. Vederlo in quello stato - piangere per le mie insulse parole o per chissà quale vero motivo - era in grado di distruggermi ancora di più. Sentii il mio cuore frantumarsi in minuscoli pezzettini e cercavo a freno di contenere le lacrime. Non ero sull’orlo di piangere a causa del racconto, ma a causa della sua fragilità del momento. Mi faceva star male, mi riempiva l’anima di una sofferenza che non avevo provato spesso.

Sembrava così disarmato... Dovevo fare qualcosa perché smettesse, una qualsiasi cosa perché smettesse di piangere per me o per chicchessia o per chissà quale motivo. No, volevo dirgli, per favore non fare così, mi spezzi il cuore ancora di più. Lui no. Non era lui che doveva piangere.

«Michael...», dissi avvicinando una mano al suo volto coperto. Con un fremito le afferrai, spaventata dal suo attimo di malinconia che riusciva a rendermi debole al suo stesso dolore. «Non fare così... Ti prego, scusa... Scusa!...»

Sobbalzò appena quando riuscii a sfiorarle con leggerezza, scosse lievemente il capo e mi emise altri due soffici singhiozzi. Non so come ce l’avrei fatta, se quella cosa sarebbe continuata ancora per molto. Probabilmente ci saremmo trovati entrambi a piangere come due fontane, per giunta nel bel mezzo di una gita sulla ruota panoramica di un pomeriggio che, invece, dove essere indimenticabilmente bello e, per ovvietà di cose, senza lacrime.

«Non è colpa tua...», emise in un sospiro, asciugandosi con i palmi delle mani le sue guance bagnate. I suoi occhi erano un po’ arrossati, guardavano il basso. «Tu... Tu hai detto cose che...»
Fece per ricoprirsi il viso ma glielo impedii; posai le mie dita sulle sue gote, gli asciugai altre due lacrime e con fare dolce lo accarezzai. Mantenne il suo sguardo distante dal mio fino a quando non parlai.
«Ho detto cose che avrei fatto meglio a tenere richiuse dentro me... Mi sono messa a parlare a vanvera di cose di questo genere invece che stare zitta... Sono riuscita a farti piangere per questo mio odioso passato che... Che non merita di essere condiviso...»
«Tu non sai quello che stai dicendo...»

Il suo tono basso e insofferente riuscì a bloccarmi. Mi guardava con uno sguardo vuoto, quasi angosciato. Ero scioccata da quella risposta, poiché riuscì ad insinuarmi ancora più dubbi di quanti ne avessi già prima. Se non piangeva per la tristezza del mio racconto, perché allora? Forse ero troppo scema in quel momento per farmi delle chiare e lucide deduzioni, ma la risposta non tardò arrivare.

«Io... Non capisco...», ammisi con sincero rammarico, abbassando lo sguardo e poi riguardandolo. La sua espressione non era mutata. «E’ colpa mia se stai piangendo, queste cose sono assurde... Non...»
«Per me non sono assurde...», disse lui angosciato. Io divenni ancora più confusa di prima.

Sospirò in un sussulto, guardò le sue ginocchia, poi prese le mie mani fra le sue e le abbassò, non lasciando la presa. Quel suo atto era lancinante quanto meraviglioso: riusciva in un certo senso a mettermi senso di sicurezza e assieme uno stato di assoluta innocenza. Perché qualcosa nel suo modo di fare era contradditorio; era disarmato dallo sconforto, agli occhi di uno sconosciuto poteva sembrare perfino fragile e indifeso, e nonostante tutto riusciva a donarti una straordinaria sensazione di protezione, quasi volesse intendere che con lui non avevi niente da temere, che eri al sicuro. Forse però quelle cose le provavo solo io.

«Tutto quello che mi hai raccontato... In un certo senso l’ho vissuto anche io», rispose piano. Da quel momento non riuscii più a togliergli gli occhi di dosso e lui, un po’ più tranquillo di prima, decise di spiegarmi meglio il perché di quelle sue lacrime. Dette una lunga occhiata al panorama al di fuori della ruota e emise un ulteriore profondo respiro.

«Nemmeno io ho vissuto un’infanzia... Ne sono stato privato come te, ma in un modo diverso. Anche io scelsi una strada diversa da quella che dovrebbe essere seguita, solitamente, da un bambino normale. Conoscevo i rischi, sapevo che non sarei potuto mai più tornare indietro, ma la ragione per cui agii così fu per amore. Ho voluto il successo e la popolarità perché volevo essere amato, perché non mi sono mai sentito completamente così. Tu hai fatto quasi la mia stessa cosa. Hai voluto aiutare tua madre ad ogni costo, rinunciando alla tua infanzia e a giocare con gli altri bambini solo perché desideravi il suo affetto. Anche tu hai agito per bisogno d’amore...»

Mi fissò amaramente, mentre io consumavo altre lacrime che per anni avevo ben evitato di piangere. Come diavolo faceva a capire così bene cosa si provava? Lui era riuscito a capire anni e anni di quelle che erano le mie intenzioni più di tutte le altre persone che avevo conosciuto, e soprattutto aveva riunito in un’unica frase quello che io avevo sempre più desiderato dalla vita. Michael mi conosceva da poco, eppure aveva capito tutto.

«Io... Io non so che cosa tu abbia passato precisamente, non voglio sapere ogni dettaglio perché so che stai dicendo la verità...», fece una pausa, si bloccò un secondo e poi riprese con più dolore nella sua espressione del volto. «Io ho visto cose che un bambino non doveva vedere e ho passato momenti che non avrei dovuto vivere. La mia famiglia era più complicata di quanto sembrava... Mio... Mio padre mi picchiava quando ero molto piccolo...»

Rimasi col respiro bloccato in gola. Ero in uno stato sempre più forte fra lo shock e la rabbia, fra il dispiacere e la voglia di abbracciarlo e stargli vicino. Non ricordavo bene se queste cose le avessi già lette nella sua biografia; con tutto quel caos in mente, ogni altro pensiero sembrava ovattato. Lo lasciai parlare, troppo impotente per reagire.

«Ha fatto un gran lavoro insegnandomi a stare sul palco come artista, ma come padre era molto, molto severo», disse lui guardandomi come se soffrisse di gravi sensi di colpa. «Detesto giudicarlo, ma al suo posto, mi sarei comportato in maniera molto diversa. Non... Non ho mai provato un sentimento d’affetto per lui...»
«Michael...», dissi a voce molto bassa.

Il mio cuore non riusciva a sopportare quelle parole, dette anche con fin troppa gentilezza, tant’è che desiderai farlo smettere per non lasciar che soffrisse. Stava male. Lo sentivo come il freddo che ti congela le ossa quando sei fuori, al freddo, in mezzo a una tormenta di neve. Lui mi guardò, con gl’occhi lucidi. Presi un sospiro, di nuovo, e in un gesto incondizionato gli accarezzai una gota.

«...Che cosa altro ti ha fatto per farti sentire in questo modo?»
E lui abbassò lo sguardo.

«Quando lui perdeva la pazienza e si arrabbiava... Ci picchiava. Spaccava i mobili dalla rabbia... Ha fatto cose molto violente, crudeli...». La pressione delle nostre mani si strinse. «Era un uomo molto violento, ci picchiava molto forte. Aveva... Era come morire... Lo odiavo per questo, lo odiavo! Tutti noi, i miei fratelli, lo odiavamo... E sentivo mia madre, quando lui faceva quelle cose, gridare: “No, Joe! Li ammazzerai! No...”»

La sua voce era un misto di rabbia e supplizio. La sua anima era tormentata da quella ferita che continuava a sanguinare anche nonostante il tempo, un incubo ricorrente nella notte senza stelle, un perdono che però non era abbastanza forte da riuscire a dimenticare. E io, come lui, stavo male. Provavo molto più rancore di quanto una persona normale doveva provare, non tolleravo! Mi tremava il respiro. Ero arrabbiata. Non volevo, non era lui che doveva patire tal tormento e crudeltà!

«Michael, basta!», esclamai a voce energica e piena di sevizia. «Non... Non sei obbligato a dirmi queste cose, se ti fanno... Questo effetto», gettai fuori fissandolo negl’occhi castano scuri.

Volevo aiutarlo e non sapevo come. Si era offerto di raccontarmi la sua storia, come io avevo fatto prima con lui, e forse si sentiva in debito. E io non volevo questo. Non volevo obbligarlo a dire qualcosa che gli avrebbe fatto male, perché non me lo sarei mai riuscita a perdonare. C’era dell’altro in tutta quella faccenda, tantissime altre cose del suo passato che dolevano, cose che forse nemmeno sarei stata capace di concepire ed incassare.

Lui mi fissò, calò il silenzio, ed io mi sentii in dovere di continuare a tirare fuori le mie scuse.
«Anche io credo in quello che dici. Non... Non voglio che tu stia male... Non devi... Non sopporto...»

Lo sguardo era un’evidente preghiera torturata dal senso del colpa. Era come se gli stessi chiedendo di smetterla, che non volevo più sentire qualunque cosa volesse raccontarmi. Ero un’egoista forse, probabilmente facevo tutto quello per impedire anche a me stessa di soffrire del suo stesso dolore, ma le mie intenzioni era limpide nella mia testa: lo stavo facendo per lui, perché non reggevo vedendolo così e senza il suo magnifico sorriso felice.

Lui mi scrutò con supplizio, abbassò gli occhi, e strinse le mie mani portandosele più vicino a sé, al suo petto. I suoi gesti erano come accordi di una melodia silenziosa e triste, tormentata e assillata dal passato; un dolce insieme di note soffici e delicate, troppo pure per essere contaminate e troppo meravigliose perché non si potessero non amare.

«Io credo in te...», dissi facendogli alzare i suoi occhi su me. «Io non posso capire cosa significhi appieno quello che hai provato, però di una cosa sono certa: anche dopo tutto quello che hai passato, sei rimasta una persona buona. Non ti sei fatto condizionare dall’odio, stai cercando di perdonare e so che è difficile. Ti ammiro perché io non riesco ad agire nel tuo stesso modo...»

Sospirai, stringendogli la mano. Stava in silenzio, a volte mi osservava negl’occhi altre volte li svoltava verso il basso o verso il panorama al di fuori della grande giostra. Tutto il resto continuava ad andare avanti, la ruota panoramica continuava a girare, ma il tempo fra noi si era fermato. Anche se il tempo passava, noi ce ne stavamo immobili nel nostro dolore condiviso, con lo scopo di aiutarci a vicenda.

«So che cos’è la solitudine. Forse l’ho provata in modo molto diverso da come l’hai sentita tu, ciò nondimeno la sensazione credo sia la stessa... Ma ricordati una cosa, una cosa che ho imparato dove tutte le ferite che ho ricevuto sul mio cuore: non smetterai di sentirti amato fin quando non perderai te stesso. Non sarai mai solo, anche quando passerai delle situazioni orribili... Ma forse non sono la persona più giusta a dire certe cose...»

E Michael mi abbracciò.
Sì, lui abbandonò le mie mani, mi strinse le mani dietro la schiena e mi spinse dolcemente a sé. Mi abbracciò, semplicemente, in una morsa d’affetto troppo immensa da ricevere tutta in una sola volta.

Il mio cuore era così pieno, pieno di sentimenti che non sarei riuscita a spiegare nemmeno alla mia anima, provando emozioni che non avrei mai pensato potesse un semplice essere umano provare. Un senso di liberazione, una pace interiore che, con solo un abbraccio, può riuscire a spiccare il volo. In quel silenzio palpabile a pelle entrambi lasciammo le parole scorrere lontane, lontane dalle nostre labbra. Non c’era sensazione che si potesse descrivere, né c’erano concetti con cui potevo spiegare quello che sentivo dentro.

Il suo viso sfiorava i miei capelli castani e lisci, accarezzandoli con il suo respiro leggero. Il mio era infossato poco distante dall’incavo del suo collo, fra i suoi capelli neri e riccioluti. Per quanto la situazione dovesse essere triste o, per lo meno, imbarazzante, non potei fare a meno che godermi quel istante assaporando ogni delicata sensazione.
Sentivo il suo profumo, intenso sulla sua pelle, di un aroma che sapeva percuotere ogni tuo senso. Era davvero buono, fresco, impossibile da descrivere. Un misto fra bergamotto, gelsomino e sandalo, assieme a qualche altra essenza che non riuscii a riconoscere. Non potevi non rimanerne colpita, ma, ovviamente, solo io in un momento del genere potevo farmi problemi su quale essenza utilizzasse nel suo profumo !
E ripensavo a tutte le volte che mi ero chiesta, fra me e me, come potesse essere l’odore della sua pelle. Avevo sempre desiderato scoprire il gusto della fragranza che portava addosso, non chiedetemi il perché! In quel momento credo però che non fossi abbastanza cosciente del fatto che, dopo tanto tempo, un mio piccolo e bizzarro desiderio si era avverato! Forse un giorno mi sarei sentita davvero realizzata!

«Grazie...», disse ad un certo punto, riscuotendomi dalle mie riflessioni ridicole e senza senso, portandomi a respirare un’altra ondata intensa del suo aroma. La sua voce era davvero vicina al mio orecchio...
«Non dirlo... Io non ho fatto niente», risposi sorridendo, ancora mezza rincoglionita. Lui mi allontanò leggermente da egli, mentre le sue mani tornarono a cercare le mie. Le strinsi senza esitazioni.
«Invece sì...», soffocò lievemente, gettandomi un’occhiata curiosa e assieme molto attenta.

Dentro di me ero felice come una pasqua per quello che mi stava accadendo, però cercavo di non dimostrarlo in modo chiaro. Se fosse solo riuscito ad immaginare quanto stessi esultando internamente, forse ne sarebbe rimasto un tantino scioccato. Avete presente i bambini piccoli? Precisa. Ero innocentemente felice di essere lì con lui, anche nonostante la tristezza che per un attimo aveva affondato i nostri cuori.

Ad un certo punto guardai fuori dal finestrino e aggrottai percettibilmente le sopracciglia; chissà da quanto tempo eravamo lì! Si sarebbero preoccupati per la nostra incolumità? Mi chiedevo come ancora non avessero deciso di farci scendere dalla ruota panoramica, dopo tutto quel tempo...

«Vuoi scendere?», chiese Michael. Lo guardai fisso e per un momento fui indecisa se chiedergli: “Ma come diavolo fai a leggermi sempre nella mente? Ammettilo, hai i super poteri!”. Ma tenni quell’idea per me!
«Mh-mh», dissi annuendo con un sorriso. Lui ricambiò il gesto, abbassando gli occhi.

Quando scendemmo – non chiedetemi come! – mi ritrovai l’inserviente della giostra guardarmi con uno sguardo non del tutto convinto. Ovviamente feci finta di niente, ringraziai cordialmente, e seguii Michael dovunque lui mi stesse portando. Diede un’occhiata anche alle nostre mani congiunte. Pregiudizi? Sospetti? Qualunque cosa avesse mi scivolò via dalla mente. Stare con Michael mi riusciva ad allontanare da tutto quello che era il mondo “estraneo” al mio.

Mi chiese se avevo intenzione di vedere il lago di Neverland, e io accettai energicamente. Prendemmo il trenino per arrivare, e dopo circa un quarto d’ora o forse più arrivammo a destinazione. Durante il “viaggio” ci ritrovammo a chiacchierare riguardo a tante cose, di Ryan, di Neverland, dei bambini...

Mi disse che conosceva Ryan da un bel po’ di tempo – come me lo aveva conosciuto attraverso i giornali – e che adorava la sua compagnia; ci passava assieme giornate a volte. Ne era davvero affezionato, in un modo che mai mi sarei aspettata da parte sua! Non parlammo della sua malattia – pensai che per entrambi fosse abbastanza doloroso pensarci – ma solo della sua personalità. Tutti e due pensavamo che era un ragazzo puro e semplice, ma non ci dicemmo che era troppo giovane perché se ne andasse lontano da questa vita terrena.

Parlammo di Neverland e mi spiegò di come, durante le riprese del video “Say, Say, Say”, si innamorò di questo territorio e lo comprò facendolo diventare la beltà che era. Mi disse che voleva farlo diventare un posto come riferimento ai bambini malati di malattie terminali, aiutarli nelle loro cure con amore e impegno e farli sentire in un posto dove possono essere semplicemente chi loro desideravano essere. Voleva che giocassero liberi e senza preoccuparsi, almeno per una volta nella loro vita, dei loro problemi.

Giuro che, durante quel racconto così sentito, ero intenta a cercare di non piangere. Non poteva esistere un’anima così gentile, altruista. Forse il mio cuore era abituato a persone troppo meschine e disoneste per pensare che potesse esistere qualcuno come lui o, probabilmente, che esistesse qualcuno che agisse pensandola alla mia stessa maniera. Io condividevo il suo punto di vista, lo appoggiavo, come lui amavo i bambini e desideravo amarli per farli sentire amati. I bambini erano la salvezza di questo mondo.

«Io amo stare con i bambini», mi disse con adorazione nello sguardo. «Sono in grado di insegnarci l’affetto, la quintessenza dell’affetto, innocenza allo stato puro. Questo è il motivo per cui li amo così tanto. Riesco molto più facilmente a relazionarmi con loro. Giocano, non ti chiedono nulla... E tu non chiedo nulla a loro se non amore e innocenza, e di trovare in loro vera felicità e magia. I bambini mi danno la forza e la fiducia e l’amore che serve per andare avanti e tener duro...»
«Capisco quello che vuoi dire...», disse con voce tremante, nel frattempo che i suoi s’impuntarono su di me come la reazione di una calamita al suo opposto. Lo guardai sorridendo lievemente. «Per quello ho lavorato tanto coi bambini. Ho voluto essere maestra d’asilo e delle elementari perché desideravo dar loro insegnamenti, ma soprattutto imparare dai loro. Diventando adulti perdiamo la loro innocenza... Ho cercato di far capire loro la bellezza dell’essere bimbi».
Dopodiché emisi una risata ironicamente non divertita.
«E poi, a dirla tutta, sto meglio con loro che con tutti gli altri. Con loro mi relaziono divinamente, con le altre persone un po’ meno... Non riescono mai a capirmi, non interessa loro cosa provi il mio cuore. Sono tutti così superficiali e legati alla materia che mi fanno fastidio; mi allontano da questa gente pensando che non ci voglio avere niente a che fare, non voglio essere come loro. I bambini non sono così. Il mio rapporto con loro è diverso. Capisci?»
«Sì, capisco perfettamente», mi disse lui, con i suoi occhi luccicanti di una luce che parlava da sé. Osservava ogni particolare del mio viso, ma i miei occhi erano il suo punto di riferimento. Era grandioso come lui si mostrasse così attento a me, ai gesti che compivo. Sembrava perfino estasiato dalle mie parole.

Sorrisi abbassando gli occhi verso le nostre mani, ignorando un piccolo ciuffo di capelli che andò a intrigarmi a malapena la vista. Prontamente, Michael lo spostò molto delicatamente con l’indice della mano sinistra, spostandomelo dietro l’orecchio sinistro. Sentii il calore infuocarmi pian piano le guance, per non parlare del cuore. Il respiro sembrò morire per un infinito secondo di stupore, nel frattempo che la mia anima si librava nell’aria.
Lo guardai ad occhi un po’ spalancati, ma sorrisi maggiormente consapevole del nostro chiaro e distinto senso di imbarazzo. Lui cercò di sviare gli occhi, timidamente, nonostante fossero alla continua ricerca del contatto visivo.

Dopodiché mi venne in mente un’idea, un qualcosa che forse a Michael gli sarebbe piaciuto. Era anche un modo per non spezzare per sempre i contatti fra noi, siccome non ero molto sicura che avrei avuto spesso occasioni del genere. Avrebbe accettato? Rifiutato? Forse aveva già altri impegni e sarei stata stroncata sul nascere... Era sempre interessante provare a chiedere, prima di tirare somme. Perciò, con una ansia incontenibile e il mio sguardo sempre più acceso gli rivolsi parola.

«Senti, Michael, vorrei chiederti una cosa... Non ti spaventare! Una cosa da nulla...», dissi partendo già da subito sulla difensiva. Lui mi scrutò incuriosito, sicuramente chiedendosi il perché di tal agitazione.
«Dimmi», rispose diligente. Dio... Come facevo a chiedergli una cosa del genere? Era contro i miei principi morali chiedere ad un uomo un invito... Dovetti tuttavia farmi forza. Non si tornava più indietro!
«Mi... Mi piacerebbe farti conoscere i miei bambini...», risposi tremante. Lui rimase chiaramente perplesso da quella mia frase, addirittura spalancò a malapena i suoi grandi occhi da cerbiatto! Mi resi conto della frase mistica che avevo enunciato e mi apprestai ad essere più chiara. «Sì, insomma, i bambini che seguivo alle elementari...»
«Oh!», rispose lui più tranquillo – a me sembrava perfino sollevato da un peso! Strinse le labbra in una morsa serrata e socchiuse gli occhi. «Devo vedere se ho appuntamenti per quel giorno... Quando?»
«Oh, pensavo il 7 marzo. Quel giorno è anche il compleanno di una delle bimbe, Emily, ci tenevo molto ad andare per festeggiare. Ci sono andata ai compleanni di tutti loro, ma... Be’, se volevi venire sarei molto contenta...», risposi titubante sulla reazione di lui.
Lui m’osservò con fare molto dolce e gioioso, ma potevo capire fosse un po’ preoccupato. E io, balbettando come una perfetta imbecille, cercai di rassicurarlo nella miglior maniera che potessi fare. «Non ci saranno adulti, niente stampa, niente tv... Tengo sempre queste cose al segreto, e fortunatamente nessuno mi ha mai scoperto...».

Quanto mi sentivo ridicola. Io, tentare qualche manovra di rassicurazione quando la realtà dei fatti era che gli stavo apertamente pregando di venire! Se c’era qualcosa a cui io non arrendevo mai, quella era la mia dignità. Non sopportavo supplicare la gente perché mi faceva sentire così tanto ridicola e stupida quanto una persona che si faceva facilmente manipolare. Per mia fortuna non lo ero, e sebbene quello che stavo compiendo era un gesto di gran lunga sofferente quanto umiliante, lo scopo sarebbe stato di sicuro molto appagante!

Lui però sembrò capire il mio sforzo e, invece che dimostrarsi contrariato, mi sorrise con grande dolcezza.
«Devo vedere se ho appuntamenti che posso rimandare o se, ancora meglio, non ne ho per quel giorno. Ti saprò dire se... Ehm...», si bloccò poi riprese, arrossendo di poco sulle gote. «Posso avere il tuo numero di telefono? Così al massimo riescono ad avvisarti...»
«Certo!», annuii e promisi di darglielo una volta sarebbe stato il tempo di tornare a casa, visto che non avevamo carta e penna per scrivere. Eppure qualcosa mi mise la pulce nell’orecchio, l’ennesimo dubbio depressivo...

Non mi avrebbe chiamato lui per darmi conferma. Con quel “loro” sottointeso della precedente frase, come potevo non intuire che non sarebbe stato lui a chiamarmi? Forse pretendevo un po’ troppo dalla vita, però sarebbe stato un gesto carino. Joyce, mi dissi, spera intanto che non abbia niente da fare. Be’, un po’ era normale che mi rattristassi... Mi sarebbe piaciuto parlare a telefono con lui... Sì, era evidente che ci stavo prendendo gusto a fantasticare!

Scendemmo dal treno e facemmo un giro al lago. Inizialmente mi chiese sul mio lavoro, su come erano i bambini, interessato da ogni mio racconto per quanto insignificante che potesse essere. Era affascinato da quel discorso, perciò mi decisi da subito a parlare di loro uno per uno, descrivendoli nei lati caratteriali e fisici. E Michael mi ascoltava, concentrato, finché ad un certo punto non mi disse di aspettarlo un momento. Mi disse “Torno subito, aspetta qui” e se ne era andato. Potete immaginare la confusione che avevo in testa in un attimo del genere.

Ero proprio in un sentiero poco coperto dagli alberi, a pochi metri di distanza dalla grande distesa d’acqua del lago. Feci qualche passo avanti, tanto per consumare il tempo, guardandomi intorno. Era tutto così bello che pensai di aver anch’io, in futuro, un posto come quello nel quale vivere. Magari con dei cavalli, i miei animali preferiti... Una cavalcata in un posto verde e isolato, senza cancelli e catene ad impedirmi il passaggio, proprio come facevo ogni estate quando andavo dalla nonna e gli zii in Texas. Quanto mi mancava Midnight, la mia dolce cavalla dalla pelle soffice e bianca...

«AH!», urlai non appena sentii la forte scossa di acqua pervadermi la schiena. Feci un salto di circa mezzo metro, la mia espressione in volto era congelata quasi quanto le mie povere spalle. Mi voltai e chi vidi? Chi se non lui?!

Michael se ne stava con una espressione dannatamente incantevole quanto divertita che mi fece rinsanire qualche istinto omicida sepolto da molto tempo dentro di me. Rideva come un pazzo, on il secchio d’acqua fra le mani, qualche pistola d’acqua per terra, in procinto di cadere a terra per la mancanza di fiato! Io lì, scioccata, con le mani in alto e il respiro bloccato in gola. Non che fosse acqua calda, per intendersi... Faceva sì caldo per essere a marzo, ma non era una goduria ricevere una secchiata gelata nel punto più critico che potesse esserci!

E dovreste aver visto come se la spassava! Rideva del mio viso sconcertato, della mia reazione e soprattutto del mio sguardo che da scioccato cominciava ad assumere un tono linciante quanto desideroso di sfida. Forse non sapeva che ero molto, molto competitiva... Mi piacevano le sfide, soprattutto se c’entrava l’acqua!

«Sai... E’ una regola di Neverland... Quando si entra, non si può uscire senza non essersi bagnati!...», disse con le lacrime agli occhi, prima di ritornare a ridere come un pazzo. E come potevo io essere seria con uno come lui? Come facevo a non ridere sentendo la sua risata cristallina e acuta? Pian piano mi sciolsi anche io in quella risata contagiosa.

«Non vale però... Non sei leale!», esclamai ridendo. Lui gettò il secchio lontano, spalancando i palmi delle mani in alto.
«L’inizio non è mai leale!», disse sorridente.

Io aggrottai le sopracciglia come una bambina piccola, incrociando le braccia al petto ed inclinando il capo. Lui mi scrutò con attenzione, scoprendo che stavo tramando chissà quale tranello per riuscire a bagnare anche lui. Fu indeciso se avvicinarsi o meno, mentre il suo sorriso prese una piega più furbesca e ingegnosa, intenzionata a leggermi dentro per capire chissà quale fossero le mie intenzioni.

«Che cosa vuoi fare adesso? Vuoi vendicarti?», mi chiese con fare indagatore. Feci una smorfia bambinesca.
«Può darsi...», e così cominciai ad avvicinarmi a lui. Michael indietreggiò sempre sorridendo beffardo.
«Non hai armi con cui distruggermi, lo sai...»
«Ah no? Be’, il lago mi sembra un ottima vendetta...»
«Non lo faresti...»
«No, hai ragione...», dissi furbetta.

Sembrò capire le mie intenzioni, perché entrambi svolgemmo lo sguardo sulle pistole d’acqua poco lontano da noi, ci osservammo e corremmo verso di esse, cercando uno di battere sul tempo l’altro. Entrambi cercavamo di ingombrare i passi dell’altro, ma quando arrivammo alle pistole entrambi le afferrammo nello stesso momento e... All’attacco! Colpi d’acqua, urli, schiamazzi, risate a più non posso! Sembravamo veramente due bimbi giocattoloni, due bambini piccoli che si erano trovati e che non sembravano intenzionati a perdere.

«Non sei abbastanza veloce!», disse lui dopo che riuscì a scapparmi da un attacco fallito. Si divertiva a minacciarmi, eh... Ma non pensate che io non fossi arrendevole al solo primo tentativo.
«E tu non abbastanza... Abile!», esclamai colpendolo in pieno la seconda volta, sul petto. Lui fece un balzo indietro, saltellando come una cavalletta e ridendo. Io ne risi. «Visto?»
«Vuoi la guerra, eh?... Preparati a scappare!», mi disse ad un certo punto, facendo assumere al suo viso un’occhiata diabolica che dava la chiara intenzione di non volermi dare tregua.

Ci rincorremmo a vicenda, ci bagnammo dappertutto – perfino le scarpe non rimasero intatte -, ma ci divertimmo molto. Io mi divertii molto. L’unico mio desiderio, fin da piccola, era quella di trovare un giorno una persona che avrebbe capito i miei bisogni, che avrebbe giocato con me, con la bambina che in fondo ero ancora dopo tutto quel tempo. Volevo giocare. Fare quello che non avevo potuto fare tanti anni prima. Divertirmi con chi riusciva a capirmi dentro. Michael sembrava fosse una persone di quelle, persone che come me non chiedevano altro se non ridere alla vita e godersela con giochi e divertimenti.

Alla fine di quel gioco, quando entrambi ci eravamo vinti alla consapevolezza di essere tutti e due pieni d’acqua fino alla punta dei capelli, decidemmo di chiudere la partita con risultato pari. Eravamo entrambi due testardi, perché inizialmente nessuno dei due era in procinto di ammettere la propria sconfitta. Mi chiese se volevo stendermi al sole, almeno per riposarmi un po’ e scaldarmi, e io accettai con piacere. Eravamo distesi molto vicini, i nostri occhi erano catturati dal cielo limpido e nitido dinanzi. Non dicemmo nulla per un po’, ma il silenzio non ci fu d’impiccio. A nessuno di noi il silenzio ci procurò imbarazzi, ma semplicemente un modo per rilassare la nostra mente. Io mi sentivo così bene...

Poco dopo lui si alzò con il busto, rimanendo con le mani adagiate sul terreno e volto il capo dalla mia parte.
«Ti va di mangiare qualcosa? Poco distante da qui c’è una macchina che fa dei buoni gelati...»
Sorrisi, ancora distesa sull’erba, col sole che fra un po’ m’accecava – peccato che il sole fosse niente comparato alla bellezza di Michael... «Con piacere! Golosa come sono non posso rinunciare a questo dolce invito...»

Sorridente, si alzò in piedi e mi porse entrambe le mani per alzarmi da terra. Soffocai un lieve “Grazie” e mi aiutò ad alzarmi. Dovetti appoggiarmi un po’ alle mie gambe, siccome avevo paura di essere pesante. La mia povera anima era fissata sul mio peso corporeo in una maniera un pochino allucinante... Dopotutto non ero mica uno stecchino io!

Senza che questa volta le nostre mani si legassero, mi portò alla famigerata macchinetta del gelato. Con mio stupore, fu direttamente lui a farmelo. Ringraziai e, quando se l’ebbe fatto anche per sé stesso, concludemmo il mezzo giro del lago. Anche se il sole stava cominciando a tramontare, il suo calore riuscì ad asciugare i nostri vestiti in meno di mezz’ora. Il sole stava tramontando, e io dovevo andare a casa.

“Ti accompagno”, mi disse di rimando. Ci portammo fino ai cancelli di Neverland e disse all’inserviente di turno, che era ancora Jack, quello di poche ore prima, di chiedere a qualcuno di portare direttamente l’auto qui. L’altro chiamò dalla centralina un numero e avvisò. Mentre aspettavamo, mi sentii in dovere di dare a Michael tutti i miei ringraziamenti.

«Grazie Michael», dissi dolcemente, fissandolo intensamente negl’occhi. «E’ stata una delle più belle giornate della mia vita intera. Poche volte ho passato il mio tempo così... Davvero, grazie di cuore!»
Lo vidi sorridere, arrossire poco sulle guance. «Non dire grazie, sono io che ringrazio te! Grazie per tutto...»
«Non ho fatto niente...», dissi sorridendo. Poi assunsi un’espressione imbronciata. «Che ti vada giù o no, sono io che dico grazie. Non si discute qua...»
«Ah davvero? Be’, mi dispiace correggerti ma qua sono io soltanto che ti ringrazio...»
«Non penso proprio», dissi protestando.
«Tu dici?», chiese alzando un sopracciglio, autorevole.
«Certo! Io sono una donna seria...», esclamai incrociando le braccia e dando un gesto secco del capo come a dire “Non protestare, perché non sai con chi ti stai mettendo contro, ragazzo!”.
Silenzio serissimo, poi risate.

«Sei simpaticissima, Joyce...», disse fra il riso.
Colpo al cuore. Grave, grave colpo al cuore. Mi aveva fatto un complimento del genere o avevo sognato?
«Spero davvero di riuscire a venire quel giorno...», dichiarò infine, diventando più serio. Lo guardai, sorrisi, e abbassai gli occhi arrossendo. Il rumore dell’auto interruppe il silenzio che si era intanto creato.

«La sua macchina, Signorina Owen», disse l’uomo che scese dalla mia auto, lasciando le chiavi e il motore accesso all’interno dell’auto. Ringraziai e mi rivolsi a Michael. Ancora una volta continuò a studiarmi, però stavolta sorridendo. Ricambiai, ma mi accorsi di essermi dimenticata una cosa fondamentale: il numero di telefono.

«Oh, Michael, il numero!», esclamai improvvisamente, facendogli prendere quasi un colpo!
«Oh è vero!», disse anch’egli, ma quando stette per rivolgersi ad un inserviente per avere carta e penna lo bloccai.
«Non ti preoccupare, ho io l’occorrente...», corsi verso l’auto e presi carta e penna da un cassetto sotto il sedile.
Solo io potevo tenere quelle cose in macchina, ma non volevo che se mai mi sarebbe venuta l’ispirazione per una canzone non avessi il materiale dove riportare i miei pensieri! Poteva accadermi dappertutto, e di certo non volevo perdere l’occasione di un tale e fortunato momento.

Scrissi il numero, strappai velocemente l’angolo del foglio nel quale avevo scritto e glielo consegnai a Michael. Lui lo prese, tenendolo con le mani in modo molto accurato e soffice, leggendo i numeri impressi. Poi mi guardò entrare in auto, allacciare la cintura e mettermi su gli occhiali da sole. Ricambiai l’occhiata. Sorrisi con serenità.

«Ci sentiamo, Michael...», dissi. «Grazie...»

I cancelli di Neverland si aprirono maestosi di fronte a me, ingranai la marcia, mollai l’acceleratore e partii oltre quel posto incantato, verso il crepuscolo, non prima di aver rivolto un ultimo cenno a Michael.
marty.jackson
00sabato 26 giugno 2010 15:12
Ambra finalmente hai postato!!
ne è balsa la pena di aspettare così tanto, bravissima, capitolo stupendo! sei riuscita a descrivere perfettamente le emozioni dei protagonisti! è stata molto divertente la parte dalla battaglia di pistole ad acqua, mi è piaciuta moltissimo!!
bacii [SM=x47938]
tati-a4ever
00sabato 26 giugno 2010 16:46
Re:
marty.jackson, 26/06/2010 15.12:

Ambra finalmente hai postato!!
ne è balsa la pena di aspettare così tanto, bravissima, capitolo stupendo! sei riuscita a descrivere perfettamente le emozioni dei protagonisti! è stata molto divertente la parte dalla battaglia di pistole ad acqua, mi è piaciuta moltissimo!!
bacii [SM=x47938]




Grazie mille Marty [SM=x47938]
Sono contenta ti sia piaciuto moltissimo, soprattutto la battaglia con le pistole ad acqua ^__^ Questo capitolo era omolto speciale, mi sono messa con tutto il cuore nel scriverlo nel modo migliore!
Bacioni!
P.S. Aggiornerò l'altra presto, te lo prometto !
ludo.94
00domenica 27 giugno 2010 19:52
tati!! ciao scusa se nn ho postato subito il commento ma h problemi con internet...vabbè passiamo al sodo....che bel capitolooooo davvero magnifico,è molto ma molto dolceeee speriamo che michae accetti!! un kiss,ludo!!!t.v.b.
°CucciolaJackson°
00domenica 27 giugno 2010 21:01
che bello il capitolo!! che teneri *-*
tati-a4ever
00domenica 27 giugno 2010 21:02
Ciao Ludo :D Trannquilla,figurati, non hai da scusarti ^__^ Ad ogni modo grazie davvero, sposterò il capitolo fra un po' di tempo :)
Baci!
BEAT IT 81
00domenica 27 giugno 2010 22:39
Tati !!!! Commento solo adesso xè sono riuscita solo oea a finire di leggere il cappy, bellissimo!!!!!! Le scene della ruota panoramica sono così intense ed emozionanti, bravissima, sei riuscita appieno ha trasmettere le emozioni e il dolore di Joy e Mike x ciò che nn hanno vissuto. Troppo divertente la scena della battaglia al laghetto ;-)))). Ok, ammetto che avevi ragione, Cupido nn ha colpito, ma è nata una bellissima amicizia ;-))))) , speriamo che xò Cupido si sbrighi ;-))))) . Bravissima!!!!! Baci Sara
dirtydiana66
00lunedì 28 giugno 2010 12:47
capitolo bellissimo
tati-a4ever
00lunedì 28 giugno 2010 20:54
°CucciolaJackson°, 27/06/2010 21.01:

che bello il capitolo!! che teneri *-*



grazie *-*


Tati !!!! Commento solo adesso xè sono riuscita solo oea a finire di leggere il cappy, bellissimo!!!!!! Le scene della ruota panoramica sono così intense ed emozionanti, bravissima, sei riuscita appieno ha trasmettere le emozioni e il dolore di Joy e Mike x ciò che nn hanno vissuto. Troppo divertente la scena della battaglia al laghetto ;-)))). Ok, ammetto che avevi ragione, Cupido nn ha colpito, ma è nata una bellissima amicizia ;-))))) , speriamo che xò Cupido si sbrighi ;-))))) . Bravissima!!!!! Baci Sara



Grazie di cuore Sara, mi fanno sempre piacere i tuoi commenti :D Visto che avevo ragione a dire che Cupido non sarebbe entrato nella situazione? Eheh... Grazie per tutti i complimenti, davvero.
Bacioni!



capitolo bellissimo



grazie diana :)
tati-a4ever
00lunedì 28 giugno 2010 20:54
°CucciolaJackson°, 27/06/2010 21.01:

che bello il capitolo!! che teneri *-*



grazie *-*


Tati !!!! Commento solo adesso xè sono riuscita solo oea a finire di leggere il cappy, bellissimo!!!!!! Le scene della ruota panoramica sono così intense ed emozionanti, bravissima, sei riuscita appieno ha trasmettere le emozioni e il dolore di Joy e Mike x ciò che nn hanno vissuto. Troppo divertente la scena della battaglia al laghetto ;-)))). Ok, ammetto che avevi ragione, Cupido nn ha colpito, ma è nata una bellissima amicizia ;-))))) , speriamo che xò Cupido si sbrighi ;-))))) . Bravissima!!!!! Baci Sara



Grazie di cuore Sara, mi fanno sempre piacere i tuoi commenti :D Visto che avevo ragione a dire che Cupido non sarebbe entrato nella situazione? Eheh... Grazie per tutti i complimenti, davvero.
Bacioni!



capitolo bellissimo



grazie diana :)
BEAT IT 81
00lunedì 28 giugno 2010 22:05
Grazie a te cara ;-))))))) ....Io ci spero sempre che Cupido colpisca, sono un'inguaribile romantica e Joy e Mike ce li vedo proprio bene insieme ;-)))))) . Bacione Sara
tati-a4ever
00martedì 29 giugno 2010 09:04
Re:
BEAT IT 81, 28/06/2010 22.05:

Grazie a te cara ;-))))))) ....Io ci spero sempre che Cupido colpisca, sono un'inguaribile romantica e Joy e Mike ce li vedo proprio bene insieme ;-)))))) . Bacione Sara



Ti assomiglio in questo lato caratteriale, perchè sono anche io un'inguaribile romantica ;) Spera sempre comunque, ok? Mi rende molto felice che vedi quei due bene insieme ^__^
Bacioni!
BEAT IT 81
00martedì 29 giugno 2010 09:23
Certo che ci spero!!!!! ;-))))))), li vedo molto bene xè si intendono a meraviglia e hannoalle spalle vissuti moooolto simili, x cui si capiscono alla perfezione e poi si vede che Joy è "presa" da MJ ;-))), chissà, magari il Cupido della situazione sarà il piccolo Ryan ;-)) . Baci Sara
tati-a4ever
00martedì 29 giugno 2010 11:27
Re:
BEAT IT 81, 29/06/2010 9.23:

Certo che ci spero!!!!! ;-))))))), li vedo molto bene xè si intendono a meraviglia e hannoalle spalle vissuti moooolto simili, x cui si capiscono alla perfezione e poi si vede che Joy è "presa" da MJ ;-))), chissà, magari il Cupido della situazione sarà il piccolo Ryan ;-)) . Baci Sara



Sì, in effetti ammetto che il personaggio di Joy è molto simile a Michael; hanno un passato simile, hanno provato quasi le stesse sensazioni di solitudine, hanno la stessa passione per i bambini... Ma c'è ancora molto da scoprire, molto da scrivere diciamo XD Joy è "presa" da Michael perchè è anche il suo idolo di sempre, ma forse un fondo di verità in quello che hai detto c'è ;D E' curioso poi vederlo solo dal punto di vista di lei perchè non sai quello che Michael prova :) Ryan? Cupido? Ottimo spunto... XD
Bacioni!
BEAT IT 81
00martedì 29 giugno 2010 11:51
Re: Re:
tati-a4ever, 29/06/2010 11.27:



Sì, in effetti ammetto che il personaggio di Joy è molto simile a Michael; hanno un passato simile, hanno provato quasi le stesse sensazioni di solitudine, hanno la stessa passione per i bambini... Ma c'è ancora molto da scoprire, molto da scrivere diciamo XD Joy è "presa" da Michael perchè è anche il suo idolo di sempre, ma forse un fondo di verità in quello che hai detto c'è ;D E' curioso poi vederlo solo dal punto di vista di lei perchè non sai quello che Michael prova :) Ryan? Cupido? Ottimo spunto... XD
Bacioni!




Infatti se ricordi te l'avevo detto subito che Joy era Michael al fimminile, complimenti, xè' hai saputo costruire un personaggio bellissimo, a me Joy piace molto [SM=g27823] . Beh, io la vedo dal punto di vista di Joy xè è una ragazza, quindi è più semplice [SM=g27822] , ma nn misembra che il nostro Michael sia indifferente alla nostra protagonista [SM=g27822] [SM=g27822] . Sono contenta di averti dato uno spunto [SM=g27822] [SM=g27822] , ce lo vedo proprio bene Ryan a fare il Cupido fra i 2 [SM=g27822] [SM=g27822] . Bacione Sara
tati-a4ever
00mercoledì 30 giugno 2010 20:37
Re: Re: Re:
BEAT IT 81, 29/06/2010 11.51:




Infatti se ricordi te l'avevo detto subito che Joy era Michael al fimminile, complimenti, xè' hai saputo costruire un personaggio bellissimo, a me Joy piace molto [SM=g27823] . Beh, io la vedo dal punto di vista di Joy xè è una ragazza, quindi è più semplice [SM=g27822] , ma nn misembra che il nostro Michael sia indifferente alla nostra protagonista [SM=g27822] [SM=g27822] . Sono contenta di averti dato uno spunto [SM=g27822] [SM=g27822] , ce lo vedo proprio bene Ryan a fare il Cupido fra i 2 [SM=g27822] [SM=g27822] . Bacione Sara




Infatti ci avevi visto giusto [SM=g27822] Grazie per i complimenti, mi fa piacere che anche a te piaccia molto il personaggio di Joyce, perchè c'ho messo tanta cura nel fare e delineare un carattere così, anche se non con così tanta difficoltà, dato che l'ho un po' ispirata a qualce mio aspetto caratteriale! Leggere la storia dal punto di vista femminile, per una donna, a volte è più facile per quanto valga leggerne una dal punto di vista maschile. Ed inoltre ho fatto apposta tutta la storia dal punto di vista di lei, proprio perchè i sentimenti di Michael rimanessero "privati" e interessanti da scoprire. ;D
Bacioni!
BEAT IT 81
00mercoledì 30 giugno 2010 23:23
Re: Re: Re: Re:
tati-a4ever, 30/06/2010 20.37:




Infatti ci avevi visto giusto [SM=g27822] Grazie per i complimenti, mi fa piacere che anche a te piaccia molto il personaggio di Joyce, perchè c'ho messo tanta cura nel fare e delineare un carattere così, anche se non con così tanta difficoltà, dato che l'ho un po' ispirata a qualce mio aspetto caratteriale! Leggere la storia dal punto di vista femminile, per una donna, a volte è più facile per quanto valga leggerne una dal punto di vista maschile. Ed inoltre ho fatto apposta tutta la storia dal punto di vista di lei, proprio perchè i sentimenti di Michael rimanessero "privati" e interessanti da scoprire. ;D
Bacioni!




Beh, caspita, se parte del carattere di Joy è il tuo sei davvero una bella persona [SM=g27823] [SM=g27823] . Mooootlo interessanti da scoprire i sentimenti di Michael, xò io ci provo sempre ad indovinare [SM=g27828] è più forte di me [SM=g27828] . Bacione Sara
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