Ma che bello che per una volta non devo tradurre!
Spike Lee ha rilasciato un'intervista sul documentario a Repubblica (e una cara amica che non ha nulla a che vedere con MJ me l'ha gentilmente segnalata
)
Spike Lee: "Il mio amico Michael"
L’autore americano porta alla Mostra di Venezia “Bad 25”, il documentario su Jackson in occasione del venticinquesimo anniversario dell’uscita dell’album “Bad”
di Silvia Bizio
LOS ANGELES - Accenna perfino a uno, due sorrisi. Che bella sorpresa Spike Lee: il regista di “Fa’ la cosa giusta”, “Malcom X”, “Miracolo a Sant’Anna” solitamente serio, sarcastico, ora è doppiamente contento. Contento di andare alla Mostra del cinema di Venezia che ama molto (c’è stato sei volte) per presentare il suo nuovo documentario, “Bad 25” su Michael Jackson. E contento perché il suo film “Red Hook Summer”, che si è finanziato di tasca propria (circa un milione di dollari), dopo lo scorso Sundance ha finalmente trovato una distribuzione ed uscirà negli States.
È una storia vista attraverso gli occhi – e a volte l’iPad – di Silas, detto anche Flick (Jules Brown), uno studente di scuola privata, di famiglia benestante di Atlanta che è stato mandato per l’estate, per ragioni a lui non del tutto chiare, dal nonno a Brooklyn (Clarke Peters), ministro di una piccola congregazione battista. Come in molti film di Spike Lee, anche qui una storia intimistica si intreccia con una polemica sociale. Lo stesso regista appare in un “cameo”, come il “pizzettaro” Mookie (una autocitazione da “Fa’ la cosa giusta”). Ora sta preparando il remake del film coreano “Old Boy”, un progetto che sembra divertirlo, e a Broadway ha da poco chiuso con successo lo show “Undisputed Truth”, dove a diretto Mike Tyson che parla di se stesso. In testa il solito cappelletto da baseball, una t-shirt che lo fa sembrare ancora un ragazzino di 20 anni, invece che di 55, padre di famiglia con due figli adolescenti (la moglie è una nota avvocatessa di New York), Lee parla della sua amicizia con Michael Jackson.
Che cosa sarà “Bad 25”?
«È un lungometraggio celebrativo del 25esimo anniversario dell’uscita dell’album “Bad”, che seguì il successo planetario di “Thriller”, l’album più venduto di tutti i tempi. Ho prodotto il documentario con la Sony Records, la Epic Records e gli eredi di Michael Jackson. Ho avuto accesso totale al suo materiale, anche privato. Faccio vedere cose di Michael che nessuno aveva mai visto prima. Vedi tutto il lavoro che c’è voluto per realizzare “Bad”, la gente che ha collaborato con lui, da Quincy Jones ai tecnici del suono e musicisti, e cerco di capire il come e il perché dell’impatto che questo famoso album ha avuto sui ragazzini e su futuri divi come Mariah Carey, Justin Timberlake, fino a Justin Bieber».
Sentiamo anche cose mai sentite prima?
«Molte, perché Michael aveva registrato circa 60 demo per “Bad”, intendo 60 brani, e solo 11 sono stati inseriti nell’album finale. Facciamo quindi sentire alcuni brani che nessuno aveva mai ascoltato prima, mai pubblicati ufficialmente. Un dietro le quinte favoloso».
Lei conosceva personalmente Michael Jackson?
«Certo, eravamo anzi ottimi amici. Siamo praticamente cresciuti insieme, io avevo un anno in più di lui e ci rapportavamo benissimo uno all’altro. Mi è rimasto il rammarico di non essere mai riuscito a girare un film con lui protagonista. Secondo me era un attore eccezionale. Perché era trasparente, coi sentimenti sulla pelle, un po’ come Tyson».
Il superpugile come Michael Jackson?
«Come Michael Jackson, anche Tyson ha il dono dell’onestà. È un puro. È onesto anche sulla propria brutalità, le stranezze del suo carattere e il comportamento “borderline”. Chiedi a Tyson qualcosa sul suo conto che non sia una vittoria, e lui ti racconta tutto, al contrario di tanti altri campioni o celebrità che ti parlano solo dei loro successi e si chiudono a riccio su tutti gli aspetti incresciosi della loro vita. Ammiro molto le persone di talento, e ancora di più le persone di talento oneste. Tyson sta in palcoscenico emotivamente nudo, non ha né guantoni né parapalle. Anche per questo gli ho proposto di farsi dirigere da me nello show “Undisputed Truth”. Ogni sera abbiamo fatto il pienone, con standing ovation alla fine. Mike sta da solo sul palco a raccontare cose molto intime e provocanti della sua vita».
Che effetto le fa tornare al Festival di Venezia?
«Amo moltissimo l’Italia, come sapete, altrimenti non ci sarei venuto per mesi a girare “Miracolo a Sant’Anna”. “Bad 25” è il sesto film che porto a Venezia. Voglio arrivare a dieci, poi vi lascio in pace».
Magari ci porterà “Red Hook Summer”…
«Chissà. Il film è la continuazione della mia cronaca di New York. Una cronaca iniziata nel 1986 con “She’s Gotta Have It”, girata dove sono cresciuto, in un quartiere spazzatura. Nel 1989, con “Fa’ la cosa giusta”, ho accennato a un’autobiografia familiare a Bensonhurst, poi con “Clockers” sono passato a Burn Hill, e con “He Got Game” a Coney Island. C’era molta Brooklyn Heights in “La 25esima ora”. Ora ho girato “Red Hook…” a Red Hook, dove la borghesizzazione dei nuovi centri residenziali sembra sfottere la miseria delle case popolari».
trovacinema.repubblica.it/news/dettaglio/spike-lee-il-mio-amico-michae...