Eccomi raga'....ce l'ho fatta, all'alba delle 00.20
meglio tardi che mai....
allora, questo è un capitolo un po' strano...lo si capisce anche dal titolo....ma nn voglio dilungarmi oltre...quindi mi rimetto al giudizio della corte.... :-p
p.s. corsivo=Mike; virgolette nel corsivo=pensiero di Mike
enjoy it....e siate clementi....
Capitolo 31
Rabbia e Pazzia
Giorno 1
Passai la mia prima notte in cella. Sveglia. Senza neanche badare allo scorrere de tempo, che fosse lento oppure veloce, per me non faceva alcuna differenza.
Passai quella notte sveglio, cercando di annullare i miei pensieri, perdendomi nell'oblio dei farmaci. Una notte che non era scandita dal tempo, una notte vuota.
Pensavo a Lui.
Pensavo a Lei.
Pensavo a tutto il dolore che gli avevo causato, a cui non riuscivo a trovare rimedio. Ero intrappolata dentro me stessa, senza dormire, senza cambiare posizione, come avessero messo un fermo immagine.
Pensavo a tutto quello che provavo per lei. Incredibile il modo in cui il suo pensiero era in grado di sconvolgermi! Non avevo scampo, non lo avevo avuto mai, fin dall'inizio. L'amavo, eppure non volevo sentire più nulla.
Non avevo l'orologio. Quella mattina, a Neverland, non lo avevo indossato. Quando mi erano venuti a prendere, trascinandomi qui, di certo non avevo pensato a quello.
Probabilmente se anche l'avessi avuto al polso me lo avrebbero fatto togliere. Un carcerato che se ne fa di sapere l'ora? Oppure, chissà, avrei potuto usarlo per tentare di evadere...o per colpire qualche guardia.
Mi resi conto che stavo sragionando, immedesimata nella trama di qualche film. Eh già!
Rimaneva il fatto, che in quel momento avrei tanto voluto sapere l'ora.
Che cosa inutile sapere che ore sono, quando del tuo tempo non sai che farne, perchè non puoi fare niente, perchè sei in gabbia!
Forse era la fame!
Si, doveva essere quella, me ne convinsi.
Iniziai a fissarmi su ogni minimo rumore che sentivo provenire dai locali adiacenti alla cella. Un altro comportamento che completava il mio ritratto di psicotica.
Comunque c'erano telefoni che squillavano fastidiosamente, segnali di fax, passi sordi, tacchi e tacchetti, qualche voce, ma nulla di comprensibile.
E davanti a me il solito corridoio anonimo, spoglio e per niente interessante.
-Ehi? C'è nessuno? - immaginai che non mi avrebbe sentita nessuno, chissà quante volte avrei dovuto chiamare per attirare l'attenzione di qualcuno.
Invece non fu così.
Da dietro la vetrata, in fondo al corridoio, che riuscivo a scorgere ficcando la testa tra quelle orribili sbarre di metallo della cella, sbucò un poliziotto, forse una guardia.
-Qual'è il problema, signorina?-
Aveva un tono di voce mite, quasi amichevole rispetto agli uomini del giorno precedente. Questo mi fece coraggio.
-Mi scusi, potrei avere qualcosa da mangiare?-
Avevo fame, era da più di ventiquattro ore che non mettevo qualcosa sotto i denti e come pronunciai quelle parole, avvertii un morso allo stomaco, ormai decisamente vuoto. In effetti ero allo stremo delle forze.
-vedo se le trovo qualcosa.-
Si allontanò senza aggiungere altro. Io tornai a sedermi sulla panca, dove quasi avevo lasciato l'impronta, tanto vi ero rimasta seduta immobile.
Dopo alcuni minuti la guardia tornò. Che strano! Era un ragazzo giovane, credo addirittura più giovane di me, avrà avuto vent'anni.
Provai invidia, per le nostre posizioni. Perchè mi trovavo dalla parte sbagliata delle sbarre?
Si, stavo impazzendo, e queste riflessioni me lo gridavano a gran voce.
Mi porse un bicchierone di caffè caldo ed un pasticcino.
-Il caffè è della macchinetta che sta di là, il dolce...era mio, avanzato. Mi dispiace ma qui non servono la colazione. Avresti dovuto attendere il pranzo, alle 13,00, mancano ancora più di tre ore...-
-grazie, grazie mille, davvero.-
Afferrai il tutto avidamente e tornai a sedere per poter mangiare.
Mi alzai dal letto, frastornato da una notte insonne, dai farmaci che non erano riusciti a lenire completamente le mie ansie. Il sole era già abbastanza alto, avevo solo perso la cognizione del tempo, avevo passato la nottata in una specie di limbo temporale, come una sospensione, senza però riuscire a soffocare l'eco delle mie emozioni.
Decisi di buttarmi sotto la doccia, nella speranza che si rivelasse utile per schiarirmi le idee. Il dolore era ancora lì. Come anche il pensiero di Lei.
L'acqua tiepida mi scorreva rapida addosso, piccole gocce che percorrevano la mia pelle, disegnando irregolari percorsi, mentre lavavano via il sudore di una notte tormentata. Il sollievo fisico non tardò ad arrivare ma non fu altrettanto efficace per il mio umore. Cercavo di rilassarmi, di abbandonare la mente, annegandola nel fluido rumore dell'acqua corrente. Funzionava ad intervalli, probabilmente quanto di meglio potevo ottenere.
D'un tratto mi balenò l'immagine di mia sorella, sull'uscio di camera mia. Ricomposi mentalmente qualche frammento delle sue parole, la sera passata, con non poco sforzo.
Quando realizzai che aveva parlato con Alex schizzai fuori dalla doccia, senza chiudere l'acqua, senza prendere l'accappatoio, precipitandomi al telefono che avevo sul comodino. Dovevo parlare con Janet. Subito!
Il telefono squillò qualche secondo senza che ottenessi risposta, i nervi mi stavano distruggendo.
-Pronto? - rispose una voce un po' impastata, forse stava ancora dormendo.
-Janet? Ci sei? Sei ancora qui al cottage? -
-Si, Mike. Stai bene? E' successo qualcosa?- il suo tono si era acceso in un istante, allarmandosi nel sentire la mia voce concitata.
-Si, bene. Per così dire.... Devo vederti. Ho bisogno di parlare con te.-
-Arrivo.-
Mi gettai di peso a sedere sul letto. Mi resi conto di essere nudo, bagnato fradicio. Avevo lasciato una scia d'acqua sul pavimento uscendo dal bagno così. Il pensiero di Alex mi rendeva completamente incapace di usare la testa. Mi affrettai a cercare un asciugamano per coprirmi alla meglio ed asciugarmi un po', e rimediare al disastro che avevo appena fatto a terra. Mia sorella stava arrivando.
Dopo una manciata di minuti bussarono alla porta.
-Mike, sono io. Posso entrare?-
-Si. Entra-
Non le diedi nemmeno il tempo di proferire parola quando fu entrata. Conoscevo il suo sguardo e sapevo che avrebbe voluto rimproverare il mio comportamento della sera precedente. Non glielo avrei permesso.
-Non dire una parola, Janet. Non m'interessa sapere che il mio atteggiamento è sbagliato. So che ti preoccupi per me e mi dispiace farti stare in apprensione. Ma non ho bisogno che tu venga qui per giudicarmi. Non lo accetterò. Sia ben chiaro!-
Odiavo me stesso mentre mi uscivano queste parole, sapevo che le stavo procurando dolore, delusione e sensi di colpa. Ma non poteva aiutarmi. Non così, non adesso, non in quel modo. Non mi serviva la morale. Non avrei saputo che farmene, dal momento che la mia vita se ne andava in pezzi, da sempre.
A cosa serve essere IL RE, quando il tuo regno diventa la tua prigione. Potevo solo essere IL RE, l'artista. Essere L'UOMO non mi era concesso. Ogni volta che provavo a vivere come UOMO perdevo tutto, fino a perdere me stesso.
-Che ti ha detto Alex?-
Impossibile usare un tono di voce più gentile. “ Cavolo Michael, è tua sorella, la adori, perchè le parli così?” non riuscivo ad evitarlo, stavo sfogando le mie frustrazioni su Janet, per quanto in realtà mi dispiacesse infinitamente, ero incapace di moderarmi. “Perdonami Janet...”
Intanto lei era andata a sedersi sul bordo del letto, stringendo i pugni per la rabbia, so che avrebbe voluto tirarmi uno schiaffo, e me lo sarei meritato tutto, ma prese un respiro e mi rispose.
-Ha chiamato ieri, lo sapevi vero? - mi scrutò duramente, impedendomi di mentire.
-Immaginavo fosse lei... Non volevo parlare con nessuno, in ogni caso...-
senza lasciarmi il tempo di terminare la frase aggiunse.
-E hai lasciato il telefono di là. L'ho trovato che ancora squillava ed ho risposto.-
Andai ad appoggiarmi con la spalla alla parete, avevo nuovamente bisogno di una doccia perchè stavo sudando freddo.
-L'hanno arrestata. Ha commesso dei crimini...- sibilai a denti stretti rivolto a Janet ma in realtà il mio sguardo andava oltre, e moriva nel nulla del mio dolore interiore.
-No, non l'ha fatto.-
-Janet, piantala!-
Si alzò di scatto e con due falcate mi fu davanti. Decisa e dura, tanto da spaventarmi.
Sostenni il suo sguardo in attesa delle sue parole.
-E' colpa mia.-
Alzai gli occhi al cielo. “Janet, quando la finirai di voler salvare tutti?”
-Inutile che fai così, Mike. E' davvero colpa mia. Lei non ha aggredito nessuno alla festa. Sono stata io.-
Non credevo alle sue parole. Sapevo che Alex alla festa non aveva fatto nulla, dato che era sempre stata con me, ma al momento non avevo più badato a questo dettaglio.
Janet proseguì, cogliendo la mia esitazione.
-Ho spaccato la faccia a Lisa...So che non avrei dovuto, ma non ho potuto evitarlo. Erano anni che sognavo di farlo.- la sua espressione liberò per un attimo una scintilla di soddisfazione per poi rifarsi seria.
Io ero sconcertato, mi portai una mano agli occhi come per isolarmi dalla realtà ed assimilare la notizia.
-Ma le altre accuse? Che mi dici di quelle?-
-Non sono vere. C'è una spiegazione. C'è sempre una spiegazione .Mi stupisce, Mr. Jackson, che proprio lei si fermi alle apparenze!! -
La sua nota ironica non era affatto gradita. Sapevo bene cosa intendeva e per un attimo mi sentii solo un grande stupido. Un gigantesco idiota. La polizia l'aveva accusata e io non avevo nemmeno messo in conto nessun'altra ipotesi.
-Dovresti parlare con lei. Ti spiegherà tutto. Vedrai, si risolverà ogni cosa.-
-No. Questo non accadrà. Qualsiasi cosa sia, lei non è stata sincera con me, ed era la cosa che più avevo a cuore. Se è innocente lo scopriremo, ma tra noi non potrà più essere come prima. Se poi “prima” qualcosa c'era.-
-Non essere stupido Mike. Che discorsi sono questi? Credi che il suo cuore, che i suoi sentimenti non fossero sinceri? Devi parlare con Alex, dovete chiarirvi. Dalle almeno la possibilità. -
Rimasi in silenzio. Adesso provavo anche una rabbia immensa oltre al terribile sconforto di averla persa. Di aver perduto con lei tutti i miei sogni di felicità. Sogni infranti per l'ennesima volta.
No, almeno non adesso. Avevo bisogno di tempo.
-Metti i miei avvocati a sua disposizione, occupati tu di tutto, per favore. Se è innocente farò in modo che ne esca il prima possibile. La amo, è vero. Più di quanto credevo fosse possibile amare. Ma adesso non può funzionare. Sto per partire. Anticiperò la ripresa del tour. Ho bisogno di stare da solo e di riflettere. Non voglio vederla adesso.-
-Mike, spero tu ti renda conto che non ha senso quello che fai. Perchè scappi da lei?-
-NON STO SCAPPANDO! Sto solo cercando di riuscire a fare il mio lavoro, dato che la vita da me sembra volere solo questo. O vuoi vedermi chiuso qua dentro, da solo con le mie pillole?-
Janet restò in silenzio, con le lacrime agli occhi per quello che la mia bocca aveva appena espresso, così barbaramente. So che avrebbe voluto aggiungere altro ma non l'avrei ascoltata più.
-Come vuoi Mike. Spero solo che tu rifletta. Penserò io ad Alex. Ma rassegnati, perchè non mi darò per vinta, con te. -
Mi guardò sprezzante e usci dalla mia camera sbattendo sonoramente la porta. Rimasi lì, in piedi, conscio di aver tirato fuori il peggio di me.
Anche l'unica cosa diversa che avevo fatto fin'ora era finita, la colazione. E mi ritrovavo di nuovo in quella medesima posizione, quasi catatonica, in cui avevo trascorso le ultime ore. Seduta con le gambe strette al petto, battendo piano e ritmicamente la testa contro il muro. Non riuscivo nemmeno a riflettere. Erano passate quasi ventiquattro ore dalla conversazione che avevo avuto con Janet, e di lei più nessuna notizia. Ero preoccupata, disperata a tal punto da non avere nemmeno più la forza di piangere. Mi sembrava di vivere in un incubo e stavo cominciando a preoccuparmi seriamente per la mia sanità mentale. Al momento veramente precaria.
Continuavo a ripercorrere mentalmente gli avvenimenti, senza intravedere nessun barlume di luce. La mia ultima speranza adesso era riposta in Janet, che conoscevo da poco più di un giorno.
E se non avesse creduto ad una sola delle mie parole? E se avesse semplicemente fatto buon viso a cattivo gioco? Dicendo che avrebbe fatto il possibile per tirarmi fuori dai guai... queste congetture non mi facevano bene, no. Peggioravo solo il mio umore già irrimediabilmente sotto terra.
Le ore passavano, almeno credo. Avevo visto lentamente mutare l'angolazione della luce proveniente dalla piccola finestra, in alto a destra, della mia cella. Era pomeriggio. E ancora fluttuavo in balia dei miei pensieri.
-Miss Gray, ho un messaggio per lei.-
Di nuovo quel ragazzo. La guardia.
Mi alzai a fatica per il dolore alle gambe, tenute troppo tempo nella stessa posizione, ma arrivai davanti alle sbarre.
-Ha chiamato una donna, dice di essere sua sorella. Ha detto che sta pensando a tutto lei. Presto verrà a farle visita con il suo avvocato.-
-Mia sorella?! Non era possibile passarmela al telefono?-
-Non sono autorizzato, mi dispiace. Lo sceriffo non è in centrale al momento. Questo è tutto quello che posso fare. Riferire. -
-Grazie. Grazie lo stesso.-
Ecco. La mie preghiere forse erano servite a qualcosa. Janet non si era dimenticata di me.
Questo mi ridiede un briciolo speranza!
to be continued....sooner or later...