Eccomi....ma quanto mi faccio attendere??? lo so...alla fine mi odierete.....allora..in ogni caso ce l'ho fatta, ecco per voi pronto, finalmente il 30esimo capitolo...(wow...non immaginavo di arrivare così lontano....) purtroppo non sarà molto allegro neanche stavolta, perdonatemi anche per questo, ma con l'umore che mi ritrovo credo che di meglio non potevo fare...cmq, comincio ringraziandovi in anticipo per la pazienza (e comprendero' se alla fine, fra attese varie, mi vorrete spingere giù da un ponte [SM=x47946] ) e per la stima che mi dimostrate ogni volta, se non fosse per voi non sarei arrivata al 30.....e quindi, senza ulteriori indugi, signore e signori, ecco a voi il mio 30esimo capitolo.....taadaaannnnnn!!!!
p.s corsivo ormai sapete chi è, vero???
p.s.2 ho inserito il testo di una canzone perchè è due giorni che mi ronzava in testa ed alla fine mi è anche stata d'aiuto per la stesura...è stata, diciamo, illuminante....
buona lettura...
Capitolo 30
"Per non sentire dolore, per non sentire più nulla"
L'unica cosa che odiavo da sempre adesso era il mio unico desiderio. Solitudine. Volevo restare solo, senza parlare con nessuno, senza vedere nessuno. Appoggiai distrattamente il telefono sulla mensola e mi diressi nella mia stanza.
DRIN DRIN DRIN
Il telefono continuava a squillare a vuoto, come avevo immaginato. Sapevo, mi sentivo, che non avrebbe risposto eppure avevo tentato ugualmente, aggrappata all'esile speranza di sentire la sua voce. Me ne stavo lì, incollata a quel dannato telefono senza avere il coraggio di riagganciare, con la mano che sudava nello stringere la cornetta, nonostante fosse così palese il totale fallimento del mio tentativo di sentirlo. Avevo lo stomaco stretto in una morsa di angoscia che mi fermava il respiro, quasi a credere che l'apnea mi fosse d'aiuto, come se congelasse il tempo, in attesa di una risposta che non sarebbe arrivata.
-Pronto?-
Il mio cuore trasalì, battendo frenetico per il tempo esatto di realizzare che una voce aveva risposto alla mia chiamata, proprio quando stavo per chiudere, rompendo quella specie di ipnosi data dal monotono suono della chiamata. Per il tempo esatto di capire che quella voce non era di Michael. Non era lui.
-Pronto? Insomma, chi parla?- di nuovo, quella voce. Ed io restavo muta. Come un'idiota!
-Jan...Janet? Sei tu?- Non ero sicura che fosse lei, ma fu l'unica persona che mi venne a mente e trovai il coraggio di parlare.
-Si, sono io. Ma, chi parla?-
-Sono...Alex...- restai in silenzio, in attesa di una reazione, bloccando il respiro, di nuovo come per fermare l'attimo.
-Ehi!! Ciao!!! Dove sei? - la sua voce era squillante ed allegra, dedussi che non sapeva nulla, almeno non ancora. Non seppi immaginare se era un fatto positivo...oppure no.
-Ehm..Hai visto Michael? Io... -
-Mike? No...ha lasciato qui il telefono, sulla mensola, l'ho trovato che stava squillando..ed ho risposto. Credo sia in camera, vado a cercarlo, te lo passo...Ma tu...dove sei? -
-No, no..aspetta... - avevo sentito nel suo tono una vena di curiosità, era strano in effetti che io fossi al telefono...e non con Michael.
-Veramente io... - mi guardai attorno, cercando qualcosa che mi illuminasse la via, che mi suggerisse la mossa corretta, sperando di capire quello che dovevo fare. Cosa potevo dire ancora? Quanti altri danni volevo causare...
-Oh, al diavolo!! - esclamai raccogliendo tutto il coraggio che mi era rimasto -...Janet...Sono nell'ufficio dello sceriffo...mi hanno appena arrestata. -
Ero appena saltata giù da una scogliera. Ed ora aspettavo di scoprire se in fondo al precipizio avrei trovato l'acqua oppure la dura roccia.
-COOOSA??? COME! COSA STA SUCCEDENDO?-
Ripresi a parlare, le avrei detto tutto, ormai era l'unica cosa sensata da fare, peccato che avrei dovuto farla prima. La mia voce era spenta ed esausta, ma promisi a me stessa che sarei arrivata in fondo, e avrei detto ogni cosa che c'era da dire, nella speranza di poter ricomporre qualche frammento della mia vita.
-ecco...il motivo dell'arresto è aggressione aggravata...ma non è tutto qui...-
-Aggressione? Tu? Ma come...e quando?-
-Non lo so, mi accusano di aver aggredito una donna ieri sera, alla festa...ma lasciami finire, ti pre..-
-Una donna? Oh mio dio!...vuoi vedere che...ah, ma gliela faccio pagare, si...-
Inutile, Janet era partita in quarta, non capivo un'accidente di quello che stava strillando al telefono, io volevo solo che mi lasciasse finire.
-Janet...maledizione, ASCOLTAMI!-
Alzai di un tono la mia voce, che per poco non si ruppe nel pianto. Non volevo essere scortese ma era necessario che io le dicessi ogni cosa, una volta per tutte.
-Il problema non è l'aggressione. Mi stanno accusando di altro. Ricettazione, narcotraffico...ma io sono innocente! -
Silenzio.
La linea rimase muta per diversi secondi. Temetti che Janet avesse riagganciato.
Ancora silenzio.
-Janet?- mi uscì in un soffio di voce.
-S...s...si, ci sono...-
Immaginai che fosse andata a sedersi sul divano, non le avevo certo appena comunicato le previsioni del tempo. Avevo combinato un casino colossale. E volevo solo riparare. Non mi importava di me, volevo solo che Michael non soffrisse, per colpa mia..
- Janet, mi dispiace. E' tutta colpa mia! Non volevo far del male a lui, ti prego, devi credermi!!!
io...no so cosa devo fare, ti prego aiutami!-
-Ok, però devi spiegarmi tutto...-
-Si...non so quanto tempo ho ancora a disposizione. Devo ancora capire con precisione quali sono le accuse esatte, ma sono certa che sia tutta opera di mio padre. Sono scappata di casa proprio perchè lui è un criminale. Ha sempre vissuto di espedienti, sono andata via perchè le cose non facevano che peggiorare, i suoi giri erano grossi. Non so di preciso con chi o cosa trattava, ho sempre cercato di starne fuori. Solo che mi obbligava ad intestarmi ogni proprietà. Credo che questo sarà il problema più grave per far credere alla mia innocenza.-
-Wow! Niente di semplice, eh? - la sua ironia mi sollevò un poco l'animo, forse esisteva un modo per uscire da questo incubo. E la speranza era l'unico dolore che potevo trovare la forza di sopportare, perchè quando fosse ceduta quella, avrei avuto la certezza di aver perso tutto.
-Signorina Gray, la sua telefonata è terminata! -
-Janet...devo chiudere. Ho finito il tempo. Ti prego aiutami. Non ho nessuno qui. Non ho altro che Michael, e credo di aver perso anche lui...-
-Non posso prometterti nulla, ma farò tutto quello che posso. Per tirarti fuori. -
Riagganciai il telefono mentre venivano a prendermi di nuovo. Avrei voluto parlare ancora con Janet, cercare di spiegarle ogni cosa, perchè in quel momento era l'unica cosa che potessi fare. Continuavo a maledirmi per aver avuto paura di parlare con Michael, pensandoci adesso vedevo ogni cosa in modo più semplice, da un'altra prospettiva. Avevo avuto paura di raccontargli della mia vita solo perchè non volevo aggiungere preoccupazioni alla sua. E ne aveva tante. Credevo che venendo in America con lui, avrei definitivamente chiuso quel capitolo della mia vita. Invece avevo imparato che ogni cosa resta come la lasci, il passato continua a seguirti, ovunque tu vada, e la cosa migliore da fare è imparare a conviverci. Io non l'avevo fatto. E i problemi mi avevano trovata anche dall'altra parte del mondo. Nascondere la testa sotto la sabbia non era servito a nulla. Ed io ero stata un perfetto esempio di struzzo australiano.
Mi accompagnarono in una piccola celletta, spoglia, fredda, anonima, vuota. Come la mia anima.
Andai a sedermi sulla panca, posta in fondo, in un angolo della stanza, poggiando la schiena contro il muro e raggomitolandomi con la testa sulle ginocchia, cercando di non lasciarmi cadere in pezzi. Cercando di infondermi un po' di coraggio. Odiavo mio padre. Odiavo mia madre. Odiavo me stessa. Ma tutto questo odio non mi avrebbe restituito Michael, cancellando i miei errori.
Janet era rimasta a lungo seduta su quel divano, tenendo saldamente il telefono tra le mani. Assorta, incredula, preoccupata. Con gli occhi fissi sulla parete di fronte, sgranati come se avesse visto un fantasma, si stava arrovellando il cervello, e si era persa nel labirinto intricato dei suoi pensieri.
Era una donna pratica. Voleva sempre avere la situazione sotto controllo. Specie se si trattava di suo fratello, Michael. Il suo legame con lui era più forte che con gli altri fratelli, era così da sempre ed era ampiamente ricambiato. Qualcosa di speciale li univa, qualcosa che gli altri della famiglia probabilmente non comprendevano. Erano sempre presenti l'una per l'altro, era stato così da quando lei era piccola, lo era adesso e lo sarebbe stato sempre.
Non osava immaginare come stesse Michael in quel momento, perchè in realtà lo sapeva. Se era andato in camera, sapeva che era in compagnia delle sue maledette pillole. Ancora una volta. E si sentiva in colpa per non essere mai riuscita a dissuaderlo dal farsi del male. Con Michael era così. Si chiudeva in se stesso e nemmeno lei poteva fare nulla. Era così difficile riuscire a scuoterlo da quel dolore, che la vita, sembrava voler continuare ad infliggergli. All'inizio, prima delle accuse, quando iniziarono a gettare fango, su ogni cosa che faceva, per ogni sua stranezza, o solo per il puro gusto di inventare notizie che facessero aumentare la tiratura di certe riviste, non si era accorta di quanto il suo spirito si stesse danneggiando, di quanto fossero profonde le ferite che, giorno per giorno, si scavavano nella sua anima. Ma come avrebbe potuto? Lui fingeva sempre che tutto andasse bene, che tutto filasse liscio, faceva credere di essere forte e che niente avrebbe scalfito la sua vitalità. E forte lo era davvero. Un uomo normale non avrebbe sopportato un terzo, di quello che, invece, aveva passato lui. Ma questo lo aveva capito dopo. Lo aveva capito quando ormai i suoi sforzi, per aiutarlo, sarebbero serviti a poco. Eppure non si era mai arresa, aveva continuato a stargli vicino, per quello che lui le consentiva, e avrebbe continuato a farlo.
Aveva visto Michael felice adesso. Con Alex. In cuor suo sapeva che con lei era stato bene, era come guarito, dal dolore che la vita si divertiva a causargli, ogni giorno. L'aveva capito subito, semplicemente con un suo sorriso, acceso e vitale come non ne vedeva da tempo, troppo tempo. E tutto questo ora sembrava svanito in una bolla di sapone, volata troppo in alto per resistere alla pressione che il mondo esercita su ognuno di noi. Ma qualcosa di diverso, stavolta c'era. Forse per una volta avrebbe potuto davvero aiutarlo. E avrebbe fatto qualcosa.
Riorganizzò rapidamente le idee, sempre per il suo proverbiale senso pratico, facendo mente locale dello squadrone di avvocati che avrebbe potuto contattare, ne conosceva molti, dato tutto quello con cui suo fratello aveva avuto a che fare. Quindi, quello poteva essere un problema in via di risoluzione. Quello che la tormentava maggiormente era Michael. Doveva parlargli, voleva che lui parlasse con Alex, perchè dovevano chiarirsi, al di là di tutto, era la cosa che più importava.
Si strofinò le mani sudate sui jeans, era nervosa ed agitata, trasse un profondo respiro prima di imboccare il corridoio che l'avrebbe portata da suo fratello.
Il vuoto, il solito vuoto lasciato dalla solitudine e dalla delusione. Un qualcosa che ormai conoscevo bene, che mi aveva accompagnato per gran parte della mia vita, dalla mia infanzia. Quello stesso vuoto che mi restava dentro ogni volta che mio padre mi dava l'ennesima conferma di non essere in grado di dimostrarmi l'affetto di cui avevo bisogno. Il vuoto, che ogni volta scavava in me solchi, sempre più profondi, quando la delusione di non avere un padre, un padre vero, mi divorava. Era sempre lo stesso vuoto, al quale non ho mai imparato a resistere. Ero stato a lungo con il flacone di pillole in mano, rigirandomelo tra le dita, come se in realtà non avessi già ben chiare le mie intenzioni. Illudendo me stesso, di essere in grado di appoggiarlo di nuovo al suo posto, tra gli altri medicinali. Fingendo che per una volta, forse, sarei stato più forte anche di me stesso e delle mie paure. Ma il dolore non potevo sopportarlo, e questo ennesimo colpo ne era la dimostrazione. Quando ero in quello stato di semi-coscienza, magistralmente creato dai medicinali, tutto appariva diverso, tutto appariva insignificante, tutto appariva niente. E il niente adesso era l'unica cosa che volevo provare.
Quando Janet aprii la porta ero ancora sveglio, ancora in me, ma non dissi niente. Restai sdraiato sul letto, a pancia in su, con le braccia stese, larghe e gli occhi semi chiusi, a fissare il biancore del soffitto, nella penombra, che piano piano mutava i suoi contorni, fluttuando verso di me.
-Michael... sei sveglio? -
Non risposi, lasciai solo che intendesse che di lì a poco sarei caduto nel mio sonno profondo, senza sogni, senza dolore.
-Michael...perchè lo fai? So che ancora puoi sentirmi. Lei mi ha chiamato. Mi ha parlato. E dovresti parlare con lei.. Prendi il tuo tempo, ma non chiudere di nuovo il tuo mondo su te stesso, non farlo. Io ti aiuterò, se vorrai. Ma lei è quella giusta. Devi parlare con lei. -
Sentii che aveva riaccostato la porta, delicatamente. L'avevo delusa, di nuovo. L'avevo fatta star male e preoccuparsi per me. Ma il solo sentir parlare di Alex mi aveva fatto percepire una dolorosa scossa elettrica in tutto il corpo, nella mente e nell'anima. Lei possedeva il mio cuore, glielo avevo appena donato, e qualsiasi cosa fosse accaduta sarebbe rimasto suo comunque. Ma il dolore che provavo non mi permetteva di riuscire a confrontarmi con lei. Per non soffrire più, per mettere a tacere questo mio dolore. L'amavo, terribilmente. Ma non volevo più vederla.
Eppure tutto mi portava a lei. “E stavolta sembra che le mie pillole non vogliano essermi d'aiuto.
Mi sento così solo, mi sento così incapace di vivere, mi sento così immobile, intrappolato nella mia vita e nei suo riflussi. Eppure il mondo intorno a me è lo stesso di ieri, il sole è sempre lì, il vento continuerà a soffiare anche domani, tutto continuerà il suo corso. Ma io? Cosa sono io? Cosa posso fare per me stesso se non cercare di proteggermi dal dolore. Eppure lei è sempre nei miei pensieri, annullando la mia ricerca di “nirvana indotto”.”
Quante gocce di rugiada intorno a me
cerco il sole, ma non c'è.
Dorme ancora la campagna, forse no,
è sveglia, mi guarda, non so.
Già l'odor della terra, odor di grano
sale adagio verso me,
e la vita nel mio petto batte piano,
respiro la nebbia, penso a te.
Quanto verde tutto intorno, e ancor più in là
sembra quasi un mare l'erba,
e leggero il mio pensiero vola e va
ho quasi paura che si perda...
Un cavallo tende il collo verso il prato
resta fermo come me.
Faccio un passo, lui mi vede, è già fuggito
respiro la nebbia, penso a te.
No, cosa sono adesso non lo so,
sono un uomo, un uomo in cerca di se stesso.
No, cosa sono adesso non lo so,
sono solo, solo il suono del mio passo.
e intanto il sole tra la nebbia filtra già
il giorno come sempre sarà.
(Impressioni di Settembre – PFM)
musica
Le ore, sebbene lente ed inesorabili, passavano. Lasciandomi immutata nella mia posizione e nel mio dolore, o quel che ne restava. Stare in quella cella non era poi così difficile. Mi sentivo così annientata da non riuscire a provare niente. Né paura, né rabbia. La disperazione aveva lasciato presto il posto al vuoto assoluto, dentro di me. Una sospensione asettica di sensazioni, emozioni ed impulsi. Forse per auto difesa, per spirito di conservazione. Le mie speranze stavano ancora aggrappate, da qualche parte, ma fuori da me. Perchè io non riuscivo a sentire niente. Solo l'eco sordo di un cuore che mi batteva nel petto, talmente estraneo da non riconoscerlo mio. Totalmente irriconoscibile rispetto a quel battito carico di vita che mi animava in presenza di Michael. Pensai di essere impazzita, di essere ad un passo dalla schizzofrenia, di essere affetta da uno di quei disturbi che ti fanno smettere di provare emozioni. E ne fui quasi felice. Perchè se i miei sentimenti per Michael erano destinati al nulla, preferivo non provare più alcunché, per il resto della mia vita, conservando solo il ricordo di ciò che un tempo era stata la fiamma che accendeva il mio cuore.
E intanto il tempo che passava si faceva beffa di me, lasciandomi sola con i miei pensieri, sola con quel vuoto impregnato di rimpianto. La pareti della cella si stringevano su me, a tratti, lasciandomi poche molecole di ossigeno per sopravvivere, nell'attesa di un cambiamento. La testa a volte gioca brutti scherzi, e quel silenzio assordante portava con se solo il suono di qualcosa che sapevo aver spezzato, un legame che temevo aver sciolto per sempre. E la cosa peggiore era il non sapere.
Mi accorsi, in un frammento di lucidità di questa mia follia autoindotta, che stavo ripetendo all'infinito, come una nenia, come fanno i pazzi, un nome, una frase.
-Michael, ti prego perdonami!-
to be continued......