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[FAN FICTION] The ghost who fell in love with a man. Terminata: 15 capitoli. Rating: arancione

Ultimo Aggiornamento: 23/08/2010 10:00
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27/01/2010 00:19
 
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Cara Veronica, ho saputo che sei a conoscenza della mia esistenza e del fatto che, dopo che mi ha fatto morire Serena con la sua storia meravigliosa, adesso è il tuo turno...mannaggia a voi...vi adoro...stasera ho avuto le anticipazioni e sono andata subito a leggere....sappi che la tua storia è meravigliosa e mi sta aiutando tanto a distrarmi dal dolore, così come lo ha fatto Serena...un abbraccio grande [SM=x47938]
[Modificato da AntonellaP85 27/01/2010 00:41]
27/01/2010 12:02
 
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Dirty!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Ho rischiato davvero l'infarto e mi si è aggrovigliato tutto lo stomaco e in più nn capisco più un tubo...tutto questo x dirti...BELLISSIMO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! La parte finale del capitolo poi è meravigliosa, lui che gli recita la poesia e "prende ciò che è suo già da un po'", spettacolo, davvero...Brava!!!!!! Nn vedo già l'ora di leggere il seguito ;-)))). Bacio e grazie x questo sogno bellissimo.

It's all for Love...L-O-V-E - Michael Jackson




The Dancer on the Moon - our Michael Jackson Blog.

27/01/2010 15:46
 
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Aaaaaaaahhhh.....ho collassato! Sister....ma sei matta?? mi è preso un colpo.....è...è ...è meraviglioso....tutto il capitolo, dalla spiaggia a casa....al loro intimo incontro....in alcuni tratti non ho potuto trattenere due lacrimucce...e il finale...è da togliere il fiato....altro che consigli....

brava cucciola....a quando il prossimo infarto??

28/01/2010 17:02
 
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Oddio!!!!
E' stato semplicemente fantastico!Per tutto il capitolo ho trattenuto il fiato [SM=g27831]e i loro dolcissimi incontri sono veramente da infarto [SM=x47928] !!!!!!
Sei incredibilmente brava,e il tuo modo di scrivere continua a stupirmi ogni capitolo di più.
Continua per favore!!! [SM=x47918]
29/01/2010 22:41
 
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Ciao bellezze mie!!! Scusate l'attesa ma sono in fase di studio..tra poco ho l'ultimo esame, quindi sono un pò sotto pressione..peròòòòòòòòò ho qui il 9..eccolo!
Non so come ringraziarvi per i vostri commenti ed i vostri incoraggiamenti senza i quali non so se avrei mai proseguito..vi bacio tutte e spero che questa mia follia continui a piacervi.. [SM=x47981] Vi ringrazio davvero per il tempo che mi dedicate, e so che non è una cosa scontata. un bacione a tutte voi [SM=x47938]

CAPITOLO 9

NELLA TESTA DI MICHAEL
L’insonnia è un disturbo del sonno caratterizzato dall’impossibilità di addormentarsi e di dormire per un tempo ragionevole durante la notte. Può avere diverse cause e sicuramente altrettante conseguenze, non sono un medico né un’enciclopedia, ma posso dire di sapere certamente di cosa si tratta, perché ne soffro dal ’92. Ogni sera la stessa storia. Sento la stanchezza nei muscoli e nelle ossa, sento la testa pulsare sotto i crampi dell’emicrania che, come un ordigno ad orologeria, esplode irradiandosi dalla nuca alle tempie, spargendosi meticoloso come guidato dai tentacoli di un polpo. Quindi mi corico ed aspetto.
Ma loro non si chiudono e lui non arriva a prendermi.
Dal modo in cui giaccio sdraiato su un fianco e con il capo sorretto da una mano si direbbe che anche stasera sono vittima di questo disagio.
Invece no.
Stasera sono sveglio per scelta. Sono sveglio perché devo guardarla mentre dorme. Devo cogliere ogni minimo particolare di questo corpo levigato da Venere che giace supino accanto al mio.
Devo percepire il calore che emana questa pelle e devo assorbirlo sulla mia. Devo perdermi nella regolarità di questi respiri. L’ho assaggiata, l’ho odorata, mi sono perso in lei fino a percepirne l’essenza nascosta.
Ma ancora non mi basta. Quindi devo stare sveglio per averla ancora mia, finché il tempo lo concede.
Umile suddito di questo dio, non posso far altro che godere di tutto ciò che vorrà concedermi senza riserve, forse con un poco di timore, ma in modo da non avere mai più rimpianti.
Ed è questo che ti voglio promettere mio piccolo amore sconosciuto.
Non rinuncerò più a te.
Ora Michael ha deciso che è il suo turno.
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-Ti prego Mat, parliamone meglio- la mia è più una preghiera che una richiesta.
-Te l’ho detto, non c’è da discutere delle ore, io non sono pronto- il tono è secco e pungente.
-Cosa vuol dire che non sei pronto? Sei pronto a dirmi dolci parole che non senti, sei pronto ad infarcirmi la testa con le tue stronzate, sei pronto a farmi credere che stiamo per trasferirci in quel monolocale insieme per iniziare una nuova vita, la nostra, e a 30 anni non riesci a prenderti le tue responsabilità?- non è voce la mia, è solo un rantolo disperato.
-Io le mie responsabilità me le prendo eccome, ti starò vicino, ti accompagnerò io alla clinica e terrò la tua mano in ogni istante, ma non chiedermi di più, perché io non voglio un figlio, non sono pronto, non è nei miei piani e tu non hai il diritto di farmi sentire in colpa per questo- Gli avvocati parlano sempre bene, non c’è dubbio. Quando l’ho conosciuto era diverso. Siamo cresciuti praticamente insieme, alle superiori stessa scuola, stessa città, stessi amici. Ricordo i pomeriggi sulla panchina ai giardini pubblici a leggere e suonare De Andrè con la chitarra, le sere d’estate seduti sui muretti in mattoni davanti al tramonto disegnato dai tetti delle case, lui mi teneva la mano, io gli appoggiavo il capo sulla spalla ed ero felice.
Eravamo due ragazzi semplici, che si accontentavano di un pezzo di pizza mangiato in piedi fuori dal cinema, di una sigaretta rubata e di un bacio proibito, alla sera.
Mi riaccompagnava a casa e rimanevo per ore su quel divano senza nemmeno togliermi la giacca, scioccata, ubriaca, stregata, impazzita da quell’amore per quel ragazzo alto e dallo sguardo profondo, che con gli anni cambiò.
Poi il vuoto. A quelle parole il vuoto.
Forse quel ventre sempre più gonfio non era nemmeno nei miei di piani, non in quelli più imminenti almeno, ma lo sentivo crescere, e più passavano i giorni meno ero in grado di trovare un ragionevole motivo per interrompere il mio miracolo. Avevo 27 anni, un lavoro, una casa. Perché no?
Perché lui non era pronto.
Non era una motivazione sufficiente per me. Era troppo bello sentire quello che sentivo crescere dentro. Non fui mai più così felice per il resto dei miei giorni. E ringrazio ancora oggi me stessa per non avergli dato retta.
Io e il mio ventre in lievitazione partimmo verso le 5:00 di una mattina di aprile.
Sul tavolo un biglietto in cui gli auguravo ogni bene, ma soprattutto che il rimorso non lo divorasse, eventualmente, un giorno.
Alla base del mio mal de vivre credo ci sia proprio questo senso di abbandono, di rifiuto e di inadeguatezza, penultima eredità di quel ragazzo moro che mi portava sulla moto per i campi, con i capelli al vento che alla fine odoravano di benzina. Non potrò mai dimenticare.

Mentre appena sveglia cerco di elaborare queste reminiscenze di sonno ancora con gli occhi chiusi, ormai consapevole che certi incubi mi seguiranno per sempre, il fatto di essere vestita solo da un leggero lenzuolo mi riporta a quanto accaduto nella realtà.
Mi giro di scatto illudendomi di non essere sola questa volta ma, quasi senza sorpresa negli occhi, constato che nulla è cambiato in realtà, è solo passato più tempo. E come al solito ho solo sognato.
Mi alzo svogliatamente, infilo una camiciona da uomo verde scuro di cui non conosco assolutamente la provenienza e mi dirigo alla cameretta di Saty per svegliarlo e portarlo da Pedra, come farei in una delle tante giornate di lavoro della mia vita.
Arrivata in sala però mi devo ricredere su molte cose.
Seduto sul divano e vestito di una maglietta bianca con lo scollo a v da cui fa capolino una collanina in oro bianco senza ciondoli ed un paio di jeans neri, si trova un altro ragazzo moro e dallo sguardo magnetico, diverso da quello dei miei incubi perché mi sorride e tiene in braccio mio figlio con dolcezza, mentre Tom insegue Jerry nel tubo catodico.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
SANTA YNEZ, California. CASA MIA. Sep 30, 2003
Ore 20:00

-Pronto?-
-Andrea!-
-Ciao Michael. Dimmi.-
-Dove sei finita?-
-A casa..ma è successo qualcosa?-
-Perché tutte le volte che ti cerco deve per forza essere successo qualcosa?!?-
-Non lo so..magari è stato male qualc..- non mi lascia terminare la frase.
-Mi dici cosa ti sta succedendo? Perché non sei venuta al solito posto stasera?- il tono è concitato e rivela una certa inquietudine mista a rabbia.
-Ero..cioè sono molto..stanca e devo fare diverse cose a casa- abbozzo senza convinzione.
-Capisco-
Silenzio. Un minuto. Due minuti. Tre minuti. Quattro minuti.
Cinque minuti in cui ho il tempo di ricostruire mentalmente il corso degli eventi e di vedere chiaramente l’epilogo di tutta questa faccenda, da cui mi vedo uscente con il cuore sanguinante, la mente annebbiata ed il corpo tumefatto dal dolore. L’immagine non mi lascia nemmeno il tempo di respirare.
-Te lo chiedo ancora. Cosa sta succedendo Andrea?- la voce morbida e graffiata allo stesso tempo mi ricorda una sua canzone, non ricordo quale.
Dopo una lunga ed estenuante pausa che sfianca anche me rispondo con voce bassa
-Niente Michael, te l’ho detto, sono solo stanca- Trattenere le lacrime con un interlocutore così attento è una mission impossible, questo mi è chiaro fin da subito, ma ci voglio comunque provare.
Tutto inutile ovviamente.
-Bene. E’ evidente che non vuoi parlarne con me. Lo rispetto, ma avrei preferito una risposta più chiara anziché questa scusa pietosa che, scusa se te lo dico, offende sia la mia che la tua intelligenza- Sembra deluso in qualche modo.
-Michael mi sembra fuori luogo da parte tua un discorso così, quando sei sparito in passato non mi pare tu abbia lasciato molte spiegazioni dietro di te, ora perché dovrei farlo io?-
-Quindi non sei ‘solo stanca’ a quanto vedo- afferma provocatorio.
-No, è vero, e allora?-
-E allora dimmi la verità, dimmi che vuoi stare sola, dimmi che non mi vuoi sentire, che non mi vuoi tra i piedi, ma non prendermi per un idiota!- Una pioggia di spilli roventi nel petto sarebbe meno pungente di queste parole pronunciate a mezza voce, apparentemente pacate ma cariche di risentimento. E di verità.
-Voglio stare sola- esce così, pilotata da una volontà che non credevo di avere.
-Benissimo. Buonanotte-
Rimango con il ricevitore in mano per diversi interminabili minuti ad ascoltare quel suono sordo e sincopato della linea che è stata interrotta, forse nel tentativo di tenere virtualmente in vita quella conversazione disastrosa che ha appena avuto luogo. Dentro di me solo il vuoto.
Non posso sopportare di soffrire ancora, ora ne ho la piena consapevolezza. Quindi non so per quale strano gioco della logica contorta che alberga nel mio cervello ho deciso che se rovinassi tutto io, prima che lo facciano lui o gli altri o la vita stessa, ne soffrirei meno.
Perché quegli scheletri sono ancora troppo reali, perché quegli incubi sono ancora costanti, perché quella insopportabile sensazione di solitudine e di abbandono vive in me alimentandosi delle mie speranze, perché dopo quello che ho passato solo un’ingenua ci crederebbe ancora, si lascerebbe trasportare da lui.
Da quel maledetto sentimento.
LOS OLIVOS, California- NEVERLAND VALLEY RANCH. Oct 7, 2003

Le giornate sono tutte dannatamente uguali. Sveglia, colazione, portare Saty da Pedra, ringraziarla, venti minuti di strada per arrivare a Neverland, giro delle gabbie, pulizia, cibo e lavaggio, due coccole agli affezionati, pranzo, aggiornamento registri, casa, solitudine.
Ogni tanto è spontaneo l’istinto a voltarsi verso quell’albero estremamente riconoscibile per la sua mole, l’albero dei ricordi.
Da una settimana sembro aver perso ogni scopo.
Il solo momento positivo della giornata è la sera, quando mio figlio mi racconta della sua giornata. E’ così piccolo eppure sa tante cose più di me.

Mentre faccio questi pensieri lavo in silenzio il recinto di Melville senza prestare molta attenzione a quello che mi circonda nel mondo reale. Una voce alle mie spalle rompe l’incanto e mi strappa violentemente dal mio universo ovattato facendomi anche sobbalzare.
-Andrea sei pronta? Stanno arrivando!- Afferma John, il mio collega, venendo verso di me a passo spedito e con in mano alcuni attrezzi per aiutarmi a pulire il recinto.
-Chi sta arrivando?!?!- sono in preallarme
-Ma come chi? Non ti ricordi?!? Oggi è il giorno delle visite esterne! Michael ed i bambini dell’ospedale stanno arrivando a vedere gli animali! – sembra allarmato anche lui, ma dalla mia dimenticanza.
-Oddio non me ne ricordavo! Sono indietrissimo, non ce la faremo mai a fargli trovare tutto pulito!- sento la mia voce lontana e sommessa, come se fossi fuori dal mio corpo dall’agitazione.
-Facciamo quello che possiamo, non preoccuparti, ormai saranno qui a minuti!!!- cerca di rassicurarmi.
Con gli occhi fuori dalle orbite ed il cuore impazzito per l’ennesima volta, cerco di darmi una pulita anche se è tutto inutile, la canottiera nera di cotone è piena di terra, gli shorts di jeans pure, gli stivaloni di gomma alti fino al ginocchio da neri hanno subito una variazione cromatica al marrone/verde muschio.. insomma un disastro! L’unica cosa che posso fare è tirare indietro un ciuffo ribelle dei miei capelli sciolti sulle spalle con una forcina. Mi sento una schifezza e fra pochi minuti lo rivedrò, dopo più di una settimana di silenzio stampa. Che cosa pretendo in fondo? L’ultima volta l’ho trattato malissimo, l’avrò ferito.

-Ragazzi venite, questo è Melville, il mio elefante indiano- Si avvicina riparato da un ombrello nero che regge con la mano destra. Con la sinistra indica il gigante buono che, sentite le voci, non si fa pregare e si avvicina curioso e speranzoso di ricevere una nocciolina.
Il gruppetto formato da una trentina di piccoli visi e da tre accompagnatrici si allinea al di là del recinto e lancia sguardi curiosi nella nostra direzione, finchè anche il suo di sguardo si posa su di me senza cambiare espressione, ed è lì che mi sento davvero in vetrina.
-Michael, che cosa mangia un elefante? Quanto vive? Quanti anni ha lui?- una pioggia di piccole domande lo invadono, ma lui è più furbo
-Vedete quella bellissima signorina lì?- cerco di far finta di niente, dando per scontato che non si stia riferendo a me dato che nel recinto siamo in quattro, di cui tre sono donne. – sì quella con i capelli lunghi che fa finta di non aver sentito, dovete sapere che è un po’ timida- lo dice abbassando la voce con fare complice, come se stesse confessando loro un segreto di stato. –Ecco, lei è il dottore degli animali e risponderà a tutte le vostre domande!- Se fossimo soli lo picchierei.
Visibilmente imbarazzata mi avvicino alla staccionata sorridendo ed inizio a fornire spiegazioni di vario tipo, cercando di utilizzare un linguaggio il più possibile familiare. Tutti i piccoli avventori sono interessatissimi e rimangono ad ascoltarmi per una buona mezzora, finchè Melville non decide di voler giocare e con la proboscide non pensa bene di annaffiarmi completamente. Tutti ridono divertiti pensando che si sia trattato di uno sketch preparato ed io arrossisco a dismisura.
Oltre che sporca ora sono anche bagnata. Perfetto direi.
Anche lui sta ridendo ed alla sola visione di quel sorriso sento un calore nascermi alla base del ventre e risalire lungo la schiena facendo tappa allo stomaco, per poi andare a morire sulle orecchie, arroventandole. Questa è l’ennesima riprova di quanto sia grave la mia situazione con quell’uomo.
Prima di andarsene con il folto gruppo per continuare il giro mi rivolge un’occhiata severa e carica di altre emozioni che però non voglio decifrare. Lo guardo allontanarsi prima di abbassare gli occhi a terra, già gonfi di lacrime.

Ore 19:00
Non so per quanto tempo sono rimasta qui dentro. Non so nemmeno se sto piangendo o se ho smesso. So solo che non ho voglia di rientrare a casa, non ci troverei nessuno, mio figlio stasera dorme con Anita e Juan, i figli di Pedra, una volta la settimana gli lascio il permesso di dormire con gli amichetti. Ho solo voglia di starmene qua, immersa nel silenzio di questo posto incantato, con il mio amico grande e gentile che non ha mai smesso di starmi accanto, cullandomi con l’immensa proboscide color cobalto.
E’ come se fossi seduta su uno spicchio di luna.
E non so perché né come, ma accarezzando la sua pelle ruvida e fredda mi viene voglia di parlare con lui.
Anche se non può capire le mie parole potrà sentire i sussulti del mio cuore dolente; e questo mi basta mentre gli dico – sai, per quanto cerchi di evitarlo sono piena di lui, in ogni angolo del mio corpo.
Sento la sua voce, il suo calore, la sua sofferenza, la sua energia. Ed ho così paura Melville, ho così paura di quello che stiamo facendo, ho paura che non sia giusto, ho paura di soffrire di nuovo.
Sono sempre stata convinta del fatto che sia possibile amare fino alla pazzia solo una volta nella vita, perché solo una volta sarà possibile sopportare la sofferenza che quell’amore finito causerà.
Tutte le altre volte si amerà, ma in modo differente. Si amerà in modo profondo, si amerà incondizionatamente, si amerà con passione, con rispetto, con forza…ma mai, mai sarà come quella cosa che chiamare amore è riduttivo, perché è di più, è più forte, è dolore.
Ed il cuore non potrà mai più sopportare una tale pesantezza. E’ autoconservazione.
Ed io il cuore così gonfio non ce l’ho mai avuto. Perché lui mi completa, esterna con le parole i miei pensieri più nascosti, comprende con uno sguardo il mio stato d’animo, comunica con il mio silenzio. L’unione delle nostre anime è onnipresente e spaventosa, e per quanto cerchi di sottrarmi all’infinito non riesco a sradicare questa piccola immensità che mi conduce alla pazzia, non riesco a curare questo tumore del mio cuore. Ne morirò credo-
-Ne morirò anch’io allora..- Ovviamente l’elefante non può aver parlato. Quindi mi volto lentamente cercando di liberarmi dalla calda stretta di colui che mi ha ascoltato per tutto il tempo, per inquadrare l’altro interlocutore segreto. Rimango basita e senza la forza necessaria per fare una qualunque azione.
In piedi dietro a Melville c’è lui. Nell’oscurità brilla una camicia chiara e brillano i suoi occhi incollati ai miei.
-..perchè le cose che hai descritto io non le ho mai provate. Fino ad ora. E te l’ho detto, è così, ci sono dentro. Non riesco a concentrarmi su niente Andrea, ho la testa tutta impegnata da te-
-Perché?- non so il motivo della mia domanda, so solo che la mia bocca pronuncia questa parola. Il mio viso solcato da calde lacrime frequenti pensa ad individuarne uno simile per trovare un po’ di conforto, e lo trova, irrimediabilmente uguale, solcato da lacrime opposte, di fronte.
-Lo sai perché- la voce gli trema e non ha il coraggio di avere più coraggio di me.
Senza altre parole inutili, ormai schiavi ed affetti dalla più grave delle malattie ci avviciniamo compiendo un paio di passi ciascuno nella direzione dell’altro. Mi prende le mani e le porta alla bocca dove mi posa delicatamente alcuni baci sui palmi e sui dorsi.
Il violento fremito che mi attraversa mi da il coraggio necessario per prendergli il viso e baciarlo piano, mentre lui allaccia le mani dietro alla mia schiena, intensificando la stretta progressivamente. Lo sento tremare e l’istinto è quello di stringerlo di più, come a voler riscaldare un corpo dal gelo. Ma non è quello il motivo per cui trema, e lo sento dal contatto intenso che stabilisce con il suo corpo contro al mio.
Mentre mi stringe così forte riesco a percepire ogni battito del suo cuore e anche a constatare che è sincrono con i miei, sento una morsa in gola che mi impedisce di inspirare l’aria nei polmoni ed è dolorosa, esattamente come la stavo descrivendo prima a Melville. Dopo il contatto breve ed intenso delle nostre labbra, all’interno delle quali hanno luogo svariate danze che descrivono i percorsi tortuosi delle nostre lingue, sento di dover interrompere quest’iniezione di eroina pura prima che il desiderio diventi insopportabile, insieme alla dipendenza.
-Michael…fermati- cerco di articolare mentre lui non ha intenzione di eseguire le mie preghiere e continua in vorticose carezze lungo i fianchi e la schiena corredate da impietosi baci lungo la linea del collo.
-P..per favore…Michael..ferm..-
-Perché?- La voce è bassa e roca, sembra solo un rantolo nel mio orecchio sinistro
-Perché devo andare a casa, devo farmi una doccia..e poi qui è pericoloso, potrebbero vederci..- dico non senza fatica, pentendomi amaramente per aver interrotto la mia ora d’aria settimanale.
-Resta con me stanotte- dice ancora impegnato a torturarmi i lobi.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Mi conduce per mano lungo un sentiero che assomiglia a quello che avevamo percorso la notte che siamo fuggiti dalle guardie, anche se al buio tutto può essere. Camminiamo velocemente lungo le vie della notte e stavolta non arriviamo ad alcuno spiazzo illuminato, anzi, è ancora buio pesto ed io ho perso il senso dell’orientamento da un pezzo. Arriviamo ad una costruzione non troppo grande, estrae una chiave dalla tasca, la inserisce nella toppa ed apre. Sull’uscio scatta una lucina gialla che illumina l’ingresso dolcemente. Un piccolo corridoio conduce ad un’unica stanza rettangolare il cui arredamento è costituito da una scrivania su cui è poggiato un portatile nero, una lampada, una sedia, un divano rosso di velluto. Il pavimento è rivestito da parquet chiaro, alle pareti un unico quadro raffigurante un veliero. La finestra socchiusa e i cuscini del divano schiacciati suggeriscono una presenza in quello spazio ben precedente al nostro arrivo. E’ tutto così strano.
-Vieni, accomodati- il tono è caldo e rassicurante, mi fa anche un sorriso limpido dei suoi.
Mi siedo sulla scrivania anche se non posso fare a meno di sentire un pò di imabarazzo.
-Dove siamo?-
-In uno dei miei nascondigli- uno sguardo furbo. Si morde il labbro inferiore.
-Nascondigli?- Una persona con una casa così grande ha bisogno di un nascondiglio esterno?! Non posso fare a meno di trovarlo strano.
-Si, mi piace isolarmi dal resto ogni tanto. Qui ho tutto quello di cui necessito. Mi aiuta a pensare-
-Ci vieni spesso?-
-Sono stato qui quasi ogni sera da quando..da quando abbiamo parlato al telefono l’ultima volta-
-Non abbiamo parlato Mike. Abbiamo litigato-
-E’ stato uno scambio di opinioni- cerca sempre di vedere le cose dal lato buono. Non so se la cosa mi piaccia o se mi faccia innervosire. Forse tutte e due.
-Michael io..- cerco di dare un senso al turbinio di pensieri che mi hanno animata per tutti questi giorni.
-Shh- mi posa delicatamente l’indice sulle labbra.
-Avremo tempo per parlare di questo, amore- sussurra piano mentre mi domando se ho sentito bene. La mia perplessità traspare anche sul volto perché lo vedo sorridere e aggiungere
-Non averne paura, è la cosa più bella che ci sia al mondo- non so davvero come faccia ma legge i miei pensieri meglio di quanto potrei mai fare io.
-Tu non hai paura?- chiedo senza voce
-Si, ne sono rimasto terrorizzato subito, appena l’ho capito. Poi però stasera ti ho sentito dire quelle cose a Melville, e tutto è sembrato così chiaro, così limpido. E’ un mistero da cui non voglio scappare-
Dice così prendendomi i fianchi ed avvicinandosi a me, che lo accolgo delicatamente fra le mie gambe divaricate.
-Ed ora vorrei che sentissi quello che provo per te- annuncia lapidario in un soffio.
Mi bacia, lo bacio. Si tratta di qualcosa di veloce, è solo un preludio, perché si deve concentrare sul collo, sulle spalle, sulle braccia, sulle mani, in una tempesta di piccoli baci regolari, intensi ed equidistanti che funge da battistrada alle mani che percorrono appena dopo gli stessi percorsi.
Il pavimento sotto di noi riceve la compagnia di una canottiera seguita a ruota da una camicia azzurrina a cui si aggiungono una maglietta bianca, una forcina per capelli, un paio di jeans scuri lunghi accompagnati dai loro omologhi più corti. Le mani si incontrano ed esplorano con perizia i punti più nascosti senza che mai avvenga la separazione delle labbra fuse; si insinuano fra i capelli, accarezzano la schiena, i fianchi, ed infine eliminano i pochi strati che impediscono la fusione dei nostri corpi che si incontrano mentre sono ancora seduta sulla scrivania. Lui ora ha il potere e lo usa danzando davanti a me con movimenti decisi e delicati, che divengono poi più veloci e profondi. L'immenso piacere mi fa piegare la testa all'indietro, mentre la sua mano mi attraversa i capelli, di nuovo. Ci sdraiamo sul pavimento, colti da un’esigenza urgente quanto dolorosa di incontrarci e di intrecciarci, perché quello sembra essere il nostro unico scopo, quello per cui siamo stati concepiti, costruiti.
Il ritmo della passione ci tiene uniti in una danza lenta, in cui mi ritrovo in un momento ad essere artefice della sua agonia che si esprime in gemiti e parole soffocate nel respiro, ed in mani che cercano il mio corpo poco più sopra, accarezzandolo con passione e rispetto in ogni suo punto e spostando i capelli che scendono a formare una tenda naturale sui nostri volti; nel momento successivo sono invece vittima della sua volontà di ribaltare la situazione, che si esprime in decise onde sul mio bacino, lente, ritmiche ed inesorabili ogni secondo che passa di più.
Sento solo i cuori battere all’unisono, completamente sincronizzati, pronti ad aumentare la velocità dei battiti non appena sarà necessario, non appena saremo insieme anche nella dimensione parallela a questa.
E ci arriviamo, senza fretta né esitazioni, ci arriviamo mentre lui chiude gli occhi strizzandoli e dicendo il mio nome con le labbra umide e dischiuse e mentre io, accecata dall’ineffabile, non riesco a soffocarmi e mi lascio andare in un sospiro lungo e rumoroso sotto di lui.
Quello che si sente dopo è il lungo tremore generalizzato dei nostri corpi ansimanti, che si chiudono l’uno sull’altro per proteggersi da questa insostenibile pazzia.
Nel lungo momento che segue mi perdo nell’oscurità brillante dei suoi occhi, e mi rendo conto che tutto quello che ho provato prima non sarà mai nemmeno lontanamente paragonabile a quello che sento ora.
Allora lo bacio ancora mentre mi stringe forte su questo pavimento, e firmo definitivamente l’armistizio con i sentimenti a cui per diversi anni non avevo più permesso l’accesso dentro di me. Ora sono liberi di passare e scorrono fluidi come sangue viscoso nel letto di un fiume che arriva alla foce mantenendo intatta tutta la veemenza acquisita nei punti in cui le pareti erano più strette, in un getto potente ed infinito che esplode in tutto il suo vigore nell’atrio, poi nel ventricolo di questo cuore tornato vivo, tornato a battere.

[Modificato da (dirtydiana85) 29/01/2010 22:55]
29/01/2010 23:27
 
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ogni volta che leggo un nuovo capitolo della tua storia mi emoziono!!!
è davvero meravigliosa!!!e anche questo nuovo capitolo ha fatto la sua figura!!!!!!bellissimo!!!!
30/01/2010 01:07
 
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Oddio Veronica...Hai mai pensato di scrivere un romanzo?Davvero,sei bravissima.Non riesco ad esprimere cosa mi ha suscitato questo capitolo...Emozione allo stato puro.Complimenti,sei molto in gamba.
Ti faccio un grandissimo in bocca al lupo per l'esame!!
Bacioni
Anto
30/01/2010 14:00
 
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Bravissima ancora!
Sono tutti così dolci i tuoi capitoli...prosegue bene.
Complimenti(anche se mi ripeto spesso,ma è vero!)e buona fortuna per l'esame [SM=x47938]
30/01/2010 21:51
 
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a quando il prossimo, bellissimo, nuovo capitolo?? [SM=x47918]

30/01/2010 23:17
 
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dirty, avevo letto precedentemente solo il primo capitolo, ma poi non avevo piu continuato...ora sono ricapitata in questo topic e ho letto TUTTO e tutto d'un fiato, complimenti davvero...è spettacolare, sei bravissima, davvero! non avedo l'ora i leggere il seguito! =)=)


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