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[FAN FICTION] The ghost who fell in love with a man. Terminata: 15 capitoli. Rating: arancione

Ultimo Aggiornamento: 23/08/2010 10:00
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24/01/2010 21:54
 
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bellissimo!quante emozioni che mi dà questa storia!
già non vedo l'ora di leggere il prossimo!!!
tantissimi auguri!!!
mi dispiace che non hai passato una bella giornata,specialmente in un giorno come il tuo compleanno!spero ti rifarai!!!!!
un bacio!!!!!
25/01/2010 00:04
 
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Grazie di cuore per questo splendido capitolo postato anche se oggi è il tuo compleanno..Avremmo dovuto noi farti un regalo invece è stato il contrario.Mi spiace non sia stata un'ottima giornata per te,spero ti rifarai.
Un [SM=g27838]
Antonietta
25/01/2010 14:23
 
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Oh mamma santa sono senza parole.... [SM=x47918]
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Sister......sono di nuovo senza parole.....sei troppo brava......e questa storia mi prende ogni riga di più...grazie! Continua così...

OT..Ps. (scusa se poi ieri nn ho piu' scritto ma ero stanchissima..)

25/01/2010 21:23
 
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dirty, così non si fa [SM=x47982]
cosa ti ho fatto di male??
perchè mi vuoi far morire in questo modo???!!!! [SM=x47926] [SM=x47946]

25/01/2010 22:02
 
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oddio dirty bellissimo!!! 6 bravissima!!! [SM=x47938] [SM=x47938]

If you wanna make the world a better place take a look in yourself than make a change~Michael Jackson

'Cause nothin' lasts forever and we both know hearts can change and it's hard to hold a candle in the cold November rain~Guns n' Roses

Remember yesterday walking hand in hand love letters in the sand I remember you~Skid Row

I'm just the pieces of the man I used to be,too many bitter tears are raining down on me~Queen

And I will love you, baby Always and I'll be there forever and a day always~Bon Jovi

Come as you are,as you were,as I want you to be as a friend,as a friend,as an old enemy~Nirvana

Rock ’n’ roll ain’t noise pollution Rock ’n’ roll ain’t gonna die~ACϟDC

There's a lady who's sure all that glitters is gold and she's buying a stairway to heaven~Led Zeppelin
26/01/2010 20:37
 
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Ancora una volta non so come ringraziarvi...senza di voi non avrei mai proseguito ragazze mie.
Quindi..insieme ad un grosso bacio vi invio il nuovo capitolo, spero vi piaccia.. [SM=x47975] bacione [SM=x47938]

CAPITOLO 8

MALIBU, California -PARADISE COVE- Sep 19, 2003
Ore 15:00

In una borsa di stoffa colorata ho messo tutto il necessario per un caldo pomeriggio in spiaggia: asciugamani, crema solare, un bel libro ed ovviamente gli immancabili attrezzi da lavoro del mio Saty che, appena messo il piede sulla sabbia, non esita a mettersi all’opera nella costruzione di un’ambiziosissima fortezza con tanto di diga.
Grace arriva una decina di minuti dopo di me accompagnata da due mastodontici ‘turisti’ in camicia di lino che si posizionano sotto ad un ombrellone a pochi metri da noi. Uno di loro abbassa le lenti scure e mi permette di scorgere lo stesso viso severo e nel contempo comprensivo che risponde al nome di Wayne. Mi lancia un’occhiata di traverso ed inarca di poco i margini della bocca credo nell’intento di sorridere.
Ci sono due bimbi muniti di cappello con la visiera bassa sugli occhi che appena ci vedono ci corrono incontro, credo molto interessati al progetto architettonico di mio figlio, ed è incredibile vedere quanto per loro tutto sia semplice e naturale: si liberano dai pochi vestiti e senza troppi convenevoli si mettono subito all’opera seguendo le direttive del capo cantiere di alcuni anni più piccolo. In braccio a Grace c’è un fagotto avvolto da un telo bianco. Credo sia il piccolo Blanket che, avendo un anno al massimo, necessita di qualche attenzione in più prima di mettersi all’opera con gli altri tre.
I due grandi occhi scuri e profondi mi ricordano quelli di suo padre, hanno la stessa luce.
Mi sono persa varie volte in quell’abisso oscuro, per la precisione quasi ogni sera. Ho ancora la percezione della brezza sottile che arrivava puntuale alla sera, quando dopo aver lavorato senza sosta mi arrampicavo su quella quercia e mi lasciavo cullare dalle dolci attenzioni del suo unico abitante che mi attendeva lì, su quel ramo, sotto alla luna, quando c’era.
I ricordi vanno e vengono, dipende dallo stato d’animo e dal grado di attenzione, ma sono le sensazioni a lasciare una traccia indelebile, quasi sempre. Ed io ho ancora il suo profumo addosso, profumo di baci strappati all’oscurità, di carezze e sospiri soffocati in sussurri, di dolci lamenti sfuggiti al piacere che, troppo ingente e copioso, metteva a repentaglio l’autocontrollo, nelle sue varie modalità.
Riesco ancora a sentire il battito di quel cuore in fiamme che faceva sussultare impietoso anche il mio, che, sfiancato e ridotto ad un elemento ormai inutile perché svuotato dal troppo dare, giaceva esausto alla base del petto in un rantolo affannoso e soffocato da qualche periodico ed isolato spasmo. Ho ancora nelle orecchie la sua voce calda, che dopo ogni momento di voluttà rubato agli dei mi sfiorava, e i discorsi, e le confessioni, ed i confronti, e gli infiniti silenzi.
Ma non si può sfuggire a Cronos e a tutti gli altri dei in eterno.
Non si può sfuggire alla realtà. O forse non si riesce ad accettare che anche una cosa bella possa farne parte. E allora meglio fuggire.
Così una sera di dieci giorni fa sull’albero non ho trovato nessuno.
Non ho nemmeno aspettato, perché un’assenza non annunciata o giustificata non lascia mai spazio all’illusione, almeno per me. E poi dopo aver sofferto tanto negli anni mi è rimasta la consapevolezza del fatto che una cosa tanto più è bella, tanto più è breve.
E breve era destinato ad essere qualunque momento che fosse possibile denominare come ‘nostro’. Evidentemente.
Non l’ho più rivisto nemmeno in giro per il Ranch nei giorni successivi, ma devo essere sincera, non l’ho mai cercato, né ho chiesto sue notizie a chicchessia sentendomi inopportuna.
Non ho nemmeno il suo numero. Forse ho sognato.
Vorrei essere davvero così razionale come i pensieri che faccio, e vorrei davvero che la mia fermezza e pace della coscienza fossero reali. Ma non lo sono. Perché mi manca da impazzire.
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-Mamma mamma vieni subito a vedere!- La vocina squillante di Saty mi riporta sul pianeta terra, destandomi dalle congetture infinite che il mio cervello martoriato produce ad intervalli regolari nel tentativo di dare una ragionevole spiegazione alla mia agonia perpetua.
-Avete fatto un ottimo lavoro ragazzi! Grace, vieni a vedere!- Il castello che hanno costruito in queste tre ore è davvero magnifico, ci sono perfino il fossato ed il ponte levatoio, devo dire che mi hanno davvero stupita.
Anche Grace apprezza molto, e per l’occasione si avvicinano anche Wayne e compare che, evidentemente, al contrario di quanto vogliono far credere, sono di indole tutt’altro che rude, ed hanno stretto con i bimbi un rapporto di tenera complicità.
L’insolito quadretto è disturbato da un’onda che ci travolge impetuosamente –si sta alzando la marea forse-
andando fra l’altro a demolire parte delle mura della fortezza di sabbia; a questo punto l’armonia del tramonto viene del tutto eclissata da pianti ed urla di dolore dei tre poveri ingegneri (più un mini-ingegnere che poco ha contribuito in realtà, ma che urla più forte degli altri in un gesto di sana solidarietà) che vedono rovinato il prodotto di tante ore di impegno. Io e Grace ci affrettiamo a rimediare al danno, anche se nulla è più come prima. Dopo una buona mezzora riusciamo a dissuadere le piccole aquile con gelati e promesse di vario tipo, quando, resami conto di essere piena di sabbia incrostata ovunque, decido di sciacquarmi almeno le mani per poi completare l’opera sotto una doccia, una volta arrivata a casa.
Mi dirigo al bagnasciuga facendo varie considerazioni sull’immensità del Pacifico, che non avevo mai visto, ma anche sulla sua freddezza ed imprevedibilità. Immergo le mani nelle acque che vanno via via scurendosi col calare del sole, mentre in lontananza il tramonto irradia un rosso fuoco dalla linea dell’orizzonte fino a qui. Sembra inghiottirmi. O forse è questo senso di tristezza, non lo so.
Una folata di vento violenta ed improvvisa increspa le onde, fa oscillare gli ombrelloni, solleva la sabbia, e scioglie il nodo del pareo che porto annodato sul petto, unica sottile copertura del bikini nero che indosso.
Lo vedo librare nell’aria poco sopra la mia testa, quindi spicco qualche piccolo balzo con agilità opinabile, e quando l’ho quasi raggiunto questo si innalza di più, ed ora, aquilone improvvisato, si dirige verso il mare più alto. Fra le risate generali (Wayne si tiene letteralmente i fianchi) mi avvio in un tuffo di cui non avevo voglia nell’acqua gelida per andare a recuperare il maltolto; ne esco fradicia ma vittoriosa, sollevata perlomeno per aver fatto ridere i bambini (anche quelli alti due metri).
Mi strizzo i capelli dove le onde non possono più raggiungermi, e mentre Grace mi porge un asciugamano asciutto noto qualcosa di veramente inquietante.
Seduto sotto a quello che era stato il nostro ombrellone c’è un individuo che non ho mai visto né fra gli assistenti, né fra le bodyguards. Indossa pantaloni di lino bianchi e larghi, una camicia hawaiana a fiori di pessimo gusto ed occhiali scuri. Il volto non mi è noto, ha una folta barba nera e capelli nascosti da un berretto da baseball, ma la cosa che lo fa apparire inquietante è l’enorme reflex che porta al collo. Con quell’obiettivo potrebbe fare le radiografie al posto delle foto!
Non so da quanto tempo è lì ad osservarci, ma di sicuro devo fare qualcosa, non può restare lì.
Allarmata da quello che potrebbe succedere, soprattutto considerando che i tre piccoli Jackson sono a volto scoperto, mi dirigo con fare poco amichevole verso la sua postazione, superando con un balzo Grace e tutti i presenti.
Prima che chiunque possa dire o fare qualsiasi cosa per fermarmi sono a due metri da lui e con tono concitato inquisisco –Mi scusi, lei chi è? Cosa ci fa qui? Questo è il nostro ombrellone e lei non ha il permesso di sedersi!-
Sento dei passi veloci alle mie spalle –No, Andrea, fermati, non…- Grace sembra agitata e non credo di capire. Intanto lo sconosciuto presunto paparazzo si alza dalla sedia sdraio senza fiatare e mi si para davanti. Una mano mi afferra il braccio da dietro e una voce sottile mi sussurra all’orecchio
-Andrea non urlare, ti prego, è tutto a posto, non è uno sconosciuto..-
Altre voci si aggiungono –Grace prendi i bambini, dobbiamo andare, veloce!- E’ Wayne e sembra piuttosto arrabbiato. Solo ora realizzo.
Le mie intimazioni ad alta voce hanno attirato l’attenzione di alcuni passanti che ora insieme ai miei occhi sbigottiti stanno osservando Mr Jackson travestito da reporter in vacanza che prende frettolosamente in braccio il più piccolo dei suoi figli, e seguito dal suo staff si precipita in un suv nero che parte sgommando.
Devo dire che con le figuracce ho fatto l’en-plein, solo che stavolta ho anche messo in pericolo i bambini.
La colpa però non grava solamente su di me, poiché se mi avessero avvertita delle ‘abitudini’ del capo non mi sarei nemmeno scomposta più di tanto. Se n’è andato anche il sole che non ha potuto asciugare il mio costume ancora umido né i miei capelli.
Nella fretta di andarsene hanno portato con loro Satya, non che non me ne fossi accorta, ma ho preferito non interferire con l’operazione di sgombero richiamandolo a me e incontrando magari il suo disappunto nel doversi separare dalle manine di Prince e Paris con le quali prendeva parte ad una piccola catena.
Non mi sembrava il momento più opportuno per fare la madre possessiva.
La seccatura è che ora dovrò andare a riprenderlo, e sinceramente me lo sarei risparmiato volentieri, data la situazione. Mi infilo il miniabito nero che portavo sopra al costume quando sono arrivata, le infradito dello stesso colore e raccolgo i giochi e le mie cose. Sulla sabbia ci sono vari oggetti che non mi appartengono, mentre nella borsa ne mancano altrettanti che invece mi appartenevano, come ad esempio il mio adorato libro di poesie.
E’ evidente che a Neverland dovranno avvenire una serie di restituzioni.
Spero solo di non incontrarlo.
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LOS OLIVOS, California- NEVERLAND VALLEY RANCH. Sep 19, 2003
Ore 20:00

Devo essere veloce. Non voglio incontrarlo. Non voglio spiegazioni. Non voglio discorsi.
A nulla servirebbero, a nulla.
Ho avuto più avvertimenti, più occasioni per capire che nella mia situazione non c’è spazio per questo genere di cose, ho avuto il tempo per far funzionare il cervello e capire che il motivo che mi ha portata qui è il lauto stipendio che mi consente di garantire a Saty la vita che merita e a me le giuste gratificazioni dopo anni di sacrifici. Non ho ancora ben capito che cosa mi abbia fatto credere di poter seguire l’istinto, il cuore, la passione senza alcun tipo di conseguenze, che cosa mi abbia indotto a pensare che con me sarebbe stato diverso da una semplice distrazione, in fondo me l’ha detto anche lui che sono la sua ‘fuga dalla realtà’. Proprio non l’ho capito e non lo voglio nemmeno sapere ora che sono davanti a questa porta. Non sono arrabbiata se non con me stessa per essere stata così superficiale nei confronti della mia vita. Non lo devo incontrare. Non lo devo più incontrare.

NELLA TESTA DI MICHAEL
Ormai è tempo che mi sono rassegnato all’idea di essere solo.
Così come è tempo che ho lasciato la mia volontà nelle mani degli altri, in modo che potessero prendere decisioni sugli affari al posto mio. Quasi tutte, almeno.
Poi anche sulla mia vita. Perché anche la mia vita è affare altrui, da sempre.
Ho sognato di averla mia un numero illimitato di volte, e per un breve tempo ci sono anche riuscito. Ma lo sappiamo tutti e due, ormai siamo adulti, che non si può vivere nel buio, che l’amore non è qualcosa che si possa relegare al ramo di un albero ad un orario stabilito.
E’ un omicidio e io non voglio perseverare in questa colpa perché è tale, cercare di mettere dei confini a qualcosa che per definizione non ne deve avere.
Nascondermi come un ladro nella mia stessa proprietà.
Si, perché non è stata una parentesi, non è stata un’avventura, non è qualcosa che finisce quando ci separiamo quello che provo, il modo in cui mi fa sentire quella piccola creatura strana dai lineamenti fini, dall’accento straniero, dai capelli di seta.
Non posso permettermi di essere così vulnerabile, lo sono già in tutto il resto, non posso.
Ancora una volta mi sono comportato da egoista lasciandola sola, ciò che non avrei mai voluto. Ma sono solo un ipocrita a pensarlo ora che l’ho fatto.
Oggi non ho resistito e tornato da Los Angeles le ho raggiunte al mare. Mi mancava l’aria.
Era sul bagnasciuga e le è volato via il pareo deliziandomi di quelle forme così rotonde e perfette.
La sogno di notte. Ma anche di giorno. E’ un’ossessione. Dolce come miele caldo.
E’ così buffa in tutto quello che fa. Mi ha scambiato per un paparazzo e mi ha inveito contro per proteggere i miei bambini. Ma quando ma la sono trovata davanti non mi è uscita la voce.
Io sono Michael Jackson, io sono colui che ha ballato, parlato, cantato davanti a milioni e milioni di persone e la voce mi è sempre uscita, è sempre stata la mia forza. Cosa può aver fatto una così piccola creatura strana per farmi mancare il fiato in questo modo. Mi spaventa terribilmente. Cosa mi sta succedendo?
Lo immagino cosa mi sta succedendo. E non voglio. A 45 anni ho un baule pieno di insuccessi nella vita privata. Michael non ci sa fare come Michael Jackson.
E così, in mezzo a tutto il casino che sto attraversando, fra il singolo che non esce, Mottola e la sua meschinità, Barnstein con il fiato sul collo e il contro-documentario in uscita a breve, non ho ancora trovato il modo di dirle che non posso permettermi questo. Non posso permettermi niente.
Non posso concedermi questi sogni. Non posso fuggire dalla realtà.
Ma nello stesso tempo non ce la faccio.
Oggi non dovevo vederla.
Sarebbe stato tutto più facile.
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Una signora dalla carnagione olivastra mi fa entrare ed accomodare nel grande atrio interamente rivestito da pannelli in legno chiaro senza troppe cerimonie.
E’ un ambiente molto differente da quello della festa che, probabilmente, si è svolta in una delle tante dependance che circondano la villa principale.
Sono sicura di trovarmi nella magione principale perché guardandomi intorno lo ritrovo in ogni cosa.
Lui è il soggetto di tutti i quadri stile rinascimentale ad ambiente bucolico, lui appare in numerose gigantografie, nelle foto di famiglia, negli oggetti stravaganti sui mobili, nell’arredamento raffinato ma classico, semplice, lui nel grande pianoforte a coda che si intravede nel grande salone centrale, lui nel caminetto spento.
Rimango persa nelle mie osservazioni fin quando una voce proveniente dalle mie spalle mi fa quasi trasalire.
-Ciao Andrea, vieni, i bimbi sono di qua, stanno guardando i cartoni-
E’ diverso da prima. Si è liberato da quei vestiti eccessivamente variopinti per il suo trend ed indossa una semplice camicia verde scuro con dei pantaloni neri larghi. Immancabili a questo punto i mocassini.
Mi fissa interrogativo, non sa come muoversi ed è in attesa di una mia reazione.
Ovviamente tutti i miei auspici a non incontrarlo sono stati vani ed all’inquietudine che da ciò deriva vanno ad aggiungersi agitazione ed emozione, dato il tempo che non ci vediamo.
Con un cenno del capo annuisco –non riesco a fare di più- mi accingo a seguirlo mentre mi fa strada lungo un corridoio che si apre in una stanza dotata di ogni attrezzo sia possibile immaginare come funzionale alla visione di film o all’ascolto di musica. Su un grande divano bianco a ‘elle’ stanno tutti e quattro i bimbi, imbambolati davanti ai Looney Tunes.
Satya come si può immaginare è il più preso di tutti, tanto che nemmeno si accorge del mio arrivo.
-Te l’avevo detto che avrebbe apprezzato la mia collezione- lo sento abbozzare dall’altra parte dell’immenso stanzone, cercando evidentemente di rompere il ghiaccio con un sorriso dei suoi.
-Già- è la mia risposta telegrafica, corredata da una faccia neutra, abilissima a celare il battito di un cuore che mi sta per esplodere nel petto.
-Puoi venire un attimo?- è la domanda che mai avrei voluto sentire.
-In realtà dovremmo andare, Saty deve cenare ed abbiamo disturbato abbastanza- annaspo senza guardarlo negli occhi.
-I bambini hanno già mangiato tutti- rivela avvicinandosi quel tanto che basta a prendermi delicatamente la mano per condurmi nella cucina adiacente. Nessuno sembra aver fatto caso alla nostra presenza.
-Andrea io..- cerca di iniziare la frase ma ormai satura e decisa a porre fine a questo enorme malinteso lo blocco all’istante.
-No Michael..senti, non credo ci sia molto da dire, non desidero avere motivazioni, spiegazioni, scuse o quant’altro, non ce n’è bisogno, davvero- spero di essere abbastanza lapidaria.
-Per favore, ti chiedo di lasciarmi parlare, non sai ancora cosa voglio dirti..- riprova ma io sono decisa.
-Davvero, ti prego, poniamo fine a questo..non so nemmeno come chiamarlo, so solo che deve finire-
-Perché deve finire?- negli occhi un velo di malinconia.
-Perché io non voglio niente. Non ho nessun ruolo da rivendicare, non c’è nessun motivo per cui dopo due settimane che non ci vediamo devi sentirti in dovere di portarmi nella tua cucina per darmi spiegazioni sulla tua vita. Io so benissimo chi sei. Non mi è mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello che uno come te potesse davvero essere interessato ad una come me. Complice forse la naturale disillusione che le vicissitudini della vita mi hanno portato ad avere nel cuore, non so, ma non ho mai creduto che i nostri due mondi potessero intersecarsi davvero, non ho mai creduto che i momenti che abbiamo passato insieme potessero scendere da quell’albero. Mai. Ho creduto e credo tutt’ora, che tu abbia voluto trascorrere qualche momento di spensieratezza, di fuga dalla realtà, come tu stesso l’hai definita, e che io in quel momento mi trovavo nel posto giusto al momento giusto. Sei un uomo molto attraente e desiderabile, di cose come questa te ne saranno capitate molte altre. Tu hai la tua vita, la tua musica, i tuoi figli. Davvero, credimi, io ti capisco, lo so che non puoi dare più di così e non ti giudico, né te ne faccio una colpa. E’ così e basta- Non so come ci sono riuscita ma l’ho detto davvero.
Mi osserva con occhi stupiti e spenti allo stesso momento. Sono lucidi.
-Hai detto una cosa terribilmente vera ed un’altra altrettanto terribilmente falsa, ma così falsa che mi fa male- mi comunica con un filo di voce e gli occhi che stanno per annegare sotto uno spesso strato umido.
Il peso di un enorme mattone di cemento sullo stomaco non mi consente di proferire parola.
-La cosa vera è che non posso dare più di così- A questo punto una lacrima gli solca impietosa una guancia ed io sento il cuore sbriciolarsi dentro al petto, in una dolorosissima implosione.
Mi avvicino piano e con il dorso della mano afferro quella goccia calda e gli poso una lunga lenta carezza sulla guancia. Quel contatto mi fa trasalire, ancora una volta. Con una mano blocca la mia e la porta alla bocca, dove mi posa piccoli e silenziosi baci sul dorso e sul palmo in uno spasmo incontrollato e ad occhi chiusi. Chiudo gli occhi anch’io e quello che sento in fondo al cuore è dolore puro.
-Ora dobbiamo andare. Ciao Mike e grazie di tutto- Sussurro a mezza voce, sopraffatta dal magone.
Prendo Satya in braccio e sparisco velocemente dietro alla porta, da dove lui mi sta ancora fissando con lo sguardo carico di dolore e tenerezza.
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SANTA YNEZ, California. CASA MIA. Sep 19, 2003
Ore 22:00

Ho appena messo a letto il mio piccolo ometto, dopo avergli fatto un bel bagnetto per ripulirlo un po’ dalla sabbia di oggi. Mi ha raccontato che a Neverland si è divertito tantissimo oggi pomeriggio, dice che Michael (lo chiama così) li ha portati tutti sull’otto volante, poi sulla ruota panoramica e poi ancora sulle molle.
Poi hanno cenato tutti insieme con pollo e patatine fritte davanti alla tele, gli scoppiano gli occhi di gioia mentre lo dice, e mi racconta di quanto gli sia piaciuto giocare con Prince alle costruzioni..
Lo guardo così felice e trattengo a fatica le lacrime, gli accarezzo il capo e non ho il coraggio di dirgli che non potrà più passare giornate come quelle, perché la sua mamma è una grandissima stupida.

Ancora vestita del mio costume nero, con la pelle ancora salata ed i capelli asciugati naturalmente che formano lievi onde ribelli, mi sdraio sul divano ed accendo la tv. Mangio una pesca e poi opterò per qualcos’altro dato che non ho ancora cenato.
Sto per avventurarmi nella visione di un bel filmone strappalacrime che è proprio quello che mi ci vuole in una situazione simile, quando sento suonare alla porta.
Un po’ allarmata mi dirigo allo spioncino per vedere di chi si possa trattare vista l’ora, ma tutto quello che mi viene concesso è un individuo con un impermeabile blu notte totalmente allacciato e con il bavero rialzato a nascondere buona parte della faccia, sormontato da sciarpa e cappello neri.
Lo riconosco dall’occhiale da sole a goccia. Impossibile sbagliare.
Apro immediatamente ancora con la bocca aperta e gli faccio cenno di entrare.
-E’ successo qualcosa Michael? Che ci fai qui a quest’ora?- chiedo preoccupata

Lo osservo mentre si libera da tutti quegli strati di tessuto, finché, rimasto finalmente in camicia, si accinge a parlare, e,dopo aver estratto dalla tasca il mio libricino di poesie che pensavo di aver perso, recita tutto d’un fiato, senza posare lo sguardo al testo.

- I ragazzi che si amano
I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è la loro ombra soltanto
Che trema nella notte
Stimolando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Essi sono altrove molto più lontano della notte
Molto più in alto del giorno
Nell'abbagliante splendore del loro primo amore
(Jaques Prèvert)-

Mentre mi sto ancora chiedendo se ho le allucinazioni o se è tutto vero mi guarda fisso negli occhi con il viso più serio che gli ho mai visto fare, poi con due dita mi prende il mento e a mezza voce dice ancora
-Non mi hai permesso di dirti quale era la cosa falsa che mi faceva male, prima- sorride mordendosi il labbro inferiore mentre ho l’impressione di non avere più alcun battito cardiaco, poi continua
-La cosa falsa è che sei solo il mio passatempo. Che siamo stati insieme sull’albero perché ti trovavi al momento giusto nel posto giusto. Che l’ho fatto solo per evadere un po’ dalla realtà. Che mi sono capitate tante cose come questa. No, non mi è capitato altre volte di sentire il respiro mancarmi nel petto quando mi allontano da qualcuno, di sentire il cuore battere in gola e lo stomaco rigirarsi alla sua vicinanza. No, questo non mi è mai capitato. Ed ora se vuoi scusarmi sono venuto a prendermi quello che mi appartiene da un po’-

Dice così, poi con una leggera trazione mi avvicina per il mento alle sue labbra, mentre l’altra mano mi passa dietro alla schiena e mi tira con forza verso di sé.
A questo punto il bacio che ci scambiamo è passione pura, non saprei come altro descriverlo. Chiudo gli occhi avvolta dalla sensazione di caldo abbandono che mi sta provocando la sua lingua, che insegue la mia aiutata da una mano che, con una decisione mai vista prima, si è posizionata dietro alla nuca per rendere ancora più profondo l’incastro. Pur con gli occhi chiusi cerco di immaginare le nostre due sagome in piedi nel salotto mentre si fondono come fossero state realizzate appositamente per quello. Il cuore batte forte nel petto, mimando la violenza di una serie infinita di pugnalate non più utili a spargere sangue nelle membra, ma atte a spargere voluttà pura nelle povere vene di entrambi, martoriate dalla sofferenza.
Tutto questo tuttavia non mi basta per dirgli quello che provo, e lo sento, nemmeno a lui.
Colto da un’impellente esigenza di darmi di più mi solleva da terra facendo aderire le mie gambe nude ai suoi fianchi e, tenendomi sospesa a mezz’aria, continua quella spietata danza all’interno delle nostre bocche che potrebbe farmi restare secca da un momento all’altro, quando, colto da pietà o chissà cos’altro, mi lascia la facoltà di respirare staccandosi dolcemente da me e posandomi a terra, per poi dirmi nell’orecchio fra mille baci frenetici
-Non sei un passatempo, tu sei il mio tempo infinito, e io ti voglio -
Completamente satura di emozioni la mente non risponde più ad alcun richiamo, accecata da quelle parole, da quella luce negli occhi, gli prendo la mano delicatamente e lo conduco in camera mia, dove lo libero da tutto quello che indossa, e dove lui fa lo stesso con me, in una danza lenta, atroce ed inesorabile.
Non riesco a descrivere con lucidità le sensazioni che mi da l’intreccio di corpi creatosi istantaneamente sul copriletto, sento il mescolamento dei sensi raggiungere il suo apice, il dolce si mescola al salato, la fame con la sete, il giusto con l’ingiusto. Il desiderio mi invade come una tromba marina e mi trascina proprio come farebbe lei verso il fondo, ed io mi lascio trasportare inerme in questo abisso di baci umidi che si spostano dal collo alle spalle, alle clavicole, ai seni, al ventre, e di nuovo tornano profondi alle labbra, mentre le mani si intrecciano, in disperati sussulti si aggrappano, si toccano, accarezzano, spostano. Lo bacio sul naso e sulla fronte, lo accolgo tra le mie braccia e lo bacio ancora dietro all’orecchio, e ancora sulla spalla e sentono le mie mani quel groviglio nervoso e compatto di muscoli sul petto, e assetate le labbra lo cercano, lo baciano, ancora e ancora e ancora.
Non ho mai provato un’emozione così forte nella mia vita e tutto il mio corpo ne da conferma con fremiti e disperati spasmi, vittima di una danza imposta dal lui, che con gemiti sommessi sopra di me scandisce il ritmo del mio piacere, per un tempo sufficiente a farmene perdere la concezione, fino al punto in cui raggiungiamo l’isola dei giardini approdandovi insieme, in una deflagrazione estatica quasi dolorosa.
La dichiarazione della mia morte arriva dopo poco, quando mi posa un lungo languido caldo bacio sulle labbra, passandomi una mano fra le ciocche umide di sudore e scendendo lungo il profilo di tutto il corpo. Lo accarezzo sul volto madido e gli sposto una ciocca dagli occhi che mi appaiono ancora umidi ed accesi.
Il silenzio della sera è rotto dal canto di alcuni grilli e dai nostri respiri affannati che si rincorrono.
I nostri sguardi persi l’uno nell’altro. Rimango così, non so per quanto tempo, persa nella sua oscurità mentre mi stringe a sé accarezzandomi la schiena lievemente, senza dire una parola.
Schiavi di questa giostra proibita, rimaniamo intrappolati in questo limbo di emozioni finché, sopraffatti da questa forza, sentiamo l’esigenza di fonderci di nuovo.

26/01/2010 21:26
 
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non so cosa dire dirty...so solo che ad un certo punto sn caduta dalla sedia... [SM=g27828] [SM=x47918] ke male!!!
bello bello bello bello bello bello bello!!!!!sei bravissima!!!!!!!!!!

26/01/2010 23:11
 
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Oddio Veronica [SM=x47918] ....Non mi puoi fare questo...Sono troppo giovane per morire!!!Il mio cuore non riesce a sopportare tutto ciò [SM=x47918] [SM=x47918]
Speravo proprio che tra i due accadesse qualcosa [SM=x47991] [SM=x47990]
Stupendo quando Michael le recita la poesia e le esprime il suo amore [SM=x47928]
Hai descritto tutto alla perfezione,bravissima,continua così,l'infarto mi è vicino [SM=g27828]
Un [SM=g27838]
la tua affezionatissima Anto
27/01/2010 00:02
 
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o mio dio!ok sono ufficialmente morta!!!ho sentito la pressione alzarsi in una velocità inaudita!!!!e ora chi dorme più!!!!
beh che dire......................SEMPLICEMENTE MERAVIGLIOSO ANCHE QUESTO CAPITOLO!!!!!!!
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