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LITTLE SUSIE © (in corso). Rating: verde

Ultimo Aggiornamento: 11/02/2012 17:51
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02/02/2012 11:55
 
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La storia prosegue ...
Capitolo 19

-Buon compleanno! – esclamammo all’unisono io e Michael, con lo sguardo acceso dalla gioia e dall’eccitazione.
Prince si stropicciò gli occhietti e sbadigliò, sorpreso da tanta allegria e leggermente infastidito da quella che poteva sembrare,ai suoi occhi, un’interruzione inopportuna di un sonno pacifico e riposante, ma in realtà ci mise ben poco ad adeguarsi a quell’atmosfera di festa.
Mi abbracciò all’istante,affondando la sua testolina bionda nella mia spalla.
-Grazie! – sussurrò, pieno di riconoscenza. Gli baciai una tempia con delicatezza, meravigliata di quanto il suo profumo fosse buono: non ci avevo mai fatto caso.
-Scusa se ti abbiamo svegliato. Ma tuo padre voleva farti una sorpresa. – gli spiegai, sottovoce, cercando di dissimulare il mio disappunto nei confronti di quella decisione. Avevo sinceramente provato a persuaderlo affinché rimandasse quel momento a quando suo figlio si fosse alzato da solo, ma non aveva voluto sentire storie.
Prince si scostò un poco, facendo spallucce.
-Mi piacciono le sorprese. – eclissò, poi sorridendo balzò in braccio a Michael, che lo coccolò finché Grace, bussando timidamente alla porta e socchiudendola appena, venne a ricordarci che Paris ci aspettava in cucina.
Scendemmo tutti insieme, mentre Prince si dimenava come un forsennato tra le braccia di Michael, protestando perché sosteneva di essere “abbastanza grande da camminare da solo,ormai”.
-Dài,papà, mettimi giù! Ho già tanti anni così!- si lamentò, mentre faceva il numero tre con le dita.
-Oh, allora sei proprio grande. È davvero vergognoso che il tuo papà debba portarti ancora in braccio. – scherzava Michael, senza accennare a posarlo per terra.
Eppure Prince si divertiva un mondo.
-Auguri! – gridò Paris, con voce squillante,quando varcammo la soglia della cucina e la trovammo seduta compostamente a tavola. Le andai incontro e mi stampò un bel bacio sulla guancia.
-Ciao, Sue! – mi salutò.
Di solito non mi chiamava con il mio nome per intero: ormai ci avevo fatto l’abitudine.
Non mi aveva mai dato davvero fastidio quella confidenza, anzi: era una dimostrazione della sua approvazione e del fatto che ormai ai loro occhi fossi entrata a far parte – speravo definitivamente- della famiglia.
Prince fremeva dalla voglia di scartare i regali e pregò suo padre affinché gli permettesse di aprirli immediatamente.
Inutile dire che Michael non oppose resistenza e cedette quasi subito a quelle tenere suppliche.
Paris si offrì di aiutarlo a trasportare i pacchetti dal salone in cui si trovavano fino in cucina, dove avremmo potuto assistere tutti insieme alla scena più toccante di quella giornata.
Alcune scatole erano troppo grandi e pesanti, quindi dovetti intervenire per evitare che i piccoli le rovesciassero rischiando di mandarne inconsapevolmente in frantumi il contenuto, ma tutto sommato furono abbastanza diligenti ed efficienti da terminare il lavoro in breve tempo.
Ci radunammo dunque tutti intorno a Prince, che afferrò subito il primo regalo – ricoperto da un involucro rosso con fantasie dorate – e cominciò a scartarlo, impaziente.
Trattenne a stento un urlo di gioia quando capì di cosa si trattava.
-Un trenino! Mi hai regalato un trenino! – esclamò, al settimo cielo.
Lo avvicinò agli occhi per esaminarlo meglio.
Grace osservava lo spettacolo da lontano, sorridendo compiaciuta.
Immaginai che, visto che raramente Michael poteva uscire a far compere senza essere notato, gran parte delle commissioni fossero toccate a lei.
Mike si fidava ciecamente di quella donna: non poteva essere altrimenti, visto che le aveva affidato i due tesori più preziosi che possedeva.
Non avevo mai avuto l’occasione di parlarci, e non dubitavo del fatto che sapesse svolgere il suo mestiere alla perfezione.
Tuttavia, talvolta, sentivo il suo sguardo critico su di me.
Non ne avevo fatto parola con Michael, perché temevo si sarebbe preso gioco di queste mie fissazioni, e in parte perché sapevo che mi avrebbe rimproverata per esser diventata così paranoica nei confronti di una brava persona che non conoscevo affatto.
-Signor Jackson? – lo chiamò una voce grave e profonda, interrompendo le mie riflessioni.
Michael divenne improvvisamente serio e s’incamminò immediatamente verso la porta. Il sorriso di Prince svanì.
Maledissi quell’uomo tra me e me per aver rovinato un momento così magico.
Poi mi spostai anch’io verso l’ingresso, facendo un cenno a Grace affinché si occupasse dei bambini.
-Michael, si può sapere che diamine è successo? – domandai, irritata, appena gli fui accanto.
Stava parlando con un uomo alto e nerboruto, dalle spalle grosse e possenti: solo a guardarlo incuteva timore. Era vestito abbastanza elegantemente, specie se si teneva conto che erano solo le nove di mattina.
Mi chiesi da dove fosse saltato fuori: certo non apparteneva a Neverland, con quell’aria seria e perennemente guardinga, come se temesse che qualcosa di brutto potesse celarsi dietro ogni arbusto e in ogni angolo, persino il più luminoso, della casa.
Mike mi fece cenno di tacere. Indispettita, incrociai le braccia sul petto, mordicchiandomi il labbro inferiore,nervosa, rischiando persino di farlo sanguinare.
L’uomo grosso stava bisbigliando qualcosa al suo orecchio, qualcosa che sfortunatamente non fui in grado di decifrare.
-Fatelo entrare.- ordinò dunque Michael, alla fine.
L’uomo rispose con un cenno obbediente e sottomesso e uscì con la stessa velocità con cui era entrato.
-E’ il terzo compleanno di tuo figlio. – feci notare a Mike, sgridandolo .
Il mio tono di voce era un po’ troppo severo. Cercai di moderarlo: non volevo litigare con lui.
-Lo so. Mi dispiace. – si scusò, abbassando lo sguardo.
Sospirai, pentita di averlo rimproverato a quel modo.
-Dai,andiamo. – sussurrai, sorridendo e sfiorandogli una spalla, come a chiedergli perdono della mia durezza.
Michael esitò.
-Ehm … forse è meglio se tu resti qua. – osservò, incerto su come proseguire.
-E perché mai? – domandai, incredula. Aveva deciso improvvisamente di escludermi da quella scena di vita famigliare? Forse aveva ragione. Non avevo alcun diritto di prendervi parte.
Che ingenua! Mi ero illusa che i cancelli di Neverland, dopo settimane, finalmente si fossero aperti per me; invece ero sempre rimasta all’esterno, una spettatrice curiosa e troppo invadente.
Desiderai piangere, ma non riuscivo a trovare la forza per versare una sola lacrima.
-Non fraintendermi … - disse subito Mike, come se avesse capito cosa mi frullasse per la testa. –Ma … - aggiunse – C’è qui tuo fratello.-
Capitolo 20

-Che cosa ci fai qui? – domandai, scontrosa ma sottovoce, per non farmi sentire da Prince e da Paris che, proprio nella stanza accanto, stavano testando i loro nuovi giocattoli.
-Sono venuto a salvarti. – dichiarò, con una fierezza nello sguardo che mi parve totalmente estranea e lontana.
Era incredibile quanto fosse diventato alto nel giro di un anno: ormai era più vicino ai due metri che al metro e ottanta.
Anche i tratti del suo viso si erano fatti più marcati, come induriti dal dolore e dalle delusioni che aveva dovuto sopportare. Non mi somigliava più come un tempo; nei suoi lineamenti non riuscivo a scorgere i miei, come senz’altro avrei potuto fare fino a poco tempo prima. In quell’uomo che stava ritto di fronte a me non riconobbi nessuno; era un semplice estraneo, che provava una piacere perverso ad intromettersi nella mia vita per guastarne la felicità.
-Da chi?!?! – chiesi, incredula e sempre più infastidita, man mano che il tempo passava. Desideravo solo concludere quella conversazione il più presto possibile.
-Da te stessa! – sbraitò, allora.
Abbassai lo sguardo, terrorizzata da quella reazione. Il fratello che ricordavo e che popolava la mia memoria era un ragazzo mite, affettuoso e incredibilmente gentile: che fine aveva fatto?
-Non ho bisogno di te. Io qui sto bene. –
Scandii le parole una ad una, nella speranza che gli entrassero in testa. Ma non voleva sentire ragioni.
-Oh, sì, certo. Quello lì potrebbe essere tuo padre! – gridò, esasperato. Capii bene a chi si riferiva, e sentii il sangue ribollirmi nelle vene. Cercai comunque di mantenere la calma: sarebbe stato meglio per tutti se avessimo risolto la questione civilmente.
-Almeno lui mi ama. – gli feci notare, riducendo gli occhi a due fessure.
-Hai anche un marito che ti ama. Se vi siete sposati ci sarà un motivo. – mi ricordò, sarcastico.
Sfortunatamente, lui non conosceva il resto della storia. Bhè, tanto valeva raccontargliela.
“Ora o mai più” pensai, e feci un respiro profondo.
-Javier, forse ti sfugge un piccolo dettaglio. – cominciai, forse con un po’ troppa enfasi.
-Un piccolo dettaglio? – fece eco lui, improvvisamente incuriosito.
Fui lieta di aver catturato la sua attenzione. Finalmente.
-Michael non mi ha mai violentata. – osservai, a bassa voce.
Non capì.
-Certo che no! Ci mancherebbe anche! Gli avrei spaccato quel brutto muso che si ritrova,altrimenti! – esclamò, confuso.
Cercai di non prestare troppa attenzione a ciò che era appena uscito dalla sua bocca, altrimenti avrei rischiato di prenderlo a pugni.
-Liam invece … - sussurrai, interrompendo la frase a metà, incapace di continuare.
-Chi è Liam? – s’informò serio, Javier.
-Mio marito. –
Divenne livido.
Fu come se tutta la rabbia accumulata fosse svanita con quella terribile scoperta, lasciandolo vuoto per qualche secondo. I suoi occhi si fecero vacui, le sue mani presero a tremare.
-Dov’è ora. –
Non sembrava affatto una domanda,quindi non risposi. Quel suo tono di voce, da automa, mi aveva turbata.
-Susan, pretendo di sapere dove si trova ora quel cane. – sibilò.
Mi misi a sedere e crollai il capo tra le mani. Tutta quella tensione non mi stava facendo affatto bene.
-Non lo so. – confessai infine. –Quando sono scappata, mi ha chiamata un paio di volte. Sa che sto con un altro uomo ma … non sa che si tratta di Michael, per fortuna. Non voglio immaginare che cosa potrebbe fare se solo scoprisse dove sono adesso. Javier,ascoltami: voglio solo dimenticare tutto,okay? Io amo Michael, lo amo con tutto il cuore,davvero. E lui, per qualche assurda ragione che va oltre la mia comprensione … mi ricambia pienamente. Voglio solo essere felice, Javier. E … Liam è un uomo troppo potente per essere contrastato. Ti prego, ti prego … Lascialo perdere. Possiamo solo aspettare che si dimentichi di tutto ciò e che smetta presto di cercarmi. –
Lui ascoltò attentamente le mie parole, profondamente toccato ma poco convinto. Non riuscivo a persuaderlo a lasciarmi vivere accanto a Michael, nonostante tutti i miei tentativi disperati di spiegargli quanto fosse buono, disinteressato e affettuoso.
-Susan, io … capisco che tu ti sia innamorata di lui. È il tuo mito da sempre. Ma lui … lui è sbagliato per te, fidati. Torna a casa,Susie. – mi pregò, inginocchiandosi di fronte a me e tornando all’improvviso il ragazzo che avevo conosciuto durante la mia infanzia e nel corso della mia adolescenza.
Mi commossi.
-Non posso,Javier. Può sembrarti strano ma … ci amiamo davvero. – gli ripetei.
Perché gli risultava così impossibile credermi?
-No. Tu sei innamorata del Re del Pop. – sussurrò, fissandomi gelido.
Lo guardai dritto negli occhi.
-Io amo Michael Jackson. Non il Re del Pop. Io amo lui, la sua famiglia … amo Neverland. Amo questa vita. Javier, non posso abbandonare tutto per seguirti. Laggiù non c’è niente per cui valga la pena vivere. Qui, invece, qui c’è il mio cuore. Non voglio separarmi dall’uomo accanto al quale desidero trascorrere il resto della mia vita. – gli spiegai, seria.
Javier cominciò a piangere. Mi afferrò all’altezza delle spalle, scuotendomi con forza.
-Ma non capisci? Susan, noi siamo la tua famiglia! Non lui! Non è questa casa tua. Vieni con me … mi manchi. Tutte le mattine mi svegliavo con la speranza di vederti varcare la soglia di casa con un sorriso. Ho desiderato con tutto il cuore che tu tornassi. Susie, ti prego … Non voglio perderti di nuovo. – mi supplicò, in un soffio.
Osservai quel viso, adesso di nuovo familiare nella sua infinita fragilità, che mi era sempre stato caro.
Sangue del mio sangue, carne della mia carne. Ci eravamo appartenuti fin dalla nascita. I nostri fili erano sempre stati intrecciati, tanto che si era rivelato impossibile dividerci davvero.
A chi avrei dato retta questa volta? Sarei ritornata nella mia terra, della quale avevo una terribile nostalgia ma che sentivo ormai lontana a distante? O sarei rimasta a fianco dell’uomo che più amavo, e senza il quale non ritenevo fosse possibile vivere?
















Capitolo 21

-Non preoccuparti per me. – mi rassicurò Michael, sfiorandomi la fronte con le labbra fredde.
Eravamo accoccolati sul divano del salone, abbracciati, come a farci forza l’un l’altro. Quella separazione avrebbe sgretolato il nostro amore, ne ero certa.
Non volevo abbandonarlo così, rinchiudere tutte le emozioni e sensazioni provate in quell’ultimo periodo in un cantuccio della mia mente, come se fossero solo labili e fragili ricordi.
Non volevo andarmene Neverland e lasciarmi così alle spalle il senso di magia che si poteva respirare al suo interno. Mai più di allora mi sentii legata ad un luogo come a quel regno incantato.
Se ancora oggi mi chiedeste di scegliere una città o un posto in cui tornare, anche solo per un giorno, sceglierei senz’altro quello sconfinato ranch della California. Era più casa mia di quanto non lo fossero le Filippine, o la Spagna, terra da cui provenivano i miei nonni e i miei genitori.
Inoltre, non volevo separarmi da Prince e da Paris, ai quali ormai volevo troppo bene per allontanarmi da loro senza soffrirne.
Erano riusciti fin da subito a suscitare in me un senso di simpatia, che ben presto si trasformò in vero e proprio affetto, nei loro confronti.
-Non è per te che mi preoccupo. – ribattei. – E’ per me. Non so vivere se non posso starti accanto. –
Sebbene non avessi ancora preso nessuna decisione definitiva, mi sentivo già lontana. Javier aveva bisogno di me, gli ero mancata troppo in quei lunghissimi mesi di distanza. L’avevo visto logorato e consumato. Era ciò che mi aveva persuasa a prendere in considerazione l’idea di tornare nella mia terra, idea che altrimenti avrei senz’altro scartato immediatamente, visto il numero di addii e la sofferenza che avrebbe sicuramente comportato.
-Hanno diritto a riaverti con loro. – osservò Michael, riferendosi alla mia famiglia. Scossi il capo. Era vero? Avevano il diritto di negarmi la felicità?
Avrei preferito che mi avessero strappato il cuore dal petto: sarebbe stato meno doloroso di avere un fantasma al suo posto, un pallido riflesso di ciò che in realtà sarebbe appartenuto per sempre all’uomo che amavo.
Affondai il viso nella sua camicia rossa, inzuppandola di lacrime.
-Ma non voglio, Michael, non voglio perderti! – singhiozzai, come una bambina. Dio solo sapeva quanto quelle parole fossero vere. Eppure, sembrava fossi destinata ad essere portata via con la forza dalla dolce prigione delle braccia di Michael. Ero obbligata a dimenticare il suo profumo, il sapore delle sue labbra … Ne valeva la pena? La risposta era ovviamente negativa.
Lo abbracciai più forte: nessuno avrebbe potuto strapparmi dal suo fianco.
Mike mi sollevò il mento con un dito, per potermi guardare negli occhi arrossati dal pianto.
-Non voglio che tu te ne vada. Voglio che tu resti qua con me. Ma i miei desideri sono insignificanti di fronte a ciò che è meglio per te. Devi fare ciò che reputi giusto. E opportuno. – mormorò, serio.
Le sue parole erano sagge, quasi fredde. Ma il suo sguardo rivelava una fragilità che sbriciolò tutta la determinazione che mi ero sforzata di raccogliere per partire. Lui, sebbene cercasse di non darlo a vedere, aveva bisogno di me. Avrebbe sofferto se l’avessi lasciato. Perché dunque farci del male? Non sarebbe stato più semplice restare, rimandando mio fratello a casa?
Se la sarebbe presa, ma perlomeno io sarei stata felice.
Era ciò di cui cercavo di convincermi. Purtroppo, però, il mio cuore sapeva meglio di me che quella non era la chiave per la serenità. Non potevo lasciare Michael, perché sarebbe equivalso a morire, ma non potevo nemmeno abbandonare Javier a se stesso: non solo avevo dei doveri verso di lui, in quanto mio fratello, ma gli volevo bene. Saperlo lontano, ora che avevamo chiarito e messo da parte ogni diverbio, mi sarebbe comunque costato tante sofferenze.
-Ma che cosa è giusto? – domandai, retorica. Ormai non lo sapevo più nemmeno io. –E’ giusto rinunciare al proprio amore, rinnegare i propri sogni e i propri desideri pur di regalare un po’ di gioia e sollievo ai propri genitori? Mi è stata concessa una seconda possibilità, Michael. Una seconda vita. La voglio vivere con te. – sussurrai,sincera.
Ma davvero contava qualcosa il mio volere? Sembrava che Javier, venendo laggiù, avesse già deciso per me: non mi lasciava vie di scampo.
-E che cosa farai? Li abbandonerai per me? Non valgo tutto questo sacrificio, Susie, davvero. – mi fece notare.
Avrei voluto dirgli che si sbagliava: che lui valeva questo e molto altro, ma non lo feci. Avrei solo peggiorato la situazione e mi ero preposta di tentare di rendere quell’ultimo saluto il meno doloroso possibile.
Sopirai e posai un orecchio sul suo petto, per ascoltare un’ultima volta i battiti frenetici del suo grande e nobile cuore, quando qualcosa di umido mi bagnò la guancia. Sollevai lo sguardo, sorpresa e spaesata, e vidi i suoi occhi versare lacrime amare e silenziose. Lacrime d’addio.
Tracciai con due dita il profilo del suo viso e poi lo baciai teneramente, addolorata. Fu come se qualcosa avesse scavato nel mio petto una voragine profondissima e, soprattutto,inguaribile.
Non sarei mai riuscita a riempirla, a rimediare a quel vuoto.
Infine, mi alzai e mi allontanai, lasciando su quel divano l’unica cosa veramente preziosa che possedevo.

Capitolo 22

-Susie, hai sentito che cosa ti ho detto? – mi domandò Javier con irritazione, leggermente infastidito dalla mia disattenzione.
Non risposi.
Ero troppo concentrata a ripetere i conti mentalmente un’ultima volta, e poi un’altra ancora, quasi certa di essermi sbagliata in qualche modo.
Non riuscivo a capacitarmi del fatto che tutto ciò stesse succedendo proprio a me.
-Susan? – mi chiamò nuovamente mio fratello, sfiorandomi una spalla. –Ehi? Stai bene? – chiese, ormai preoccupato dall’espressione scioccata sul mio viso. –Sembri un po’ pallida. – aggiunse, ansioso.
-No … no, sto … bene. – mormorai, balbettando. –E’ solo che … devo … parlare con Michael. Non so se … Credo di essermi dimenticata una cosa. – conclusi infine, dopo qualche incertezza.
Javier mi squadrò stranito, chiedendosi probabilmente che cosa mi stesse passando per la testa. Gli lasciai il beneficio del dubbio.
Mollai di scatto per terra le due valigie che stavo portando all’esterno dei cancelli di Neverland, diretta all’aeroporto, e poi mi voltai in direzione della casa.
-Susan! – esclamò mio fratello, confuso.
Ma non lo ascoltai e cominciai a correre senza nemmeno girarmi indietro. Non potevo perdere un minuto di più.
Scansai abilmente due giardinieri dall’espressione allibita ma, qualche metro più avanti, quasi inciampai nei miei stessi piedi per cercare di evitare una carriola colma di terriccio fresco.
Imprecai tra me e me.
Non riuscivo ad interrompere il flusso di pensieri che mi attraversò la mente all’idea di ciò che stavo per fare. Sarebbe stato un atto azzardato. E incosciente, forse. Ma da quel mio gesto sarebbe dipesa tutta la mia vita.
Quella certezza mi diede energia e così allungai ulteriormente la falcata.
Davanti ai miei occhi comparve presto la casa, che si ergeva maestosa ed imponente. La sua superba bellezza mi costrinse a rallentare quasi inconsapevolmente.
Un uomo vestito elegantemente e dall’aria piuttosto insignificante cercò di bloccarmi afferrandomi per un braccio, ma me lo scrollai di dosso irritata. Nessuno mi avrebbe fermato.
Mi precipitai direttamente dentro la villa, ansimando un poco per lo sforzo, e presi a chiamare Michael a squarciagola.
Il suo nome rimbombò per qualche secondo attraverso le stanze vuote, che me ne restituivano una debole eco. Ma dove si era cacciato?
Grace era sopraggiunta insieme a quelle che pensai essere delle domestiche e m’implorò di abbassare la voce e di calmarmi, ma la ignorai senza degnarla nemmeno di un’occhiata.
Mike scese le scale di corsa dopo pochi istanti, perplesso e turbato.
-Che cosa sta succedendo? – mormorò, confuso, quando scorse il mio viso. Mi fu accanto quasi immediatamente, probabilmente temendo che fossi impazzita.
Aprii la bocca, come per parlare, ma la richiusi subito con uno scatto sonoro. Avrei voluto spiegargli tutto e confessargli le mie supposizioni, per convincerlo della mia salute mentale.
Ma non trovavo le parole. Pensai che non ne avessero ancora inventate per esprimere quella gioia incontenibile che mi gonfiava il cuore, rischiando di farmelo scoppiare.
Così lo baciai, gettandogli le braccia al collo e avvinghiandomi a lui. Non era puro e semplice desiderio, ma una vera necessità. Avevo un disperato bisogno delle sue labbra sulle mie, di sentirne il sapore sulla lingua, di poter respirare di nuovo il suo profumo inebriante. Volevo riaprire gli occhi e ritrovare i suoi a guardarmi, dolci e profondi, un mare nero nel quale potermi immergere. Volevo aggrapparmi così forte a lui in modo tale che più nessuno avrebbe potuto dividerci.
Grace, di fianco a me, ridacchiò tra sé e sé di fronte alla mia impetuosità, ma quasi subito, con molto buon senso, fece in modo di lasciarci soli. Pensai che, in seguito, avrei dovuto scusarmi con lei per il modo a dir poco sgarbato in cui l’avevo trattata pochi secondi prima, ma in quel mentre non riuscii a percepire null’altro che non fosse Mike, come se i confini del suo corpo si fossero dissolti e lui fosse diventato l’infinito e mi avvolgesse completamente.
Quando le nostre bocche si staccarono per riprendere fiato, anche Michael ansimava. E non certo per la corsa giù per le scale.
-Wow. – commentò, meravigliato, con un sorrisetto malizioso.
Il suo viso era una tentazione alla quale era impossibile resistere, ancora così vicino al mio da farmi sentire le farfalle nello stomaco. Cercai ancora le sue labbra, incapace di farne a meno.
Dannazione! Provai a concentrarmi, ma non ci riuscii. Avevo la testa piena della dolcezza del suo respiro.
Mi obbligai ad mantenermi a distanza di sicurezza dal suo volto: se fosse andato avanti così presto avrei dimenticato il motivo per cui ero lì. Scrollai il capo e gli posai le mani sulle spalle, mordicchiandomi il labbro inferiore, come facevo solo quando ero nervosa.
-Mi sono dimenticata una cosa. – mormorai, infine.
Michael mi abbracciò, cullandomi lentamente per qualche secondo.
-Che cosa? – domandò, dolcemente, mentre le sue labbra seguivano leggere la linea del mento. Avevo il fiato grosso.
-Che cosa? – ripetè, di nuovo, mordicchiandomi il lobo dell’orecchio. Sussultai.
-Ehm … scusa, ho … bisogno di … lucidità. – balbettai, con la voce che mi tremava, con mio grande imbarazzo.
Michael rise e obbedì.
-Adesso sei nel pieno delle tue facoltà mentali? – chiese, scherzoso. –Che cosa devi dirmi? -
-Che sono incinta. – annunciai, squittendo e baciando ancora una volta le sue labbra dure e sorprese.
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