Capitolo 23
-In … incinta? – balbettò Michael, incredulo, con gli occhi sgranati.
Ridacchiai, di fronte alla sua espressione allibita.
-Ho un … ehm … ritardo di dieci giorni. – mormorai.
Ne ero certa. Avevo ormai ripetuto i calcoli a mente almeno cinque volte.
Ovviamente avrebbe potuto anche trattarsi di una semplice coincidenza, ma ne dubitavo fortemente: il mio ciclo mestruale era sempre stato puntuale come un orologio svizzero.
Le labbra di Michael si schiusero lentamente sui denti bianchissimi, dipingendo un sorriso angelico.
-Mi … mi stai dicendo che … aspettiamo un bambino? – domandò, al colmo dell’euforia. Il suo viso s’illuminò quando pronunciò la parola “bambino”.
Annuii, con fare teatrale.
-Oh, Susie! – esclamò, stringendomi forte tra le sue braccia e cullandomi per qualche minuto.
Eravamo entrambi avvolti da un’aura di dolcezza quasi palpabile, che saturava l’aria, mescolandosi con la magia di quel momento unico.
-Ti amo, ti amo, ti amo … Avrei dovuto dirtelo più spesso. Ma sai che è così. – bisbigliò, con le labbra ad un centimetro dal mio orecchio.
Annuii. Non m’importava più nulla di tutto quello che tra noi era stato taciuto: con Mike ero felice, completa.
A volte non era semplice stargli accanto, a causa della sua testardaggine, ma lo amavo con tutto il cuore. La mia anima gli apparteneva completamente.
Lui era il mio centro, lui insieme a quell’esserino che cresceva dentro di me e al quale avevo deciso di aggrapparmi per dare un senso, un nuovo ordine alla mia vita.
-Non ti lascerò mai più, Michael Jackson. – gli promisi, in un soffio.
In quel mentre,varcò la soglia di casa Javier, trafelato.
Probabilmente si era preoccupato per il mio insolito comportamento e mi era corso dietro, dopo qualche istante d’incertezza che era equivalso a preziosi secondi di vantaggio per me; altrimenti dubitavo che sarei riuscita a sfuggirgli così facilmente.
Michael squadrò mio fratello, esitando. Sembrava fosse sul punto di dargli spiegazioni ma non osasse farlo per non sconvolgerlo.
Per quanto possa risultare assurdo, Mike si dimostrò non solo gentile ed estremamente cordiale nei confronti di Javier – anche quando non se lo meritava affatto, in effetti – ma anche affabile e comprensivo,quasi fosse un amico fidato. E l’astio di Javier nei suoi confronti era per lui solo un dettaglio trascurabile, che non parve mai scalfire minimamente il suo interesse e il suo affetto nei confronti di mio fratello.
-Che cos’è successo? – riuscì a domandare Javier dopo qualche minuto, ansimando per lo sforzo.
Il suo volto era segnato da un leggero velo di sudore dovuto sicuramente alla corsa sfrenata dai cancelli di quell’immensa proprietà fino alla casa.
Mike aprì la bocca come per dire qualcosa, ma si bloccò all’improvviso, lanciandomi un’occhiata interrogativa: forse si aspettava che desiderassi fornire io qualche chiarimento.
Ma non credevo di essere capace di formulare una frase di senso compiuto: temevo terribilmente la reazione di mio fratello.
Michael sospirò, comprensivo.
-Susie non è nelle condizioni di partire.- annunciò, in un sussurro quasi incomprensibile, tanto che persino io,che ero al suo fianco, dovetti concentrarmi per sentirlo.
Javier corrugò le sopracciglia folte e nere.
-Perché? Che cos’hai? Stai male? – chiese, lievemente in ansia ma anche irritato.
Detestava quando Mike gli rivolgeva la parola e cercava sempre di non rispondergli direttamente se poteva.
-No. – soffiai, intimorita.
In un primo momento, non compresi da cosa potesse derivare quella folle paura che mi attanagliava lo stomaco. Poi capii: non ero solo terrorizzata all’idea di una possibile (e quasi certa) sfuriata di Javier. Più che altro, temevo di perderlo.
Ero quasi sicura che sarebbe andata a finire così, e desiderai con tutto il cuore che si potesse giungere ad un’altra soluzione.
Non volevo scegliere tra Michael e Javier: perché avrei scelto, sempre e comunque, Mike. Ma la separazione definitiva da quello che per anni era stato l’unico amico che possedevo sarebbe stata ugualmente dolorosissima.
Avrei spezzato ogni legame con quella che ero stata fino a quel momento; avrei reciso ogni filo che ancora mi teneva saldamente ancorata alla mia vita precedente.
Mi ero fatta forza, mi ero decisa a scegliere qualcosa. E quel “qualcosa” era un’esistenza intera da passare al fianco dell’uomo che amavo, con il quale – speravo- sarei riuscita a costruire una famiglia solida, unita.
In effetti, quella che io consideravo la mia massima aspirazione sarebbe potuta anche sembrare non troppo originale: in fondo ogni donna desidera sicurezze e serenità dalla vita.
Ma il mio sogno non si limitava a questo: nel mio caso si trattava decisamente di qualcosa in più.
Perché l’uomo che avevo scelto come compagno era anche il mio unico salvatore, la spalla su cui piangere; era un padre, un amico, un fratello, un amante.
Era una persona diversa, più buona,gentile,pura ed innocente di qualsiasi cosa in cui mi fossi mai imbattuta nella mia vita: era il mio sole, i cui raggi mi scaldavano il cuore.
Era la mia stessa vita. Ed era anche quel bambino che stava crescendo dentro di me, in silenzio, giorno per giorno.
Dubito che –nonostante i litigi e i momenti di silenzio frequenti tra noi- sia mai esistito un rapporto più intenso e profondo del nostro.
Non solo perchè ci amavamo teneramente, ma perché Mike è stato,in un modo o nell’altro, un aspetto fondamentale della mia esistenza. Mai e poi mai avrei pensato di rimuoverlo per sempre dalla mia vita, nemmeno quando, più avanti, lo minacciai di andarmene. Il motivo era semplice: era per me inconcepibile una realtà che non comprendesse anche Michael.
Arrossii un poco, mentre questi pensieri mi affollavano la mente, e chinai la testa,per non farmi notare da Javier.
-Non sta male. – mi fece eco Mike. Sembrava che cercasse di ritardare il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto dare la notizia a mio fratello che di lì a nove mesi sarebbe diventato zio.
-E allora che cos’ha? – sibilò Javier, muovendo qualche passo verso di noi, e puntando gli occhi in quelli di Michael che era più basso di almeno una spanna.
L’atteggiamento aggressivo di mio fratello non mi piacque affatto, e di sicuro irritava anche Mike, che non sopportava le persone prepotenti e spavalde; ma,anche se si fosse sentito in qualche modo infastidito, di sicuro lo nascose molto bene, perché quando rispose lo fece in modo assolutamente pacato e sereno:
-Aspetta un bambino. E quel bambino è mio figlio. –
Capitolo 24
C’era da aspettarselo: Javier partì con il primo volo diretto a Tokyo. Da lì avrebbe preso un altro aereo per Manila.
Purtroppo, come da previsioni, non aveva accolto molto bene la notizia della mia gravidanza: aveva cominciato ad inveire contro Michael e a scagliare oggetti (fortunatamente di poco valore) sul parquet, mentre io mi ritraevo in un angolo,sperando di sfuggire alla sua folle furia.
Per un attimo avevo temuto che colpisse Mike: sembrava sul punto di sferrargli un pugno micidiale, a giudicare da come gli tremavano le mani.
Per quanto Michael potesse dimostrarsi coraggioso e per quanto mi ripetesse, per tranquillizzarmi, che da piccolo spesso Joseph lo incitava insegnandogli, insieme ai suoi fratelli, nel giardino di casa, qualche fondamentale di autodifesa, sapevo perfettamente che Javier gli avrebbe fatto male, molto male, se l’avesse attaccato, e che quasi sicuramente mio fratello sarebbe uscito vincitore da una rissa, specie se questa coinvolgeva lui e un uomo che si era da sempre schierato contro la violenza.
Subito dopo che era uscito dalla villa, sbattendo la porta, furibondo, avevo supplicato Michael affinché lo facesse seguire da guardie del corpo o persone fidate che si assicurassero che stesse bene.
Non volevo che guidasse in quello stato, ma non potei far nulla per impedirglielo, così fui costretta a farlo sorvegliare per tutto il tragitto, da Neverland all’aeroporto di Los Angeles.
Michael, senza opporsi, anzi, dimostrandosi totalmente d’accordo con me, ordinò ad un paio di uomini – uno basso e calvo, l’altro alto, più magro, ma ugualmente nerboruto e inquietante – di tenerlo d’occhio mantenendosi a distanza per non farsi notare.
Le due guardie obbedirono e scortarono il mio inconsapevole e furioso fratello per diversi chilometri.
Ero davvero molto in ansia e Mike, saggiamente, non proferì parola in quel momento: sapeva che desideravo solo saper Javier al sicuro, sano e salvo.
Quando i due uomini incaricati da Michael tornarono, mi rassicurarono e affermarono che non c’era più nulla da temere: avevano visto Javier salire sul suo aereo a capo chino e con le spalle curve, come stremato, ma comunque fuori pericolo.
Sorrisi a quella lieta notizia e ringraziai le due guardie del corpo che si congedarono poco dopo con poche,cordiali parole.
-Stai bene? – domandò allora Michael, quando fummo finalmente soli.
Ero seduta sul divano e mi abbracciavo le ginocchia con le braccia magre e scure, dondolandomi lentamente avanti e indietro, come se, rannicchiandomi su me stessa, potessi far fronte alle difficoltà del mondo e scansare gli ostacoli che la vista mi aveva posto innanzi.
Annuii, in risposta alla sua domanda, ma senza capire esattamente cosa provassi in quell’istante. Ero ancora un po’ sotto shock.
Michael si sdraiò di fianco a me, che mi spostai un poco per fargli posto, e appoggiò la testa sulle mie gambe incrociate. Sembrava un bambino in quella posizione, così ingenua …
Gli passai istintivamente una mano tra i capelli. Ogni volta che lo avevo vicino sentivo nascere in me un impellente bisogno di toccarlo per assicurarmi che fosse vero.
-Mi dispiace davvero che Javier l’abbia presa così. Avrei voluto renderlo in qualche modo partecipe della nostra felicità. – mormorai, pensierosa.
Michael sbuffò,esasperato.
-Non sei tu la causa di tutto questo. – mi rammentò, severo.
Dannazione. Anche quando non li esprimevo ad alta voce, Mike conosceva sempre alla perfezioni i miei pensieri.
-Non l’ho mai detto,infatti. – cercai di tergiversare, con aria fintamente innocente.
-Ma lo pensi. – concluse lui, con un tono che non ammetteva repliche. E in effetti, non ebbi il coraggio di ribattere,perché sapevo che aveva perfettamente ragione: sempre e comunque, mi ritenevo responsabile di tutto e di tutti.
Per qualche assurda ragione, avevo una malsana tendenza ad assumermi colpe che, a quanto diceva Mike, non avevo e che non dipendevano affatto da me, e poi la tensione e lo stress accumulati mi uccidevano, logorandomi lentamente, schiacciandomi e rendendomi intrattabile.
-Scusami. E’ che davvero mi sento tormentata dai rimorsi. – confessai, malinconica.
Mike sorrise, bonario ma serio.
-Ti sei pentita? Se vuoi partire e raggiungere la tua famiglia, nulla e nessuno te lo impedirà. Non ti obbligherò a rimanere al mio fianco, anche se ovviamente, da parte mia, farò di tutto per non perderti e ti ronzerei attorno per un po’. – mormorò.
Rimasi di sasso. Mi affrettai a correggermi, già divorata dal panico e dal senso di abbandono che mi assalivano quando Michael parlava di separazione.
-No. Io voglio restare qui. Il mio posto è accanto a te. I miei rimorsi non riguardano la mia scelta … Ma il modo in cui ho trattato Javier. Avrei potuto cercare di dimostrarmi più comprensiva e disponibile nei suoi confronti … Forse non avrebbe reagito così … Forse … - balbettai, cercando di sciogliere il nodo che avevo in gola: l’ultima cosa che desideravo era mettermi a piangere come una bambina.
Dovevo essere forte. Michael ne aveva bisogno, il bambino ne aveva bisogno.
Io stessa ne sentivo la necessità.
Era giunto il momento di dare un senso alla mia vita, di riordinare le tessere del puzzle: non potevo farmi sorprendere dallo sconforto.
Non potevo continuare a raggomitolarmi su me stessa e lasciarmi andare all’autocommiserazione: dovevo assumere il controllo.
Michael interruppe il flusso dei miei pensieri.
-Stavo pensando … - mormorò, con tono misterioso, incuriosendomi, - … stavo pensando a ciò che comporterà fare di nuovo il papà. Prince e Paris sono la cosa più bella che mi sia mai capitata: li amo alla follia. Ma questa volta … sarà diverso. –
Non riuscivo a seguirlo.
-Diverso? – gli feci eco, un poco confusa.
-Sì, bhè … questo bambino – e sottolineò le sue parole appoggiando delicatamente una mano sulla mia pancia –sarà frutto del mio amore per te. –
Non ci avevo ancora pensato, in realtà: Prince e Paris erano per me come dei figli veri, mai mi ero sentita gelosa né li avevo respinti in quanto risultato di un matrimonio precedente di Michael. Con loro era stato amore a prima vista, in effetti.
Era strano che proprio lui avesse colto questa sottile differenza: Prince e Paris erano figli suoi, ma il bambino che stavo aspettando sarebbe stato figlio nostro.
Subito mi si gonfiò il cuore a quel pensiero e sorrisi, trasognata.
-Susie? – sussurrò allora Michael, serio.
Mi prese il viso tra le mani, richiamando la mia attenzione. Era incredibile come il suo tocco potesse ancora scatenare certe emozioni dentro di me: avrei dovuto farci l’abitudine. Eppure …
-Susan, desidero dirti una cosa, se me lo permetti. Ci sto pensando su già da un po’, in realtà, ed è un’idea costante, che mi tormenta ormai. – incominciò, con gli occhi che brillavano.
-Bhè, sentiamo. – lo incitai, troppo curiosa per tentare di celare la mia impazienza.
Michael ridacchiò, emozionato.
-Io … ti amo più della mia stessa vita, Susie. Tutto ciò che ho, la musica, la mia famiglia, non ha alcun valore di fronte ad un tuo sorriso o ad un tuo sguardo. Io … voglio averti per l’eternità, Susan. – confessò, con voce flebile e un poco imbarazzata.
Non l’avevo mai visto così in difficoltà con le parole.
Increspai leggermente le labbra.
-Tu mi hai già. Il mio cuore ti appartiene, sempre. – osservai, senza capire dove volesse andare a parare con il suo discorso ingarbugliato.
Pensai che forse io non ero l’unica ad aver bisogno di maggiore sicurezza: magari anche Michael necessitava di qualche certezza, ma mi sembrava comunque assurdo che potesse dubitare del mio amore sconfinato nei suoi confronti.
-Sì, ma … non è esattamente ciò che desidero. – ribatté, mordicchiandosi il labbro, nervoso.
Era evidentemente a disagio. Volevo solo rendere più breve il suo tormento, quindi lo esortai a continuare.
Allora fece un respiro profondo, ad occhi chiusi, dopodiché mi domandò, tutto d’un fiato:
-Vuoi concedermi l’onore di diventare mia moglie,Susie?-
Capitolo 25
Rimasi di sasso. Michael mi aveva appena proposto di diventare sua moglie, di occupare il mio posto nella sua vita. Per sempre.
Avrei voluto rispondere di sì. In fondo, era ciò che volevo: rimanere al suo fianco, condividere con lui ogni gioia o dolore, aiutarlo durante ogni sorta di difficoltà, portare qualsiasi suo fardello.
Eppure, mille pensieri mi affollavano la mente, annebbiandomi e confondendomi.
Mi ero persa dentro il mio stesso corpo, e non riuscivo a trovare le labbra, sulle quali sarebbe dovuto affiorare quel monosillabo da cui sarebbe dipesa tutta la mia vita.
Perché mi risultava così difficile trovare la forza per prendermi ciò che ormai mi apparteneva? Era assurdo.
Mike attendeva una mia risposta: i suoi occhi celavano malamente una leggera impazienza, un’irrequietezza un poco buffa, in realtà, mescolata all’emozione del momento.
Immaginai come sarebbe stato svegliarsi ogni mattina accanto all’uomo che amavo con la consapevolezza che quel gesto si sarebbe ripetuto per l’eternità, e sorrisi all’idea. Sarei stata felice, serena. Avevo rinunciato a tutto ciò che ero per ottenere quella vita. Ora mi si presentava davanti agli occhi in tutto il suo splendore, con una promessa di quiete e calore davvero irresistibile.
Ciononostante, le mie labbra rimanevano rigorosamente sigillate, senza lasciar trapelare nulla, un suono, un sussurro, un grido di gioia. Niente.
Un poco turbato, Michael mi strinse lievemente la mano, come per richiamare la mia attenzione.
Si schiarì la voce, a disagio.
-Ehm … allora? – m’incalzò, nervoso.
Aprii la bocca, decisa quantomeno a prender tempo, ma non ne uscì alcun suono: avevo la gola completamente secca.
Allora mi alzai dal divano e presi a passeggiare, muta, su e giù per la stanza, sebbene le gambe mi tremassero e la testa mi girasse. Ero ad un passo dalla mia massima aspirazione e mi sentivo totalmente debole e disarmata. Nel corso della mia esistenza tante, troppe persone avevano scelto per me, consapevolmente o meno: ora che toccava a me prendere una decisione, mi sentivo spaesata, come se avessi il vuoto attorno e mi fosse venuto a mancare un prezioso sostegno, che poteva essere quello dei miei genitori, delle mie amiche, di mio fratello, o di Mrs. Sullivan.
Michael non proferì parola. Mi osservò a lungo, per qualche minuto: il suo sorriso era svanito, lasciando spazio ad una smorfia di delusione. Avrei dato la vita per cancellarla da quel suo viso dai lineamenti serafici.
Cercai di spezzare il silenzio, ormai troppo pesante persino per me, con un’ unica parola, che mi preoccupava più di mille altre.
Un nome, una persona, una presenza sfortunatamente sempre costante. Una sorta di fantasma il cui tenebroso ricordo riaffiorava di tanto in tanto.
-Liam. –
Non avrei saputo dire se la mia si trattasse di una domanda, o di una risposta.
Sicuramente, era un problema.
Mike scosse il capo, con fare disinvolto, come per rassicurarmi.
-I miei avvocati si occuperanno di tutto. – mi spiegò, pacato.
A quelle parole mi fermai al centro della sala e lo fissai terrorizzata.
-No! – esclamai, in preda al panico.
Michael non capì. Continuò a squadrarmi spaesato.
-Liam è una persona alla quale non importano le vie legali. Appena conoscerà il tuo nome, appena saprà chi sei, ti darà la caccia. Sfonderà i cancelli di Neverland, se necessario. Non lo permetterò. Non posso lasciare che rovini la vita a te e alla tua famiglia. – osservai, figurandomi la scena e rabbrividendo solo al pensiero. Liam era ricco, potente ed influente. Ma, soprattutto, sapeva essere dannatamente testardo e sfrontato: per lui non c’era assolutamente alcuna differenza tra il Re del Pop e un passante che incrociava per caso per strada e che involontariamente andava a sbattergli contro. Avrebbe disintegrato entrambi, anche solo per capriccio.
Michael fece una risatina nervosa.
-Ho una falange di guardie del corpo in stile presidenziale. Credi che non riusciranno a difendermi adeguatamente? A questo punto, allora, dovrei licenziarli. – ironizzò, ma il suo sguardo rimaneva serio e freddo.
Non ne compresi subito il motivo, ma poi intuii che forse il mio comportamento e le mie risposte evasive potevano avergli dato l’impressione sbagliata. Credeva dunque che cercassi di cambiare discorso ad ogni costo, pur di non sposarlo?
Badai subito a scacciare dalla sua testa quest’idea assurda.
-Mike, io ti amo. – sussurrai, sincera, e sicuramente non poteva dubitarne.
-Allora sposami. – mi pregò, alzandosi anche lui dal divano e muovendo lentamente qualche passo verso di me.
Riuscii ad avvertire la tensione e la speranza nella sua voce.
E allora tutto riacquistò un ordine.
Io amavo quell’uomo. E lui voleva una vita con me. Questo bastava.
In un secondo momento, ci saremmo occupati anche del resto del mondo. Ma per ora esistevamo solo noi due.