La vera storia di un racconto inventato...[FanFiction] 17
Mamma mia che vitaccia quella del forum...non appena rallenti un pò milioni di topic sono pronti a schiacciarti. Per fortuna che ci sono ancora anime pie pronte a risollevarti (grazie Vale
). Eh ragazzi che modi
...non ho mica finito...ho qualcosa da raccontarvi io....
Buona lettura
Cap 17
Dopo la morte di mia madre rimasi in Italia per circa due anni. Avevo bisogno di stare a casa, con la mia famiglia. Eravamo tutti devastati dal dolore ed avevamo bisogno del reciproco conforto per poter andare avanti ed imparare a convivere con la sua ingombrante assenza. Non fu facile.
Un cancro al seno in poco tempo me la portò via a quarantasei anni. Ero tormentata dai sensi di colpa perché sentivo che nel momento del bisogno non le ero stata vicina, non ero stata presente per sostenerla nelle sue sofferenze. Un’egoista presa dalla carriera, dai viaggi…; questo fui e non me lo perdonerò mai.
Solo la nascita di mio nipote Giulio, un mese dopo il lutto, ci regalò un po’ di serenità. Giulio era un regalo di mamma dal cielo. Lo sapevamo tutti.
In quei due anni io e Mike non perdemmo mai i contatti, ma quelle incomprensioni rimaste sospese, la lontananza, la sua vita che continuava a correre a velocità tripla rispetto alla mia, fecero il resto.
Nonostante tutto rimanemmo dei punti fermi e dei pilastri irremovibili l’uno per l’altra. L’affetto reciproco era intenso, forte, insormontabile, anche se forse all’epoca ci sembrò non essere più amore di coppia ma profondo legame fraterno. In realtà ci sentivamo sporadicamente, ma quando accadeva le nostre conversazioni diventavano vere e proprie spremute d’anima; la sua sola voce era per me una terapia rigenerante.
Era il 26 novembre 1991. Lo chiamai non appena seppi del’uscita in Italia del suo ultimo capolavoro discografico. Fu allora che mi propose ti tornare in America per lavorare con lui per la preparazione del prossimo tour. All’inizio fui titubante; cercò di convincermi dicendo che mi avrebbe fatto bene riprendere a lavorare e che mia madre avrebbe voluto vedermi felice. Ma sono certa che non mi fece quell’offerta solo per risollevarmi il morale; stimava profondamente il mio lavoro quanto io stimavo il suo e la nostra non fu solo una stupenda amicizia, ma anche una preziosa e continua occasione di arricchimento professionale.
Non gli diedi subito una risposta, avevo bisogno di rifletterci su. Nei parlai con la mia famiglia e tutti ne furono entusiasti, a quel punto decisi di accettare perchè quella poteva essere una stupenda occasione per ricominciare a lavorare e forse anche per riprendere la nostra storia da dove l’avevamo lasciata. Ma in realtà avevo un po’ paura di me stessa e delle mie reazioni di fronte ad una situazione così troppo simile a quel passato in cui io e Mike eravamo più che semplici amici; qualcosa mi diceva che le cose erano cambiate ma lo stesso ci sperai fino alla fine. Perché c’eravamo lasciati? Mah…una risposta concreta non l’avevo neanche io e quel difficile momento familiare fece passare i miei perché in secondo piano, mi sentivo quasi in colpa ogni qual volta nella mia mente aleggiava veloce qualche interrogativo malefico del tipo “Ma secondo te state ancora insieme?”. Mi mancava il coraggio di affrontare l’argomento, per lui fu lo stesso e alla fine lasciammo che quel che era rimasto del nostro amore venisse inesorabilmente inghiottito dall’implicito.
Ora che mi apprestavo a rimettere piede in terra americana mi tremavano letteralmente le gambe e questa cosa mi destabilizzava.
Quelli che seguirono furono per noi anni di grandi cambiamenti; eravamo cresciuti, probabilmente eravamo diversi rispetto a quando ci conoscemmo, o molto più probabilmente queste furono le uniche giustificazioni che seppi darmi dinanzi al fatto che lui non mi guardava più con gli occhi di prima.
Prima che partissi mi chiamò dicendomi che avrebbe fatto trovare una limousine in aereoporto al mio arrivo e che per il resto si sarebbe occupato di tutto lui. Quelle parole mi lasciarono perplessa, speranzosa ed emozionata.
Le porte scorrevoli si aprirono al passaggio del mio carrello con i bagagli e non appena vidi l’auto mi prese un fuoco alla bocca dello stomaco. Mi sentivo una ragazzina stupida…
Perché prendere una limousine se poi dentro quella macchina dovevo starci solo io? Nessuno c’era lì ad attendermi a parte l’autista, che per quanto fosse una persona simpatica non era proprio colui che desideravo incontrare; venni accolta da un bigliettino solitario poggiato sul sedile che diceva “Anche se non ci sarò per alcuni giorni, vieni a stare da me. Quando torno vorrei trovarti a casa…Bentornata, Michael”. Ci rimasi male. Speravo in un ritorno trionfante, lui che mi accoglieva con amore, noi due pronti ad essere quelli di una volta come se quei due anni non fossero passati. Mi sbagliavo di grosso.
L’attesa del suo ritorno fu un misto di strazio, gioia e confusione. Insomma cosa eravamo adesso? Come avrei dovuto salutarlo? Un bacio, un abbraccio, un ciao? Mi sembrava di vivere una situazione surreale, e il nostro incontro non fece che alimentare la mia confusione.
Sapevo che sarebbe rientrato nel pomeriggio. Andai a fare shopping per acquistare qualcosa di carino tanto per rendermi presentabile. Infondo non ero poi così diversa da come mi aveva lasciata a parte un paio di chiletti in più e i capelli un tantino più corti, ma avevo tanta voglia di piacergli. Ebbene si, le cose erano davvero cambiate, qualche anno prima non mi sarei fatta questo tipo di problemi perché ero certa di piacergli sempre.
Erano le diciassette e trenta, tra meno di mezz’ora sarebbe ritornato. Durante quell’attesa fantasticai su come potesse essere il nostro incontro dopo tanto tempo…
… una cenetta intima a lume di candela…
…lui che mi bacia…
…io che mi perdo nelle sue braccia avvolgenti…
…noi che…
Un vocio insistente mi distolse bruscamente da quel mondo sognante. Un brulichio di persone e di passi smuoveva il selciato; mi avvicinai alla finestra e guardai fuori. Tre macchine avevano appena parcheggiato nel viale mentre scendevano una, due, tre, quattro, cinque…ma quanta gente ci sta?- pensai mentre nella mia mente si sbiadiva lento il quadretto idilliaco che mi ero costruita. E lui…? Dov’è lui..?
Eccolo!...
Fu l’ultimo a scendere e lentamente si avvicinò all’ingresso intrattenendosi ogni tanto a scambiare qualche parola con uno di quei dieci tizi che l accompagnavano.
Giacca scura, cappello, pantaloni attillati…
Quella camminata…
Lo avrei riconosciuto tra un milione di persone. Lo prendevo spesso in giro per quel suo particolare modo di oscillare a destra e a sinistra quando incedeva sicuro.
Le mani iniziarono a sudare.
Salivazione azzerata.
Il cuore…va bè quello me lo ero giocato da un pezzo.
Dopo tutta quell’attesa non vedevo l’ora di riabbracciarlo.
Mi scaraventai alla porta. Aprii.
Spalancai l’uscio con un sorriso che mi circumnavigava il viso e venni accolta da una serie di occhi sconosciuti che risposero con cordiali buona sera, salve, ciao e quant’altro a quell’ apoteosi di denti con fossetta sulla guancia annessa. Non li guardai nemmeno; mi feci largo tra loro per raggiungere Mike poco distante che di spalle stava parlando con una persona.
Mi avvicinai lentamente così che non si accorgesse di me, e arrivata dietro di lui gli coprii con le mani gli occhi.
Interruppe bruscamente la sua conversazione.
Mi tastò mani e polsi.
-Finalmente sei tornata!-esclamò, e voltandosi mi abbracciò calorosamente baciandomi una guancia.
Mi cinse le spalle con il suo braccio ed entrammo in casa con tutto quel seguito di persone che non avevo ancora ben identificato.
Quella sera non ci fu nessuna cenetta romantica o chiacchierata in intimità, tutt’altro. Come bentornato mi aspettava una vera e propria riunione di lavoro. Eh si perché tutti quei signori non erano altro che gli organizzatori e parte dello staff che lo avrebbe accompagnato nel tour che lo aspettava, anzi che ci aspettava.
Arrivati in casa procedette con le presentazioni.
-Ragazzi questa è Susie…una mia carissima amica italiana. È stata via per un po’ ma adesso è tornata per darci una mano con il tour…Susie per me è fondamentale, è stata il mio portafortuna e quindi non poteva non accompagnarmi anche in questa avventura e sono certo che anche voi tutti vi troverete benissimo a lavorare con lei- Non mi diede il tempo di dire una parole, fece tutto da solo, era un fiume in piena. Devo dire che però mi sponsorizzò in maniera ineccepibile.
- E’ una grande ballerina con un curriculum fenomenale; viene dalla danza classica, balletto russo, brodway, poi ha già lavorato con me…insomma sta ragazza è un talento e ci tenevo a presentarvela.
Uno di quei signori intervenne.
- Quindi Mike vuoi farci credere che oltre ad essere così bella è anche brava?- esclamò in modo ironico tra le risatine dei presenti.
Mike si girò verso di me; con una mano si strofinò il mento inclinando un po’ la testa, guardandomi come fossi un quadro appeso alla parete, di quelli che hai in casa da tanto tempo ma che non ti soffermi mai ad osservare.
-Eh si…è bella Susie, lo so che è bella…lo avevo quasi dimenticato…
Buttò lì quella frase con una leggerezza che mi lasciò inebetita. Il Mike che ricordavo io non avrebbe mai fatto certi espliciti apprezzamenti su di me in pubblico, non si sarebbe mai esposto così tanto; arrossendo avrebbe glissato su quella considerazione per evitare di dare nell’occhio, per proteggere quello che c’era tra di noi da sospetti e pettegolezzi. Ma quella naturalezza la diceva lunga sul fatto che ormai non c’era più niente da proteggere e tenere nascosto, o meglio non c’era più niente.
Rimasi senza fiato. Chiunque al mio posto sarebbe stata al settimo cielo, io invece mi sentivo sprofondare.
In quel momento compresi la realtà dei fatti. Tutto era cambiato. La sua “piccola ragazza normale”, la sua “giovinezza spensierata” ormai era solo una “carissima amica italiana” di cui aveva dimenticato la bellezza, mentre io, povera illusa, di lui ricordavo ancora tutto.