00 12/07/2010 14:40
Salve a tutti! [SM=g27817]
Ho seguito e letto parecchie Fan Fiction e devo dire che siete tutte bravissime! (parlo al femminile perchè finora ne ho lette solo di donne [SM=g27829] )
Mi avete ispirata [SM=g27821] e, mettendo da parte la mia timidezza, provo anche io a farvi leggere la mia storia [SM=g27829]
Mi piace molto scrivere, ma non sono molto brava [SM=g27819]
Comunque, se avrete voglia di leggere la mia Fan Fiction, spero che la apprezzerete e, soprattutto, che non vi annoierete... [SM=g27819]
Bè, bando alle ciance...

UN PENSIERO FELICE


Capitolo 1

Bip. Bip. Bip.
Sempre lo stesso, identico, martellante suono.
Rimbomba nella mia testa, a volte si fa più acuto, a volte mi pare quasi di non sentirlo.
Alterno momenti in cui non ricordo più chi sono, dove mi trovo, a momenti di lucidità quasi allarmanti.
Sento quello che accade intorno a me. Percepisco le mani che mi sfiorano, le parole sussurrate al mio orecchio.
Il mondo intorno a me si muove, lo so, è la mia certezza.
Io, invece, sono immobile non so esattamente da quanto: potrebbero essere poche ore, alcuni giorni, due settimane, dieci anni. Sempre troppo, troppo tempo.
La mia vita se ne sta andando, è scattata in avanti e mi ha superata senza che io possa provare a raggiungerla. Sono destinata a perdere questa corsa.
Nei rari momenti in cui riesco a mantenere la mente lucida, sento i medici, mia madre, mio padre, mio fratello... Parlano sempre di me.
"Non crediamo possa sentirla, signora, il coma è troppo profondo..."
E io vorrei poter urlare, gridare con tutte le mie forze "Io ci sono, sono qui, vi sento, posso sentirvi!"
Ma non posso.
Quante volte, nella vita, in bilico tra una possibilità o un'altra, si preferisce non sbilanciarsi, non rischiare. Si possiede il momento in cui si ha la possibilità di compiere una scelta e lo si lascia andare, il più delle volte per paura di sbagliare.
E così se ne vanno le occasioni, l'attimo svanisce.
Non so cosa darei, per avere ancora la facoltà di dire "Io posso."
Bip. Bip. Bip.
Non lo sopporto. Vorrei che smettesse.
So che cosa significherebbe e cosa comporterebbe, ma quante, quante volte sono stata presa dal desiderio di non essere costretta a sentire più quel rumore incessante, quelle parole rassegnate, la mano bagnata di lacrime di mia madre che mi sfiora la guancia, la voce straziante di mio padre che inveisce contro i medici "ci dev'essere ancora una possibilità per la mia bambina!" e il profumo dei fiori che continuano ad arrivare...
Invece resto qui, non parlo, non mi muovo, non sorrido, non piango, non sono.
Quando sprofondo nel buio della mia mente, mi si propongono immagini distorte, sequenze inimmaginabili, giochi di luce, forme senza senso. Negli attimi in cui riesco a tornare a galla, il dolore mi strazia per ciò che sento attorno a me e desidererei ritrovare quelle immagini tanto inspiegabili quanto rassicuranti.
Ma la mia mente si rifiuta di collaborare e io sono costretta a questa condizione che mi distrugge, mi logora a poco a poco, mi consuma e mi trasforma in qualcosa che non conosco, un essere che non ha nulla a che fare con me, così tanto diverso dalla persona che ero, dalla persona che non sarò mai più.
Già... la persona che ero... Ma chi ero? A volte me lo ricordo, a volte no, a volte modello una sagoma che non mi appartiene.
Tuttavia, è nei momenti di sconforto e di dolore più strazianti che tutto quello che posso fare per cercare di non sprofondare negli abissi distorti della mia mente è aggrapparmi all'unica certezza che ho, l'unico punto fermo di una vita ormai volta al termine: il mio passato, prossimo o remoto che sia.
E allora i ricordi affiorano, iniziano ad affollare la mia mente, a prendere forma e a svolgersi davanti a me come una pellicola.
E io osservo: spettatrice immobile, silenziosa, non più partecipe.
Bip. Bip. Bip.
Il film sta per cominciare...
Bip. Bip. Bip...
Ecco, non lo sento più.


Guaiti. Ululati.
Intimorita, mi volto cercando mia madre con lo sguardo, sperando di trovare conforto nel suo viso. Lo trovo. Mi sorride, intuendo il motivo della mia preoccupazione. "Non ti preoccupare, tesoro, non senti? Gli stanno solo facendo un bagnetto, non gli fanno del male."
Allora provo ad ascoltare con più attenzione e sì, lo sento, un rumore che prima era sfuggito alla mia attenzione: lo scrosciare dell'acqua.
Sorrido a mia volta, sollevata.
Sono nervosa, impaziente, emozionata e incredibilmente felice.
Immagino che quasi tutti i bambini di undici anni sognino di avere un animale con cui giocare, da coccolare, viziare, stringere. Il mio desiderio, però, me lo porto nel cuore praticamente fin dalla nascita: ho imparato a leggere ancora prima di andare a scuola solo per conoscere le caratteristiche di tutte le razze canine presenti sulla terra, per essere pronta a fare la scelta giusta nell'attimo in cui i miei genitori avessero deciso che era il momento di soddisfare il mio desiderio. Quel momento, finalmente, è arrivato.
La mia scelta, alla fine, è ricaduta su una razza amabile, particolarmente adatta alla presenza di bambini e di media statura: un Beagle.
Mentre aspetto impaziente in quello che intuisco essere lo studio del proprietario dell'allevamento, la mia mente ha la possibilità di tornare indietro al giorno in cui conobbi il mio cagnolino.
Io e i miei genitori eravamo andati a scegliere il cucciolo una settimana prima: erano in quattro, tre maschi e una femmina. La scelta già si restringeva: volevamo un maschio. Ricordo che quel giorno ero particolarmente nervosa: il proprietario dell'allevamento mi condusse all'interno della gabbia e io, dapprima intimorita, ma poi sempre più sicura, iniziai ad accarezzare quegli adorabili cuccioli, alla ricerca del mio futuro amico a quattro zampe. Notai che solo tre mi si erano fatti incontro abbaiando e scodinzolando. Sorpresa, iniziai a guardarmi intorno alla ricerca del cucciolo mancante e, dopo un'accurata ispezione del perimetro, lo vidi: se ne stava in disparte, a dormire contro il freddo muro di mattoni dell'edificio, russando ad intermittenza. Divertita, mi lasciai sfuggire una debole risata e, per l'improvvisa ondata di affetto che provai e che fece sobbalzare il mio cuore, capii: avrei scelto lui. "Voglio quello" dissi, dapprima solo a me stessa; poi, chiamai i miei genitori e informai anche loro della mia decisione. La scelta del nome non era stata facile, l'indecisione mi aveva accompagnato fino a poche ore prima, ma...
Un rumore di passi interrompe i miei pensieri. Il cuore prende a battermi, forte.
"Eccoci qua". E' la la moglie dell'allevatore, mi sorride. In un primo momento, non noto nemmeno il fagotto che stringe a sè. Poi, lo vedo: è ancora più bello di come me lo ricordassi. Tra le mie braccia, si dimena e inizia a leccarmi la faccia, preso da una vitalità e da un affetto che non mi sarei mai aspettata. Per paura di lasciarmelo sfuggire, lo passo a mia madre: la sua stretta è più salda della mia e il cucciolo si calma subito. Non riesco a smettere di guardarlo.
Dopo aver firmato le solite carte, finalmente saliamo in macchina: mia madre si posiziona ovviamente alla guida, mentre io mi accomodo sul sedile posteriore insieme al cucciolo. Apposta per lui, c'è già ad attenderlo una piccola tinozza gialla con una vecchia coperta e un mio vecchio peluche a forma di coniglio.
Dopo pochi minuti dalla nostra partenza, tuttavia, il cucciolo comincia a piangere e ad ululare disperatamente. Più preoccupata che mai, ricerco ancora una volta il conforto, questa volta non così rassicurante come speravo, di mia madre. "Credo che gli manchi la sua mamma". A queste parole, mi sento pervadere senza avviso da una tristezza infinita, causata dalla mancanza di sensibilità che mi accorgo appena adesso di aver dimostrato: pensare solo alla mia felicità, bramare il momento in cui finalmente avrei stretto tra le braccia un cagnolino tutto mio, aveva messo da parte, in me, la consapevolezza di strappare una creatura alla propria mamma. Solo adesso mi riscopro a pensare come si possa sentire, improvvisamente tolto alle cure della madre e all'affetto e al calore dei suoi fratelli: da solo. Con il cuore in mano, protendo un braccio verso il suo musetto triste e, goffamente, prendo ad accarezzarlo sulla testa per cercare di tranquillizzarlo; poi, delicatamente, lo gratto dietro le orecchie. Stupita, mi rendo conto che sembra che il cucciolo apprezzi: scodinzola e mi lecca la mano. Sollevata, persevero nei miei movimenti, decisa a renderlo felice o, perlomeno, a provare a ridurre un po' la sua sofferenza.
Finalmente, dopo una decina di minuti, vedo le sue zampette cedere alla forza del sonno e, quasi come un bambino, si raggomitola nella tinozza chiudendo gli occhi. Continuo ad accarezzarlo ritmicamente sulla schiena e, ad un tratto, il piccolo Beagle comincia a russare nello stesso, buffo, modo che aveva fatto sì che scegliessi lui. Lo guardo ancora una volta, con affetto; poi, distolgo lo sguardo e osservo le forme veloci che scorrono fuori dal finestrino, cercando di catturarne alcune. Mi sforzo di pensare ad altro, ma so che la mia mente mi ricondurrà sempre al medesimo interrogativo: che cosa si deve provare quando si viene strappati alla propria madre?
Mi volto: una musica che non riconosco invade l'abitacolo e lei se ne sta lì, con le mani che battono a tempo sul volante. E' proprio buffa: è evidente che non sa le parole, infatti la maggior parte se le inventa; solo ogni tanto, esclama "Black or White!" con tanta convinzione che sembra che si trovi su un palco di fronte a migliaia di persone. Ridacchio sotto voce e, ad un tratto, provo ad immaginare una vita senza di lei, senza la mia mamma. Non è vita.
Riprendo ad accarezzare il cucciolo, capendo finalmente che cosa deve provare.
"Allora, sei sicura del nome che hai scelto?" Sobbalzo, rendendomi conto che la canzone è finita e che i profondi occhi verdi di mia madre mi stanno osservando dallo specchietto retrovisore, in attesa di una risposta.
Guardo per l'ennesima volta il piccolo Beagle: la morbida schiena si alza e si abbassa ritmicamente con movimenti profondi, gli occhioni nocciola stanno esplorando chissà quali sogni, il naso vibra ogni tanto come a voler fiutare qualcosa e le zampette sono dolcemente adagiate sulla coperta che un tempo aveva accolto me. "Sì - sorrido - Mike è perfetto".



Ancora vivi?
So che può non sembrare una Fan Fiction e che magari vi sarete annoiati [SM=g27819] ma preferisco arrivare alle cose con calma [SM=g27821]
Ah, sono molto lenta a scrivere, quindi abbiate pazienza con il seguito! [SM=g27828]
[SM=g27817]
[Modificato da sungirl11 16/07/2010 19:18]