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Siedah Garrett: «Andare in tour con Michael Jackson era come viaggiare con Gesù bambino»
Il primo incontro in studio, il duetto su ‘I Just Can’t Stop Loving You’, gli hotel assediati dai fan, l’ultimo ricordo: la cantante e autrice di ‘Man in the Mirror’ racconta gli anni col Re del pop
di ANDY Greene.
Siedah Garrett si è assicurata un posto nella storia della musica come la donna che ha scritto Man in the Mirror per Michael Jackson, per poi duettare insieme a lui nella hit mondiale I Just Can’t Stop Loving You. Ha anche firmato il brano di Jackson del 1991 Keep the Faith e ha viaggiato con lui come corista nel tour di Dangerous. Poco prima della sua morte, era pronta ad accompagnarlo nella residency londinese This Is It.

Tuttavia, ha una solida storia musicale anche senza contare le collaborazioni con Jackson. Ha partecipato a session e tour con Madonna, ha fatto i cori nei dischi di artisti d’ogni tipo, dai Wang Chung a Barbra Streisand, ha scritto canzoni per Dream Girls e Rio che le hanno fruttato più di una nomination agli Oscar. È anche autrice di uno dei pezzo dell’ultimo LP di Diana Ross Thank You e sta lavorando al nuovo adattamento per il grande schermo di Il colore viola. Qui, in collegamento dalla sua casa di Los Angeles, ci racconta com’è stato collaborare e viaggiare in tour con il Re del pop.

Com’è che hai iniziato a lavorare con Michael Jackson?
Nasce tutto dall’incontro con Quincy Jones. Aveva chiesto ai suoi autori della West Coast una canzone per l’album Bad. Ero diciamo così nella sua orbita perché faceva delle audizioni, voleva mettere in piedi un gruppo come i Manhattan Transfer o Fifth Dimension, un gruppo vocale di uomini e donne insomma, faceva questi provini a Hollywood.

La sera prima dell’audizione ho ricevuto una chiamata. Non era la mia amica con cui cantavo nei Black Velvet & Satin Soul, non era lei a chiamarmi. Anche lei doveva fare l’audizione. Era il suo ragazzo. «So che domani lei farà questo provino, secondo me dovresti andare anche tu». E io: «Quincy Jones? Ok». Non l’avevo mai incontrato. «Devi andare», insisteva, «è roba grossa». Non sapeva a che ora sarebbe stato, mi ha dato solo l’indirizzo. Mi sono presentata alle 7 del mattino. Le vere audizioni sarebbero iniziate nel pomeriggio. Ero la terza. Quando è arrivata l’ora, la fila arrivava in fondo all’isolato.

Siamo entrati e c’era un tavolo pieno di cartellette. Dovevi scrivere il giorno e l’ora in cui volevi tornare per esibirti. Io ero già lì, volevo fare l’audizione. Ero pronta quel giorno lì. Così l’ho fatto.

Anni dopo, Quincy mi ha detto che voler fare subito l’audizione ha alzatol’asticella. Chiunque avrebbe cantato dopo di me sarebbe dovuto essere alla mia altezza, o fare di meglio. Per mesi ho ricevuto delle lettere: «Congratulazioni, sei una delle 500 persone prese in considerazione per il progetto di Quincy Jones. Congratulazioni, sei una delle 100… 50… 25… 15… 10… 5… 4».

Alla fine sono rimasta io, più tre tizi. Decca offriva un pacchetto unico, diritti d’autore e di edizione. Volevano che scrivessi 12 pezzi all’anno e sarebbero stati tutti di Quincy. Io non sono una musicista. Posso collaborare alla scrittura dei pezzi, non di più. Per arrivare a 12 pezzi all’anno avrei dovuto scriverne 24. E non parliamo di cosa avrei dovuto fare dividendo tutto per quattro. Così ho detto: non voglio un contratto come autrice, non scrivo e non voglio firmare un contratto sbagliato con Quincy Jones, quindi no. Per gli altri andava bene. Hanno incontrato Quincy e hanno firmato. Poi lui ha chiesto: «E la firma di Siedah?». E loro: «Non vuole la parte delle edizioni, solo quella per le registrazioni».

Quincy ha restituito il foglio e ha detto: «O firmate tutti, o non lo farà nessuno». Un attimo dopo (imita il rumore di un pugno sbattuto sulla porta): Siedah! Stronza devi firmare! Quando tre neri grossi così ti dicono di firmare, tendenzialmente tu firmi. L’ho fatto e visto che fino a quel momento avevo scritto solo poesie, mi sono messa a studiare l’arte della composione di canzoni. Nel frattempo facevo le demo per altri, così ho imparato come si scrive, come si arrangia, l’effetto che si può ottenere cambiando strumenti e atmosfera.

Ho imparato tantissimo solo cantando nelle demo degli altri, mi ha aiutato nella scrittura. Pensavo: in quella canzone qui c’era un bridge… mi piaceva come entrava al ritornello… c’era un’intro e poi subito la strofa. Ho imparato un sacco di cose. È stata una grande lezione. Ci ho messo un po’ a capirlo, ma sono cresciuta molto come autrice.

È così che sei arrivata alle session di Bad?
Sì. Dobbiamo saltare un po’ in avanti, fino a quando Quincy non ha avuto bisogno di un’altra canzone. In quell’incontro ho preso vari appunti, poi sono andata da Glen Ballard, avevo cantato nelle sue demo e amavo il suo modo di scrivere.
www.rollingstone.it/musica/interviste-musica/siedah-garrett-andare-in-tour-con-michael-jackson-era-come-viaggiare-con-gesu-bambino...
[Modificato da Adelina78 10/01/2022 19:23]

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