| | | Post: 1.176 | Registrato il: 18/07/2009 | Sesso: Maschile | Amministratore Unico | HIStory Fan | Direzione | | OFFLINE |
|
Penso che quegli editori, per affermare delle cose del genere, siano partiti da questo presupposto: Michael Jackson non è certo stato un cantante di nicchia, ma uno che è riuscito ad incontrare i gusti musicali di milioni di persone, indipendentemente dal loro livello sociale e culturale.
Se scrivi un libro "raffinato" su Bob Dylan o su Giorgio Gaber probabilmente vai sul sicuro, dato che questi ultimi sono notoriamente apprezzati da un pubblico che, per quanto più ristretto, tende ad andare oltre la ballabilità/ruffianità del pezzo o il culto maniacale del personaggio; preferendo esplorare, per esempio, la profondità del testo, la struttura più o meno elaborata della canzone e il suo livello di innovatività nel tempo in cui è stata partorita. E' un po' come voler paragonare un romanzo di Federico Moccia ad un saggio di Filosofia Etica: il primo vende in "quantità", il secondo in "qualità". E si presuppone che il livello culturale delle due categorie di lettori sia certamente diverso.
Per questi editori (che, mi ero scordato di premetterlo, mi trovano in completo disaccordo), i fans di Michael Jackson non sono poi molto diversi da quelli di Lady Gaga o dei Tokio Hotel. Sono persone che amano la musica "semplice", "d'impatto", di "facile commercializzazione". Appunto, musica "pop". A questo proposito, per i presunti palati sopraffini della letteratura musicale, l'attributo "Re del Pop" può assumere perfino un significato dispregiativo: egli è colui che, più di tutti, rappresenta la musica del volgo, del mainstream. Un'accozzaglia ben assemblata di suoni e parole finalizzata alla pura mercificazione (e dunque degradazione) dell'arte.
A parer mio, è tutto collegato a quella sottovalutazione della produzione artistico-musicale jacksoniana, da parte della critica, di cui ha ben parlato Joe Vogel. |