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Broken Hearted Girl (in corso). Rating: rosso

Ultimo Aggiornamento: 30/03/2011 21:56
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04/03/2011 11:21
 
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Puoi depormi dalle mie glorie e dal mio stato, ma non dai miei dolori: di quelli io sono ancora il re.





Episodio 3


Il tempo.
Spesso ci sfugge di mano.
Vivevo in un'altra dimensione dopo quella sera. Le ore senza parlare, senza ridere e scherzare insieme a lei mi sembravano infinite. Stavo seduto sulla poltrona dell'ingresso a fissare la mia immagine riflessa nello specchio, a provare le espressioni più incredibilmente stupide solo per farmi qualche risata in compagnia di me stesso.
O stavo seduto in limousine, a guardare fuori dal finestrino la vita degli altri, ero così bravo a immedesimarmi nella gente che incontravo per strada.
Un attimo prima ero un'anziana signora con un cesto di mele sotto braccio e una sciarpa rossa avvolta intorno al collo.
Cosa avrei fatto con un cesto di mele?
Ovvio una torta. O magari le avrei cucinate al forno.

No, no…odio le mele al forno, meglio la torta.

Quando mi stancavo di essere la dolce signora della porta accanto ecco che diventavo un frenetico e ossessionato uomo d'affari.
Una volta tornato a casa mi sarei messo le pantofole e avrei letto sulla MIA poltrona preferita il MIO quotidiano.
Moglie e figli?Oh no.
"Cara sono appena tornato dal lavoro, dammi un po’ di tregua!"
"Piccolo non vedi che papà sta leggendo?Perché non lo fai vedere alla mamma il tuo disegno..."

Insomma, era questa la mia vita quando non avevo qualcuno con cui parlare. E spesso quel qualcuno veniva a mancare per troppo tempo. Così tanto che dimenticavo come fosse fatta la mia voce e nella solitudine della mia camera emettevo qualche vocalizio giusto per schiarirmela un po’.

Quella sera mi sentivo particolarmente bisognoso di compagnia, ma non avrei mai osato andare da lei. Se ci fosse stato quel tizio sarebbe successo il finimondo.
Dovevo rassegnarmi ad un’altra serata con Michael...Lui non era male in fin dei conti, ma cominciava a stancarmi il fatto di avere solo lui come amico.
Lo conoscevo abbastanza e non intendevo andare avanti, quello che sapevo di lui mi bastava.
Se quella sera ci fosse stato anche un solo motivo per andare a bussare alla sua porta io ci sarei andato, ma...ahimè...Niente.
Non uno straccio di scusa, non una piccola minuscola motivazione per andare a parlare con lei.

E fu proprio quello il bello. Ero talmente convinto e rassegnato al fatto di dover passare la serata da solo, che vederla davanti alla mia porta mi fece un effetto bellissimo. In quel momento era come se anche la giornata ormai trascorsa fosse stata bella, anche se in realtà era stata incredibilmente triste come sempre.
Avvolgeva le braccia intorno ad un cesto coperto da un panno rosso a quadri, sembrava proprio uno di quelli da pic nic.

-Hai mai fatto un pic nic in hotel?- chiese sorridendomi.
-No.-
-Neanche io...-
-Dai entra.-

Appoggiò il cesto sul tavolino e si mise a sedere con naturalezza, una naturalezza che non avevo visto la prima volta che la invitai a cenare con me.
Il suo viso era più colorito e i suoi capelli completamente lisci.
Ricordo che erano lunghissimi, morbidi, e quando si agitavano quei riflessi dorati si notavano ancora di più.

-Allora...cosa ha in mente la mia vicina di camera pazza?-
-Pazza?Bene…porterò il mio pic nic da un'altra parte...-
-Scherzavo!-
-Buon per te...-
-Me lo dici o no cosa c'è lì dentro?-
-Beh vediamo...sandwich, crostata, succo di frutta e...indovina un po’?-
-Brioche al cioccolato.-
-Io direi cioccolato alla brioche...-
-Addirittura!?Cosa intendi fare?Farmi arrivare il colesterolo alle stelle e poi derubarmi?-
-Inizialmente si, ma poi mi sono detta..."Le brioche le mangio io, lo ucciderò con il coltello per la crostata"-
-Splendido...preferivo la morte per overdose da cioccolato,però...-

Non volevo e non potevo darlo a vedere, ma dentro di me urlavo. Ero talmente euforico che se mi fossi lasciato andare anche solo un secondo mi avrebbe portato d'urgenza al manicomio.
Non mi domandò nulla, stese quella tovaglia a terra e ci mise sopra tutto il contenuto del cesto.
Se chiudevo gli occhi potevo immaginare di essere davvero in mezzo ad un prato, a lottare con le formiche, e a giocare con gli aquiloni.
L'odore di quei sandwich sapeva proprio di picnic, di divertimento, di qualsiasi cosa avesse a che fare con la compagnia degli amici e la natura.
Anche volendo non avrei potuto ringraziarla abbastanza per avermi salvato da un'altra serata da solo, e perso dall'euforia di quel momento non l'aiutai, restai lì impalato a guardarla senza dirle nemmeno "Ehi,ti serve una mano?"
E quando avevo smesso di saltare di gioia nella mia testa aveva già finito, era seduta sul pavimento a gambe incrociate.

-Allora?vuoi guardarmi mangiare o ti siedi con me?-
-Si scusami...di nuovo sola stasera?-
-Ti sorprende?-
-Scusa la domanda un po’ indiscreta,ma quello è il tuo ragazzo?-
-Già...-
-E,scusa ancora la mia indiscrezione,dimmi...cosa ci fa una ragazza come TE con un tizio come QUELLO?-
-E' una lunga storia...e neanche molto bella...-
-Se ti va di parlarne...-
-Michael,vorrei passare una bella serata.-
-Perdonami, sono stato un po’ impertinente...un po’ troppo.-
-Non è questo,ma adesso non voglio pensare né a Landon né a tutto il resto...-
-Certo,certo...-


Sembrava abituata ormai a stare male e a riprendersi in poco tempo. Un po’ come me.
Quando ero solo mi sentivo uno straccio, mentre quando ero in compagnia di qualcuno mi rianimavo, ero capace di giocare e ridere senza pensare a niente...
E quella sera mi sentivo così, sarei potuto rimanere in piedi a parlare con lei per tutta la notte. Tutti i dolori del passato, il divorzio da Lisa, le accuse e tutto il resto...niente esisteva in quei momenti. C'eravamo solo io,Scar e la nostra incredibile intesa. Era come se ci conoscessimo da una vita, forse perché entrambi condividevamo il male più grande: la solitudine.

Quella sera mi raccontò della sua passione. Parlava della sua macchina fotografica come di un tesoro prezioso,ma quello che le piaceva di più era immortalare la vita.
Ogni fiore, ogni nuvola con una strana forma, animali, bambini, città. Lei fotografava ogni cosa.
Mi disse che la sua passione più grande erano le ombre, di qualsiasi cosa,d i qualsiasi oggetto o essere vivente.

-La nostra ombra è un po’ come la nostra anima.-

Quella frase mi restò impressa, non ho mai dimenticato il modo in cui la disse. Fu come se in dieci parole avesse riversato tutta se stessa.

-Voglio che fotografi la mia ombra.- dissi deciso.
-Adesso?-
-Si,non puoi farlo?-
-Certo,ma usare una luce artificiale non sarebbe lo stesso...-
-Davvero?-
-Eh no...non sarebbe naturale-
-E qual è il momento migliore della giornata?-
-Dipende,ogni momento è diverso,varia la forma,la nitidezza,la densità...-
-Ok mi arrendo...- la interruppi.
-No dai...magari nel pomeriggio...-
-Io sono sempre qui,faccio parte dell'arredamento della suite ormai.-

Non mi rimaneva che scherzarci su. A cosa serviva piangersi addosso?Potevo godere della compagnia di quella ragazza senza dovermi preoccupare di niente. Lei mi capiva al volo, e sembrava avere un talento naturale nel tranquillizzarmi con un solo sorriso.
Non potevo fare a meno di pensare però, a cosa sarebbe successo se il suo ragazzo si fosse accorto dei nostri incontri, seppure innocenti.
Mi stavo intromettendo nella vita di qualcun’altro senza che questo lo sapesse, e cominciai a credere che forse sarebbe stato meglio non vedersi più.
Ma io adoravo la sua compagnia e non riuscivo proprio a dirle di no quando mi chiedeva di passare qualche ora insieme per curarci a vicenda le ferite che lasciava la solitudine.
Quella notte restammo a chiacchierare fino alle due,e come ogni volta lei si alzò di scatto e scappò via salutandomi con un dolce, ma allo stesso tempo amaro, sorriso. Entrambi tristi e sconfortati che anche quelle ore passate insieme fossero volate come tutte le altre.

Le mie notti diventavano sempre più tranquille e piene di sonno e di sogni. Quando mi svegliavo al mattino mi sentivo felice per una cosa che in realtà la gente fa così naturalmente. Per me era meno stressante un concerto di una nottata insonne.
Non avevo voglia di alzarmi quel giorno, stavo bene sotto le coperte a pensare alla serata precedente e a sperare in un’altra ancora più bella.
Ma purtroppo dovetti scollarmi dal materasso controvoglia...A volte dimenticavo chi ero e quindi anche degli impegni che avevo.



Mi sedetti in auto con lo sguardo ancora assonnato nascosto dai miei occhiali e presi un sorso d'acqua.
Ormai conoscevo a memoria le strade di Londra e mi capitava di vedere per fino le stesse persone, come la signora col cesto di mele...mi chiedevo casa diavolo facesse con tutte quelle mele...
Chiusi gli occhi e poggiai la testa al finestrino, mi stupivo di me stesso, stavo recuperando tutto il sonno perso.
Mi svegliai automaticamente quando l'auto si fermò, presi un altro sorso d'acqua per sciacquarmi la bocca e scesi dall'auto.

Mi chiesi se il destino centrasse qualcosa, ma non appena entrai in quello studio la vidi al bancone indaffarata con la sua macchinetta, e vidi accanto a lei quel tipo.
Mi dava il disgusto guardarlo se pensavo a quello che aveva avuto il coraggio di fare.
Il fotografo, nonché padrone dello studio li invitò ad uscire frettolosamente.

-Ragazzi dovete andare, come vedete ci sono ospiti importanti,mi raccomando non spargete la voce altrimenti...-
-Certo.-

Rispose con la stessa gentilezza che io avevo conosciuto.
I suoi occhi mi sorrisero, infilò la macchinetta nella borsa e se la mise a tracolla.

-Arrivederci.-
Io non risposi a quel saluto, seguii i suoi movimenti con discrezione fino a che il fotografo non chiuse la porta e girò il cartello su “chiuso”.

Vederla nei panni da fotografa mi fece uno strano effetto, avrei voluto farmi immortalare da lei. Il mio sorriso sarebbe stato senza dubbio più naturale se ci fosse stata lei dietro l'obbiettivo.
Ma purtroppo mi toccava essere fotografato da un ometto con i baffi e una schifosa puzza di sigaro cubano attaccata addosso. Era un professionista, su questo non c'erano dubbi, ma a volte anche la presenza conta..Non trovate?


Quella sera non venne a trovarmi, e così quella successiva, e l’altra ancora.
Mi vergogno ad ammetterlo, ma stetti seduto accanto alla porta ogni sera fino a tardi. Speravo di sentire almeno la sua voce, ma niente.
Quando si è soli anche la cosa più insignificante può aiutarti a stare meglio, e a me sarebbe bastata la sua voce, non chiedevo altro. Ma non potevo fare a meno di sentirmi uno sciocco allo stesso tempo, un disperato, un ricco e solo quarantenne destinato a finire i propri giorni nella solitudine più profonda!
Forse dovevo solo imparare a conviverci, tutto qui.
Cominciai a pensare che se ne fosse andata. Alle 2e30 della terza sera mi alzai sconfortato dalla poltrona e andai a chiudermi in camera. Provai quasi rabbia nei suoi confronti per essersene andata così, senza neanche salutarmi. Ma in fondo ci conoscevamo appena, cosa potevo aspettarmi?
[Modificato da °Offy° 10/03/2011 20:53]
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