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In The Name Of Love (in corso). Rating: verde

Ultimo Aggiornamento: 08/09/2010 21:47
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01/06/2010 18:43
 
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CAPITOLO II

Temetti di stare per svenire quando Liz Taylor mi porse la mano, per incrociarla con la mia e dando luogo alle cosiddette presentazioni. Se quella era un’illusione, allora che qualcuno mi avesse svegliato prima dell’iperventilazione!

«Il piacere è... È mio, Signorina Elizabeth Taylor», dissi con imbarazzo e sorriso timido, stringendo dolcemente la sua soffice mano... Aveva una stretta decisa, energica, delicata quanto quella di una donna di classe, ma comunque sciolta e disinvolta. Lei si aprì in una risata divertita non appena finita la frase fatta.

«Ti prego, non chiamarmi “Signorina Elizabeth Taylor”», rispose allegramente, incrinando le sopracciglia in un’espressione di divertimento. «Chiamami semplicemente Elizabeth, anzi no, solo Liz. Liz e basta. Non mi piacciono le formalità in occasioni come queste...»

Fintanto che pronunciava quelle parole, si avviò verso lo specchio alla scrivania al muro. Il mobile era quasi interamente coperto di trucchi, per non contare altri tanti oggetti d’oro e brillanti. Con perfetta discrezione, come se io non fossi presente, cominciò a smistare i suoi gioielli preziosi, in una grande scatola blu di velluto. Io, come una scema, stavo ferma nella posizione in cui ero immobile da circa cinque minuti abbondanti.

Non era da tutti i giorni incontrare una persona di quella importanza, e anche se non ero solita a ritrovarmi così spiazzata di fronte a qualcuno, quello era uno di quei casi. Spesso e volentieri ero disinvolta con tutti, riuscivo a creare situazioni che mettessero a proprio agio non solo chi avevo a che fare, ma anche me stessa. Non succedeva con tutti, ovvio, ma con chi sentivo di essere più naturale. Quella era una delle poche e rare situazioni in cui mi sentivo disorientata e stralunata, come se avessi bevuto vodka e alcool a manetta!

«Tu preferisci che ti chiamo Joyce?», chiese lanciandomi una fugace occhiata attraverso lo specchio. Io sobbalzai leggermente. «...O preferisci che ti chiamo Joy?»
«Joyce o Joy è indifferente in realtà... Chi non mi conosce bene solitamente mi chiama Joyce», risposi alzando a malapena le spalle in modo abbastanza sciolto, o almeno, più di prima. «In questo caso andrà benissimo solo Joy».

Lei sorrise attraverso lo specchio, in seguito voltò le spalle verso me. «Prego, Joy, siediti pure su quella poltrona. Non vorrai certo stare in piedi per tutto il tempo in cui parleremo, vero?... Oh, ti darei volentieri qualcosa da bere e mangiucchiare ma, uff... Purtroppo qua mancano determinati servizi di questo genere», disse con sguardo buffo, guardandosi intorno con espressione corrugata.

Trattenni sforzatamente una risata divertita e, dritta in direzione della poltroncina che Liz Taylor mi aveva indicato, mi sedetti. «Non fa niente, davvero, non penso di avere comunque spazio nella pancia... Tutti quegli applausi mi hanno saziato e deliziato fin troppo!», ammisi ridacchiando.

Solo quando mi sedetti, mi resi conto di non essermi ancora guardata veramente intorno... Minuziosamente, studiai tutto l’ambiente. Era una stanza abbastanza grande per essere un semplice camerino; una luce bianca proveniente da un lampadario in vetro al soffitto illuminava la stanza e, alla parete opposta dal mio punto di vista, c’era un enorme armadio aperto pieno di vestiti. C’erano tanti quadri di magnifici panorami appesi ai muri, non troppo grandi, e un gran tappeto crema a terra. Era una stanza accogliente, ma di una classe degna di una diva come lei!

«Oh, immagino», disse lei con lieve risata, riferita alla mia frase precedente. «Penso che te li sia meritati, perché è stata un’esibizione molto bella. Mi hai trasmesso molto, sai?...»
Poi voltò il capo verso di me con un gesto veloce e istantaneo.
«Posso chiederti una curiosità?». Io annuii, aspettando con interesse la domanda che aveva da pormi. Con un poco di imbarazzo da parte sua, con sguardo abbassato e sorriso concentrato, mi chiese: «L’hai scritta tu? O ti ha aiutato qualcuno?»

Non esitai a rispondere. «L’ho scritta io, all’età di 16 anni. Quando la proposi al discografico inizialmente non era molto convinto, poi sentendola cantare da me decise di farmela incidere il più presto possibile ed inserirla nel Cd...».
La mia voce divenne fioca, e senza riuscire a fermarmi continuai a parlare. «Molti mi hanno chiesto per chi l’avessi mai scritta, io non sapevo e non so ancora rispondere. L’ho scritta perché lo diceva il mio cuore...»

Mi vennero in mente gli stessi pensieri a cui riflettevo ogni volta che cantassi “Beautiful Disaster”, e mi bloccai. Rimasi a contemplare le mie mani unite appoggiate delicatamente alle ginocchia, a sguardo perso nel vuoto. Non mi accorsi nemmeno che Liz Taylor mi osservò con occhi seri e profondi, per chissà quanto tempo, e anch’ella abbassò gli occhi.

«A volte il nostro cuore contiene molti più sentimenti che la mente non possa mai riuscire a formulare, io la penso così. Un giorno credo che riuscirò a capire fino in fondo quelle emozioni... Forse ho passato troppe poche esperienze nella mia vita ancora...», continuai guardando la donna negli occhi, nella voce una nota di cruccio.

Rimanemmo occhi negli occhi a guardarci, per un tempo che non seppi definire. Mi studiò con apprensione, attraverso quegl’occhi blu lavanda intensi e profondi, ed ebbi l’impressione che mi stesse scrutando dentro l’anima. Tuttavia non mi sentii di dissolvere lo sguardo – sapevo che gli occhi erano lo specchio del cuore di una persona – e nonostante non sapessi che sfaccettatura avessero preso i miei rimasi a contemplarla, come lei stava facendo con me.

Le sue labbra si aprirono in un sorriso dolce. «Oh, Joy, invece sei molto saggia e matura per l’età che penso tu possieda», titubò un secondo e poi riparlò. «Se posso chiedertelo – altra mia curiosità – se non sono maleducata... Quanti anni hai?»
«Ventinove, ne faccio trenta il 24 aprile», risposi. Liz mi osservò curiosamente stupita, di certo perché immaginava non possedessi affatto quegl’anni, e si appoggiò con lentezza alla scrivania con la mano stretta a pugno.

«Sai, difficilmente ho incontrato una ragazza così giovane in un’occasione del genere e possedente una maturità intellettuale come la tua; credimi, non è da tutti fare questi ragionamenti, soprattutto se ne parli ad un’estranea quale sono io. Non so come, ma qualcosa in te m’ispira...», disse inclinando il capo.

Non feci tempo ad arrossire o dire qualcosa, che si sentì bussare alla porta con due colpi ben secchi della mano. Sia io sia Liz voltammo i nostri visi verso la porta, la quale venne aperta solo al permesso di Elizabeth. Da essa comparve un uomo scuro di pelle, vestito in nero, con una faccia da me ben nota. E come se non lo era! Era Eddie Murphy!
No... Tutte a me in una sola sera...! E si che ne avevo incontrate di persone famose in quel periodo, ma proprio dovevo beccare due dei miei preferiti quella notte? Non era che forse c’era lo zampino di Len? No perché io ero a rischio infarto... Prima Liz – l’attrice che fin da bambina veneravo e desideravo essere – e ora Eddie Murphy.

«Oh, scusa Elizabeth», disse lui con viso sporgente da oltre la porta socchiusa, lanciandomi un’occhiata fugace, in seguito guardando lei negl’occhi. «E’ ora di salire sul palco e dare l’Heritage Award...»
«Arrivo subito, aspettami pure fuori Eddie», rispose lei a tono pacato. Lui annuì, rigettando di nuovo uno sguardo su di me curioso, e poi chiuse la porta. Rimasi ad osservare la porta ad occhi spalancati, fino a quando Liz non attirò nuovamente la mia attenzione su ella.

«Senti cara, adesso devo salire sul palcoscenico, perciò mi sa tanto che dovremo concludere qua la nostra discussione», feci per pronunciare parola, frattanto che mi rialzai, ma lei continuò il discorso. «Vorrei tanto parlare con te ancora, sono molto curiosa di rendere più profonda la nostra conoscenza...»
«Dice sul serio?», chiesi, sbattendo le palpebre degli occhi come se fossi stata accecata dai potenti fari di una macchina. Lei voleva approfondire il nostro incontro? Perché? Che cosa avevo di speciale?

«Vedi, attraverso i tuoi occhi ho visto molta sincerità, o almeno io penso di averla vista. Non posso giudicare subito che tipo di persona tu sia, ma se quello che ho dedotto di te è vero, allora forse potremmo diventare buone amiche...», continuò sorridente di dolcezza. «E, per prendere l’occasione giusta al momento giusto, vorrei invitarti dopodomani alla mia festa di compleanno, venerdì sera. Ti andrebbe venirci?»

Che domande... Avrei mai rinunciato all’opportunità di diventare amica della mia grande star preferita? Che se ne fregava se avevo degli appuntamenti quella sera, avrei rinunciato! Da una vita desideravo conoscerla, parlarle, vedere se veramente le mie opinioni sulla persona che era erano corrette... Se era davvero quella persona dolce che io pensavo lei fosse... Di certo non mi sarei fatta pregare!

«Sì!... Certo, se le fa piacere che venga...». Lei alzò un sopracciglio. Ops... Dovevo correggere per caso le formalità della mia frase? «Cioè, se ti fa piacere, senza dubbio non mancherò».
Lei sorrise soddisfatta. «Bene, ne sono felice!... Oh, hai per caso un numero di telefono? O un foglio? Così posso dirti tutte le indicazioni per arrivare a casa mia, quel giorno, e l’ora in cui inizierà la festa...»
Immediatamente presi il cellulare, andai nella sezione messaggi e ne aprii uno nuovo, che successivamente avrei salvato in bozze. «Dimmi pure, le salvo qua sul telefono in men che non si dica», risposi con un sorriso.

Dicendo ciò lei si propense a darmi indirizzo della casa, numero di telefono e ore in cui si sarebbe tenuto il party. Poco dopo entrambe uscimmo dalla porta, scoprendo ancora un Eddie Murphy appoggiato al muro ad aspettare la diva guardando il soffitto. Lui allora continuò ad osservarmi con curiosità, ma con una indifferenza degna di Joyce Lorelay Owen che ero, feci la finta tonta. Prima che le nostre strade si dividessero, Liz mi salutò con una calorosa occhiata.

«Ci vediamo venerdì allora, Joy. Ti aspetto con trepidazione», e così se ne andò, con quel sorriso così puro e sincero che mi aiutava a convincermi, sempre più, che quella donna era come avevo sempre dedotto che fosse: unica.

Quando tornai da Len, in un posto in platea, durante lo spazio pubblicitario, egli mi fece un sacco di domande, neanche fossimo in questura. Dovetti lasciarlo sfogare un po’ prima di spiegargli tutta la situazione e, una volta che gli raccontai tutto, sottovoce, dovetti a stento cercare di placarlo da una crisi di euforia. Mi disse che ero fortunata, che però dovevo stare attenta con chi avrei parlato e di cosa, e mi fece ogni tipo di raccomandazione possibile.

«Lo so, non ti preoccupare... Sai quanto sono diffidente, e che non mi lascerò andare nelle mie intimità del cuore facilmente. I miei segreti ormai ho imparato a tenerli veramente segreti...», dissi con voce bassa, proprio mentre lo spazio pubblicitario finì e lo spettacolo riprese.

Sul palco, Liz Taylor ed Eddie Murphy. Quasi dovetti trattenermi dal saltare sulla poltrona nella quale ero seduta.<br>
«Signore e Signori, l’Heritage Award del 1989 e premio Sammy Davis Jr. va, secondo me, al vero Re del Pop, Rock e Soul...», disse Liz, con sorriso sulle labbra. «...Il signor Michael Jackson».

Oh cielo. C’era anche lui? Lui! No, un momento, questo voleva dire che aveva visto la mia esibizione?
Come tutti, mi alzai dalla poltroncina rossa con scatto fulmineo, applaudendo vigorosamente.

Michael Jackson era un personaggio molto importante, questo lo sapevo bene, e sentire parlare di lui, soprattutto in quel periodo, in uno strano modo, mi emozionava e faceva battere il mio cuore a mille. Lo ammiravo realmente tanto, per la sua storia, per la sua carriera prematura... Ero sua ammiratrice da una vita, collezionavo tutti i suoi album e tutti avevano fatto parte, anche se spesso indirettamente, di un pezzo preciso della mia esistenza.

Avevo sentire tante cose su di lui dai tabloid – come il fatto che volesse diventare bianco, che negasse il colore nero della sua pelle, che dormisse in una camera iperbarica,... – ma non ne avevo mai tenuto conto.
Ero curiosa di sapere la verità, e da un lato anche di conoscerlo. Sembrava così composto, così educato, e anche tanto dolce. Timido sì, però non cattivo. C’era un qualcosa in lui che mi affascinava, talmente tanto da farmi letteralmente impazzire ogni volta che mi capitava di vederlo sullo schermo. Era bellissimo...

Sentii tutto il suo discorso – parola per parola, frase per frase, sillaba per sillaba – senza perdermi niente. La sua voce candida mi dava i brividi, sembrava la stessa voce innocente che possiede un bambino. I suoi occhi erano un qualcosa di splendido da osservare, come il sorriso. Lui in generale era bello. Le prove di queste mie constatazioni le avevo avute in tutti i suoi video e nel film “Moonwalker”, di cui oramai avevo consumato di già.

Chissà se avrei incontrato anche lui alla festa di Liz Taylor... Evidentemente sì, avevo letto che quei due erano amici – che informata, eh? – perciò era probabile ci fosse. Ci avrei parlato, faccia a faccia... Wow... E già questo mi metteva ansia da panico? Sì, anche se molto più panico e meno ansia.

Avrei visto tante persone famose, alcune forse avrebbero parlato con me, ma non conoscevo nessuno là... Be’, sarei stata in un angoletto, tranquilla, a godermi il rinfresco – se ci fosse stato, o magari avrei incontrato qualcuno con cui scambiare qualche parola. Non ero così complessata all’idea di sentirmi un pesce fuor d’acqua, poiché quel ruolo lo ero sempre ogni giorno, con gli altri... Soltanto sul palco non mi sentivo sola e diversa.

Dopo la premiazione di Michael Jackson la serata proseguì lenta, vigorosa di applausi ogni qualvolta si nominasse il vincitore di un Award. Ovviamente io non ne vinsi – io facevo musica rock, talvolta anche pop in realtà, e non soul. La cosa non mi dispiaceva, anzi, mi permetteva di vivere la serata con più tranquillità.

Io, a differenza di tanti altri, non pensavo a quanti premi vincere; mi interessava solo sentirmi amata dai fan. Quella ragazza di nome Joyce non desiderava essere al di sopra degli altri, ma solamente emozionare. Joy la conoscevano in pochi, nessuno era riuscito mai a capirla veramente: nessuno aveva mai voluto andare oltre la barriera di spigliatezza e caparbietà, si erano solo fermati a guardare la Joyce famosa. E il mio cuore nessuno lo voleva conoscere?

Forse Liz sì, e forse almeno una persona fra quelle migliaia presenti era la più interessata a me. Se, come diceva lei, voleva conoscere la vera e sincera Joyce, allora l’avrebbe capita subito attraverso i suoi occhi; perché erano quelli l’unica via con cui potevo capire che quel qualcuno mi aveva capito dentro fino in fondo.

Era difficile leggere dentro il mio cuore per chiunque l’avesse mai fatto. Che fosse per via del mio strano colore di occhi? In effetti quella poteva essere una cosa...

O forse era perché, come mi ero appena detta, la ragione era perché nessuno veramente s’interessava di me?

***


Il campanello suonò due volte, con un suono acuto e cristallino che lo potevo percepire io fin dentro le mura di quella grande villeggiatura. Alla faccia della casa!, quella era una gran villa di lusso!
Sembrava Versailles...

Oltre il cancello enorme che dava un taglio alle altre mura che circondavano la villa, dentro si potevano vedere enormi giardini verdi e, in alcune parti, variopinti dei mille colori di tanti diversi fiori e alberi. Un viale a ciottoli guidava verso l’enorme villa, affiancato appunti dai grandi giardini, due dei quali – uno opposto all’altro – possedevano due fontane. La casa, color crema, possedeva un sacco di finestre, terrazzi e un portone di legno scuro.

Sembrava la casa delle meraviglie, la reggia della regina Marie Antoniette, il posto in cui ogni ragazza dai sogni principeschi desiderava di vivere. Io da bambina, stranamente, non avevo mai sognato di essere una principessa... Ero troppo impegnata dal uscire da quello che, un giorno, sarebbe stato il mio “passato da dimenticare”.

Quando ti mancano certe cose dell’infanzia, le puoi riacquistare solo quando sei grande... Se non hai per lo meno perso quel poco di purezza bambinesca che finisce per scomparire in ogni adulto.

La grande porta di legno si aprì con maestosità e, da esso, comparve una sorridente Liz Taylor, vestita in pantaloni di velluto nero e maglia azzurra. Io, invece, portavo un bel vestito di seta rosata. In confronto, sembravo io quella che doveva festeggiare una festa!

Strano... Forse ero io ad aver sbagliato orario. Era troppo presto per i miei gusti: farmi arrivare solo alle 17.30 di pomeriggio, quando un party inizia solitamente verso tardi... E quando, solitamente, è tutto pieno di via vai di macchine sfarzose e tirate a lucido!
Certo che, se avevo sbagliato, avevo davvero fatto una gran figura del diavolo!

«Ti aspettavo Joy, sei in perfetto orario!», disse prendendomi calorosamente la mano con entrambe le sue. Ero confusa, e lo capì anche lei data la mia fronte corrugata con lieve piega.
«Liz... Penso di aver sbagliato ora... Sono le 17.30...»
«Oh no, invece, sei in perfetto orario!», rispose a getto. «Ti ho fatta venire prima perché volevo che parlassimo un po’, nel frattempo che mi aiutassi a scegliere l’abito per la serata!»

Adesso capivo. Mi aveva fatto venire prima apposta. Non avrei mai pensato che le cose sarebbero andate a finire così; insomma, io mi ero fatta ormai l’idea che mi invitasse e stop! Invece lei mi aveva proprio voluto vedere addirittura ore prima... Prima o poi le avrei chiesto perché io fra tutte le persone famose d’America!

«Entra, avanti, abbiamo parecchie cose da fare e di cui parlare!», disse facendosi in parte e lasciandomi lo spazio per passare senza troppa fatica. Io, con estrema cortesia, entrai soffocando un lieve “Permesso”. La vidi girare gli occhi verso l’altro, ed in seguito chiudere la porta e raggiungermi alla mia sinistra.

«Seguimi, abbiamo le prove vestiti e prove trucco da adempiere. Avrei voluto invitarti addirittura alle 16.00, così saresti rimasta anche per la tazza di tè del pomeriggio, ma avevo tante cose da sistemare ancora, e ti avrei annoiato».
«Stai tranquilla, e poi è meglio così, evitavo di essere un impiccio per i preparativi», risposi ammiccando una risata soffusa. Lei mi guardò con occhi blu lavanda per alcuni minuti abbondanti.
«Non penso saresti stato un impiccio», disse lei contraddicendo quello che avevo appena detto. «E poi se ti ho invitato per chiederti dei consigli da donna a donna vuol dire che ci tengo».

Con quelle parole mi spiazzò completamente. Rimasi a guardarla in viso – nonostante lei sorridente guardava avanti – e valutai mentalmente ogni sillaba espressa. Ero abbastanza sveglia e acuta da arrivare al principio di quella che, secondo me, la sua era una prova/studio per valutare ancora di più il mio carattere. Ed infatti, con più del 50% di probabilità, avevo ragione.

Seguimmo un tragitto veramente complesso per arrivare alla sala degli abiti e dei trucchi: non appena entrata in casa, senza neanche poter contemplare quella reggia delle favole, tutta lusso e classe, seguii Liz lungo una delle due rampe di scale di marmo bianco, ognuna a lato della grande hall, già ricolma di tavoli di ristoro e decorazioni, opposte a loro. Salita quella grande scalinata, ci ritrovammo a seguire un maestoso corridoio alla nostra destra, continuando a camminare senza sosta per un bel paio di metri. D’altronde, quella villa enorme come non poteva essere altrimenti?

Durante il tragitto lei si ritrovò a parlare con tantissimi inservienti, i quali le chiedevano il suo consenso e consiglio per l’arredamento di quella occasione speciale. Era sensazionale vedere come tutti le girassero intorno e lei, senza perdere la pazienza, rispondeva con pacatezza ad ognuno di loro. Sinceramente, se fossi stata in lei, avrei già dato di testa.

«Quindi, tornando a noi, al discorso dell’altro giorno... Tu hai scritto “Beautiful Disaster”», disse lei rompendo il ghiaccio una volta che gli inservienti se ne andarono a compiere le proprie faccende per il party. «Hai scritto anche tutte le altre del Cd?»
«Sì, ma diciamo che ho ricevuto un aiuto prezioso anche da altre persone», risposi. «Sono molto contenta del lavoro che ho compiuto, soprattutto perché sta dando i suoi frutti».
«Che facevi prima di diventare una persona famosa?», chiese curiosamente.
«La maestra d’asilo. Finita l’università, trovai subito lavoro come maestra delle elementari e, successivamente, maestra dei bambini alla scuola d’infanzia. Mi piaceva di più lavorare coi bambini più piccoli».
Lei rimase meravigliata, tant’è che spalancò d’impeto i suoi grandi occhi. «Ti piacciono i bambini?»

«Da morire!», risposi con voce emozionata. «Vivo stando con loro. Provo tutto quello che mi è mancato, tutte le sensazioni bellissime che trasmette l’innocenza. Sono attratta dalla loro purezza, gioco e mi diverto, ed insegno loro il rispetto e la bontà necessari per vivere in questo mondo. Aiutarli mi illumina dentro...»
«E anche gli occhi...», disse lei guardandomi con occhi dolcissimi. «Si vede che li ami, quando parli di loro ti si illuminano di una luce meravigliosa. Sono sicura che ti volevano bene tantissimo anche loro».
«Già... Ora che ho acquistato una certa fama non posso più tornare da loro, vivere come prima», dissi amareggiata, a voce incrinata dal dispiacere. «Ora aiuto i bambini malati negli ospedali, dando continuamente fondi per riuscire ad aiutarli e a volte andandoli a trovare, ma non stare quotidianamente con loro come tanto tempo fa, be’, mi fa un po’ star male. Mi fa sentire vuota...»

«...Ti manca la tua vita di prima?», chiese Liz in seguito ad un carico attimo di silenzio. I suoi occhi erano posati suoi miei, i quali guardavano dritti il vuoto, e sembravano essere capaci di entrarmi dentro nel cuore.
Aggrottai la fronte, per poi ricambiare lo sguardo con i suoi occhi.

«Un po’, ma penso sia naturale. I bambini erano l’unica cosa che riuscivano a farmi star bene ma per il resto, in confronto adesso, mi sento più appagata con me stessa. È difficile da spiegare... Prima vivevo esclusivamente per i bambini, sola nel mio mondo ma comunque capace sempre di tirare avanti, nonostante un vuoto incolmabile. Ora che canto mi sento bene, primo perché ho sempre amato cantare, secondo per l’amore che ricevo...»

Liz sorrise tenera. «Capisco... Perciò ora ricevi altrettanto amore da ripagare la tua solitudine precedente?»
«No, non proprio», dissi storcendo la bocca in una smorfia pensierosa. «Non penso ci sia amore o persona che possa aiutarmi. Ora sono più felice perché faccio musica, riesco ad unire i cuori delle persone nonostante le razze e le differenze. Con la musica posso sperare di rendere il mondo migliore... La solitudine comunque resta».

Liz strinse le labbra in un sorriso stirato, sviando la nostra intensa connessione occhi a occhi, guardando avanti. Poco dopo emise un breve sospiro, seguito da parole che pronunciò con un ché di rammarico e curiosità assieme.
«Conosco una persona come te, che pensa le stesse cose che pensi tu... Chissà se gli farebbe piacere conoscerti...».
«Chi è?», chiesi con interesse confuso.
«Lo vedrai più tardi», e così dicendo si limitò a sorridere soddisfatta. «Oh, siamo arrivati».

Liz aprì la porta di legno bianco e mi indicò d’entrare. Eseguii e quello che ritrovai all’interno fu magnifico. Tantissime file di indumenti, ognuno appesi a migliaia di appendi abiti, disposti a tre file lunghe e ben disposte, ognuna divisa in categoria in base ai colori di ciascuno. La stanza, enorme e color bianco crema, aveva una grande finestra a balcone che portava direttamente ad una terrazza esterna, che dava al giardino posteriore all’entrata della villa. Ad ognuno dei due lati liberi della stanza ci stava uno grande specchio e due camerini accanto ad esso, per cambiarsi, e all’angolo della parete destra, vicino alle finestre, una porta di legno scura.

«Ti piace questa stanza Joy?», mi chiese Liz sorridente. Evidentemente la mia espressione non bastava a confermarle la bellezza maestosa dell’ambiente circostante. Quegl’abiti era tanti e belli come quelli delle principesse!
«E’ bellissima! Sono senza parole», risposi guardandola a bocca aperta. Lei rise e, con un cenno del capo, mi incitò a seguirla lungo una delle tre file di indumenti.

Per una mezz’ora abbondante rimasi ad osservare ogni indumento, fila per fila, sempre più incantata da ogni varietà di abbigliamento possibile ed immaginabile. Alcuni erano larghi, altri stretti – il che considerai appartenessero a lei fin dagl’anni della sua giovinezza –, e tutti uno più bello dell’altro. Blu, rosa, viola, nero, bianco... Tutti i colori!
Ad un certo punto il mio sguardo s’impuntò su un abito, di quella che sembrava la mia misura, rosso. Arrivava circa ai piedi e un legamento in Swarovski, proprio sotto il seno, divideva la candida seta rossa del vestito in due. Il seno era tenuto stretto da due fasce divise di stoffa rossa più chiara, andante al rosso corallo le quali erano legate fra loro grazie ad un collare brillante al collo a V. La schiena era libera.

«Vedi, sarei molto indecisa fra questi due tipi di abiti», disse Liz arrivandomi accanto, senza neanche che ne accorgessi, nel frattempo che il mio sguardo venerava ancora quel vestito. «Tu che mi consiglieresti?»
«Oh», voltai subito gli occhi, per non farle vedere il mio interesse verso l’indumento rosso. Valutai entrambi i due vestiti. Entrambi stupendi, uno era di seta rosa e l’altro lilla, entrambi di stoffa pregiata.
«Mmh... A dir il vero sono belli entrambi. Dipende molto se vuoi incentrarti su un abito eccentrico e galante o piuttosto su uno semplice e di classe...», dissi nel frattempo che i miei occhi erano presi a studiarli entrambi.
«A mio parere personale, preferisco quello lilla. Valorizza i tuoi occhi, soprattutto se sugl’occhi poi viene messo dell’ombretto viola scuro, che sta per ovvietà di cose in tinta anche con l’abito», sputai la sentenza.

Lei mi osservò con un sorriso.
«Mmh... Ottimo consiglio... Adesso lo provo e poi mi sai dire», disse con tono vivace ed entusiasta. Io le sorrisi di rimando e, proprio nel secondo in cui stavo per tornare a contemplare l’abito cremisi, lei parlò.
«E tu hai visto per caso qualcosa di bello da indossare per te?», chiese da dietro la tenda celeste del camerino. Io rimasi a guardare verso lei sbigottita, scioccata da quella domanda: o aveva visto le mie occhiate adoranti al vestito oppure mi stava proponendo spontaneamente da mettere di suo!

«Ma Liz... Io sto già indossando il vestito per la serata. E poi mi sentirei in debito...», disse mite.
La sua voce spuntò acuta da dietro la cabina. «In debito? Joy, ti prego, perché dovresti sentirti in debito? Ti sto facendo un favore perché mi va di farlo, capirei se me lo avessi chiesto direttamente tu...»
«Non mi sento di accettare, davvero», dissi convinta, nonostante la voglia matta di indossare il vestito rosso. «Neanche se sei tu a propormelo».
«D’accordo», disse lei spuntando con la testa fuori dalla tenda. «Allora te lo ordino».
«Cosa?», esclamai sconvolta. Non era possibile... Qua si stava andando oltre ogni logica normale...
«Ti ordino, volente o nolente, di metterti qualcosa di mio. Sei in casa mia, a quel paese i sensi di colpa!», una pausa per osservare il mio sguardo sconvolto, poi risparì dietro la tenda. «Quando esco voglio vederti con un bel completo fra le mani, altrimenti te lo scelgo io!»

Rimasi a guardare il vuoto con occhi sbarrati. Avevo incontrato Liz Taylor ed ero a casa sua per la prima volta, e quello era già abbastanza incredibile da credere, ma che quella sera indossassi anche un suo vestito... Forse ero finita in una dimensione aliena, dove tutto ruota al contrario, e dove io sono l’unica ad andare controcorrente. Non era tanto il fatto che fosse un vestito della grande Liz, ma soprattutto scioccava il fatto che lo volesse prestare ad una come me!

Nella mia vita avevo continuato ad andare avanti con il principio che nessuno dava mai o prestava mai niente per niente. Il mondo dello spettacolo non era diverso dalla realtà di tutti i giorni. Le persone egoiste e indifferenti c’erano ad ogni angolo del mondo, pronte a colpirti alla spalle una volta riponevi in loro la tua fiducia o il tuo cuore.
Perché Liz Taylor dava così tanto ad una ragazza come me? Non pensava che potessi avere secondi fini?

Quando Liz tornò fuori, fu uno splendore vederla. L’abito lilla era perfetto, avevo ragione: le stava divinamente.
«Penso proprio che tu abbia avuto ragione, è un abito che merita! Davvero bellissimo...», mi disse lei guardandosi allo specchio. Successivamente si girò verso me. «Hai scelto l’abito?»
«Liz... Posso farti una domanda?», chiesi mordendomi un labbro inferiore. Lei annuì con serietà. «Perché io?»

Lei soffocò una mezza risata, gettandomi una lancinante occhiata dolce. «Non lo so. A volte è l’istinto a guidare le nostre scelte, anche se a volte possono essere sbagliate. Parlare è l’unica cosa che può farmi valutare che tipo sei, se sei sincera o no, se ti interessa stare qua solo per acquistare più fama. E non solo parlare, anche gli occhi sono utili...»
Con passi lenti si avvicinò a me. «Vuoi sapere cosa ho percepito dalla tua anima? Ho visto una ragazza determinata, spigliata, che dalla vita vuole l’amore che non ha ricevuto. Devi aver passato un brutto passato...»

Non so che cosa accadde, so solo che due lacrime rigarono silenziose le mie guance. Quello che aveva detto... Il passato... Era come se fosse stata capace in quello che tante persone non erano riuscite. In pochi istanti aveva visto quello che gli altri non avevano notato. Aveva visto la cosa che più si nascondeva dentro di me, nascosta fra tutte le altre cose che si potevano trovare rovistando dentro gli occhi: il passato.

Liz mi prese il volto fra le mani, asciugandomi con delicatezza quelle lievi gocce salate.
«Avanti, non piangere... Questo bel viso non ha bisogno di lacrime, altrimenti fai piangere anche zia Liz», disse a fronte aggrottata e occhi di un rimprovero divertito. Io soffocai una risata e lei allora mi sorrise, tenendomi con delicatezza una mano. «Dai, adesso scegliamo questo bellissimo vestito per te e finiamo di prepararci».

Tutto il resto del tempo lo passammo a prepararci – come c’era da aspettarselo, alla fine mi arresi alle volontà del vestito scarlatto –, a scioglierci in commenti disinvolti, una a proprio agio con l’altra. Era come avere una amica... Un’amica vera che non avevo veramente mai avuto in tutta la mia esistenza. Parlavamo di un po’ di tutto, cercando di scoprire una e più cose dell’altra. Era simpatica, sciolta... Quella, era Liz Taylor.

*


«Siamo perfette ora», mi disse Liz una volta finito tutti i preparativi, con le mani appoggiate sulle mie spalle, entrambe ad ammirarci una volta per tutte allo specchio per la valutazione finale. «Tu che ne dici?»

Che dicevo? Che non potevo credere ai miei occhi! Il vestito rosso mi stava alla perfezione, il trucco sebbene sembrasse quasi invisibile mi faceva il viso più marcato e faceva risaltare quei miei occhi dal colore indescrivibile. E poi, Liz era meravigliosa; il vestito lilla le stava d’incanto e, sull’abito e al collo, si potevano scorgere scintillare di pietre Swarovski e perle bianche. Sembravamo tutt’ed due uscite da uno di quei film tutto lustro e raffinatezza.

La porta bussò due volte, dietro di noi, e al permesso di Liz entrò una donna dai capelli corvini. «Signorina Liz Taylor, gli ospiti stanno arrivando quasi tutti. La aspettano tutti nella hall in attesa di vederla».
«Arrivo subito, grazie Jodie», rispose l’altra con fare educato.

La porta si chiuse prima del piccolo inchino dell’inserviente e Liz si rivolse nuovamente a me, sorridente. «Io intanto scendo giù, a salutare ogni ospite in arrivo, ti va di venire con me?»
«Meglio che ti raggiungo fra poco, devo fare ancora un po’ di lezioni alla mia autostima...», dissi storcendo le labbra in una smorfia buffa. Liz rise e, accarezzandomi la nuca, si avviò verso la porta.

«A più tardi, ti aspetto».

È difficile dir loro ciò che sento per te. Non ti hanno mai conosciuta, e non sanno come sei fatta. Come fanno a sapere il tuo mistero? Diamo loro un indizio.
Due uccelli sono su un albero. Uno mangia le ciliegie, mentre l’altro sta a guardare. Due uccelli volano nel cielo. Il canto di uno scende giù dal cielo come cristallo, mentre l’altro resta in silenzio. Due uccelli roteano al sole. Uno riflette la luce sulle sue piume argentate, mentre l’altro distende le sue ali invisibili.
Non è difficile capire quale dei due uccelli sia io, ma non riusciranno a capire chi sei tu. A meno che…
A meno che non sappiano cos’è un amore che non interferisce mai, che guarda da dietro, che respira libero nell’aria invisibile. Dolce uccellino, anima mia, il tuo silenzio è così prezioso. Quanto passerà prima che il mondo possa udire il tuo canto col mio?
Oh, come bramo quel giorno!


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