In The Name Of Love (in corso). Rating: verde

Ultimo Aggiornamento: 08/09/2010 21:47
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11/07/2010 23:28
 
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Certo che vorrei si facesse vivo il fattore "determinante" nella loro storia, sono perfetti insieme, fatti l'uno x altra e devono stare insieme!!!! X il cappy nuovo tranquilla, post appena riesci, io aspetto, con la curiosità a mille, ma aspetto ;-))))))) . Bacione, Sara

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12/07/2010 20:26
 
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Re:
BEAT IT 81, 11/07/2010 23.28:

Certo che vorrei si facesse vivo il fattore "determinante" nella loro storia, sono perfetti insieme, fatti l'uno x altra e devono stare insieme!!!! X il cappy nuovo tranquilla, post appena riesci, io aspetto, con la curiosità a mille, ma aspetto ;-))))))) . Bacione, Sara




Il fattore determinante è forse più vicino di quanto sembri [SM=g27832] Grazie per aspettare il mio aggiornamento, ci vorrà ancora un po' di tempo [SM=g27838] Se riesco forse finisco il capitolo entro domani sera!

È difficile dir loro ciò che sento per te. Non ti hanno mai conosciuta, e non sanno come sei fatta. Come fanno a sapere il tuo mistero? Diamo loro un indizio.
Due uccelli sono su un albero. Uno mangia le ciliegie, mentre l’altro sta a guardare. Due uccelli volano nel cielo. Il canto di uno scende giù dal cielo come cristallo, mentre l’altro resta in silenzio. Due uccelli roteano al sole. Uno riflette la luce sulle sue piume argentate, mentre l’altro distende le sue ali invisibili.
Non è difficile capire quale dei due uccelli sia io, ma non riusciranno a capire chi sei tu. A meno che…
A meno che non sappiano cos’è un amore che non interferisce mai, che guarda da dietro, che respira libero nell’aria invisibile. Dolce uccellino, anima mia, il tuo silenzio è così prezioso. Quanto passerà prima che il mondo possa udire il tuo canto col mio?
Oh, come bramo quel giorno!


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Re: Re:
tati-a4ever, 12/07/2010 20.26:




Il fattore determinante è forse più vicino di quanto sembri [SM=g27832] Grazie per aspettare il mio aggiornamento, ci vorrà ancora un po' di tempo [SM=g27838] Se riesco forse finisco il capitolo entro domani sera!




Davvero il fattore "Cupido" è vicino? Me felice!!!!!!! :-)))))))) Bello bello bello, quei 2 qui sono fatti x stare insieme, anime gemelle sul serio ;-)))))). Oddio ti prego dimmi che riesci a finire x domani, nn vedo l'ora di leggere il seguito!!!!!!!!!! Aspetto con ansia ;-)))))) . Bacione Sara

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13/07/2010 13:59
 
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Re: Re: Re:
BEAT IT 81, 12/07/2010 23.36:




Davvero il fattore "Cupido" è vicino? Me felice!!!!!!! :-)))))))) Bello bello bello, quei 2 qui sono fatti x stare insieme, anime gemelle sul serio ;-)))))). Oddio ti prego dimmi che riesci a finire x domani, nn vedo l'ora di leggere il seguito!!!!!!!!!! Aspetto con ansia ;-)))))) . Bacione Sara




Cercherò di finirlo entro stasera, ma devo proprio mettermi d'impegno duro per riuscire! Se ce la faccio - e lo faccio per te e per tutte le altre ò.ò - mi merito un giorno di pausa XD
E ora... Al lavoro! [SM=x47961]

È difficile dir loro ciò che sento per te. Non ti hanno mai conosciuta, e non sanno come sei fatta. Come fanno a sapere il tuo mistero? Diamo loro un indizio.
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Non è difficile capire quale dei due uccelli sia io, ma non riusciranno a capire chi sei tu. A meno che…
A meno che non sappiano cos’è un amore che non interferisce mai, che guarda da dietro, che respira libero nell’aria invisibile. Dolce uccellino, anima mia, il tuo silenzio è così prezioso. Quanto passerà prima che il mondo possa udire il tuo canto col mio?
Oh, come bramo quel giorno!


13/07/2010 14:23
 
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Re: Re: Re: Re:
tati-a4ever, 13/07/2010 13.59:




Cercherò di finirlo entro stasera, ma devo proprio mettermi d'impegno duro per riuscire! Se ce la faccio - e lo faccio per te e per tutte le altre ò.ò - mi merito un giorno di pausa XD
E ora... Al lavoro! [SM=x47961]




Tranquilla, se nn riesci nn preoccuparti, x cui nn scapicollarti, ok? Buon lavoro [SM=g27828] [SM=g27828] . Baci Sara

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13/07/2010 20:52
 
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Re: Re: Re: Re: Re:
BEAT IT 81, 13/07/2010 14.23:




Tranquilla, se nn riesci nn preoccuparti, x cui nn scapicollarti, ok? Buon lavoro [SM=g27828] [SM=g27828] . Baci Sara




Infatti non l'ho ancora concluso [SM=g27828] Se siamo fortunati - anzi, se siete fortunati - leggere il capitolo domani. SE siamo fortunati! [SM=x47958]

È difficile dir loro ciò che sento per te. Non ti hanno mai conosciuta, e non sanno come sei fatta. Come fanno a sapere il tuo mistero? Diamo loro un indizio.
Due uccelli sono su un albero. Uno mangia le ciliegie, mentre l’altro sta a guardare. Due uccelli volano nel cielo. Il canto di uno scende giù dal cielo come cristallo, mentre l’altro resta in silenzio. Due uccelli roteano al sole. Uno riflette la luce sulle sue piume argentate, mentre l’altro distende le sue ali invisibili.
Non è difficile capire quale dei due uccelli sia io, ma non riusciranno a capire chi sei tu. A meno che…
A meno che non sappiano cos’è un amore che non interferisce mai, che guarda da dietro, che respira libero nell’aria invisibile. Dolce uccellino, anima mia, il tuo silenzio è così prezioso. Quanto passerà prima che il mondo possa udire il tuo canto col mio?
Oh, come bramo quel giorno!


13/07/2010 20:57
 
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Re: Re: Re: Re: Re: Re:
tati-a4ever, 13/07/2010 20.52:




Infatti non l'ho ancora concluso [SM=g27828] Se siamo fortunati - anzi, se siete fortunati - leggere il capitolo domani. SE siamo fortunati! [SM=x47958]




tati non ti preoccupare posta quando puoi tanto noi siamo sempre qua!! hiihihi [SM=g27811] [SM=g27819] [SM=x47938]
un bacio,ludo!


I wish I was a camera sometimes
so I could take a picture in my mind
and put in a frame for you
to see how beautiful Y O U really are to me.
13/07/2010 22:16
 
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Re: Re: Re: Re: Re: Re:
tati-a4ever, 13/07/2010 20.52:




Infatti non l'ho ancora concluso [SM=g27828] Se siamo fortunati - anzi, se siete fortunati - leggere il capitolo domani. SE siamo fortunati! [SM=x47958]



Tranquilla, qui nn scappa nessuno, x cui posta quando riesci. Baci Sara

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16/07/2010 13:46
 
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HO FINITO IL CAPITOLO *-*
(Sono molto entusiasta di questa cosa xD)
Fra poco - o se non ho tempo verso le 17 - sposto!

È difficile dir loro ciò che sento per te. Non ti hanno mai conosciuta, e non sanno come sei fatta. Come fanno a sapere il tuo mistero? Diamo loro un indizio.
Due uccelli sono su un albero. Uno mangia le ciliegie, mentre l’altro sta a guardare. Due uccelli volano nel cielo. Il canto di uno scende giù dal cielo come cristallo, mentre l’altro resta in silenzio. Due uccelli roteano al sole. Uno riflette la luce sulle sue piume argentate, mentre l’altro distende le sue ali invisibili.
Non è difficile capire quale dei due uccelli sia io, ma non riusciranno a capire chi sei tu. A meno che…
A meno che non sappiano cos’è un amore che non interferisce mai, che guarda da dietro, che respira libero nell’aria invisibile. Dolce uccellino, anima mia, il tuo silenzio è così prezioso. Quanto passerà prima che il mondo possa udire il tuo canto col mio?
Oh, come bramo quel giorno!


16/07/2010 14:04
 
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Capitolo IX

Un coro di voci acute e allegre risuonò per tutta la sala mensa, limpide note felici di bambini entusiasti, facendo eco sulle vaste paresti avorio della stanza. Nel momento in cui ero stata “sorpresa” era scoppiato il putiferio, ed ero stata d’impeto travolta da un numeroso gruppo di bimbi che pronunciavano il mio nome insistentemente.

Mi sentivo confusa non per il frastuono –a quello ero pazientemente abituata –, ma a causa di quel essere di nome Michael Joseph Jackson che se ne stava tranquillo e beato a braccia conserte ad osservare me e i miei tesori, per di più con uno dei suoi soliti sorrisoni accecanti! Affascinante, innocentemente carismatico, aveva il viso così luminoso capace perfino di poter spaccare le pietre, così irradiante di calore comparabile ai potenti raggi solari che infuocano il deserto.
E io, piccolo granello di sabbia, potevo forse rinunciare a quel affabile volere?

Che fossero i bambini capaci di illuminarlo a questo modo? Be’, in tal caso potevo benissimo capire come si sentisse... I bambini sono capaci di gesti che gli adulti non sanno compiere, riescono a farti provare un amore semplice e puro che può riuscire ad innalzare la tua felicità ad un livello che riesce a conquistare il tuo cuore in men che non si dica. Basta un loro sorriso e sorridi anche tu; basta una loro lacrima e ti commuovi anche tu; basta una loro carezza e ti senti pieno di affetto.

«Joy, sei tornata!»
«Sei venuta a trovarci, Joy!»
«Ci sei mancata!»
«Joy sei qua con noi! Non ci posso credere!»

I miei bimbi. Tutti loro riuscivano sempre a capire come rendermi felice. I loro occhi erano così luccicanti, erano così differenti ma così uguali nel possedere tutti quella particolare luce nello sguardo.

«Ti aspettavamo! Perché ci hai fatto attendere così tanto?», disse Kelly facendosi udire sopra tutte le altri voci, una bambina di prima elementare dai grandi occhioni azzurri e capelli riccioluti.
Tutti gli altri ripeterono la stessa frase guardandomi con tristezza e curiosità.
«Mi dispiace, lo sapete che tengo a voi con tutto il mio cuore...», risposi docilmente, con un tenero sorriso.

Emily...


I miei occhi furono subito attirati da lei, dalla festeggiata che avevo così tanta voglia di rendere gioiosa con la mia presenza. La guardai e la vidi osservarmi seriamente, ad occhi spalancati, mentre compiva qualche passo giù dal palco dove stava. Mi studiò con tanto d’occhi che pensai fosse arrabbiata con me.

D’improvviso i bambini cominciarono a stringersi sempre più a me, abbracciandomi dovunque – braccia, gambe, ecc... – obbligandomi per forza di cose ad abbassarmi a terra in ginocchio. Continuavano a chiamarmi, a farmi domande una dopo l’altra. Ogni volta era la stessa storia, e quella cosa mi rendeva sempre indiscutibilmente amata e contenta. E, ovviamente, io ridevo come una pazza ogni volta.

Mrs. Baker batté le mani, dicendo loro di calmarsi e di non soffocarmi, nel frattempo che Michael e Daren osservavano entrambi me e i bimbi. Per ovvietà di cose, nessuno di loro la ascoltò. La donna sbuffò e entrambe ci guardammo negli occhi. Capivo perfettamente la richiesta che mi mandò con quell’occhiata intensa, perciò la fissai ridacchiando a bassa voce. Solo io potevo richiamarli a prestare attenzione, perché non avrebbero ascoltato nessun altro se non me.

«Bambini! Bambini!», dissi sorridendo alzando di poco i toni. Il loro vociare sembrò pian piano svanire, fin quando non cessò non appena misi in atto il trucco del “fischio”. Avevo testato quel metodo tante di quelle volte... Che immancabilmente mi venne in mente la figura fatta durante la festa di compleanno di Liz Taylor, con Michael che ancora se la rideva a quel mio gesto.

«Risponderò a tuuutte le vostre domande, ma prima...», e tornai a fissare Emily, la quale espressione non era cambiata e si trovava giù dal palco. Abbozzai un sorriso. «Penso che devo fare gli auguri alla festeggiata...»
I bambini allora tacquero e si distanziarono obbedienti da me, creando due linee parallelamente separate l’una dall’altra, per lasciare spazio a Emily nel caso volesse venirmi incontro.
Ma Emily non si mosse di un millimetro.

Il silenzio fece parte della stanza per un lungo momento.
Sentivo il mio sorriso svanire sempre più che i secondi passavano, le occhiate preoccupate della preside e di Michael stesso che osservava me e la bambina con tanto di dubbi e amarezza, riflesso del mio stesso sguardo.
Gli altri bambini guardavano me ed Emily silenziosi, alcuni più preoccupati di altri e alcuni semplicemente curiosi.
Emily ostentava a fissarmi neutrale, con sguardo vacuo ma allo stesso tempo timoroso.

Mi sembrò che il mondo mi stesse cadendo addosso. Davvero, quell’occhiata fu capace di distruggere ogni mia sicurezza, facendomi temere di averla ferita in qualche modo a me forse sconosciuto. Forse era arrabbiata perché non ero venuta a trovare tutti loro prima, forse era semplicemente offesa che io me ne fossi andata, o forse... Forse si era dimenticata di me... Forse mi odiava e non mi voleva più bene...

No, non può... Non lo sopporterei... Non può non volermi più bene...
Il mio cuore cominciò a sgretolarsi più il silenzio continuava a rallentare lo scorrere del tempo.

«Emily...», soffocai con un sospiro tenue. Dentro di me pregavo perché i miei dubbi fossero infondati.
Lei allora rispose con un sospiro, mentre i suoi occhi cominciarono a farsi più lucidi.

Ti prego, Emily... Parla, parla come la prima volta che sei riuscita ad enunciare parola... Fallo per me...

*

Nel momento in cui dovetti abbandonare la mia carriera da insegnante per immergermi nella carriera di cantante dovetti anche lasciare i miei bambini. Tutti soffrivano per la mia partenza, ma Emily fu quella più distrutta. Si era richiusa nel bagno femminile e non voleva assolutamente uscirne. Non si era fatta viva tutto il giorno.

Me ne stavo per andare, avevo tutti i miei oggetti nel bagagliaio della mia auto – ogni ricordo mi riportasse in mente quella scuola -, e tutti riuniti nel piccolo giardino principale dell’edificio, con le lacrime agli occhi, i bimbi mi fissavano con sguardo triste, angosciato, e i loro occhi mi pregavano di non partire.
Che scelta dura era stata andarmene...

«Mi raccomando», dissi inginocchiandomi davanti loro. La mia vista era talmente ovattata che temevo di crollare da un istante all’altro. «Siate sempre dei buoni bambini, ok? Questo non è un addio... Verrò a trovarvi, ve lo prometto! Non dimenticate le cose che vi ho insegnato... Il rispetto nel prossimo, la gioia di amare, l’innocenza, i sogni... Portate sempre con voi questo messaggio, non abbandonatelo mai
Loro annuirono, attenti e commossi.

James si fece improvvisamente spazio davanti a tutti, fissandomi con gli occhi gonfi dalle lacrime. Lo sapevo che odiava piangere, era un tale sforzo per lui mostrarsi meno virile di quanto volesse sembrare, ma in quel momento pensai che non aveva la forza per trattenersi.

«Joy... Sarai sempre la donna dei miei sogni... Ho promesso che ti sposerò e manterrò la promessa...», disse in un soffio tremante, per poi scoppiare a piangere e rintanarsi fra le mie braccia.
Accennai un sorriso e una lacrima scivolò lungo la mia gote.
«E tu sarai sempre il mio primo ometto...», risposi baciandolo sulla tempia destra.
Dopodiché tutti i bimbi si ritrovarono a sussurrare il mio nome, a pregarmi di tornare presto, di non piangere, di non essere triste, di non temere. Loro mi avrebbero sempre voluto bene, anche quando il tempo ci avrebbe diviso.

«Joy...»
Drizzai la schiena non appena la sentii. Quella voce soffusa io non...

«Joyce!», urlò la voce a tonalità superiore, acuta come quella di un campanellino.

Tutti i bambini si voltarono indietro, preside ed insegnanti presenti che, chi più o meno, era commosso da tale scena.

Gli occhi di tutti i presenti si spalancarono dalla sorpresa e dalla meraviglia. I bimbi rimasero a fissare alle loro spalle la fonte da dove proveniva quel suono cristallino di campanelli e gli insegnanti, scioccati, impallidirono. Mrs. Baker ebbe la reazione più scossa di tutti; si mise le mani davanti le labbra per impedire un sibilo e le lacrime le sgorgarono dalle pupille in una velocità stratosferica.

Rimasi a guardare la esile figura di Emily, poco lontano da me, con i pugni serrate, le labbra socchiuse e gli occhi colmi di lacrime. Prima che potessi udire altro, sentii le mie guance inumidirsi di calde gocce salate ed irruenti.

«E... Emily...?», soffocai in un respiro. Ignorai lo sguardo di alcuni bambini che mi fissarono sbigottiti e sorridenti, e subito cominciarono ad allontanarsi da me come a comando, lasciando me ed Emily a pochi metri di distanza con gli occhi fissi l’una sull’altra.

«Joy

La piccola bimba bionda emise un singhiozzo e mi corse incontro. Mi strinse le sue piccole braccia attorno il mio collo, sotto gli occhi lucidi di tutti, e io la baciai sulle sue soffici guance.

La piccola aveva parlato.
Per la prima volta aveva parlato!
Aveva detto il mio nome!

«Joy...», disse dopo avermi abbracciato, stupita di sé stessa e fissandomi con gli occhi spalancati. «I-io... Io...»
Le scoccai un bacio sulla fronte, nel frattempo che le lacrime scendevano copiose. «Sì... Tu puoi parlare

*

Sorrisi al ricordo di quel giorno. Sorrisi e allo stesso tempo una lacrima rigò silenziosa il mio viso. Perché piangevo? Non era il tempo di piangere! Era una festa di compleanno, ecchecavolo! C’erano persone che mi stavano fissando, bimbi che m’osservavano. Eppure il ricordo non poteva avere alcun altro effetto su me. Solo io potevo sapere quanti ricordi stessero affollando la mia mente.

«Joy...», disse nuovamente Emily, mentre il suo sguardo cominciò a sciogliersi e gli occhi s’illuminavano.
Riuscivo vedere attraverso l’espressione del suo volto che non mi odiava. Lei non mi avrebbe mai odiato. Non lei. No...
Sorrisi nuovamente, commossa.
«...Vieni qui», e così, a voce spezzata dal pianto, mi corse incontro non appena le spalancai le braccia, non appena ebbi enunciato le suddette parole. Corse verso di me in una corsa gioiosa e un sorriso luminoso, felice.
«Joy, Joy, Joy!», urlò correndomi incontro e abbracciandomi stretta.

Si aggrappò con tutte le sue forze su di me, incrociando le sue manine dietro il mio collo, rischiando di farci cadere entrambe all’indietro. Risi e per poco non fui altrettanto soffocata da tutti gli altri bambini che, nel momento in cui io ed Emily ci eravamo unite in un abbraccio, si fecero stretti, stretti a noi. Tutti emanavano gridolini di gioia e felicità, facendo risaltare i loro graziosi sorrisi.

Ecco. Questa era la bellezza, la bellezza quella vera. Essere così dolcemente innocenti e aperti, sorridere delle piccole cose che ti può donare il mondo e renderti felice.
I bambini avevano questa stupenda qualità dentro di loro: non giudicavano, non ti condannavano, per la maggior parte dei casi. I bambini erano tutto questo se educati con dei sani principi morali, se veniva insegnato loro a mantenere la purezza nel cuore.

«Mi sei mancata tanto!», sussurrò Emily al mio orecchio. Io sorrisi di liberazione.
«Anche tu mi sei mancata...», le detti un bacio sulla tempia, poi mi alzai in piedi con lei ancora aggrappata al mio collo, comodamente in braccio. «Voi tutti mi siete mancati! Tutti, tutti
Tutti loro mi sorrisero felici, e io guardai la bimba che tenevo fra le mie braccia. Emily mi sorrise e mi sfiorò i capelli, inclinando il capo e adagiando la sua fronte sulla mia guancia, stringendo maggiormente la presa.
«Allora», dissi guardando i bimbi con fare furbescamente divertito. «Che stiamo aspettando? Festeggiamo?»

Un coro di voci gridò la conferma e non mi restò altro che ridacchiare entusiasta. Le loro manine si posarono su di me, tenendomi per alcuni lembi dei jeans e della maglietta. Erano così felici che facevano fatica a trattenersi ognuno dal emettere parola, creando una tal confusione da farti non capire più nulla di quel che ti capitava intorno, tanto che alla fine mi arresi all’idea che, per tranquillizzarsi, si sarebbero dovuti prima abituare alla mia partecipazione per tutto il pomeriggio.

Nel frattempo che loro mi trascinavano nel loro mondo fantastico, mi spiegarono tutto il programma del pomeriggio. Mi dissero che avrebbero prima mangiato la torta di compleanno, e successivamente ci sarebbe stato uno piccolo spettacolino canoro, recitato e ballato in cui mi chiesero di partecipare. Io, imbarazzata, inventai la scusa che lo spettacolo era loro, che quel palco era riservato esclusivamente a loro, e mentre mi condussero verso una delle sedie attorno all’immensa tavolata rettangolare notai lo sguardo di Michael.

Inutile dire che mi fissava, ma i suoi occhi erano strani, profondamente intensi. Mi guardava con interesse, anche se sembrasse quasi stesse in realtà pensando ad altro, con un’aria un po’ spaesata ma che comunque aveva centrato l’obiettivo principale della sua fugace mira silenziosa.

Quando lo incrociai rimasi un po’ perplessa – con tutto quel caos inutile dire che potevo essere attenta a ogni persona mi stesse vicino o mi rivolgesse parola – e lui d’improvviso abbozzò un sorriso e osservò tutti i bambini intorno. Sorrisi anch’io, pur non sapendo nemmeno da me il perché. Poco dopo realizzai una cosa che mi colpì tantissimo...
I suoi occhi... Erano lucidi. Forse si era commosso per la scena precedente. Forse era l’innocenza dei bambini, la loro innata dolcezza che lo rendeva così... Vivo. Ecco, quella era la parola giusta. Vivo. Pieno di un’energia che scoppiettava attraverso quello sguardo dai sentimenti segretamente celati e misteriosi.

Improvvisamente fui chiamata – diciamo meglio leggermente “strattonata” – a sedere da Robert, un bambino dai capelli castano scuro e gli occhi nocciola. Lo accontentai, ancora con Emily in braccio. Ella non ne volle sapere di staccarsi minimamente, neanche quando la preside si fece vicino a noi per chiederle almeno di sedersi nella sedia vicino a me. Niente, lei fu così testarda e irremovibile da stringermi al collo fino a farmi perfino soffocare.

La signora Baker sbuffò e mi rivolse uno sguardo amorevole che ricambiai.
«Grazie per essere venuta...», mi disse dolcemente. Io strinsi le labbra in un sorriso intenerito.
«Per i bambini questo e altro!», ed era vero.

Guardai dritto di fronte a me e mi ritrovai Michael, accanto a due bimbi della stessa classe di Emily, nonché ex mie alunne di tanto tempo fa, Rose e Louise. Le guardai e le vidi osservarlo con un’adorazione che mi fece quasi scoppiare a ridere come una cretina, ma che riuscii ben a trattenere. Michael, che mi fissava, assunse un’espressione confusa e poi si guardò a destra e a sinistra, immediatamente ricambiato dalle sue fan che gli sorrisero a trentadue denti. Ricambiò con gioia e poi mi fissò non smettendo di ridacchiare fra sé e sé.

Ed ecco che, a spezzare quell’occhiata, qualcuno alle spalle mi fece il solletico sui fianchi, facendomi saltare sul posto come un’emerita idiota – al mio solito, ovvio. Mi voltai e vidi Daren, chi se non altro, dietro di me, sorridente.

«Daren!...», esclamai scuotendo il capo ridendo. «A quanto pare non la smetti mai di farmi questi scherzi?»
«E tu davvero non la smetti mai di diventare così affascinante?», mi disse ridendo osservando il cambiamento che assunse il mio volto. Contrassi le labbra in un sorrisetto e aggrottai le sopracciglia, socchiudendo gli occhi.
«Sei sempre il solito ruffiano», dissi ironica. Daren emise una risatina e si inginocchiò vicino alla mia sedia, cosicché fossimo più vicini e non urlassimo per parlare. «Allora come ti va?», chiesi.
«Oh, be’», disse lui alzando le spalle. «Come al solito, ma quando arrivi tu comincio a diventare pazzo!»
«Oh!...», dissi sogghignando. «Davvero...?»
«Sì, davvero! Insomma, guarda che gli effetti che fai tu su questi piccoli birbanti sono considerevoli!...»
E dette un buffetto sulla guancia di Emily – che ci stette silenziosamente ad ascoltare, di punto in bianco – la quale sorrise divertita. Lui ricambiò e, quando la bimba fu attirata successivamente da tutt’altra parte, mi guardò serio.
«E tu? Come stai? La vita da cantante ti soddisfa?»
Poi cambiò tono di voce ed espressione.
«Hai portato con te anche un ospite...»

Notai una nota di non so ché in quelle frasi che mi fece storcere un po’ il naso dal fastidio, soprattutto sull’ultima, ma gli risposi come se niente fosse. Sapevo a che cosa si riferiva, l’idea che ci fosse un tale chiamato Michael Jackson lo lasciava contrariato. E sapevo bene che a Daren dava un po’ sui nervi quando era ignorato, specialmente, a suo tempo, da me. Il bello era che era sempre stato così, anche prima di quando fossi divenuta famosa. Amava essere al centro della mia attenzione...

«Sì, ho pensato che fosse una cosa molto bella e dolce», dissi sperando che Michael non sentisse e che non mi stesse fissando. Mi sarei sentita tremendamente arrossata altrimenti. «Riguardo alla mia carriera, sai benissimo che cantare mi è sempre piaciuto, per questo non mi pento della decisione che ho fatto».
Daren strinse le labbra in una stretta ferrea e annuì fiaccamente.
«Sì, lo so bene. Dopotutto ti conosco da... Aspetta... Con questo siamo a tre anni?», chiese con una faccia da cretino.
«Scemo...», dissi, dandogli una pressione leggera sul braccio, ridacchiando sofficemente.
«Canterai dopo, quando ti chiamerò sul palco, vero?», chiese con occhi furbescamente sarcastici.

La mia espressione facciale si congelò e lui scoppiò a ridere, alzandosi su dalla posizione inginocchiata per tornare al suo posto nella grande tavolata. La torta non era ancora pronta per essere servita, siccome mancava ancora James, perciò pensai che avesse scelto l’occasione più propizia per parlare un po’.

«Non ci provare nemmeno, Daren Singh!», gli ordinai preoccupata. Ma lui ormai si stava già allontanando da me per poter rispondere, cosicché si sprecò solamente a rivolgermi un sorriso sghembo dei suoi quando era in vena di scherzi.
Sbuffai.

Ci manca solo che mi chiami sul palco... Non è la mia festa oggi.

Voltai il capo verso Emily, la quale stava alle prese con una forchetta adagiata fra le sue manine e se la guardava e riguardava interessata. Senza potermi controllare, le scoccai un bacio rumoroso sulla guancia, tant’è che lei sorrise e inclinò il capo verso il punto in cui l’avevo baciata, facendola ridere imbarazzata.

Sorrisi e mi allontanai di poco dalla sua gote e, in quel preciso istante, osservai Michael con un’occhiata interessata. Era preso ad osservare alla sua sinistra, in direzione di Daren – il quale tranquillo chiacchierava con due bimbi di seconda -, attento a quello che lui faceva. Successivamente si voltò verso me, tutto nel giro di un attimo così veloce da non sembrare reale. Mi guardò e mi sorrise, ed io feci lo stesso.

Un altro appunto da segnarmi riguardo Michael, da non dimenticare assolutamente: non era osservatore, era estremamente osservatore. Fissava quello che gli era intorno con un attenzione spiazzante, esaminava tutto, soprattutto gli atteggiamenti della gente. Poteva sembrare semplicemente curioso, o indiscreto, ed invece nascondeva sotto, sotto un grande intelligenza – secondo me.

Sebbene non lo conoscessi bene – era ancora troppo presto per definirlo accuratamente – pensavo che la mie considerazioni non fossero del tutto sbagliate. Dopotutto, l’ho già detto, ero anch’io un’ottima osservatrice!

Improvvisamente si sentì una voce tuonare.
«Non è possibile!»

Tutti ci voltammo per vedere chi aveva urlato, scombussolati dal tono allarmante. In fondo, sulla porta di servizio, se ne stava imbambolato James, con gli occhi fuori dalle orbite puntate prima su di me e poi su Michael, poi di nuovo da e me e poi di nuovo da lui, il tutto ripetuto circa una ventina di volte prima che emanasse anche una sola sillaba.
Era James. Il mio “corteggiator bambino” nonché meno fan di Michael e della sottoscritta.

James era un ex alunno della classe che seguivo, in gamba, molto furbo e spiritoso, vivace e sempre in continuo movimento – una vera piccola peste - con la voglia estrema di giocare sempre. La sua pelle era graziosamente mulatta, con due occhi grandi neri e svegli. Un po’ paffutello, piccolo d’altezza, con le labbra un po’ carnose e una vivacità sconvolgente degna di un bambino incontenibilmente alla ricerca di svago.

«Joy!», disse lui scioccato, spalancando le braccia. «Ma che cosa ci fai qui? Senza avvisarmi?!»
Tutti ridacchiarono divertiti. Evidentemente non ero l’unica a pensare che avrebbe avuto una reazione simile!
«Perché nessuno mi ha avvisato, diamine?!», continuò guardando i compagni.
Sembrava arrabbiato, in effetti... Ma era troppo simpatico!

Risi, alzando dalle mie ginocchia Emily e adagiandola nella sedia da dove mi ero alzata. Lei mi guardò in primo momento dispiaciuta, ma poi le feci l’occhiolino e lei mi regalò uno stupendo sorriso furbetto. Mi voltai e feci qualche passo verso James, il quale mi fissò con gli occhi che gli brillavano di gioia e trepidazione. Era praticamente immobile. Forse era il tempo ad avergli causato tali reazioni, dato che faceva così ogni volta da quando non ero più insegnante.

«Dai, Casanova, vieni qua!», lo incitai inginocchiandomi vicino di lui, spalancandogli le braccia.

Lui tentennò, indeciso, ma sapevo che la sua era solo una falsa. Faceva un po’ il “prezioso” e il dubbioso, ma in realtà non vedeva l’ora di abbracciarmi. Conoscevo la volpe che era... Mi sarei stupita se poco dopo non mi sarebbe saltato in braccio e ad ogni passo mi sarebbe stato avvinghiato alla gamba, facendo gara con Emily su chi mi sarebbe stato più appiccicato come una piovra a duecento tentacoli..

Misi il broncio e lasciai cadere la braccia sui fianchi, appoggiandomi con le ginocchia a terra e guardandolo negl’occhi.
«Perché non mi hai avvisato?», disse lui corrugando la fronte e arricciando le labbra.
Sorrisi. «In realtà era una sorpresa, nessuno lo sapeva...»
«Ma io sono il tuo fidanzato! Ne avevo il diritto!», rispose pestando col piede destro per terra.
Tutti risero, e per un attimo mi chiesi che faccia avesse Michael in quel preciso istante.
«James...», feci per dire dopo aver abbassato gli occhi imbarazzata.
«No Joy! Niente scuse!», mi disse lui allontanandosi proseguendo in avanti, verso i tavoli, ignorandomi come se fosse arrabbiato o gli avessi fatto un torto imperdonabile. «Abbiamo rotto!»

Tutti risero di nuovo ma io fui troppo... Ehm, scioccata per ridere a mia volta. Voltai il capo verso di lui, indecisa se scoppiare in una risata o rimanerlo a fissare col dubbio, con la bocca socchiusa e le sopracciglia aggrottate. Voltai il capo lievemente a sinistra, serrando le labbra, facendo una delle mie solite smorfie fintamente accigliate quando venivo presa in contropiede da qualcosa di inaspettato, come per esempio uno scherzo fallito per di più diretto personalmente dalla sottoscritta.
Poi però mi venne di nuovo da sorridere: avevo avuto un’idea.

«Che peccato...», sospirai guardandolo con la coda dell’occhio, interpretando la parte della dispiaciuta, aspettando che lui si fermasse in mezzo alla stanza. «E io che volevo regalarti un bacio. Dopo tutto è passato tanto di quel tempo dall’ultima volta... Come non detto, li darò a tutti gli altri bambini allora e a te niente!»

Mi alzai in piedi stancamente, con le labbra arricciate dal finto dispiacere, e lui s’immobilizzò. Come se gli si fosse irrigidito qualche ingranaggio dentro di lui, voltò la testa a scatti verso di me. Mi guardava con occhi luccicanti, un sorriso furbetto che parlava da solo. Gli lanciai un’occhiata fugace, alzando le sopracciglia e dirigendomi verso il tavolo dove tutti gli altri si stavano felicemente godendo la scenetta.

«Un bacio? Mi dai un bacio?!», chiese lui stupefatto. «Sulla guancia o sulle labbra?»
Feci una smorfia, mentre nella mia mente me la stavo ridendo come una bambina piccola. «Be’, ovviamente sulle guance... Ma siccome sei arrabbiato con me non vedo perché infastidirti con i miei inutili bacetti...»

Detti uno sguardo a lui e, mentre passai oltre lui in direzione della sedia dove ero seduta prima con Emily, non potei fare a meno che osservare le facce dei miei bambini e di Michael. I primi osservavano me e James sghignazzando fra loro, alcuni zitti, zitti, alcuni bisbigliando fra loro come a rivelarsi un buffo segreto. Michael mi guardava con insistenza, sorridente, con la bocca semiaperta e gli occhi un po’ stravolti. Lo fissai di rimando alzando un angolo delle labbra in un sorriso impercettibile, facendo un poco visibile occhiolino che stava a dire: “Tranquillo, è tutto un gioco”.

«Nono! Non sono arrabbiato!», e così dicendo James si catapultò verso le mie gambe, stringendosi a loro rischiando di farmi cadere anche a me, tant’è che feci per mia fortuna tempo a reggermi sulla sedia sul quale c’era seduta Emily.

Emily, infastidita e imbronciata dalla gelosia, emise un suono seccato con la gola e si alzò giù dalla sedia, venendomi incontro e spalancando le braccia affinchè potesse venire nelle mie braccia. Intenerita non potei far che accettare la sua richiesta, e una volta in braccio m’inginocchiai a terra.

«Ti giuro, non sono arrabbiato! Come potrei! Sei bellissima, troppo bella, come potrei smettere di amarti?! Ti prego, voglio un bacio sulla guancia... Ti prego, ti prego, ti prego!...», mi pregò facendo gli occhi da cucciolo.
Emily mi si strinse al collo, guardando James come se volesse fulminarlo da un momento all’altro.
«Tranquilla, Emily, è solo un bacio piccolo...», dissi per rincuorarla. «Anzi, facciamo così – altrimenti non sarebbe giusto. Dopo, prima di andare via, do un bacio a tutti voi, anzi, quando ne volete io sono a vostra disposizione!»

I bambini esultarono e James mi porse la guancia sinistra. Quando si metteva in testa una cosa era estremamente testardo – soprattutto quando gli promettevo un piccolo bacetto, e si metteva a fare sceneggiate di gelosia se ne davo a qualcun altro che non fosse lui. Ma non sapeva che così stava sfidando Emily ad attaccarlo.
Anche lei era molto gelosa, possessiva, e non permetteva facilmente che lui mi baciasse senza prima non aver litigato.

Fin da quando lavoravo là, ogni volta che se ne prestava l’occasione, James ed Emily erano come cane e gatto nel litigio, come due leoni che combattono ognuno per conquistarsi il territorio... In quel caso, io ero l’oggetto delle liti.
Anche quando Emily non sapeva parlare trovavano sempre il modo per tirar su confusione, uno usando la voce e l’altra usando il suo quaderno degli appunti, tirandoglielo egregiamente e con destrezza in testa.

«Non ci provare...», sibilò Emily socchiudendo gli occhi. James si ritrasse e la fulminò con lo sguardo.
«Perché? Me lo vuoi forse impedire?», le disse con aria di chi vuole sfida.
«No, perché semplicemente Joy non può permettersi di baciare te!», disse lei alzando le sopracciglia.
«E perché no?», chiese avanzando verso me ed Emily, la quale mi avvinghiava il collo facendomi mancare il respiro.
«Perché...», cominciò, un po’ dubbiosa e alla ricerca di scuse. «Perché lei è impegnata con me!»

E così mi si avvinghiò ancora di più... E io mi ritrovai ormai a tossicchiare senza respiro, soffocando le mie invocazioni d’aiuto verso tutti gli altri che si stavano godendo la scena. Perché diavolo non mi aiutavano? Era così divertente vedere un litigio e la terza incomoda che ci rimette la pelle? No perché non ero mica così in salute in quel istante...

«Ragaz... Aiuto... Per fav...», ma ogni mia parola era soffocata dalle braccia di Emily.
Tutto inutile. Quei due ormai non li fermava più nessuno.

«Sentimi bene, Emily, Joy è la mia futura moglie, quando avrò diciotto anni mi ha promesso che ci sposeremo», avviso che questa se l’era inventata lui senza il mio consenso! «e tu non potrai farci niente, quindi abituati all’idea!»
«Da quando te lo ha promesso? Io non lo ho mai sentita questa... E comunque tu non la sposerai! Sei... Sei troppo giovane, e lei ormai a quel tempo sarà già sposata con qualcuno che di certo sarà bellissimo e dolcissimo!», rispose l’altra infastidita e ormai su procinto di corrergli dietro per tutta la stanza per ucciderlo.
«Tsk, sei solo gelosa!», disse James sempre più arrabbiato. «Lei è mia e non ci puoi fare niente!»
«Gelosa?!», esclamò l’altra sibilando.
«Certo, e di me
«Gelosa di te?! Ma... Per favore

Sinceramente, quei due insieme me li vedevo benissimo assieme. Il loro rapporto amore/odio era stupendamente affascinante dal mio punto di vista: “amore” perché erano sempre pronti ad aiutarsi a vicenda, entrambi si supportavano e a volte si atteggiavano da veri piccioncini, come tenersi la mano o appoggiarsi alla spalla dell’altro; “odio” perché, quando c’ero di mezzo io, la loro relazione diventava una lotta per ottenere le mie attenzioni.

Forse era veramente un bene che me ne fossi andata... Temevo che, con la capacità di parola acquisita da Emily, se sarei rimasta sarei solamente stata una spettatrice inerme della Terza Guerra Mondiale!

«Ok, piccini, ora lasciamo perdere questo discorso...», intervenne Daren separando lui e lei e, allo stesso tempo, salvandomi la vita da una morte da soffocamento. «Altrimenti la nostra adorata Joyce qua si sente male!...»
«Grazie...», tossicchiai ridendo. Mi aiutò gentilmente ad alzarmi in piedi, osservata con preoccupazione da Emily e James e da tutti gli altri che se la ridevano di me.
«Povera me, stavo già cominciando a vedere la luce!», esclamai portandomi il palmo della mano destra sulla fronte, recitando la parte della povera vittima e facendo ridere tutti ancora più di prima.

Alla fine mi sedetti, con James ed Emily seduti uno dalla parte opposta ma attaccati a me come sanguisughe. E mentre la festa andava avanti, osservavo Michael guardarmi e cercare a malapena di trattenersi dal scoppiare a ridere. Si doveva essere così divertito in quel momento – con quei due appiccicati alle mie costole non lasciandomi aria per respirare a sufficienza – che una volta da solo, a casa, sarebbe scoppiato in una isterica risata liberatoria, guardato da tutti i suoi dipendenti che preoccupati si sarebbero chiesti se, al posto della torta, avesse bevuto whisky e vodka a manetta fino a scoppiare.

Perché, lo giuro, non lo avevo mai visto così! Era rosso paonazzo ogni volta che cercava di trattenersi dalla risata, ogni santa volta che mi osservava – per questo forse da quel momento cercava di evitarmi! – che temevo sulla sua salute. Voltava il capo verso di me, si copriva le labbra e si toccava il mento e tentava di non ridere.
Tentava, sia chiaro, non è che non ridesse...
E io con lui.

Lo fissavo e mi mettevo a ridere. Forse questo meccanismo automatico – il fatto di capirci telepaticamente – era anche mezzo involontario del mal funzionamento dell’autocontrollo emotivo. Perché è sempre molto difficile, quando ride qualcuno, cercare di stare seri e far finta di niente, soprattutto se si sa perfettamente il motivo della risata!

Ad ogni modo, la torta fu servita e il tempo passò veloce come un battito d’ali di farfalla. Ci fu un clima molto sereno a tavola – tralasciando me e Michael e quegl’altri due di nome James ed Emily che, quando potevano, si minacciavano silenziosamente lontani dai miei rimproveri. La torta, ovviamente, era buonissima. Figuriamoci se una mangiatrice golosa come me poteva certo negare una cosa del genere!

Successivamente, quando tutti finirono di mangiucchiare, vennero disposte alcune sedie attorno al palco, fino a creare otto/nove file perfettamente contate da poter lasciar un posticino a tutti i bambini e a me e a Michael, come ci fu gentilmente chiesto dalla preside e da tutti gli altri bambini. Mrs. Baker non avrebbe partecipato, ma sapeva bene che io e Daren ce ne potevamo benissimo occupare.

Furono tutti invitati a sedere ai loro posti e io e Michael ci sedemmo all’estremità destra della prima fila, lui l’ultimo e io in mezzo ad egli e a James. Emily, dopo una breve e intensa occhiata con James, si sedette sulle mie ginocchia come se niente fosse. Inutile dire che l’altro ne rimase imbronciato e leggermente irritato. Capirete se vi dico che mi sentivo un po’ come divisa in due, con quei due. Almeno c’era Michael, che era il più tranquillo di tutti sicuramente.

Con una musica di trombe e grancassa, proveniente da uno stereo ultimo modello accanto al palco, il piccolo spettacolo, diretto dal presentatore del giorno e mio ex collega Daren, iniziò.

Come prime cose furono cantante alcune canzoni.
La prima iniziale fu una che creai io personalmente, diretta ai bambini, che intitolai “I’ll send all the love”. Era una canzone dalla musica lievemente orientale, cantata in inglese e in tantissime altre lingue delle quali avevo deciso fossero riportate sul testo; parlava del senso di fraternità, di amore, di bontà, e di un legame che, attraverso il vento, sarebbe passato in mano a tutte le persone del mondo, donando loro affetto e gioia nel domani.
Inutile dire che mi commossi e piansi come un fiume in piena. Successivamente vennero cantate, a gruppetti, canzoni come “No More Tears”, di Barbra Streisand e Donna Summer, “I Wanna Dance With Somebody”, di Whitney Houston, e tantissime altre, in tutto per una lista di sei canzoni totali.

Dopodiché fu il turno della recitazione. Furono recitati spezzoni di storie e racconti, poi ancora vennero fatte recite divertenti di bambini nei panni di adulti, di simpatiche situazioni famigliari e di relazioni fra marito e moglie, tutte causando grandi risate. Vennero poi messi in atto scene di musical degli anni prima, fra cui “Grease”, il più gettonato.

Osservai molto il viso di Michael durante lo spettacolo, nei momenti in cui lui non se ne accorgeva, troppo preso dallo spettacolo – tanto ormai quella era una cosa ovvia, il fatto che io fossi sempre, inconsapevolmente attirata dal suo viso. Quando lo beccavi fissare i bambini l’unica impressione che potevi avere era la consapevolezza che, quando rivolgeva occhi a loro, una immensa felicità gli attraversava corpo e anima e illuminava il suo viso e il sorriso.
Lo fissavi e capivi che, in quel momento, nel suo piccolo e privato mondo tutto aveva inspiegabilmente un senso proprio e concreto. Era come se percepissi d’improvviso un’energia contagiosa provenire dalla sua aura ed espandersi fino e dentro di te.
Era una cosa un po’ assurda da spiegare a parole, perciò mi limitavo ad osservarlo con un sorriso compiaciuto e gioioso, e a godermelo in una forma rara e preziosa che il suo carattere assumeva solo in tali situazioni.

Ad un certo punto, fui richiamata all’attenzione. Una bambina della fila dietro, Mandy, mi dette un colpetto sulla spalla, spingendomi a voltarmi verso lei. Quattro paia di occhi – fra quello mio anche quello di James, Emily e Michael – fissarono la bimba incuriositi. Come si suon dire, “una reazione a catena”.

«Joy, ci canterai qualche canzone per noi?», chiese. Immediatamente altri due bambini si trovarono a fissarmi in attesa di risposta, compresi i tre che mi stavano accanto. «Per favore...»
Bene, e ora che diavolo di scusa tiri fuori per evitare questa cosa?
«Ehm, ecco...», dissi nel frattempo che un battito veloce di musica pop cominciò ad echeggiare nella stanza e tutti gli altri bimbi applaudivano felici. Svoltai fugacemente gli occhi e vidi Daren ballare, seguito dagli urletti dei piccoli spettatori presenti.

Dimenticavo di dire che anche egli aveva una passione per il ballo... Soprattutto per il ballo! Era bravo, perciò mi aveva fatto da ulteriore appoggio, negli anni precedenti alla mia carriera da cantante, nel organizzare i balletti scolastici durante eventi o spettacolini particolari. Era un ottimo ballerino, dovevo ammetterlo.

Anche io me la cavavo abbastanza con la danza, sebbene avessi al massimo, in tutta la mia vita, frequentato solo una scuola di danza latino-americana con tutte le specialità del suddetto genere, per di più essendo considerata come una delle più brave del corso solamente dopo tre mesi di lezioni. Una cosa bella di me, era che imparavo molto in fretta.
Ero appassionata a ogni tipo di danza, ma ero sempre tremendamente contraria all’idea di mettermi davanti ad una persona e farle vedere me ballare. Potevano chiedermi di cantare fin quando volevano, ma danzare...
Diciamo che mi sentivo in soggezione. Se ballavo, ballavo perché me la sentivo e non perché me lo chiedevano di fare, volente o nolente. Avrei ballato con una musica che mi ispirava particolarmente, e magari evitando gli occhi cinici di persone che si credevano sicuramente superiori ad una principiante come me.
Non che l’opinione altrui mi intimorisse o mi scalfisse, di quello che pensavano gli altri proprio non me fregava un cazzo – detta volgarmente parlando. Mi disgustava solo l’idea che qualcuno dai pregiudizi infondati e con la puzza sotto il naso mi guardasse dall’alto in basso come se venissi da Marte, quando avrei voluto dir loro: “Ma vi siete visti voi allo specchio o ci passate di fronte credendovi tanto fighi e bravi?”
Ballavo quando e se ne avevo voglia.

Ad ogni modo, un secondo e mi ritrovai a guardare Mandy ancora alla ricerca di una degna risposta da dare.
«Be’, in realtà preferirei di no... Lo sapete che il vostro è uno spettacolo che riguarda voi e basta, io non c’entro...»
Sì che lo sanno, ho spiegato loro questa mia convinzione un milione di volte...
E alla fine mi convincevano sempre.
«Ogni volta dici così e alla fine ti arrendi alle nostre richieste!», esclamò con un sorriso sghembo James. Gli scoccai un’occhiatina fulminante e sardonica. «Che cosa vuoi che sia arrenderti per una ventottesima volta, no?»
«Sì, per favore!...», disse Emily tirandomi per la camicia bianca a bottoni a maniche corte che indossavo. «Fallo per me... E’ il mio compleanno... Per favoree...!»
Mi pregò con lo sguardo, in più con tanto d’occhi dolci, e la voce così dolcemente tenera e fragile che non potei non sciogliermi. Come facevo a resistere ad uno zuccherino tanto dolce quanto innocente?
James, al contrario di me, roteò gli occhi e fece per mettersi un dito in bocca, spalancandola, nel gesto che intendeva: “Sto per vomitare con tutto questo miele, vi prego salvatemi da questa smielata tortura!”
«Be’...», dissi cercando di non ridere all’espressione di James e in contemporanea di non cadere alla avance di Emily.

«Ehy, ragazzi, un momento, un momento!...», disse Daren rivolgendosi ai due bambini allo stereo, alzando le mani in aria in segno di arresa, ancora col fiatone per il lungo balletto. «Stop un attimo! Devo fare un annuncio!»

I due lo guardarono con tanto d’occhi e misero in pausa la musica, mentre ora tutti - nessuno escluso – osservò Daren stupiti e scombussolati. Io, d’altro canto, non potei far altro che preoccuparmi per la mia impotente capacità d’agire. Sapevo che qualcosa non quadrava, e di certo sapevo altrettanto bene che le cose per me si facevano pericolose. Non pensai scherzasse sul fatto di volermi fare salire sul palco con lui, perciò mi rimpicciolii sulla sedia, lasciandomi scivolare con ancora Emily in braccio verso il panico più totale.

Dio, Dio, Dio... Non può farmi ballare... Cantare ok, ma non ballare...! Non che la cosa mi dia fastidio, di coraggio ce ne ho da vendere, ma... Oddio, che dirà Michael? No, no, no... Mi sento un misero pezzo di legno in confronto a lui, non vorrei proprio fare la figura della ridicola...

Ma in fondo sapevo che la verità più vera era nascosta nel profondo della mia anima, e la conoscevo, ma non la volevo ammettere. Quel giorno non mi sarei mai voluta esibire per paura che lui mi considerasse solo una eccentrica, una eccentrica ex maestra la cui vita da cantante cerca di influenzare la vita dei suoi ex alunni con i suoi spettacoli durante una recita che per di più non era la sua. Non avrei mai potuto fare una cosa del genere a dei bambini – non li avrei mai convinti a sentire quello che io creavo come donna di spettacolo – né avrei sopportato l’idea che qualcuno pensasse di me come “la ragazza che, pur di far scena, torna nel suo vecchio posto di lavoro e fa una delle scene da pop star che è diventata”.

Vabbè, anche vero che un po’ temevo per di più il giudizio di Michael sulla mia “danza”. Lui, formidabile genio musicale e dio del ballo e dell’intrattenimento, che avrebbe mai pensato di una dilettante come me? Cioè, potevo solo farlo ridere di me! Poi se mi avessero chiesto di ballare una sua canzone... Oh, non osai nemmeno immaginare! Sarei di sicuro uscita dall’aula magna e mi sarei chiusa nel bagno degli insegnanti fin quando non si sarebbero arresi all’idea che io non avrei ballato!

Daren si rivolse a me con uno sguardo maliziosamente sorridente. «Joy...»
Ecco, avevo ragione.
«Balla con me, qua, sul palco»

Subito mi irrigidii. Lasciai che il silenzio scorresse per una manciata di secondi fin quando i bisbigli dei bambini si fecero continui richiami alla mia attenzione. Mi sentivo in preda ad un’ansia convulsa, continuamente scrutata dagli occhi imploranti di Emily. Non sapevo che scusa inventare, perché non ne avevo di ragionevoli. Eppure ero decisa a non salire sul palco. O almeno, cercavo di rimanere convinta dell’idea.

«Scordatelo!...», risposi in modo molto soft, soffocando una lieve risatina sardonica. Di colpo mi sentii sempre più osservata e più al centro delle attenzioni di tutti, ma soprattutto di Michael. Non avevo idea e non avevo intenzione di scoprire che piega avesse assunto il suo volto. Proprio no...

Nel frattempo che i bimbi m’implorarono con piccole frasi come “Daiii”, “Joy, per favore...!”, “Perché nooo?!”, Daren sorrise fra sé e sfruttò la mia debolezza occasionale per insistere sulla mia apparente forza di decisione. Sapeva che quando i bambini mi pregavano io ero sempre pronta a cedere, e questa mi sembrò una vera e propria carognata da parte sua: perché ballare quando potevo benissimo cantare, come facevo sempre?
La risposta me la detti da sola subito dopo che mi feci la stessa domanda.

«Dai, non farti pregare!», continuò lui con un sorrisetto apparentemente innocente.

Nel frattempo, nella mia mente continuavo a maledirlo dandogli del coglione. Se come avevo dedotto giusto stava facendo tutto questo per mettermi in crisi di fronte a Michael, la risposta l’avrei ricevuta solo salendo sul palco. E quando intendevo “mettermi in crisi” intendevo infastidire. Perché la verità era che era geloso, scocciato dalla sua presenza e, forse, aveva perfino notato le nostre occhiate.

So che mi penserete ora come una maligna, ma certe cose me le sentivo dentro, in fondo le viscere. Istinto di donna? Sesto senso? No, semplicemente conoscevo molto bene Daren. Quasi tre anni era serviti per capirlo bene, e in effetti più volte avevo avuto conferma ai miei dubbi.

Di sicuro aveva in mente qualche piano per far sì o che l’opinione di Michael cambiasse riguardo ai miei confronti, o aveva qualche altra idea a me sconosciuta escogitata silenziosamente dentro quella testa bacata d’idiota!

«Anzi, bambini, che ne dite di convincere la nostra adorata Joyce a salire sul palco? Gridiamo tutti insieme... Joy! Joy! Joy! Joy! Joy!...», cominciò a urlare, battendo le mani in aria ad incitarli.

Pian piano tutti i bambini cominciarono a urlare il mio nome, alzandosi in piedi dalle loro sedie e battendo le mani, sorridenti e felici. Loro molto probabilmente non arrivavano a capire quale fosse il significato nascosto di tutti i gesti in apparenza “puri” di Daren, ma io sì. E nella mia mente cercavo di capire che diavolo gli frullasse in quel cervello.

Probabilmente non avevo un’espressione molto allegra in quel momento, perché quando Daren mi guardo sorridente e vide il viso contrariato e i miei occhi fissi su di lui - come a volergli cavare chissà quale importante segreto con la forza di uno sguardo - il suo sorrisino si fece meno strafottente e più cauto.

Anche lui mi conosceva bene, perciò sapeva quanto io fossi captatrice delle sue mosse. Qualche volta avevo temuto che temesse della mia capacità d’osservazione, o presumibilmente temeva l’intensità propria.
Sapeva che a me non la davano a bere i suoi giochetti beffardi e finti puritani, perché quando se ne era prestata l’occasione mi aveva visto arrabbiata. Ma non arrabbiata di poco, furiosa.
Non che compisse certe azioni sempre, ma se venivi presa come una facile da prendere sottogamba lui sapeva girarti e voltarti come meglio voleva. Aveva appreso qual’era l’importanza che davo al rispetto, quanto era odiata da me ogni minuziosa forma di ipocrisia, malizia sottointesa delle parole e dei fatti.
D’altra parte non potevo dargli torto se ora se ne stesse tornando sui suoi passi in punta di piede.

«Avanti... Un ballo... Piccolo, piccolo! Promesso!», disse piano dal microfono che aveva in mano.
Ti sei fatto più tranquillo per ora, eh?

Abbassai lo sguardo, detti un piccolo sbuffo e cercai di darmi una calmata.
Dopotutto non dovevo scaldarmi per così poco, dovevo misurare di più il mio autocontrollo generale del fastidio e richiamare alla tranquillità ogni mia molecola del settore nervoso e muscolare.
Dopotutto se non avessi provato avrei deluso i miei bimbi...
Dopotutto, già...

«Lo sai che io canto...», gli risposi piano scoccando un’occhiata diretta a quegl’occhi azzurri e infrangibili.
«Per favoreeee!», pregò lui facendo il bambino, congiungendo le mani vicino al viso. Stetti per replicare, per dire qualsiasi cosa di abbastanza ovvio e comprensibile per scusarmi, ma fui bloccata sul nascere.
«Per favoreeee!», fecero eco tutti gli altri bimbi.

Lo guardai con una certa riluttanza, ma poi alla fine cedetti e, in mezzo agli applausi dei bambini, salii un po’ di malavoglia sul palco, mettendo prima a sedere sulla sedia Emily. Non mi piaceva essere il centro dell’attenzione, come avevo già detto lo spettacolo era dei bimbi, punto, ma se loro me lo stavano implorando non avrei comunque potuto trovare una giustificazione adeguata per rinunciare.
Quando fui in piedi vicino a Daren lui mi spalancò le braccia in segno di un abbraccio, che io accettai mentre un lieve sorriso addolcito si materializzava in viso.
Questo grazie ai bambini, eh.

Mi rivolsi ad egli sottovoce, quasi non facendo percepire il movimento delle labbra.
«Perché mi fai questo?», sussurrai imbronciata.
«Perché voglio rivederti danzare come sapevi fare tu una volta».
Estinsi una sogghigno, prima di separarmi da lui, facendogli capire che non l’avevo bevuta con solo una parola: «Bugiardo...»
La stretta si spense e Daren evitò di osservarmi. Dentro di me, io, invece, sorridevo.
Uno a zero per me.

«Sappiamo tutti come canta bene la nostra Joy, no? Perciò per una volta pensiamo a cambiare!», disse lui esplicito con un sorriso. Subito smisi di essere soddisfatta di me stessa e tentai di tener a freno una risata convulsa e sardonica.

Cazzo. Maledizione a quella sua fottuta boccaccia.
Uno a uno per lui.


«Ma noi vogliamo anche sentirla cantare!», esclamò Emily di punto in bianco.
Che Dio ti abbia in gloria, mio dolcissimo angelo!
«Se avrai voglia canterò Emily, sta tranquilla...», risposi arresa stringendo le labbra, nascondendo l’ira e la rabbia che provavo verso Daren. Dopo gliene avrei fatte patire di tutti i colori...

«Devi sapere una cosa, Joy, prima di ballare...», disse lui improvvisamente impacciato, voltandosi a sinistra nella mia direzione. Io lo guardai un po’ confusa ma con una lampadina di dubbio accesa nel mio cervello. «Tu sei... La più brava insegnante di coreografie che io abbia mai avuto, sai?» «Uhhhhh...!», urlarono i bambini eccitati.
Io arrossii lievemente e il complimento riuscii ad addolcirmi maggiormente.
«Ahah», rise lui voltandosi verso i bambini. «Modestamente le ho insegnato io ogni cosa!...»
Gli scoccai uno sguardo scioccato, nel frattempo che i bimbi se la ridevano.

Osservai prima lui e poi i bimbi, ma i miei occhi furono chiamati dal richiamo visivo di Michael. Serio e attento – quasi avesse capito lui che la questione là non quadrava! – mi fissava in un modo che voleva dirmi: “E ora che gli dirai?”.
Mi sentii come se mi avesse letto la mente per tutto quel tempo, impotente ma comunque non debole di reagire alle malizie nascoste di Daren. Quello era un deliberato attacco al mio orgoglio e alla mia dignità. Un insulso attacco.
E io, permalosa di mio e altrettanto sprezzante che potevo divenire, potevo mai risparmiargli una delle mie frecciatine?
Sorrisi fra me e me.

«E’ divertente, non ho mai incontrato nessuno come te con tal fantasia!», esclamai da finta innocente. «Se avessi imparato ogni mio passo da te, non so questi poveri bambini come avrebbero fatto ai balletti scolastici, vero bambini?»
Loro risero e annuirono, stando al gioco.
Due a uno per me. Prendi questa, Daren!

Rise anch’egli ma con meno entusiasmo, stando sulla finta ironia per non far pesare un clima teso ai nostri spettatori. Almeno così lo avevo colpito e affondato rivoltando la sua stessa frase, e anche se i bambini non avevano appreso appieno il significato nascosto di tutto quel discorso lo avevamo ben inteso io, Daren... E Michael, il quale volto osservai disegnare un sottile riso fra quelle labbra ben distese.

«Woo... Ok, magari sei stata tu ad insegnarmi qualche cosa, ma questo è ancora tutto da vedere, sai?», mi disse Daren gettandomi gli occhi addosso di nuovo. «Balliamo. Provami che non hai dimenticato quello che tu dici di aver imparato...»

Una nuova luce diffondeva i suoi occhi.
Era quella della sfida.

È difficile dir loro ciò che sento per te. Non ti hanno mai conosciuta, e non sanno come sei fatta. Come fanno a sapere il tuo mistero? Diamo loro un indizio.
Due uccelli sono su un albero. Uno mangia le ciliegie, mentre l’altro sta a guardare. Due uccelli volano nel cielo. Il canto di uno scende giù dal cielo come cristallo, mentre l’altro resta in silenzio. Due uccelli roteano al sole. Uno riflette la luce sulle sue piume argentate, mentre l’altro distende le sue ali invisibili.
Non è difficile capire quale dei due uccelli sia io, ma non riusciranno a capire chi sei tu. A meno che…
A meno che non sappiano cos’è un amore che non interferisce mai, che guarda da dietro, che respira libero nell’aria invisibile. Dolce uccellino, anima mia, il tuo silenzio è così prezioso. Quanto passerà prima che il mondo possa udire il tuo canto col mio?
Oh, come bramo quel giorno!


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