I costi della Pubblica Amministrazione : Ecco quanto guadagnano i dipendenti di Regioni, Comuni e Province

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angelico
00sabato 21 luglio 2012 18:30



Uomini e donne d’oro
Sono ricchi, talvolta ricchissimi, hanno storie diverse, alcuni lavorano tantissimo, altri hanno solo cariche di rappresentanza ma ben remunerate. Ma hanno tutti una cosa in comune: lavorano per la Pubblica amministrazione. Grazie a una legge del 1982, ogni anno i “titolari di cariche elettive e direttive di alcuni enti”, cioè manager scelti dalla politica per guidare pezzi del potere economico statale o parastatale, devono rendere nota la loro dichiarazione dei redditi dell’anno precedente e la loro situazione patrimoniale, le auto che possiedono e le società di cui hanno azioni. Attenzione: si parla dei redditi complessivi, non degli stipendi pagati dalla pubblica amministrazione (anche se per molti le due cose coincidono, soprattutto per quelli al vertice di istituzioni che rendono incompatibili gli incarichi privati). Dal bollettino pubblicato ieri sui redditi 2010 che Il Fatto Quotidiano ha potuto consultare emerge uno spaccato della società italiana, il racconto di chi sono i veri ricchi di questo Paese (almeno i veri ricchi che non evadono, o quasi).

Nell’elenco compaiono alcuni politici, tipo Piero Fassino (128.191 euro) o Matteo Renzi (109.573 euro) in quanto presidenti di fondazioni locali, a Torino il teatro Regio, a Firenze il Maggio Fiorentino. Gianni Alemanno, citato in quanto presidente della Fondazione teatro dell’Opera di Roma, dichiara 152.055. Ma sembrano indigenti a confronto degli altri. Gli stipendi più alti si trovano nella prima linea delle società controllate dal Tesoro, nomi poco conosciuti al grande pubblico ma strapagati: guadagna 727.170 euro Domenico Arcuri, amministratore delegato di quell’Invitalia che aveva scelto lo squattrinato Massimo Di Risio per rilevare la Fiat di Termini Imerese (ora è stato scaricato da tutti, dopo aver fatto perdere un anno di tempo). Il vicepresidente di Fintecna, società che sta passando dal Tesoro alla Cassa depositi e prestiti, Vincenzo Dettori, dichiara 392.392 euro. Mentre i due vertici della Cassa depositi e prestiti sono su un altro ordine di grandezza: il presidente Franco Bassanini ha un reddito di 567.262, l’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini 1.925.997.

Ci sono anche figure di cui ci eravamo un po’ dimenticati: a fine 2011 il professor Augusto Fantozzi si è dimesso da commissario straordinario di Alitalia, incaricato di liquidare quel che restava della bad company, ma per il 2010 ha dichiarato un reddito di 3.686.272. Il suo compenso per l’attività di commissario è sempre stato misterioso e tuttora non sappiamo quanta parte di quei 3,6 milioni sia dovuta a tale attività. Il suo successore Stefano Ambrosini, che nel 2010 ancora non era subentrato a Fantozzi, si ferma a 957.379. L’ex leghista Dario Fruscio è stato per anni nel cda dell’Eni, poi è passato all’Agea, la società che gestisce i finanziamenti all’agricoltura, Umberto Bossi lo aveva rimosso e lui è riuscito a riprendersi la poltrona a colpi di ricorsi al Tar: deve essere ben pagata, visto che nel 2010 Fruscio ha dichiarato 1.048.478 euro. Un altro manager di area leghista, il varesotto Giuseppe Bonomi, alla Sea che gestisce l’aeroporto di Malpensa, dichiarava 919.847 euro.

NEL RAPPORTO curato dalla presidenza del Consiglio ci sono anche curiose eccezioni verso l’alto e verso il basso. L’imprenditrice milanese Diana Bracco, che figura in quanto presidente di Expo 2015, ha un reddito di 5,6 milioni di euro, ma non stupisce più di tanto, è noto che il suo gruppo sia redditizio. Sorprende invece un po’ la situazione di Mauro Cipollini, amministratore delegato di TechnoSky, una controllata dell’Enav, l’ente nazionale per l’aviazione civile che è finito al centro di alcune inchieste per presunte tangenti. Cipollini nel 2010 ha dichiarato soltanto 3.987 euro. Eppure nel 2007 ha comprato una Mini Cooper e l’anno successivo, nel 2011, immatricola una Porche Cayenne. Altra curiosità: nell’elenco c’è perfino il professor Francesco Alberoni, un tempo guru della sociologia all’Università di Trento oggi pensionato ed editorialista (nel 2010 ancora al Corriere della Sera) e presidente del Centro sperimentale di cinematografia: reddito da 396.389 euro.

Chi lavora alla Rai e alla Banca d’Italia ha redditi decisamente superiori. L’ex presidente della tv pubblica, il giornalista Paolo Garimberti, nel 2010 guadagnava 670.304 euro, l’allora direttore generale Mauro Masi ne dichiarava quasi altrettanti, 695.466, la sua sostituta Lorenza Lei si fermava a 424.106. Alla Banca d’Italia nel 2010 il più ricco era Mario Draghi, allora governatore, con 1,021 milioni di euro. Il suo direttore generale, Fabrizio Saccomanni, che ora potrebbe essere riconfermato dopo aver sfiorato la nomina a governatore, non se la passava tanto peggio: 838.596 euro. Ignazio Visco, suo vice all’epoca e oggi governatore, dichiarava la metà ma comunque cifre consistenti: 405.201 euro. Poi c’è Finmeccanica, società controllata dal Tesoro e di cui tutto è noto, visto che è quotata in Borsa. O meglio, sono noti gli stipendi dei suoi top manager ma non le loro dichiarazioni dei redditi. Eccole: nel 2010 Giuseppe Orsi, oggi presidente, dichiarava 1,654 milioni, l’allora presidente Pier Francesco Guarguaglini 5,5 milioni, Giorgio Zappa e Alessandro Pansa, entrambi con la carica di direttore generale, avevano rispettivamente un reddito di 2,5 e 2,6 milioni.

DA QUASI SEI ANNI diversi governi hanno provato a mettere un tetto agli stipendi, anche cumulati, dei manager che lavorano nel settore pubblico. L’ultimo tentativo è del governo Monti che a marzo ha fissato il limite a 294mila euro lordi all’anno. Sarebbe un bel crollo del reddito di molti dei protagonisti del rapporto di palazzo Chigi. Per rendere operativo il tetto serve un decreto del ministero del Tesoro che, come ricordato ieri da Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, ancora non si è visto. Qualche mese fa il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua, reddito 2010 da 1,36 milioni, si era detto sicuro che nel 2013 avrebbe dichiarato soltanto i 294 mila euro previsti dal governo. Forse era stato troppo pessimista.

www.informarexresistere.fr/2012/07/18/paperoni-di-stato-ecco-le-dichiarazioni-dei-redditi-dei-manager-pubblici/#axzz2...

angelico
00lunedì 17 settembre 2012 13:12
A Bruxelles arriva la resa dei conti sull’acquisto di titoli di Stato dei Paesi in crisi e già si profila lo tsunami della vigilanza centralizzata che porterà ulteriore scompiglio negli assetti di potere delle banche nazionali. Come risponderà a tutto questo la Banca d’Italia? In via Nazionale si guarda ai prossimi direttivi della Bce con crescente apprensione e intanto si varano speciali contromisure: un plotone di giardinieri armati di semi, piante ornamentali e annaffiatoi pronti a sparare sul mercato una micidiale raffica di fiori. Fiori per sette milioni di euro. Tanto costa la manutenzione delle piante e dei giardini nelle sedi di rappresentanza e nel parco sportivo del Tuscolano a Frascati, quartier generale dell’istituto con campi da tennis, calcio e piscina. Non mancano progetti per l’orto didattico e la raccolta delle olive made in Bankitalia. E se non si fermano gli attacchi speculativi? Suoniamo l’allarme generale aggrappati ai videocitofoni e campanelli nuovi di zecca da 15 milioni di euro appena acquistati.

Tutto pagato con fondi propri della Banca d’Italia, cioè nostri. Perché pur essendo in mano a banche private, che detengono il 94,33% delle quote, la Banca d’Italia è un istituto di diritto pubblico ed esercita su mandato la funzione di Tesoreria dello Stato. Alla fine dei conti il bilancio è sempre attivo grazie alla gestione del portafoglio di titoli pubblici e riserve (nel 2011 ha prodotto utili per 1,1 miliardi). Ma tanti sono anche i soldi che volano letteralmente fuori dalla finestra di Palazzo Koch.

Spese difficili da mandar giù in tempi di crisi e più ancora da quando la Banca d’Italia s’è ristretta. Da tempo non si occupa più di politica monetaria e presto anche i compiti di vigilanza andranno a Francoforte. “Sprechi e inefficienze ci sono ovunque ma la Banca d’Italia è un’eccellenza rispetto alle altre banche centrali europee”, spiega Donato Masciandaro, docente di economia monetaria alla Bocconi e direttore del Centro Paolo Baffi su banche centrali e regolamentazione finanziaria: “Il punto vero – continua – è che presto dovrà essere presto riformata in profondità per sostenere l’urto del nascente sistema di vigilanza accentrato nella Bce”. Intanto, però, i costi restano extra-large. Sulle spalle degli italiani è infatti rimasto il carrozzone dei tempi gloriosi, con un carico di settemila dipendenti, centinaia di immobili di pregio e una serie di costi, sprechi e privilegi che partono dall’alto: il presidente Ignazio Visco, per fare un esempio, guadagna 750mila euro l’anno, cioè il doppio dell’omologo tedesco Jens Weidmann, capo della potente Bundesbank che ha tenuto al guinzaglio i governi di mezza Europa sull’acquisto di titolo di Stato dei Paesi in crisi.

Ai tempi del rigore era inevitabile che la spending review bussasse al 91 di via Nazionale. Lo ha fatto però in punta di piedi, battendo un colpo all’ultimo minuto con un emendamento dei relatori al Senato poi ribadito dal governo, nero su bianco, giusto la settimana scorsa: a partire dal 2013 anche il salotto delle banche dovrà adeguarsi ai dettami della revisione di spesa con tagli su auto blu, ferie, buoni pasto e consulenze. Ma a ben guardare sarà una potatura leggera perché bilancio, affidamenti, acquisti della Banca d’Italia rivelano ben altri sprechi e risorse, mele d’oro in un giardino delle Esperidi dove neppure i super tecnici s’addentrano. E allora ecco come si disperde l’oro degli italiani sotto l’occhio distratto del governo.

Esercito di dipendenti e poltrone d’oro. Visco: un tecnico da 750mila euro
A scorrere il bilancio della Banca d’Italia due voci balzano all’occhio: il costo del personale per 819 milioni e le spese di amministrazione per 420. Cifre mostruose a discapito di un ruolo sempre più ridotto a favore della Bce. Partiamo dalla punta dell’iceberg perché in Banca d’Italia è d’oro anche quella. Il direttorio di nomina governativa che controlla l’autorità bancaria costa in organi collegiali e periferici 3,1 milioni di euro l’anno in compensi. Ma non si tratta di centinaia di persone ma poche decine: i 13 consiglieri superiori prendono 371mila euro, i cinque componenti del collegio sindacale 137mila. Ed ecco la punta, platino: al governatore Ignazio Visco, come detto, vanno 757.714 euro, al direttore generale Fabrizio Saccomanni vanno 593mila euro, i quattro vice-direttori (oggi tre, perché il 12 luglio Anna Maria Tarantola ha lasciato l’incarico per assumere la presidenza della Rai) hanno emolumenti da 441mila euro.

I dipendenti sono 7.315 con 2mila tra funzionari e dirigenti mentre il precariato è poco da queste parti, il personale a contratto si ferma a 33 unità. Il punto è che questo personale da anni è in sovrannumero e finisce per costare una follia: 819 milioni di euro l’anno tra stipendi, accantonamenti per oneri maturati, diarie per missioni e trasferimenti. La spesa media per dipendente è di 109.300 euro. Com’è possibile? Semplice, il personale della Banca d’Italia eredita le conquiste degli anni migliori sul fronte dei trattamenti economici e dei servizi interni. Roba da gridare hip hip hooray! se il costo poi non ricadesse sugli altri italiani che questi “servizi” ormai se li sognano. Ecco alcuni esempi. L’assistenza sanitaria privata costa 32 milioni di euro l’anno, l’assicurazione 33,5 (fino al 2015). Il taglio dei buoni pasto della spending si farà sentire poco da queste parti. Le sedi di Roma, Frascati e 11 filiali hanno la sede interna: in cinque anni costa 41 milioni, otto all’anno. Le altre filiali hanno servizi mensa in convenzione. Il servizio di trasporto per i tragitti casa-lavoro per il personale dell’area romana un milione e due.

Prima che Draghi lasciasse via Nazionale per andare in Europa ha preferito esser certo che laggiù, a Roma, capissero bene quando dall’Eurotower parla di spread e fiscal compact. Così la Banca d’Italia ha affidato a un’agenzia un programma di formazione di inglese da 620mila euro, che per dei corsi di lingua non sono noccioline, soprattutto perché i bandi di assunzione dell’ente richiedono espressamente una conoscenza avanzata dell’inglese. Prima dell’assunzione, non dopo. Senza contare che da anni sette consulenti-traduttori sono a libro paga dell’ente al costo di mezzo milione di euro. E qui si apre il capitolo consulenze, un dossier sempre corposo e soprattutto costoso visto che al 30 agosto i consulenti esterni a libro paga di Bankitalia sono già 112 e totalizzano incarichi per due milioni e mezzo di euro. Alcuni sono plurimi e molti affondano le radici in rapporti che si sono persi nel tempo, rinnovati di anno in anno fin dagli anni Novanta e senza un termine o soluzione di continuità. La spending review qui non ci mette mano.

Bankitalia real estate
Fin qui il personale. Ma a gravare sui conti dell’istituto sono anche i costi di struttura legati alla manutenzione di un patrimonio immobiliare sterminato che la Banca d’Italia ha collezionato dai tempi della sua nascita a oggi. Correva l’anno 1893, la capitale era Firenze e c’era ancora Umberto I. Da allora la corsa al mattone dell’istituto non si è più fermata e nell’anno corrente – dicono i bilanci di via Nazionale – il patrimonio per fini istituzionali ha raggiunto una consistenza pari 4,2 miliardi (1.3 quelli a garanzia dei trattamenti di quiescenza del personale). Un centinaio di immobili, per la maggior parte stabili di gran pregio nei centri storici delle città capoluogo di regione e provincia dello Stivale (oltre a terreni per una valore di quasi due miliardi). Alcuni beni non più necessari sono in affitto (dalle locazioni entrano 27 milioni) mentre nel triennio 2008-2010 una parte eccedente del patrimonio è stata razionalizzata fino alla chiusura di 39 sedi provinciali. Nel 2010 è partita l’operazione di vendita di oltre 60 immobili affidata a un’advisor (Colliers International Italia – EXITone) per due milioni di euro. Dovevano arrivare 326 milionima ancora nessuno è stato venduto e i tempi stringono perché l’operazione era prevista entro tre anni. Siamo ancora alla pubblicazione del primo lotto da 16 immobili. Il secondo dovrebbe arrivare in autunno.

L’attuale rete operativa conta 20 filiali regionali e provinciali, 25 sportelli e 18 centri per la vigilanza, trattamento del contante, tesoreria dello Stato. Più tre sedi distaccate a New York, Londra e Tokyo.

Il budget per la manutenzione di questo patrimonio, stando agli affidamenti in corso, ha un budget 30 milioni di euro. Gli edifici del centro storico della Capitale ne impegneranno altri 14,6. Solo per mettere telecamere e citofoni al complesso di via Nazionale 91, Tuscolana e del Centro Donato Menichella a Frascati si stanno per spendere in progettazione, installazione e mantenimento 15 milioni (oltre Iva). Poi c’è l’area di via Tuscolano 417, quartier generale dell’istituto, che ha in corso affidamenti per 21 milioni. Per gli edifici romani e per il “Centro Donato Menichella” di Frascati, che ospita buona parte delle strutture di elaborazione dati, è in arrivo una green revolution: è in corso di affidamento una gara per la manutenzione del verde e il noleggio di piante ornamentali, fioriere, composizioni di fiori recisi e aiuole per sette milioni di euro. Solo gli interventi di manutenzione dell’ex Cinema Quirinale, portone di rappresentanza della Banca, costano 3 milioni di euro.

Il turismo è in crisi? Domanda da 8 milioni di euro
Il fiore all’occhiello di Bankitalia è sempre stato il suo Ufficio Studi, munifico produttore di studi comparati, analisi dei settori produttivi e degli scenari economici. Alcuni studiosi, imprenditori e giornalisti hanno però iniziato a rimpiangere gli anni d’oro, la stessa Confindustria ha lamentato che anche questo ramo di attività si sta seccando. L’ultima relazione annuale al Parlamento, a onor del vero, da conto di una grande attività con 950 note congiunturali sull’Italia, l’area euro e i mercati internazionali e ancora studi su studi. Ma i programmi di ricerca vengono fatti spesso all’esterno con costi esorbitanti.

Qualche esempio. Che il turismo sia fiacco lo sanno tutti, basta chiedere a un albergatore di Venezia o Riccione. Ma a Palazzo Koch vogliono vederci chiaro e così hanno commissionato una Indagine statistica campionaria (in pratica interviste) sul turismo internazionale. L’intento, semplificando, è capire quanto spendono turisti e uomini d’affari durante il loro soggiorno italiano. Peccato che per saperlo spenda otto milioni di euro e che l’ultima ricerca di questo tipo risalga ad appena tre anni fa. Bankitalia pensa anche ai bilanci delle famiglie italiane. E lo fa commissionando un’indagine per gli anni dal 2013 al 2016. Anche qui l’intento è nobile perché si tratta di capire come si distribuiscono nel tempo la ricchezza e il reddito in un Paese in crisi. Le modalità sono le classiche interviste su un campione di 10mila famiglie in 600 comuni ma il costo è di tre milioni di euro. Qualche famiglia, questa è una certezza, si sarebbe accontentata di qualche dato in meno e qualche soldo in più.


www.ilfattoquotidiano.it/2012/09/17/quanto-costa-bankitalia-dai-7-milioni-per-fiori-ai-15-per-nuovi-campanelli...
angelico
00giovedì 20 settembre 2012 09:53
Ogni consigliere regionale costa come un super manager, 743 mila euro all'anno. La classifica peggiori

di Gianni Trovati
Cronologia articolo19 settembre 2012Commenti (5)
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Argomenti: Regioni | Veneto | Molise | Calabria | Piemonte | Sicilia | Lazio | Lombardia | Basilicata




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Ogni seggio costa 750mila euro
Ognuno dei 1.111 consiglieri regionali pesa sul bilancio pubblico come un manager di altissimo lignaggio: 743mila euro all'anno, calcolando solo le spese più "politiche" e senza considerare le ricadute legate al personale amministrativo di supporto. Una cifra imponente, che fa smarrire i risparmi veri o presunti creati finora dagli unici tagli applicati davvero ai "costi della politica", quelli che hanno dimezzato i consigli dei Comuni piccoli e piccolissimi dove i gettoni di presenza viaggiano intorno al centinaio di euro all'anno. Come ogni media, però, anche questa è figlia di situazioni molto diverse fra loro: l'inchiesta riassunta nella grafica riportata misura le performance dei consigli regionali in dieci indicatori-chiave, dal numero di consiglieri e commissioni alle loro indennità e rimborsi, passando dalle spese per organi istituzionali e consulenze, e mette nel mirino i valori fuori media, ponderati in base alle dimensioni della Regione.

A uscirne meglio sono Emilia Romagna, Marche e Veneto, ciascuna delle quali mostra un solo valore su dieci colorato di rosso perché peggiore di quello medio delle altre amministrazioni, mentre in coda si incontra il Molise (7 valori peggiori della media) seguito da Sicilia, Calabria, Basilicata e Piemonte (6 valori). Anche il Lazio, insieme alla Lombardia, occupa le parti basse della graduatoria.
GRAFICI
Gli indicatori di costo della politica regione per regione

Il ranking, naturalmente, non pretende di misurare con puntualità l'efficienza delle istituzioni, soggetta a un'infinità di variabili, ma i dati fanno balzare agli occhi le caratteristiche delle diverse Regioni. Sul versante delle uscite in rapporto alla popolazione, per esempio, Molise e Basilicata sono penalizzate dalle dimensioni, ma è giustificabile che la Sicilia spenda per gli organi istituzionali sei volte tanto la Toscana e dieci volte la Puglia? E perché mai, in base alle indennità nette e ai rimborsi censiti dalla stessa conferenza dei presidenti dei consigli regionali, un politico lombardo può arrivare a cumulare più del doppio di un collega emiliano? Senza contare i casi, come in Veneto e in Piemonte, in cui i rimborsi possono addirittura spingere le entrate di un consigliere sopra quelle del suo presidente.

Obbligati dalla manovra-bis dell'anno scorso, che ha rivisto al ribasso i numeri della politica locale, molte Regioni hanno approvato o stanno lavorando a riforme che riducano le dimensioni delle assemblee (solo la Lombardia era già in linea con i nuovi parametri), ma il problema non è solo di numeri. In molti casi, infatti, bisogna vedere se i consiglieri "semplici", privi di galloni (e quindi di indennità aggiuntive), esistono davvero. Tra presidenti e vicepresidenti di commissione, capigruppo, segretari, questori e consiglieri-assessori, i posti a stipendio maggiorato distribuiti dai vari consigli sono 862, cioè il 78% dei seggi totali.

Il record? Proprio nel Lazio, dove per 71 consiglieri la proliferazione di gruppi (spesso con un solo componente, presidente di sé stesso), commissioni e comitati arriva a prevedere fino a 110 posti in grado di spingere la busta paga sopra ai livelli di base. Naturalmente, un capogruppo può essere anche vice-presidente di commissione, o consigliere-segretario, altrimenti sarebbe impossibile coprire tutte le caselle (lo stesso accade in Abruzzo, Basilicata, Calabria e in molti altri casi). Anche in questo capitolo, però, non tutti si comportano allo stesso modo. Mentre in qualche consiglio si sono moltiplicati i mini-poltronifici creati da gruppuscoli e commissioni, altrove le indennità aggiuntive si contano sulle dita (per esempio nelle Province Autonome di Trento e Bolzano, in tutto equiparabili alle Regioni).


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angelico
00giovedì 11 ottobre 2012 21:27
I tagli ai maxi-stipendi (sopra i 90mila euro) dei dirigenti pubblici sono incostituzionali. Illegittima anche la scure sulle retribuzioni dei magistrati

con un articolo di Davide Colombo
Cronologia articolo11 ottobre 2012Commenti (143)
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Argomenti: Pubblico impiego | Corte Costituzionale | Pubblica Amministrazione | La Consulta




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I tagli alle retribuzioni superiori ai 90mila euro dei soli dipendenti pubblici, previsti dal decreto legge numero 78 del 2010, sono incostituzionali. Lo ha deciso la Consulta, stabilendo in particolare l'illegittimità dell'articolo 9, nella parte in cui dispone che a decorrere dal primo gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 «i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, siano ridotti del 5% per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10% per la parte eccedente 150.000 euro». Per la Corte, «il tributo imposto determina un irragionevole effetto discriminatorio».

A giudizio della Consulta le disposizioni governative si pongono «in evidente contrasto» con gli articoli 3 ("Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge...") e 53 ("Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva....") della Carta fondamentale. «L'introduzione di una imposta speciale, sia pure transitoria ed eccezionale, in relazione soltanto - si legge nella sentenza - ai redditi di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione víola, infatti, il principio della parità di prelievo a parità di presupposto d'imposta economicamente rilevante». Secondo i giudici delle leggi "da un lato, a parità di reddito lavorativo, il prelievo è ingiustificatamente limitato ai soli dipendenti pubblici. D'altro lato, il legislatore, pur avendo richiesto (con l'art. 2 del d.l. n. 138 del 2011) il contributo di solidarietà (di indubbia natura tributaria) del 3% sui redditi annui superiori a 300.000,00 euro, al fine di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, ha inopinatamente scelto di imporre ai soli dipendenti pubblici, per la medesima finalità, l'ulteriore speciale prelievo tributario oggetto di censura».

VIDEO
PARLAMENTO 24/Dalla riforma del mercato del lavoro alla previdenza dei manager pubblici (di Nicoletta Cottone e Vittorio Nuti)

DOCUMENTI
La sentenza sulla riduzione degli stipendi nella P.A.
Gli ultimi redditi dichiarati dai manager pubblici
I dati delle retribuzioni
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«Nel caso in esame, dunque, l'irragionevolezza - spiega la Consulta - non risiede nell'entità del prelievo denunciato, ma nella ingiustificata limitazione della platea dei soggetti passivi. La sostanziale identità di ratio dei differenti interventi di solidarietà, poi, prelude essa stessa ad un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarietà del diverso trattamento riservato ai pubblici dipendenti, foriero peraltro di un risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica, anche modulando diversamente un 'universale' intervento impositivo». La Corte costituzionale non nega il potere del Governo di intervenire sulla materia: «L'eccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare - argomenta la sentenza - è, infatti, suscettibile senza dubbio di consentire al legislatore anche il ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti cittadini necessitano. Tuttavia, è compito dello Stato garantire, anche in queste condizioni, il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, il quale, certo, non è indifferente alla realtà economica e finanziaria, ma con altrettanta certezza non può consentire deroghe al principio di uguaglianza, sul quale è fondato l'ordinamento costituzionale. In conclusione, il tributo imposto determina un irragionevole effetto discriminatorio».

I tagli alle retribuzioni dei magistrati
La Consulta ha dichiarato incostituzionali anche i tagli sulla retribuzione dei magistrati previsti dallo stesso decreto legge. In particolare la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della parte della legge che prevede che «l'indennità speciale di cui all'articolo 3 della legge n. 27 del 1981, spettante al personale indicato in tale legge, negli anni 2011, 2012 e 2013, sia ridotta del 15% per l'anno 2011, del 25% per l'anno 2012 e del 32% per l'anno 2013». Sempre per la magistratura é stata dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma che stabilisce che «non sono erogati, senza possibilità di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012 e che per tale personale, per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per l'anno 2014 è pari alla misura già prevista per l'anno 2010 e il conguaglio per l'anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014; nonché nella parte in cui non esclude che a detto personale sia applicato il primo periodo del comma 21».



www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-10-11/tagli-stipendi-dirigenti-pubblici-132547.shtml?uuid=...


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angelico
00giovedì 11 ottobre 2012 21:27
L'irragionevole «effetto discriminatorio» individuato nel taglio delle retribuzione dei manager pubblici potrebbe costare 50 milioni di euro

analisi di Davide Colombo
Cronologia articolo11 ottobre 2012Commenti (4)
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Argomenti: Management | Corte di Cassazione | Corte Costituzionale | Romano Prodi | Governo Berlusconi




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L'irragionevole «effetto discriminatorio» che la Corte costituzionale ha individuato nella norma del 2010 che tagliava per il triennio 2011-2013 del 5 e 10% la parte di retribuzione dei dipendenti pubblici eccedente, rispettivamente, i 90 e 150mila euro lordo annui, potrebbe costare alle casse dello Stato non meno di 50 milioni, stando alle prime indiscrezioni che circolano in ambienti governativi.

Con il colpo di spugna al «prelievo di solidarietà» introdotto dal Governo Berlusconi e mai esteso al settore privato si dovranno restituire a tutti gli interessati non solo la cifra prelevata ma anche gli interessi di legge. Si tratta di una platea di oltre 26mila persone, tra dirigenti, medici, magistrati e docenti universitari, che hanno subìto il prelievo dalla busta paga del gennaio 2011 in poi.

Le risorse dovranno essere necessariamente reperite con la Legge di stabilità dalla quale, a quanto sembra, sta per essere stralciato l'articolo che dispone il blocco dei contratti fino al 2014, misura quest'ultima che verrà invece confermata con un atto amministrativo. Il prelievo sui pubblici cifrava una minore spesa prevista in 29 milioni l'anno per il triennio in questione, stando alla relazione tecnica che accompagnava il decreto legge numero 78 del 2010, il cui articolo 9 è stato giudicato incostituzionale dalla Corte. Con il colpo di spugna al contributo di solidarietà saltano anche le norme che bloccavano gli scatti e le progressioni degli stipendi dei magistrati; la prima categoria a insorgere conto il provvedimento varato due estati fa.

In attesa di conoscere quali contromosse deciderà di adottare palazzo Chigi, ora l'attenzione si sposta su un'altra norma, contenuta nel decreto «Salva Italia» (Dl 201/2011) che ha reintrodotto in forma modificata il tetto alle retribuzione dei dipendenti pubblici varato per la prima volta da Romano Prodi nel 2007 e che non può essere superiore allo stipendio del primo presidente della Corte di Cassazione (ovvero 294mila euro lordi annui). La norma è stata regolata con un Dpcm il 23 marzo scorso ma anche su quella risultano pendenze davanti alla Corte che sono motivate dallo stesso quesito sostanziale che aveva mosso i ricorsi contro il prelievo di solidarietà: perché ai pubblici sì e ai privati no?
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angelico
00giovedì 11 ottobre 2012 21:35
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Questo paese marcio e fetido sta producendo escrementi in gran quantità. E questi provengono dalle più alte istituzioni e cariche dello Stato, presidente della Repubblica in testa, parlamento e il resto a seguire. Non vi è più dignità alcuna, ne rispetto verso i cittadini, che sono IL PAESE. Ogni potere si rigira le cose a proprio uso e consumo. Una vergogna inaudita. Non credo di fare una affermazione azzardata, se dico che le Mafie, che fanno parte integrante del corpo dello stato, hanno una loro dignità, ed è certamente maggiore dello Stato italiano e di tutte le sue componenti "legali". In altro articolo di oggi ci si domanda, se il debito dello stato, così come è considerato, non penalizzi lo "spread" e meriti magari altre considerazioni. Certo, il debito è una palla al piede e ci penalizza, ma più di esso, sono i politici vergognosi e disgustosi che ci squalificano agli occhi del mondo. E la Consulta è parte integrante di questi soggetti squalificanti.
angelico
00martedì 5 febbraio 2013 20:13
Tutti gli sprechi della Croce Rossa italiana, mega-stipendificio di Stato

di Fabio PavesiCronologia articolo5 febbraio 2013Commenti (24)
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Argomenti: Assistenza medica | Croce Rossa | Francesco Rocca | Corte dei Conti | Cri



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(Fotogramma)
Chi glielo va a dire a uno qualsiasi dei 150mila volontari che la loro Croce Rossa è un carrozzone inefficiente e sprecone? Loro che, se va bene, prendono come rimborso per una giornata di lavoro un buono pasto. Un esercito di lettighieri, autisti e operatori sui mezzi di soccorso che donano gratis il loro tempo, mentre ogni anno lo Stato italiano sorregge i conti dell'associazione umanitaria e di assistenza con la bellezza di 180 milioni di euro.

Sommateli e dal 2005 a oggi (anni in cui i bilanci neanche venivano prodotti) il conto che il contribuente italiano ha pagato per tenere in piedi la Croce Rossa supera il miliardo di euro. Il bello, o meglio il grottesco, è che il maxi-contributo pubblico serve in realtà solo per pagare gli stipendi.

A chi? Non ai 150mila volontari, ma ai 4mila dipendenti che affollano uffici e sedi centrali e periferiche della Croce Rossa Italiana. Si dirà che è troppo «facile sparare sulla Croce Rossa», ma di facile nel ginepraio dei conti dell'organizzazione c'è ben poco. Francesco Rocca, il commissario straordinario in carica dal 2008 ed eletto presidente poche settimane fa, ci ha messo un sacco di lavoro per provare a rimediare a una situazione difficile. L'ultimo bilancio presentato era del 2004. Poi il nulla. Niente contabilità per un sacco di anni. Rocca è riuscito a comporre i bilanci dal 2005 al 2011 e ora un po' di chiarezza è stata fatta. Ma quell'opera di trasparenza non basta ancora a giustificare quell'abnorme stipendificio pubblico che è stato ed è la Croce Rossa italiana. Quando è arrivato Rocca si è trovato 5mila dipendenti e 23 auto blu, con due autisti a disposizione 24 ore su 24 per macchina. Cosa c'entrino quelle auto blu con lo spirito di un ente umanitario non è dato sapersi. Non c'era un bilancio dal lontano 2004 e c'era da coordinare 19 comitati regionali, 103 comitati provinciali e ben 460 comitati locali. Un coacervo di realtà che spesso non comunicano tra loro. Basti pensare che solo da poco si è riusciti a imporre una tesoreria unica che possa coagulare i flussi finanziari e costruire un conto consolidato che tuttora manca. Senza un consolidamento non c'è leggibilità dei conti. E così ti ritrovi con comitati locali in attivo che convivono con comitati in profonda perdita.

Il salasso per gli stipendi
Ma il tema rilevante è l'ingente somma che ogni anno viene spesa solo in stipendi. Oggi dopo l'opera di razionalizzazione operata da Rocca i dipendenti sono quasi 4mila. Erano 5mila sei anni fa. Ma il costo è sempre elevatissimo. Solo per il personale, documenta la Corte dei Conti, si spendevano 208 milioni nel 2005. Corrispondono a più della metà dell'intera spesa corrente dell'ente che vale poco meno di 400 milioni. Nel 2007 il mega-stipendificio della Croce Rossa elargiva 209 milioni di stipendi e nel 2010 la cifra si è attestata a 208 milioni. Con il 2010 e il 2011 c'è finalmente un calo, ma non tale da cambiare l'ossatura del bilancio della Cri. Per le ambulanze, la benzina e tutto ciò che serve a far funzionare il servizio di assistenza si spendono mediamente 150 milioni di euro, mentre solo per il pagamento dell'esercito degli stipendiati se ne vanno almenno 200 milioni. Per anni la Croce Rossa oltre che assolvere a una funzione assistenziale è stata in realtà un gigantesco welfare sociale sia per il personale civile che per quello militare. Molte delle assunzioni avvenivano per chiamata diretta. Il modus tipico dei sistemi clientelari. E non è finita qui. Perchè premono alle porte degli uffici circa 1.500 precari. Vogliono essere stabilizzati e di fatto è loro consentito sia da una vecchia finanziaria del 2007 sia dai giudici che il più delle volte accolgono le richieste nelle cause. In più pendono numerosi contenziosi sui compensi per la produttività che i precari richiedono alla stessa stregua del personale di ruolo. Cause e contenziosi giuslavoristici che secondo la Corte dei Conti peseranno per 50-70 milioni sui bilanci dei prossimi anni.

Più di un miliardo dallo Stato
Vista così la situazione appare sempre meno sostenibile. Già perchè nonostante il miliardo e oltre immesso dallo Stato nei bilanci dell'ente dal 2005 a oggi, la Croce Rossa finisce per chiudere in disavanzo: l'equilibrio tra entrate e uscite è stato negativo per 14 milioni nel 2011 e per 9 milioni nel 2010. Imponente è il buco della Cri della Regione Lazio dove il disavanzo è stato di 26 milioni nel 2011 dopo il buco di 16 milioni l'anno prima. Vero è che la Cri conta su un avanzo cumulato di amministrazione che a inizio del 2011 era di 69 milioni e che per il 2012 il preventivo finanziario è stimato in pareggio.

Ma sui bilanci così spendaccioni della Croce Rossa pesano residui attivi e passivi giganteschi, cioè entrate e uscite scritte a bilancio ma non incassate o pagate, tali da rendere aleatorie le scritture contabili. Si pensi che i soli residui attivi, cioè le entrate non incassate negli anni valevano 621 milioni a fine 2011. Una volta e mezza l'intero bilancio sul lato delle entrate. Una bomba inesplosa su cui la Corte dei Conti ha lanciato più di un allarme. Il neo-presidente Rocca ha pulito 7mila voci di bilancio e ha cancellato entrate addirittura del 1981. Incassi fantasma di oltre trent'anni fa e tenuti per anni nei conti come se fossero davvero riscuotibili. Uno dei tanti aspetti grotteschi del mega-stipendificio pubblico sotto le insegne della croce rossa in campo bianco.

www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-02-04/conti-rosso-croce-rossa-190429.shtml?uuid=...
angelico
00lunedì 13 maggio 2013 20:17
Un piccolo balzello per gli automobilisti, un grande incasso per l’Automobil Club Italia (Aci). Pochi ci hanno fatto caso, ma da qualche giorno per le pratiche automobilistiche si paga il 30 per cento in più. Non tantissimo in termini assoluti, meno di 7 euro a pratica, anche se in un momento come questo, con le vendite auto in picchiata, pure un refolo diventa spiffero. L’Aci minimizza e dice che si tratta di un aumento modesto, che oltretutto le tariffe erano ferme da 19 anni e considerando che gli italiani cambiano in media auto una volta ogni sei o sette anni, il rincaro su base annua è di appena un euro. Come un caffè.

Tutto vero. Se la faccenda, però, si guarda da un’altra angolazione e cioè ci si interroga sul motivo dell’aumento e ci si chiede a chi e a che cosa serve, allora cambia tutto. Quel piccolo rincaro appare non solo ingiustificato perché non copre alcun aumento di costi, ma serve all’Aci per incassare un bel po’ di quattrini e imbellettare bilanci sempre più sofferenti. Quel rincaro per l’Aci guidato da Angelo Sticchi Damiani è enorme: se si moltiplica il numero di pratiche automobilistiche del 2012 (circa 10 milioni) per l’aumento delle tariffe e si sconta la quota di una partita che riguarda le Province, si scopre che nelle casse dell’Automobil club pioveranno la bellezza di circa 40 milioni di euro in più all’anno. Un bel colpo.

Che l’aumento delle tariffe serva soprattutto a dare ossigeno all’Aci lo riconosce l’Aci stesso, anche se in forma obliqua e sfumata. E c’è scritto pure nel testo del decreto con cui il governo del professor Mario Monti in articulo mortis ha stabilito l’incremento lasciando così un bel ricordo di sé alla lobby dell’Automobil Club. L’Aci in una nota inviata al Fatto Quotidiano e il decreto affermano proprio con le stesse parole che il rincaro serve “a garantire l’autonomo equilibrio economico finanziario del servizio, in rapporto ai costi effettivamente sostenuti per l’espletamento dello stesso”. Ma di quale servizio si tratta e di quali costi? Per capirlo bisogna entrare nel sistema delle pratiche auto. In Italia il 75 per cento di questi documenti viene effettuato materialmente dalle agenzie private che quindi ora si dichiarano molto contrariate per i rincari, costrette a metterci la faccia con gli automobilisti clienti, a riscuotere materialmente e poi, come sostituti d’imposta, girare gli importi al Pubblico registro automobilistico (Pra) dell’Aci. In pratica i costi di gestione di questo sistema ricadono sulle agenzie, mentre il Pra incassa e ringrazia sentitamente.

Da anni governi e varie forze politiche mettono all’ordine del giorno proprio l’abolizione del Pra considerandolo un inutile e costoso doppione della Motorizzazione civile. Ma poi il Pra nessuno lo tocca per un motivo semplice: se davvero saltasse il Pubblico registro, cadrebbe con esso tutto il castello di carte dell’Aci, i suoi apparati, gli interessi, le clientele. Il Pra è il polmone finanziario e la colonna portante dell’Aci: senza Pra, niente Aci. In Europa solo l’Italia ha un sistema barocco imperniato su due entità diverse per la gestione delle pratiche automobilistiche. Solo qui l’automobilista deve rivolgersi a due soggetti diversi (Motorizzazione e Pra) per ottenere due documenti distinti, la carta di circolazione e il certificato di proprietà. Da più di un decennio funziona lo Sta, lo Sportello telematico dell’automobilista, che ha facilitato la vita a cittadini e imprese, ma il Pra è rimasto ugualmente al suo posto.

Nel frattempo il suo costo è schizzato alle stelle: dal 1994 (anno del precedente aumento tariffario) ad oggi, le spese di gestione del Pubblico registro sono aumentate di 911 milioni di euro. Solo nel 2011 c’è stato un incremento di 65 milioni (più 42,70 per cento). L’aumento delle tariffe rimette i conti a posto e fa tirare un sospirone di sollievo all’Aci che, dopo aver raffazzonato i bilanci recenti con un contributo straordinario della controllata Sara assicurazione e la vendita della sede di Aci Informatica in via Fiume delle Perle al Torrino a Roma, stava vivendo con angoscia la prospettiva di un bilancio 2013 da urlo. L’aumento delle tariffe copre i buchi, tanto paga il parco buoi degli automobilisti.

da Il Fatto Quotidiano del 12 maggio 2013

www.ilfattoquotidiano.it/2013/05/13/lultimo-regalo-del-governo-monti-pratiche-auto-piu-care-per-salvare-laci...
angelico
00lunedì 3 giugno 2013 00:19
Se per i partiti si è avviata, pur a tappe e con grande lentezza, la cura dimagrante, per i costi degli organi costituzionali siamo ancora all'anno zero. In particolare per i costi sopportati dai contribuenti per il funzionamento della Camera e del Senato.
Nel 2012 il Parlamento nel suo insieme è costato al bilancio dello Stato la bellezza di 1,5 miliardi di euro. L'0,1% del Pil se ne è andato per funzionare le due assemblee legislative.
Un costo enorme: basti pensare che a ogni tornata elettorale i partiti incassano tutti insieme sui 150 milioni di euro. Ebbene un anno di Parlamento costa dieci volte il conto dei partiti. Eppure qualcosa ora sta cambiando: i due presidenti Laura Boldrini e Pietro Grasso appena insediati si sono tagliati lo stipendio del 30 per cento. E la Camera già dall'inizio di questa legislatura è intervenuta con tagli sulle cariche interne dei deputati e sui contributi finanziari ai gruppi parlamentari per 8,5 milioni di euro. Ma quegli 8,5 milioni su un costo per lo Stato di 992 milioni sono poco meno dell'1 per cento. Una goccia nel mare.
La rivoluzione dei risparmi? Vale solo il 5 per cento
Dal 2013, per effetto delle misure adottate in precedenza, il taglio della dotazione dello Stato alla Camera sarà consistente: per la prima volta il finanziamento che versa lo Stato scenderà da 992 milioni a 943 milioni. Un rispamio secco del 5 per cento. Basta questo per parlare di rivoluzione copernica per i costi della politica? Assolutamente no. Le misure sono flebili, hanno quasi un valore meramente simbolico. Perché Camera e Senato continuano, a dispetto del baratro su cui è affacciato il Paese, a costare tanto, troppo e in modo ingiustificato. Più di uno studio dimostra che il nostro Parlamento costa il doppio rispetto alle assemblee dei nostri partner europei. Eppure l'efficienza del legislatore italiano non è certo migliore di quello dei francesi o inglesi.
Spese folli per i dipendenti i deputati (e gli ex)
Già ma a cosa serve il quasi miliardo iniettato ogni anno nel bilancio della Camera? Se ne va quasi tutto per pagare gli stipendi e pensioni dei 1.500 dipendenti e dei 630 parlamentari. Solo le retribuzioni del personale della Camera valgono 238 milioni. Il che vuol dire che ciascun addetto alla Camera, dal barbiere, all'autista, al commesso fino al segretario generale ha uno stipendio medio annuo lordo di oltre 150mila euro. Diecimila euro al mese per 15 mesi. Nessuna impresa privata o pubblica al mondo può permettersi di pagare ogni dipendente una cifra così alta. Ma tant'è, tanto paga Pantalone.
E se agli stipendi si sommano i contributi il costo è di 287 milioni. Ma ci sono anche le pensioni degli ex-dipendenti. Pensioni d'oro che costano altri 216 milioni. E così pagare il personale vecchio e nuovo costa la bellezza di 500 milioni di euro, la metà del contributo statale alla Camera. L'altra metà è più o meno di appannaggio dei deputati in carica e degli ex. Tra indennità e pensioni, per pagare i deputati la Camera spende 300 milioni. E così, del miliardo che lo Stato mette a disposizione ogni anno, 800 milioni servono solo a pagare stipendi e pensioni (d'oro entrambe a deputati e dipendenti).
Al Senato, che è costato allo Stato 505 milioni nel 2012, pagare indennità, stipendi e pensioni ai dipendenti (circa 800 persone) e a senatori ed ex senatori si porta via circa 480 milioni.

Ora la manovra di risparmio dovrebbe, per i prossimi anni, portare a una minor richiesta di soldi allo Stato per 76 milioni di euro. Sembrano tanti, ma è solo una correzione sui largheggiamenti del passato. Basti pensare che nel 2001 il Senato costava allo Stato "solo" 350 milioni. Nel 2011 si è arrivati a 526 milioni. Un aumento del 50% dei costi in dieci anni, mentre nel Paese il Pil languiva.
La casta dei dipendenti
Quei 287 milioni che valgono i 1.500 dipendenti della Camera sono uno spregio a qualsiasi normale lavoratore. Sarà il prestigio dell'incarico, sarà il luogo deputato per eccellenza a dare l'immagine del Paese. Ma quell'immagine è strabica. Come è possibile che un neo-assunto documentarista guadagni netti al mese 1.900 euro e che un consigliere parta da 2.900 euro al primo giorno di lavoro? Retribuzioni che iniziano a galoppare fin dal pirmo giorno in modo inarrestabile: un consigliere parlamentare arriva a fine carriera a 350mila euro lordi annui; un documentarista a 237mila euro lordi annui; un commesso a 133mila euro; idem per un barbiere, un operaio, un autista e così via.
Una smacco, una sberla plateale a quei milioni di lavoratori che faticano ad arrivare a 20-30 mila euro lordi annui.
Ecco perchè la rivoluzione sui costi della politica deve davvero ancora incominciare.


www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-06-02/partiti-lentezza-dieta-camera-163104.shtml?uuid=...
angelico
00sabato 3 agosto 2013 18:02
Quanto guadagnano gli eurodeputati? Anche l'878% in più del reddito medio Ue

di Alberto Magnani29 luglio 2013Commenti (1)
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Argomenti: Italia | Olanda | Montecitorio | Gran Bretagna | Sofia | Germania | Parigi | Bruxelles



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Quanto guadagnano gli eurodeputati? Anche l'878% in più del reddito medio Ue
Sofia, capitale della Bulgaria. Fanalino di coda dell'economia Ue, con un Pil che supera appena i 50 miliardi di euro. Un dipendente statale guadagna poco più di 800 euro al mese. Lordi. Un secondo dipendente, sempre in forza alle istituzioni, 17.7782 euro. Che cosa cambia? Il secondo è un eurodeputato. E il suo stipendio ammonta a 20 volte tanto quello di un qualsiasi cittadino del paese che rappresenta.

I benefit di Montecitorio sono noti. Ma volando a Bruxelles, tra scranni insediati da deputati portoghesi ed estoni, belgi e ciprioti, il dislivello tra stipendio dei deputati e dei cittadini "normali" si conferma. Scavando una voragine che il portale tedesco Preisvergleich.de quantifica nell'ordine degli 878 punti percentuali: 213.924 euro per gli eletti di Strasburgo contro i 21.844 dei cittadini "comuni" di Roma, Atene o Parigi. Una candidatura vincente per Bruxelles vale fino al 2.000% in più rispetto alla media dei redditi del Vecchio Continente. Tanto che un dipendente bulgaro, per avvicinarsi allo stipendio di circa un milione di euro incassato dai deputati Ue nell'arco di una legislatura, dovrebbe lavorare per 108 anni.
Va detto che i parlamentari di Sofia a Bruxelles non superano le 18 unità. Un'élite di intimi rispetto alle medie dei quattro primatisti: dalla Germania, solitaria in vetta con 99 deputati, a Italia, Francia e Gran Bretagna, che seguono con 73. Costando ai contribuenti europei 21 milioni di euro nel caso della Germania, 16 (a paese!) nel terzetto italiano, francese e britannico. Se si sommano gli stipendi dei parlamentari al servizio degli altri 23 paesi, il totale è di 161 milioni all'anno. Il 24% dell'intero bilancio di Bruxelles.

Come? "Merito" di un conto spese che somma retribuzione, indennità e bonus di varia natura: fisso di 7.956,87 euro (6.200 netti), rimborso di spese generali a 4.299 euro, rimborso per i costi di viaggio, alloggio e "spese connesse" di 4.323 euro, rimborso giornaliero di 304 euro. Senza contare un gettone di 152 euro per qualsiasi trasferta fuori dai confini europei, con spese di viaggio e hotel a carico dei contribuenti. L'Europa costa di più? Non sempre. E se in Bulgaria, Cipro o Ungheria lo scarto reddito cittadini-parlamentari è vistoso con l'Europa e ridottissima in casa propria, alcuni paesi arrotondano per eccesso anche il conto delle Camere nazionali.

Sui gradini più alti del podio spiccano ancora Germania, Francia e Italia. Salta la sola Gran Bretagna, scalzata dai Paesi Bassi. Nel dettaglio, i membri dell'Assemblea Nazionale di Parigi percepiscono un reddito annuo (lordo, come tutti quelli elencati di seguito) di 157.520 euro; i parlamentari del Bundestag di 150.432 euro, e quelli di Amsterdam 120.384. L'Italia si accontenta della medaglia di legno: 114.601 euro annui.
Manca all'appello il capitolo benefit. Anzi: i capitoli benefit, a giudicare dal folto elenco di bonus, sconti ed esenzioni previsti per gli inquilini dei vari parlamenti. L'Italia fa scuola, aggiungendo a indennità di 5mila euro netti e diaria di 3503 euro la copertura delle spese di trasporto, di viaggio, di telefono e un "rimborso di fine mandato" di 3690 euro. Ma anche nel resto d'Europa, i parlamentari pagano meno di quanto dovrebbero tutti i servizi «essenziali» alle loro funzioni. O non pagano proprio. L'extra più curioso va a Malta: nessun ticket gratuito per i trasporti in treno, o marittimi come in Italia, ma un bonus di 230 litri di benzina gratuita al mese.


www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-07-29/quanto-guadagnano-eurodeputati-anche-164152.shtml?uuid=...
angelico
00sabato 10 agosto 2013 23:09
Ecco la top ten delle pensioni d'oro: in testa Sentinelli con 91.337,18 euro al mese

di Marco lo Conte7 agosto 2013Commenta
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Da sinistra in alto, Mauro Sentinelli, Mauro Gambaro, Alberto De Petris, in basso, Vito Gamberale, Alberto Giordano e Federico Imbert
Da sinistra in alto, Mauro Sentinelli, Mauro Gambaro, Alberto De Petris, in basso, Vito Gamberale, Alberto Giordano e Federico Imbert
È Mauro Sentinelli il pensionato più dorato d'Italia, con un reddito mensile di
91.337,18 euro al mese. Misterioso invece il nome del secondo della top ten dei vitalizi più ricchi, con i suoi 66.436,88 euro al mese. La classifica è stata resa nota dalla deputata Pdl Debora Bergamini, che ha diffuso la risposta del ministro Giovannini a una sua interrogazione parlamentare scritta. «I dati - dice l'esponente del Popolo delle Libertà - dimostrano quanto sia urgente un intervento sulle cosiddette pensioni d'oro». Ma chi sono gli italiani che godono dei vitalizi più alti? In testa alla classifica, come detto Mauro Sentinelli, ex manager e ingegnere elettronico della Telecom che ha visto lievitare le sue entrate negli ultimi due anni da 90.246 a 91.337,18 euro al mese. Lordi, ovviamente: incide la fiscalità generale e i prelievi già previsti sulle rendite più alte.

E già perchè l'idea di un prelievo dalle pensioni d'oro non è certo nuova, anzi: questo bacino rappresenta una risorsa importante per alimentare le rendite più basse; e per quanto limate da decreti e leggi varie, questi assegni restano un miraggio per la stragrande maggioranza di italiani. Detto del mistero sul secondo posto, l'identificazione di molte altre posizioni è possibile solo per induzione: la risposta all'interrogazione parlamentare, infatti, ha acclarato solo le cifre e non i nomi delle rendite più ricche. Non è difficile ricostruirne i titolari, almeno alcuni, con qualche margine di approssimazione (e di cui ci scusiamo in caso di imprecisione).

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La notizia vista dai nostri blogger
Al terzo troviamo Mauro Gambaro: novarese, 67 anni, ex direttore generale di Interbanca e dell'Inter Football Club, per lui un vitalizio di poco meno 52mila euro al mese. Dietro di lui Alberto De Petris, ex Infostrada ed ex Telecom, che incassa circa 51mila euro, "tallonato" dal manager specialista della componentistica elettronica e dei semiconduttori Germano Fanelli, 65 anni, poco sotto i 51mila. Da qui in giù, l'attribuzione dei vitalizi ai nomi è meno certa: per Vito Gamberale, 69 anni, la pensione si dovrebbe aggirare poco sopra i 45 euro al mese, cosi' come Alberto Giordano, ex Cassa di Roma e Federico Imbert, ex JP Morgan.

Più in basso nella classifica si indovinano diverse new entry, rispetto al recente passato: difficile però indicare con certezza i nomi (e di ciò rimandiamo alle prossime puntate). Ma di certo, al di là della curiosità per i nomi, il tema dell'equità previdenziale è di stretta attualità. «Questi numeri - aggiunge l'on. Bergamini - dimostrano tutta la portata distorsiva di quel criterio retributivo dal quale ci stiamo fortunatamente allontanando grazie alle riforme pensionistiche degli ultimi anni. Benché gli interventi in materia siano particolarmente delicati, anche sul fronte della costituzionalità, e avendo cura di evitare qualsiasi colpevolizzazione verso i beneficiari di questi trattamenti, che li hanno maturati secondo le regole vigenti, è evidente che il tema coinvolge una questione di equità e di coesione sociale non più trascurabile dalle istituzioni, specialmente in un momento di grave crisi economica e di pesanti sacrifici per tutti».


www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-08-07/ecco-pensioni-testa-sentinelli-183418.shtml?uuid=...
angelico
00martedì 5 novembre 2013 00:49



Dai consulenti ai portaborse, più di un milione di persone vivono di politica
Non ci sono solo gli eletti in Parlamento e negli enti locali. Secondo uno studio della Uil, coloro che traggono una fonte durevole di guadagno da ruoli legati all'amministrazione pubblica sono in 1.128.722. E i costi, diretti e indiretti, ammontano a 23,9 miliardi

di Salvatore Cannavò | 3 novembre 2013Commenti (2338)
Dai consulenti ai portaborse, più di un milione di persone vivono di politica
Più informazioni su: Casta, Politica, portaborse, Sprechi.

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Un milione di persone. Nemmeno Max Weber, quando scriveva ’La politica e la scienza come professioni’ pensava ci si potesse spingere a tanto. Il grande sociologo tedesco scriveva infatti nel 1919: “Si vive ‘per’ la politica oppure ‘di’ politica”. Chi vive ‘per’ la politica costruisce in senso interiore tutta la propria esistenza intorno ad essa” […] Mentre della politica come professione vive colui che cerca di trarre da essa una fonte durevole di guadagno”.

Secondo uno studio della Uil, invece, coloro che cercano “di trarre dalla politica una fonte durevole di guadagno” sono più di un milione: 1.128.722. Un “paese nel paese” ma non nella forma poetica in cui Pier Paolo Pasolini definiva il Pci. Piuttosto “un mondo a sé”, come lo descrive il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy che ha curato la ricerca. La cifra viene ricavata sommando voci tra loro diverse ma tutte legate alla politica: gli eletti e gli incarichi di Parlamento e governo (1.067) quelli nelle Regioni (1.356), nelle Province (3.853) o nei Comuni (137.660). L’incidenza delle cariche elettive sul numero totale non è molto alta, il 12%.

La forza del sottobosco
I numeri si fanno più forti man mano che ci si addentra nel sottobosco: i Cda delle aziende pubbliche ammontano, infatti, a 24.432 persone; si sale a 44.165 per i Collegi dei revisori e i Collegi sindacali delle aziende pubbliche; 38.120 sono quelli che lavorano a “supporto politico” nelle varie assemblee elettive. I numeri fondamentali della ricerca sono riscontrabili nelle due ultime voci, quelle decisive: 390.120 di “Apparato politico” e 487.949 per “Incarichi e consulenze di aziende pubbliche”. “Quest’ultimo dato si basa su numeri certi e verificati” assicura Loy, mentre quello relativo agli “apparati” costituisce una “stima della stessa Uil ma una stima attendibile”. Nella nota metodologica, infatti, il sindacato spiega che i numeri derivano da banche dati ufficiali e da quello “che ruota intorno ai partiti” (comitati elettorali, segreterie partiti, collegi elettorali, “portaborse”, ecc.”. Loy la spiega così: “Ventimila voti di preferenza non sono il risultato solo di un voto ideologico ma espressione di relazioni concrete”. E, in tempi in cui l’ideologia è fortemente in crisi, “si affermano gli interessi e la spinta ad aumentare il proprio tenore di vita, l’affermazione di un sistema economico”.

La politica si fa industria, quindi. E il dato è riscontrabile nei numeri. Si pensi al costo dei CdA dei quasi settemila enti e società pubbliche: si tratta di 2,65 miliardi mentre per “incarichi e consulenze” la cifra è di oltre 1,5 miliardi di euro. Stiamo parlando di gente che lavora, ovviamente. Alcuni di loro, come i dipendenti di Rifondazione comunista, sono anche finiti in cassa integrazione oppure, come in An, licenziati. “Ma non hanno fatto alcuna selezione pubblica, non hanno seguito nessun merito” commenta Loy, “e vengono pagati con soldi di tutti”. Parliamo di collaborazioni dirette nei vari ministeri, assessorati, consigli elettivi, incarichi elargiti da questo o quel politico di turno. Oltre ai Francesco Belsito, Franco Fiorito, ai diamanti della Lega, alle ricevute di Formigoni o alle consulenze di Alemanno, gli esempi possono essere tutti leciti ma del tutto interiorizzati dalla politica.

I vari ministeri hano speso, nel 2012, oltre 200 milioni per collaborazioni dirette. Tra i dicasteri più attivi, gli Interni, l’Economia e Finanze, la Difesa e la Giustizia. Del ministero diretto da Alfano ci occupiamo a parte. Il Mef dispensa centinaia di incarichi nelle società partecipate. Alla Difesa, il ministro dispone di ben 18 collaboratori quanti ne ha quello della Giustizia. Gli incarichi sono quasi tutti di pertinenza politica. Come proprio addetto stampa, ad esempio, il ministro ha la stessa persona che ha lavorato per Pierferdinando Casini dal 2006 al 2013 e prima, ancora, con l’Udc Vietti, attuale videpresidente del Csm. Una “ricollocazione” avvenuta tutta nei rapporti della politica.

Fedeli al ministro
Nell’Ufficio di gabinetto troviamo l’autrice di un libro, Guerra ai cristiani, troppo presto dimenticato e scritto insieme allo stesso Mauro. Più esemplare è il caso del “Consigliere per gli affari delegati, del Sottosegretario di stato alla Difesa On. dott. Gioacchino Alfano”, Nicola Marcurio. L’interessato ha iniziato la carriera politica nel Comune di Sant’Antonio Abate, dove organizzava le iniziative religiose per il Giubileo. Diviene consigliere comunale nel 2000 e di nuovo nel 2005. Poi va a lavorare presso il Commissariato per l’emergenza di Pompei, da lì alla Protezione civile per il G8 dell’Aquila. Finisce al ministero come consigliere di Gioacchino Alfano il quale, guarda caso, è stato sindaco proprio di Sant’Antonio Abate. L’altro sottosegretario, Roberta Pinotti, Pd, tiene nel proprio staff Pier Fausto Recchia, deputato non rieletto alle ultime elezioni e quindi ricollocato. Tra i collaboratori del ministro della Giustizia, Cancellieri, troviamo Roberto Rao, già deputato, non rieletto, e già portavoce di Casini ma anche Luca Spataro, già segretario Pd di Catania. Se un deputato non viene rieletto gli si trova un nuovo incarico. Come a Osvaldo Napoli, pidiellino molto presente in tv, bocciato lo scorso febbraio e oggi vicepresidente dell’Osservatorio Torino-Lione. Moltiplicando questi casi per l’intero numero delle cariche elettive si può avere un’idea del fenomeno. Alla Regione Lazio, il presidente Zingaretti dispone di un ufficio stampa con ben dieci addetti mentre in Lombardia, i consulenti della Regione sono passati, con la gestione Maroni, da 57 a 93, tutti riscontrabili sul sito ufficiale. Per questa voce l’ente regionale spende 2,6 milioni di euro l’anno. L’esercito della politica vive e si autoalimenta così.

Un tesoretto da 10,4 miliardi
Secondo lo studio della Uil i costi della politica, diretti e indiretti, ammontano a circa 23,9 miliardi di euro. Per il funzionamento degli organi istituzionali si spendono 6,4 miliardi di euro, le consulenze e il funzionamento organi delle società partecipate 4,6 miliardi di euro, per altre spese (auto blu, personale di “fiducia politico” ecc) 5,8 miliardi di euro, per il sistema istituzionale 7,1 miliardi di euro. La somma che equivale al 11,5% del gettito Irpef pari a 772 euro medi annui per contribuente. La Uil quantifica in almeno 7,1 miliardi di euro i risparmi possibili con “una riforma per ammodernare e rendere più efficiente il nostro sistema istituzionale”. Tra le proposte, l’accorpamento “degli oltre 7.400 comuni al di sotto dei 15 mila abitanti”, con un risparmio di circa 3,2 miliardi. Se le Province “si limitassero a spendere risorse soltanto per i compiti attribuiti dalla Legge”, il risparmio sarebbe di 1,2 miliardi. “Con una più ‘sobria’ gestione del funzionamento degli uffici regionali”, si potrebbero risparmiare 1,5 miliardi di euro mentre 1,2 miliardi di euro l’anno potrebbero arrivare da una razionalizzazione del funzionamento dello Stato centrale. Aggiungendo a questi, una riduzione del 30% dei costi di funzionamento delle istituzioni si potrebbe arrivare a 10,4 miliardi di risparmi annui.

da Il Fatto Quotidiano del 28 ottobre 2013


www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/03/dai-consulenti-ai-portaborse-piu-di-milione-di-persone-vivono-di-politica...


angelico
00domenica 17 luglio 2016 01:48
Partiti, fino a 150mila euro per un seggio. Il tariffario della democrazia in vendita
Le chiamano “erogazioni liberali” ma di libero hanno ben poco: quei “contributi volontari” in realtà sono obbligati in forza di scritture private, atti notarili e contratti fatti sottoscrivere ai candidati prima di metterli in lista. Chi non si impegna a versare non viene candidato, chi non versa non sarà ricandidato. I partiti hanno anche fatto in modo che i versamenti (a loro stessi) siano esentasse. Ecco le quotazioni, partito per partito
di Thomas Mackinson | 25 febbraio 2016
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7,1 mila
Più informazioni su: Candidati, Compravendita Parlamentari, Elezioni, Finanziamento ai Partiti, Forza Italia, Lega Nord, Movimento 5 Stelle, PD
Con 150mila euro il Pd è quello che, a conti fatti, propone il seggio al prezzo più caro. Segue la Lega, che ai suoi candidati ne chiede 145mila, poi i Cinque Stelle, 114mila euro più quanto avanzato della diaria (che versano però allo Stato). Forza Italia, ormai in declino, si accontenta di 70mila euro. Ecco il “tariffario” della democrazia in Italia, dove dal 2008 – complice il Porcellum e i listini bloccati – tutti i partiti impongono ai propri candidati ed eletti una tassa sullo scranno in Parlamento, nei consigli regionali e nei comuni. Le chiamano “erogazioni liberali” ma di libero, in realtà, hanno ben poco: quei “contributi” sono tanto obbligati da fungere come condizione stessa della candidatura e della permanenza nelle Camere in forza di scritture private, atti notarili e contratti. Da corrispondere anche in comode rate. Chi non sottoscrive l’impegno decade dalla lista. L’eletto che non versa viene deferito alle “commissioni di garanzia” e non ricandidato al prossimo giro, salvo conguaglio. Così i partiti, senza eccezioni, si vendono i seggi alla luce del sole, così li vincolano poi in forza di statuti, regolamenti finanziari e perfino di pretesi “codici etici”. Un pratica che non fa scandalo e non tramonta mai. Tanto che già si preparano i nuovi “contratti” in vista delle prossime amministrative.


Il commercio delle candidature passa sotto silenzio. Non come la famosa “multa” da 150mila euro con cui i Cinque Stelle pensano d’imporre ai propri eletti il vincolo di fedeltà per arginare transfughi e dissenzienti. Quel “patto di candidatura” che viene proposto – senza eccezioni – da quasi dieci anni a questa parte non è però migliore: si fonda sempre sulla preventiva sottoscrizione di obbligazioni patrimoniali della persona, con l’aggravante (semmai) di agire non sul vincolo di mandato quanto sull’accesso dei cittadini all’esercizio democratico dell’elezione. “E’ una pratica estorsiva”, arriva a dire l’ex tesoriere del Pdl Maurizio Bianconi che all’ultima tornata delle politiche stracciò assegni e contratti in via dell’Umiltà. Di sicuro è un veleno altrettanto fatale per la vita democratica che incrocia, non a caso, analoghi dubbi di incostituzionalità. Ma mica per ragioni “alte”, come può essere l’insindacabilità del mandato elettivo: per la pretesa dei partiti di esentare dal Fisco le “restituzioni” dei loro eletti. Beneficio che, manco a dirlo, hanno prontamente concesso (a se stessi). Per legge.



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angelico
00martedì 17 gennaio 2017 23:14
Derivati, la storia della Voragine che costa agli italiani 4,7 miliardi l’anno
Derivati, la storia della Voragine che costa agli italiani 4,7 miliardi l’anno
LOBBY
Il libro-inchiesta del giornalista Luca che racconta "La folle scommessa dei derivati di Stato. I contratti segreti con le banche. Il buco nei conti pubblici di cui nessuno parla”
di Costanza Iotti | 17 gennaio 2017
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Più informazioni su: Derivati, Mario Monti, Morgan Stanley
È Capodanno 2012. I banchieri di Morgan Stanley brindano a champagne perché i rischi sull’Italia sono scesi da 4,9 a 1,5 miliardi in tre giorni. Che cosa è accaduto? La banca americana ha “dato esecuzione ad alcune modifiche relative alla ristrutturazione di contratti derivati”. E l’Italia, all’epoca governata da Mario Monti, ha sborsato circa 3,4 miliardi senza battere ciglio. La cifra è da capogiro e da sola potrebbe finanziare la ricostruzione di Amatrice e Accumuli. Ma, in realtà, rappresenta una goccia nel mare se confrontata 47 miliardi di potenziale esborso stimato fra il 2011 e il 2021 per tutti i derivati sottoscritti dallo Stato italiano. Si tratta di una enorme quantità di denaro su cui il giornalista dell’Espresso Luca Piana ha voluto far luce con il suo nel libro-inchiesta La Voragine (edizioni Mondadori), che racconta “La folle scommessa dei derivati di Stato. I contratti segreti con le banche. Il buco nei conti pubblici di cui nessuno parla”.


In 168 pagine, La Voragine ripercorre all’indietro la storia spiegando perché lo Stato italiano ha sottoscritto questi onerosi contratti e quali sono gli effetti per le tasche degli italiani. Emergono inoltre personaggi chiave, segreti, misteri e giochi di potere che ruotano attorno a “una scommessa – fatta dal Tesoro – sull’andamento dei tassi d’interesse”. “Ma un governo, uno Stato, può scommettere i quattrini dei propri cittadini? Può anche soltanto esporsi al sospetto di aver tentato di speculare?”, si domanda Piana ripercorrendo le tappe che hanno portato lo Stato a sottoscrivere quelle che il finanziere Warren Buffett chiama “armi finanziarie di distruzione di massa”. Prima ancora di essere una scommessa, un derivato è uno strumento di copertura dai rischi le cui clausole però, nella migliore delle ipotesi, non sono state adeguatamente soppesate dal ministero delle Finanze.

Già dai tempi di Dini: “Nel gennaio 1994, il Tesoro aveva firmato il contratto con Morgan Stanley che ben 18 anni più tardi provocherà all’Italia il terribile salasso di 3,4 miliardi di dollari del Capodanno 2012 – ricorda Piana – Si trattava di una specie di accordo «ombrello» sotto cui far ricadere tutti gli specifici derivati che le due parti faranno negli anni successivi. È in questo accordo quadro, dunque, che compare una clausola che, dopo i fatti del 2012, farà discutere a lungo. Si tratta di una specie di via d’uscita garantita alla banca; se le condizioni di mercato sono favorevoli all’istituto, che in termini di flussi d’interessi ci sta guadagnando più di una certa cifra, Morgan Stanley può esigere la chiusura di tutti i derivati che ricadono sotto l’accordo, esigendo il pagamento immediato dei profitti. Badate bene: questa clausola vale solo per la banca”. Non anche per il Tesoro che, infatti, paga non appena Morgan Stanley batte cassa. La vicenda fa scalpore. A poco e nulla valgono le spiegazioni dei vertici dell’amministrazione pubblica: “Si era tentato di modificare tale accordo (…) ma la controparte aveva sempre rifiutato di intavolare una discussione in tal senso”, spiega Maria Cannata, responsabile della direzione debito pubblico del Tesoro. Non solo. Quando il Movimento 5 Stelle chiede di poter prendere visione dei contratti, viene rispedito al mittente perché gli atti sono “top secret”.

Intanto a Trani, il pubblico ministero Michele Ruggiero mette sotto inchiesta le agenzie di rating Standard & Poor’s e Fitch, che con i loro giudizi avrebbero messo sotto pressione i tassi facendo quindi scattare la clausola a favore di Morgan Stanley. Nella piccola procura pugliese sfilano così ministri, funzionari banchieri che danno la loro versione dei fatti. Quando il pm chiede a Mario Monti se è vero se è vero che, da premier, ha pagato 2,5 miliardi a Morgan Stanley (la cifra vera è però 3,1 miliardi), lui dichiara che non è “ in grado di dare una risposta”. Dalle carte, si scopre poi che fra il Tesoro e la banca c’era un accordo di assoluta segretezza sull’avvenuto pagamento da parte dell’Italia. Un patto violato provocando le ire della Cannata che spiega come Morgan Stanley “da noi non ha preso più un mandato”. E poi racconta anche come fu il ministro Siniscalco a concludere i contratti per conto dello Stato italiano. Salvo poi pretenderne il pagamento una volta entrato nei ranghi dell’istituto statunitense.

Per le casse pubbliche tutti i derivati sottoscritti dal Tesoro con diverse banche d’affari sono un vero e proprio salasso: circa 23,5 miliardi, con una media di 4,7 miliardi l’anno, solo fra il 2011 e il 2015. Senza contare poi che “per il periodo che va dal 2016 al 2021 stiamo parlando di oltre 24 miliardi di euro. Se a questo conto si somma l’esborso di 23,5 miliardi già sostenuto per il periodo 2011-2015, ne risulta un totale superiore ai 47 miliardi di euro in undici anni – spiega Piana – Una cifra enorme, che in parte è già uscita e in parte uscirà dalle casse dello Stato per beneficiare le banche che hanno sottoscritto i derivati con il Tesoro”. E pensare che il costo di un solo anno di derivati basterebbe e avanzerebbe all’Italia ad evitare la manovrina che ci sta chiedendo adesso la Commissione Europea.

www.ilfattoquotidiano.it/2017/01/17/derivati-la-storia-della-voragine-che-costa-agli-italiani-47-miliardi-lanno/...
angelico
00mercoledì 8 febbraio 2017 16:25
Mentre sono ancora calde le polemiche sul super cachet di Conti per Sanremo La Stampa pubblica tutti i compensi dell'ultima stagione Rai. La Clerici incassa 3 milioni, Insinna poco meno. Molti big riescono ad arrotondare grazie a prestazioni "extra". E i contratti firmati da Campo Dell'Orto per fiction, format e cachet dei conduttori impegnano la bellezza di 340milioni di euro. La parte del leone? Ancora e sempre Endemol e Magnolia
di F. Q. | 8 febbraio 2017
163
1,3 mila
Più informazioni su: Compensi, Festival di Sanremo 2017, Lucia Annunziata, Michele Santoro, Rai
Risparmiare, riorganizzare e rilanciare la produzione Rai di format a pagamento a favor di major e dove possibile i cachet a molti zeri dei conduttori. Un anno e mezzo dopo l’inizio dell’era Campo Dall’Orto le cose sembrano andate in un’altra direzione. E non solo per i cachet delle polemiche legati a Sanremo, con Carlo Conti che per la sua terza conduzione porterà a casa 650mila euro, 100mola in più rispetto alla precedente edizione. A serata sono 130mila euro. Il fatto è che il direttore generale con limite di spesa – aumentato rispetto ai predecessori – fino a 10 milioni, solo negli ultimi sei mesi del 2016 ha firmato 129 contratti per un ammontare complessivo che sfiora i 340 tra cachet dei conduttori, format, produzioni di fiction e programmi vari. Chiaro che si tratti degli anticipi, ma il conto finale si annuncia salato.

Ne da conto La Stampa di oggi in un servizio di due pagine che snocciola, tramite documenti interni, anche gli assegni incassati nel 2016 dalle star del piccolo schermo che spesso hanno preso per “prestazioni non previste” anche più di quanto previsto espressamente dal contratto. E allora:

Michele Santoro – Per tre programmi la sua Zero Studios Spa incassa 2,7 milioni di euro
Antonella Clerici – Per due anni costa 3 milioni tra “Prova del cuoco” e “Ti lascio una canzone”
Bruno Vespa – Aveva un minimo garantito da 1,8 milioni, ma ne ha incassato uno di più
Lucia Annunziata – Prende 460mila euro a stagione, in forza di un contratto triennale da 1,3 milioni
Flavio Insinna – Per “Affari tuoi” su Rai1 incassa 1,2 milioni a stagione
Piero Angela – Ha un contratto da 1,8 milioni per 4 anni in scadenza
Fabrizio Frizzi – Ha guadagnato 181mila euro più del previsto
Massimo Giletti – Per “L’Arena” ha un minimo garantito di 500mila euro lordi l’anno, nel 2016 però ne ha incassati 313mila di più per extra
E veniamo ai contratti con le società, con ricchi premi e cotillons. Negli ultimi sei mesi del 2016 Campo Dall’Orto ha attinto a piene mani dal ricco catalogo acquistando/confermando ben 16 format esterni. La parte del leone la fa Endemol che per due stagioni di “Affari tuoi” incassa 5,3 milioni e altri 2,96 per la quinta edizione di “Detto fatto”. Altra fetta consistente del budget va alla rivale Magnolia che incassa 5,6 milioni per “l’Eredità” che copre la prima serata di Rai1 per la stagione 2016-2017. Sempre Magnolia incassa 4,8 milioni per la licenza di “Pechino Express” su Rai2.

Nota di colore: a Carlo Conti, oggetto di polemiche per il super cachet di Sanremo, la Rai ha applicato una sanzione di 14mila euro rispetto al contratto. Motivo? Aver partecipato senza informare l’azienda a una puntata di “Amici” di Maria De Filippi, che presenta Sanremo ma senza compensi. Alla fine, un guadagno secco per l’azienda pubblica.

www.ilfattoquotidiano.it/2017/02/08/rai-da-clerici-allannunziata-ecco-gli-altri-conti-i-mega-contratti-della-rai-che-incassano-anche-di-piu-grazie-agli-extra/...
angelico
00martedì 28 febbraio 2017 21:34
Il Milleproroghe rinvia per l'ennesima volta la data della selezione, necessaria dopo che nel 2015 la Corte costituzionale ha bocciato l'assegnazione di incarichi in modo discrezionale. Ma nel frattempo alle Entrate e alle Dogane sono state effettuate nuove assegnazioni aggirando la sentenza: è bastato non chiamarli dirigenti ma Posizioni organizzative speciali e Posizioni organizzative a tempo
di Daniele Martini | 27 febbraio 2017
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Più informazioni su: Agenzia del Territorio, Agenzia delle Entrate, Consulta, Decreto Milleproroghe
Concorsi pubblici per i dirigenti delle Agenzie fiscali? Mai. È chiara quanto discutibile l’intenzione del governo in carica, che anche in questo caso si mette sulla scia dell’esecutivo precedente, di evitare la selezione pubblica per la individuazione di nuovi dirigenti nelle Agenzie governative, a partire da quella strategica delle Entrate. Alla chetichella nel decreto Milleproroghe è stato inserito senza tante spiegazioni un emendamentino con il quale viene rinviata per l’ennesima volta la data per l’espletamento del tanto atteso concorso.

Di rinvio in rinvio, è dal 2015 che va avanti così e la faccenda è grave per almeno due motivi. Il primo è che senza concorso il governo e i capi delle Agenzie si tengono le mani libere nella scelta dei dirigenti. Il secondo motivo è che così facendo viene di fatto eluso lo spirito di una sentenza della Corte costituzionale del 2015 che aveva praticamente bocciato le nomine di circa mille dirigenti effettuate fino a quel momento senza concorso, 800 circa alle Entrate e Territorio, 200 alle Dogane. Con quella sentenza la Corte aveva invitato il governo a organizzare la selezione pubblica per i nuovi dirigenti e il governo aveva fatto finta di voler rispettare l’autorevole indicazione salvo poi eluderla nei fatti.

A questo punto tutti coloro che aspettano il concorso si sono convinti che quella benedetta prova non si farà mai. Tutto ciò provoca “malcontento e delusione” come ha scritto in una nota molto polemica la Dirstat, la Federazione dei sindacati nazionali dei dirigenti e dei direttivi. Il disagio riguarda in particolare quei dipendenti pubblici “chiamati a combattere l’evasione fiscale che non è un optional, ma un imperativo categorico per cui servono massimo impegno e profonde motivazioni”. È dal 2001, anno in cui furono istituite le Agenzie fiscali, che i dirigenti delle stesse Agenzie vengono scelti con criteri assolutamente discrezionali, in contrasto con le norme che regolano la materia. L’andazzo ha creato un contenzioso amministrativo imbarazzante, alla fine risolto e sanzionato dalla Corte costituzionale.

Nelle intenzioni dei giudici della Consulta quella sentenza doveva rappresentare allo stesso tempo il blocco del vecchio sistema di nomina e l’avvio di una nuova fase. Non è successa né l’una né l’altra cosa. Per sopperire al vuoto che la sentenza stava creando dichiarando di fatto decaduti i vecchi dirigenti, la stessa Consulta aveva stabilito che al loro posto e in attesa del concorso, fossero promossi i funzionari più elevati in grado. Nel frattempo invece alle Agenzie sono state effettuate altre nomine con criteri discrezionali del tutto simili a quelli precedenti. Solo che per prudenza e pudore i nuovi nominati non vengono chiamati dirigenti.

Per loro la fantasia burocratica ha inventato due nuove caselle, quella dei Pos, Posizioni organizzative speciali e dei Pot, Posizioni organizzative a tempo. In questi ultimi due anni alle Agenzie fiscali sono stati nominati circa 700 tra Pos e Pot, e in moltissimi casi la scelta è caduta, guarda caso, proprio sugli stessi dirigenti la cui posizione era stata dichiara illegittima dalla Consulta. Di fatto si è trattato di una specie di rinomina discrezionale e mascherata dei dirigenti che dovevano essere rimossi. In pratica si è trattato di una forzatura. L’unica differenza rispetto a prima è lo stipendio: a fine mese lo Stato paga Pos e Pot circa il 10 per cento in meno rispetto a prima.

di Daniele Martini | 27 febbraio 2017


www.ilfattoquotidiano.it/2017/02/27/agenzie-fiscali-slitta-ancora-il-concorso-per-i-dirigenti-ma-in-700-sono-stati-gia-nominati-con-un-escamotage/...
Eroe
00venerdì 17 marzo 2017 09:25
Niente di nuovo sotto il sole ci troviamo in Italia la terra dei cachi.
angelico
00lunedì 29 maggio 2017 14:20
Nel 2012 è stata introdotta l'incompatibilità tra eletti e incarichi professionali retribuiti nelle pubbliche amministrazioni. Ma in Commissione Bilancio si riapre il capitolo delle consulenze. Unico limite: non potranno essere affidate dallo stesso ente in cui si è eletti. Ma basta andare nel comune a fianco o in un'altra regione. Ecco come hanno resuscitato il doppio lavoro degli eletti
di Thomas Mackinson | 29 maggio 2017
293
3,9 mila
Più informazioni su: Consiglieri Comunali, Consiglieri Regionali, Doppio Incarico, Manovra Correttiva
Zac e zac, un colpo di forbici e una penna. E 143mila politici locali di tutta Italia hanno riacquistato di colpo il diritto al “doppio incarico”, quello di consigliere per il quale ricevono emolumenti e rimborsi dal proprio ente d’elezione e quello ​di consulente geometra, avvocato, progettista o ingegnere collaudatore. Unico limite: non farlo nell’amministrazione in cui occupano​ la poltrona. Ma basta andare in quella a fianco e l’incompatibilità, come d’incanto, non c’è più. E’ una delle sorprese della “manovrina” che in fase emendativa sta funzionando come una macchina del tempo che sposta le lancette della legge secondo i desiderata del momento.

Il Tar ha bocciato le nomine dei nuovi direttori dei musei? L’indomani spunta l’emendamento ad hoc che reinterpreta la legge 16 anni dopo, annullando il divieto. La stessa cosa succede oggi per consiglieri di 6mila comuni ​e 20 regioni d’Italia cui il governo Monti, cinque anni fa aveva messo un freno. A garanzia del risparmio e del buon andamento delle pubbliche amministrazioni, agli eletti venne vietato per legge di svolgere incarichi professionali remunerati. Al massimo, potevano percepire il rimborso delle spese sostenute e gettoni di presenza non superiori a 30 euro ma limitatamente a quelli obbligatori per legge, come il revisore dei conti. Per il resto, niente incarichi.


Quell’impiccio, evidentemente, dà fastidio a molti. Così nella prima versione della manovrina l’incompatibilità è stata rimossa per i 1.117 consiglieri regionali, purché la pubblica amministrazione conferente operi in ambito territoriale diverso da quello dell’ente presso il quale è rivestita la carica elettiva. Per i soli consiglieri comunali la limitazione era estesa all’area provinciale o metropolitana in cui esercita la carica elettiva. Troppo, deve aver pensato il deputato Pd Giuseppe Sanga. Ed ecco che l’onorevole si fa promotore in Commissione Bilancio di un emendamento ad hoc all’articolo 22 che riduce il divieto al solo comune d’elezione.

Così il consigliere o assessore che volesse svolgere incarichi di progettista per un’amministrazione pubblica potrà farlo semplicemente in quella a fianco. Ad esempio un consigliere regionale del Lazio che svolge la professione d’avvocato potrà essere remunerato nel caso in cui sia chiamato ad assistere legalmente in una causa (o incaricato per una consulenza) un ente locale di qualsiasi livello in Liguria o in una qualunque altra Regione diversa dal Lazio. ​Idem per il consigliere comunale di Forlimpopoli che potrà esercitare la sua professione al servizio del comune di Ospedaletto con cui la sua amministrazione confina.


Il blitz a favore del doppio lavoro dei consiglieri passa, ma non inosservato. Attaccano, ad esempio, i deputati di Alternativa Libera: “La scelta del Partito Democratico di cancellare il divieto per le pubbliche amministrazioni di dare incarichi professionali retribuiti a quanti sono già titolari di cariche elettive in enti locali è un vero e proprio insulto ai tanti professionisti, soprattutto giovani, che, in un periodo di crisi come quello attuale, si vedono ridurre le opportunità lavorative e di guadagno in favore dei rappresentati dei partiti”.

Va anche detto che ​dal 2012 ad oggi molti consiglieri avevano fatto ricorso​ e sollevato eccezioni​ contro la legge. I ricorsi erano poi andanti però a sbattere sul portone della Corte Cost​it​uzionale che giusto l’anno scorso si è espressa ​in difesa dei vincoli riferiti a tutte le ipotesi di incarico​. Perché la ratio della legge, spiegava la Corte, non era la “preclusione dello svolgimento degli incarichi in favore delle pubbliche amministrazioni da parte dei titolari di carica” elettiva bensì “escludere che il titolare di tali cariche potesse percepire ulteriori emolumenti”. In pratica che gli incarichi venissero subordinati a logiche politiche anziché di garanzia della buon andamento dell’amministrazione. Con la manovrina quegli incarichi non saranno più vietati ma facoltativi. Basterà spostarsi di qualche chilometro per uscire dal perimetro dei divieti. Magari coperti con rimborso della benzina. E i consiglieri d’Italia, fin d’ora, ringraziano.

www.ilfattoquotidiano.it/2017/05/29/manovrina-lemendamento-pd-ripristina-doppi-incarichi-per-143mila-politici-locali/...

angelico
00domenica 25 marzo 2018 20:22
I dati forniti dalla prefetture siciliane sul triennio, però, non convincono. E nemmeno quelli di Sardegna e Puglia relativi al 2014. Critiche alla gestione emergenziale, che fa salire i costi, e agli affidamenti diretti o bandi con l’unico principio del massimo ribasso

di Lorenzo Bagnoli | 24 marzo 2018
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Più informazioni su: Centri di Accoglienza, Migranti
La prima accoglienza, in Italia, nel 2016 è costata 1,7 miliardi di euro per 2.332 strutture. Il contributo dell’Unione europea alla spesa per l’accoglienza in Italia vale il 2,7% del totale: 38,7 milioni di euro. Sono le considerazioni contenute nella delibera della Corte dei Conti del 7 marzo sul sistema di prima accoglienza. Uno studio che si concentra sul triennio 2013-2016, sul quale ancora non sono sciolti tutti i dubbi rispetto al modo in cui è stato gestito il sistema. Critiche per l’Europa rispetto alla mancata relocation dei profughi in altri Paesi europei: al 15 ottobre 2017, stima la Corte, la spesa extra per l’Italia è stata di 762,5 milioni di euro.

Nel 2013, prosegue la delibera, il costo giornaliero pro capite medio per migrante è oscillato “da un minimo di 4,97 euro per la Sicilia e 11,63 euro per la Puglia, fino ad un massimo di 56,16 euro per l’Emilia Romagna” (Lazio e Abruzzo non pervenuti). La forbice si è ridotta con il tempo, assestandosi tra i circa 5-10 euro delle regioni d’arrivo dei migranti fino ai 35-40 di quelle del Nord.

I dati della Corte dei Conti sono elaborati a partire dai numeri inviati dalle Prefetture. Eppure, scrivono i revisori, qualcosa non torna. I dati forniti dalla prefetture siciliane nel triennio non convincono e nemmeno quelli di Sardegna e Puglia del 2014. La Corte invierà il report alle sezioni regionali in modo che fughino ogni dubbio. Diverse sono state in Sicilia le inchieste della Guardia di finanza rispetto all’uso dei fondi destinati all’accoglienza. Ad esempio, la procura di Ragusa ha rimandato a processo dieci persone che lavoravano in una onlus per un ammanco di 1,6 milioni di euro tra il 2005 e il 2014. Ma inchieste per scoprire dove sono finiti i soldi per i centri riguardano anche il Cara di Mineo e l’hotspot di Pozzallo, per fare sono alcuni esempi.

Tra le Prefetture analizzate a campione dallo studio della Corte dei Conti c’è quella di Avellino, dove è emersa la “non puntuale contabilizzazione dei dati gestionali, soprattutto con riguardo al rilevamento delle effettive presenze giornaliere nei centri, e l’assenza di un corretto sistema di controllo da parte di una prefettura”. Il tutto si è tradotto in due processi in corso, a Napoli e Avellino.

Tra le raccomandazioni che chiudono la delibera, i revisori scrivono che “l’aspetto dell’immigrazione non può essere più gestito come “fenomeno emergenziale””. Al contrario, il sistema italiano continua a essere dominato da Centri di accoglienza straordinari, aperti in fretta e furia dalle Prefetture, senza la programmazione necessaria a gestire meglio il sistema, senza costi aggiuntivi. In più, i revisori sottolineano come non sempre le Prefetture si impegnino, preventivamente, ad effettuare “i controlli antimafia, economici e strutturali sui soggetti privati, c.d. gestori, che saranno chiamati ad erogare i servizi”. Il motivo, ancora una volta è legato alla perenne emergenza. I revisori contestano anche l’uso di affidamenti diretti o bandi con l’unico principio del massimo ribasso.

Altro fronte di preoccupazione per la Corte dei Conti sono gli sprechi legati alla “mancata accoglienza”, cioè l’interregno in cui i richiedenti asilo aspettano di sapere l’esito della propria domanda. Ogni apertura di pratica d’asilo – prevista dalla Convenzione di Ginevra per tutte le persone che scappano da condizioni di pericolo – è di 203,95 euro di media, escludendo i ricorsi. Dal 2008 al 2016 la Corte ha individuato 340mila pratiche esaminate al costo di 69,3 milioni di euro. Il problema è che le richieste accolte sono 36.660, l’11% del totale. Gli altri hanno avuto il diniego e sono diventati irregolari e questo “investimento a metà” per l’accoglienza è una perdita per le nostre casse. I revisori per questo si auspicano che “si possa arrivare a concretizzare un metodo di valutazione e vaglio maggiormente celere”.


www.ilfattoquotidiano.it/2018/03/24/migranti-corte-dei-conti-prima-accoglienza-costata-17-miliardi-nel-2016-dalla-ue-contributo-di-soli-387-milioni/...
angelico
00martedì 17 aprile 2018 17:32
Fabio Fazio dopo il rinnovo guadagna 2,1 milioni di euro all’anno

Carlo Conti guadagna altrettanto: 2 milioni di euro all’anno


Antonella Clerici guadagna 1 milione e mezzo di euro

Flavio Insinna guadagnava 1 milione e 300mila euro


Bruno Vespa guadagna 1 milione e 300mila euro


Michele Guardì guadagna 1 milione e 200mila euro


Amadeus si ferma a 900mila euro

Luciana Littizzetto arriva a 800mila euro

Alberto Angela non arriva ai 500mila euro


Giancarlo Magalli prende gli stessi soldi di Alberto Angela


Anche Milly Carlucci si assesta sulla cifra di 400mila euro

ucia Annunziata arriva attorno ai 400mila euro annui



it.finance.yahoo.com/foto/conduttori-pi%C3%B9-pagati-rai-slideshow-wp-081851897/photo-p-fabio-fazio-dopo-il-photo-081851...
angelico
00lunedì 11 giugno 2018 20:10
Parlamentari più ricchi grazie alle diarie, ai rimborsi spesa per lʼesercizio del mandato, i trasferimenti, i viaggi, il telefono






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Premier Giuseppe Conte, stipendio "light" da 6.700 euro al mese
Tagliare i costi della politica. Il Movimento 5 Stelle, con il premier Conte, potrà farlo, anche se non per propri meriti. Il neo presidente del Consiglio guadagnerà infatti 80mila euro all’anno netti, per uno stipendio mensile di 6.700 euro. Emolumenti sempre rispettabili, ma in teoria inferiori rispetto a quello dei semplici deputati o senatori. Conte è infatti un non eletto e non gode quindi della cosiddetta "indennità parlamentare"

Stipendio ottimo, ma inferiore in ogni caso a quello del Capo dello Stato (che prende 239.000 euro l'anno) e a molti deputati e senatori che percepiscono anche oltre i 13mila euro, grazie alle diarie, ai rimborsi spesa per l'esercizio del mandato, i trasferimenti, i viaggi, il telefono.

Il premier italiano guadagna meno anche rispetto ad altri capi di governo. Per esempio Angela Merkel ha uno stipendio di circa 316mila euro l’anno, mentre Alain Berset, primo ministro svizzero, guadagna 412mila euro l’anno. Il leader di governo più pagato è quello australiano, Malcolm Turnbull, che si intasca la bellezza di 450mila euro l’anno.

Conte userà l'appartamento a Palazzo Chigi ma non come abitazione esclusiva - Conte userà l'appartamento di Palazzo Chigi destinato ai presidenti del consiglio, ma non come abitazione esclusiva, visto che manterrà l'appartamento nel centro storico di Roma. Lunedì, pur avendo finito alle 3 di notte di limare il discorso per la fiducia al Senato, Conte è andato a dormire a casa. L'appartamento di Palazzo Chigi era rimasto disabitato durante il mandato di Paolo Gentiloni, che ha preferito continuare ad abitare nei pressi di largo Santa Susanna, mentre Matteo Renzi lo usò come abitazione esclusiva.


www.tgcom24.mediaset.it/politica/premier-giuseppe-conte-stipendio-light-da-6-700-euro-al-mese_3144175-20180...
angelico
00lunedì 12 novembre 2018 18:15
La storia dura da 16 anni, da quando nel 2002 l'allora governatore Fitto decise di dotare il suo ente di una nuova casa: sarebbe dovuta costare 40 milioni, ma ne serviranno almeno 87. Colpa di cambi in corsa, irregolarità e lavori a rilento. E ora indaga anche la Procura. E anche il presidente Michele Emiliano vuole vederci chiaro

di Rosanna Volpe | 11 novembre 2018
4
1,7 mila
Più informazioni su: Codacons, Michele Emiliano, Raffaele Fitto, Regione Puglia, Sprechi
Non ci sono solo le plafoniere da 637 euro ciascuna a turbare il sonno dei pugliesi, ma anche una lunga lista di spese pazze che riguardano la nuova sede della Regione. La settimana scorsa il programma Non è l’arena di La7 ha alzato il polverone sulla vicenda, anche se – a onor del vero – più volte la stampa locale ci aveva provato. A rincarare la dose ci ha pensato poi il Movimento Cinque Stelle che oltre alle plafoniere (ne servono 1.600 per un costo totale di 1.019.200 euro), ha messo nero su bianco altre spese: 228mila euro per un gruppo elettrogeno, 290mila per 19,6 chilometri di cavi. Per non parlare delle postazioni di lavoro: i dipendenti del Consiglio regionale sono 300, ma le postazioni di lavoro saranno 1.102. La vicenda ha quindi preso una piega diversa e – dopo gli esposti presentati dal M5s, a cui se n’è poi aggiunto un altro del Codacons – è arrivata in Procura. Al momento non ci sono indagati né ipotesi di reato. Il fascicolo è stato aperto dalla pm Savina Toscani, che ha chiesto alla Guardia di finanza di acquisire, nei competenti uffici regionali, la documentazione relativa al cantiere.





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California, soccorritori: è il peggior...


Nel frattempo il governatore Emiliano ha promesso – ai microfoni di La7 e sulla sua pagina Facebook – che farà chiarezza sulla vicenda. “Se qualcuno ha commesso un errore, dovrà avere molta più paura di me che di lei” risponde a un giornalista. Quindi, ha istituito un collegio di vigilanza composto – oltre che da se stesso – dall’assessore Gianni Giannini, dal capo di gabinetto Claudio Stefanazzi, dal commissario di Asset Elio Sannicandro, dal direttore del dipartimento Barbara Valenzano e dal capo dell’avvocatura Rossana Lanza. Una sorta di task force che avrà il compito di verificare la corrispondenza alle leggi e alle regole di economicità della condotta del direttore dei lavori e del responsabile unico del procedimento che, in via esclusiva, avevano il compito di verificare la congruità dei costi delle plafoniere incriminate. Emiliano infine ha dato ordine di sospendere la fornitura “se ancora in itinere e, comunque, ogni pagamento nei confronti della ditta che ha acquistato le plafoniere sino a esito delle verifiche disposte”.


Il progetto per la realizzazione della nuova sede della Regione Puglia era ambizioso e prevedeva un asilo, un campo da calcio, uno da tennis, una sala fitness, grandi fontane. Oltre agli uffici del consiglio regionale oggi ospitati in un palazzo in via Capruzzi che costa di 1,5 milioni di euro all’anno. Il progetto risale al 2002, quando l’allora presidente della Regione Raffaele Fitto decise di dotare il consiglio regionale di una nuova sede. Viene avviata una gara di progettazione. Anni dopo si scoprirà che quella gara era truccata. La vicenda è andata avanti per anni tra modifiche, ripensamenti e cinque varianti. I costi nel frattempo sono saliti da 40 a 87 milioni. Nel 2010 la Regione, guidata da Nichi Vendola, ha avviato la successiva gara per la realizzazione dell’opera con prezzo fissato a 67 milioni: ha vinto un’impresa che ha presentato un ribasso del 41 per cento, facendo così scendere il costo della realizzazione dell’opera a circa 40 milioni di euro. I lavori però sin da subito sono andati molto a rilento e sono partite le varianti al progetto: eliminati i campi da calcio, da tennis, le palestre e le grandi fontane previste nel progetto originario, sono stati inseriti nuovi parcheggi.

Il compenso dei progettisti è aumentato, con le varianti, da 3 a 11,2 milioni di euro. Ed è proprio sulla quinta variante che si sono concentrati i 5 Stelle. “Abbiamo presentato a luglio scorso esposti a Procura, Anac e Corte dei conti sulle spese extra” ha raccontato a ilfattoquotidiano.it il consigliere regionale pentastellato Antonella Laricchia. “Ora siamo contenti di sapere che la Procura ha deciso di aprire un fascicolo. Questo progetto è nato malato – ha proseguito – ed è davvero scandaloso che Emiliano abbia deciso di occuparsi della vicenda solo dopo il clamore del programma di Giletti“. Insomma, questa è una storia che dura da 16 anni: un cantiere senza fine che taglia a metà la città. E la sensazione – conti alla mano – è che la vicenda delle plafoniere sia solo la punta dell’iceberg sotto la quale si nascondono sprechi e fiumi di soldi pubblici mal (o mai) gestiti.


www.ilfattoquotidiano.it/2018/11/11/puglia-dalle-plafoniere-a-637-euro-al-costo-complessivo-raddoppiato-tutti-i-conti-della-nuova-sede-della-regione/...
angelico
00venerdì 2 agosto 2019 10:32
La spesa per i comuni è di 10,3 miliardi. Il settore occupa 483mila dipendenti. Nel 2017 la spesa media per dipendente regionale è stata di 34mila euro, 27mila euro per dipendente comunale e 28mila del provinciale
di Nicoletta Cottone


Ecco quanto guadagnano i dipendenti di Regioni, Comuni e Province
2' di lettura

La spesa totale per i dipendenti di comuni, regioni, città metropolitane e province sfiora i 14 miliardi di euro. Lo segnala la delibera di 218 pagine della Corte dei conti sull’andamento della spesa per il personale degli enti territoriali (triennio 2015-2017), approvata dalla Sezione delle Autonomie. Entrando nel dettaglio la spesa è di 10,3 miliardi per i comuni, 2,8 miliardi per le regioni, 0,9 per le province e le città metropolitane.

GUARDA IL VIDEO - Ecco quanto guadagnano i dipendenti di Regioni, Comuni e Province

Il settore occupa 483mila dipendenti
I giudici contabili ricordano che l’intero settore occupa, complessivamente, circa 483mila unità, distribuite tra dirigenti, segretari comunali/provinciali e direttori generali, lavoratori con qualifica non dirigenziale. Circa 36mila unità, pari al 7,5% del totale, hanno un contratto di lavoro flessibile.

DA LEGGERE - Online gli stipendi di tutti i dirigenti pubblici (di Gianni Trovati)

Aumenta la spesa media
Il documento segnala complessivamente una contrazione della spesa netta «che però avviene in misura meno che proporzionale rispetto alla riduzione della consistenza media. Questo comporta un conseguente aumento della spesa media. Tale tendenza risulta maggiormente evidente nelle posizioni apicali, mentre la spesa media è stabile del personale non dirigente».


Il più “caro” è il dipendente regionale
La delibera segnala che nel 2017 la spesa media per dipendente regionale è di 34mila euro, a fronte di 27mila euro del dipendente comunale e di 28mila del provinciale. La spesa media per il personale dirigente è di 94mila euro nelle Regioni, 84mila nei Comuni e 103mila nelle Province. La Corte dei conti ricorda che la rilevazione riguarda un periodo in cui erano vigenti i vincoli sulla spesa di personale, che di recente hanno subito un allentamento mediante sblocco del turn over e introduzione di un sistema di reclutamento fondato sulla sostenibilità finanziaria della spesa. Non è uniforme la distribuzione del personale sul territorio nazionale e si riscontrano punte di maggiore concentrazione in alcune aree territoriali.


www.ilsole24ore.com/art/comuni-regioni-e-province-il-personale-sborsano-14-miliardi...
angelico
00domenica 12 marzo 2023 17:59
Niccolò Brizzolari, l'Alfiere della Repubblica che a 20 anni guadagna 35 mila euro com segretario del Parlamento
Il più giovane degli assunti è di Rovigo, l’unico nato nel 2002. Si chiama Niccolò Brizzolari, ha vent’anni. Erano 16.245 i candidati ammessi alla prova selettiva, alla quale si sono poi presentati in 3.702. I posti, a tempo indeterminato, per il ruolo di segretario parlamentare erano solo 65, l’1,7%. Poi sono diventati 80, con un piccolo scorrimento graduatorie (nota: per la funzione, il primo stipendio è di 35.144 euro lordi annui ma la progressione «premia» gli incaricati: 61.595 dopo dieci anni; 106.673 dopo venti; 140.690 dopo trenta; 150.601 dopo 35; infine 157.628 dopo quarant'anni. La retribuzione non è il tutto di un lavoro ma, è evidente, qui conta più che in altri ambiti). Al 70esimo posto c’era lui, il ragazzo che due anni fa, a marzo, pochi mesi prima dell’esame di maturità, aveva ricevuto da Sergio Mattarella l’attestato d’onore di Alfiere della Repubblica.

I podcast e le manifestazioni
È giovanissimo ma il suo talento gentile ed educato ha già fatto breccia più di una volta. La prima carica dello Stato lo ha premiato perché a 18 anni gli era venuta l’idea di realizzare dei podcast e di metterli a disposizione degli anziani non più in grado di affrontare un romanzo. «La mia bisnonna ha un glaucoma, ha più di 90 anni, quindi fa molta fatica a leggere — raccontava Niccolò nel 2021 a poche ore dalla notizia del premio — . Quest’estate mi è venuta l’idea di fare un audio libro con la nota opera di Pirandello, Uno nessuno e centomila, per il quale i diritti erano decaduti». Quando ha ricevuto la telefonata dal Quirinale ha detto «sì va bene, è uno scherzo». E invece era vero. Alle scuole superiori Niccolò si era distinto anche per le sue battaglie sui temi ambientali, faceva parte di «Fridays for future». Manifestava in piazza. Ora non più. Non ha tempo, spiega.

La selezione
Si è diplomato al liceo scientifico Paleocapa di Rovigo, alla Camera prenderà servizio l’1 marzo. «Mi ero appena diplomato, luglio 2021, era uscito questo bando e mi sono iscritto, un po’ a caso — dice —. Ci hanno fatto fare la pre selettiva, una cosa facile a crocette, cultura generale, un po’ di logica, un po’ di informatica». Agli scritti e alla prova pratica sono stati ammessi in 650. «Non avrei mai immaginato di farcela, tutti si preparavano con un apposito manuale, io non avevo studiato nulla — dice con candore il 20 enne rodigino —. Gli scritti erano ossi duri. Inglese, piuttosto facile, a crocette. Ma poi diritto costituzionale, parlamentare e storia contemporanea». Era fresco di studi di diritto il giovane Brizzolari, a Bologna aveva appena sostenuto l’esame di diritto costituzionale, anticipato al primo anno diritto parlamentare. La prova pratica poi era di dattilografia e sull’uso di qualche software. «L’orale l’ho fatto a gennaio, c’era ancora diritto costituzionale, parlamentare — spiega — poi storia d’Italia, diritto dell’Unione europea e archivistica. Una domanda per materia, si pescavano con le buste». Ed è andata, ha preso 24 trentesimi. «Pensavo di non essere passato», dice. Perché è modesto. «Ora mi trasferisco a Roma però mi piacerebbe tanto continuare a studiare».

«Mi mancherà la morosa»
Posto fisso, di un certo prestigio, ben pagato. E la possibilità di crescere in un ambiente protetto. Ma il giovane Brizzolari si lascia ancora aperte molte strade. «La prendo un po’ come un’esperienza, non so se sarà il lavoro della mia vita. Quello che succederà si vedrà, di sicuro è un onore. Bellissimo». D’altronde, l’ha già detto, si era iscritto un po’ così, «a caso». E lo rimarca: «Mi ero detto, chissà se sono difficili come dicono i concorsi». Evidentemente per lui no. Ha fatto centro al primo colpo. «Mi mancherà Rovigo, che mi è sempre piaciuta un sacco come città, son sicuro che ci tornerò, non ho tanti dubbi — assicura —. Mi mancherà la morosa. È di Padova e studia economia in inglese a Venezia». Ma la distanza rafforza l’amore. A volte.

corrieredelveneto.corriere.it/notizie/rovigo/cronaca/23_febbraio_19/niccolo-brizzolari-l-alfiere-della-repubblica-che-a-20-anni-diventa-il-piu-giovane-segretario-del-parlamento-43424cd4-9721-4868-aec6-b85685ac7xlk.shtml?re...
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