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Capitolo Venti
Now I can remember
Punto di vista: Sharon Villa.
Mi vennero i fremiti non appena vidi la stupenda piscina al coperto. Tutto questo che stava accadendo era incredibile, troppo meraviglioso perché potesse succedere ad una persona normale come me.
C’erano splendidi soffitti color del cielo blu della notte tappezzati di varie e minuscole luci che davano l’impressione di essere stelle della notte; svariate colonne in stile moderno, pavimenti di marmo bianco e soprattutto un’immensa piscina dalla forma tondeggiante e disegnata senza schema preciso. Una lunga scalinata in marmo ad un lato della piscina entrava fino l’interno dell’acqua, mentre in un angolo vicino a vari sdrai di legno una piccola discesa permetteva di poter stare comodamente seduti anche a riva piscina. In un altro lato, c’era perfino l’idromassaggio.
Alla sinistra della porta da cui io e Michael eravamo entrati si proseguiva per un piccolo corridoio a piastrelle celesti che portavano dritte ognuna ai rispettivi spoiatoi, illuminato da brillanti luci arancioni e gialle. Nella parte opposta della stanza da cui ci trovavamo, verso la destra, una serie di vetrate trasparenti dava la magnifica visione del giardino al di fuori di quel magnifico salone. In stile tipico giapponese, osservandolo potevi percepire un innato senso di pace.
Non avevo mai visto un posto così bello. Era... Era un paradiso! Il sogno di qualunque persona che sognasse da tanto tempo un luogo così straordinario, creato dalle mani dell’uomo. La stanza era immensa, l’odore del cloro filtrava ogni mio poro corporeo, l’enorme piscina rifletteva il colore blu e azzurro dato dalle piastrelle che la costituivano... Ma rimaneva un problema. Anzi, due.
Il primo problema: non avevo né costume, né qualcosa con cui asciugarmi dopo e cambiarmi. Di certo una volta fatto il bagno – se l’avrei fatto, da cui deriva poi il secondo punto – non mi sarei rimessa mica i vestiti sudaticci che stavo indossando. Inoltre non mi sarei certo fatta vedere in biancheria intima... O peggio... Solo il pensiero mi faceva divampare di rossore!
Secondo punto, il più importante: avevo paura di nuotare nell’acqua fonda. No, non paura: vero e puro panico! In passato non avevo avuto una bella esperienza, tutt’altro che emozionante, all’età di 15 anni, e da allora ebbi paura di nuotare da sola nelle immensità dell’acqua, nonostante io l’amassi sempre e comunque. Vivevo per l’acqua, ma non per quella fonda e alta da non riuscire a toccare con i piedi. Mi faceva un certo timore, il pensiero di rifare quella stessa esperienza.
Ma come glielo avrei detto a Michael? L’avrei deluso se, una volta entrata in acqua, mi sarei rifiutata di immergermi nell’acqua fonda. Chissà quanti sforzi aveva dovuto fare per avere la piscina tutta privata, solo per lui e una come me che, di certo, a deduzioni sicuramente logiche, non se la meritava per niente.
«Che ti sembra?», disse lui con un sorriso – uno di quelli suoi magnifici e splendenti, grande come il sole d’estate capace di riscaldare anche la pietra più fredda di tutte. Io continuai a guardare la piscina, troppo impotente per reggere il suo sguardo e volgere la mia attenzione via da quello spettacolo artistico.
«E’ una cosa incantevole! Io davvero non ho parole!». Feci una pausa, d’improvviso seria. «Io tutto questo non lo merito. Non merito di essere qui con te, a godere di questo benessere, soprattutto perché io...»
Non appena mi bloccai, ritraendomi leggermente su me stessa, lui mi guardò con preoccupazione. Non ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi, avendo così paura della sua espressione di delusione. Oltre ogni mia aspettativa, però, lui mi strinse la mano.
«Non ti piace?», disse con una voce da cucciolo, da bambino. Io allora lo guardai con dispiacere immenso, e vidi lui osservarmi con trepidazione. Mi sentii sbriciolare il cuore in mille residui di polvere.
«No! No, Michael, non dirlo nemmeno!», risposi io immediata, voltandomi verso di lui stringendo anche l’altra sua mano. Lui mi fissava inquieto. «Io ho... Ti giuro non è facile per me da dire, me ne vergogno molto... Il fatto è che io... Ho paura dell’acqua fonda...»
Così dicendo lanciai un’occhiata di profondo terrore alle oscurità di quella piscina, rabbrividendo leggermente. Lui gettò il suo sguardo su di essa, per poi tornarmi a guardare. Incapace per ancora una volta di osservarlo, dopo tutti i miei sensi di colpa, abbassai gli occhi.
«E’ la verità, Sharon?», chiese lui con tono pacato. Non risposi, così angosciata da sentire il mio cuore distruggersi, ma lui con un dito subito alzò il mio mento verso il suo viso, così da essere occhi negli occhi. «Hai paura veramente o il problema è un altro?»
Non si possono neanche immaginare le sensazioni che provai in quel momento. Avevo paura, ma allo stesso tempo stavo bene. Tremavo, ma non perché fossi così sconvolta, ma perché la causa era lui. Il modo in cui si rivolgeva a me faceva rabbrividire ogni capillare del mio corpo, dalla punta dei piedi a quella dei miei ricci capelli.
Quell’uomo mi avrebbe fatto scoppiare il cuore, prima o poi!
Senza neanche far passare il tempo per pensare a quel che stavo per dire, parlai. «Ti giuro, Michael, non ti mentirei mai! Non sai come io voglia, in questo momento come in altri, sperare che questo non sia solo un sogno come immagino che sia! Io verrò comunque in piscina con te, se almeno non hai cambiato idea, ma il fatto è che mi dispiace di non poterti seguire anche in quella fonda... Non potermi divertire con te».
Non ero mai stata così convinta come in quell’attimo. Lo guardavo con occhi imploranti, pregavo perché credesse che la mia era la verità e che non volesse cambiare immediatamente programma e fare retro front. Se non gli avessi fatto quel discorso prima, probabilmente avrei fatto la figura della stupida dopo.
Lui restò a studiarmi, mentre io impassibile continuai, cominciando come al mio solito, da perfetta idiota che ero, a gesticolare con le mani. «Scusa, forse ho sbagliato a dirtelo in modo così schietto senza pensare al probabile sforzo che hai dovuto fare per prenotare privatamente questa...»
Non finii la frase, il pollice della mano con cui Michael aveva alzato il mio mento verso i suoi occhi mi bloccò la parola, lasciando le altre dita accarezzare la mia guancia. Non mi ricordo se arrossii, sta di fatto che mi mancò il fiato necessario per respirare e la capacità di riuscirci. Dio quanto era affascinante...
«Non dire così, sono sicuro che stai dicendo il vero. Non ho intenzione di dubitare di te. Sono riconoscente che tu me lo abbia detto subito, invece, perché così mi dimostri che non hai intenzione di mentirmi...»
Dio... Sto per morire. Come faccio a parlare se mi... Se mi rende così rincoglionita?!
«Ti insegnerò io, Sharon», continuò con voce pacata e dolce. Spalancai gli occhi, incredula, voltando il mio viso veloce per un fugace secondo verso le oscure voragini di quell’acqua bluastra, indietreggiando di un piccolo passo. Lui mi strinse la mano non appena commisi quel movimento impaurito.
«Tranquilla, non succederà niente. Ti aiuterò io, ti insegnerò a volare anche dentro l’acqua, non solo in aereo, con le poche cose che so», proseguì. Gli lanciai uno sguardo di paura, ma di rimando lui mi osservò con un sorriso rassicurante. «Ti fidi di me, Sharon? Pensi che io ti lascerei senza darti una mano?»
«No...», sbiascicai sottovoce, frattanto che con un altro passo tornai ad avvicinarmi verso di lui. «Io mi fido di te, lo giuro», continuai sentendo il mio cuore cominciare a sollevarsi.
Lui sorrise, per poi con la mano portarmi verso le sue braccia. Mi abbracciò con un calore che non avevo mai sentito prima sulla mia pelle, una sensazione incomparabile a tutte le altre che avevo mai provato con qualcuno. Con il mio volto affondato nel incavo del suo collo, dopo una linciata all’acqua blu, mi sentivo sicura di quella prova che, con lui, avrei cercato di superare.
Strinsi d’istinto con la mia mano libera un lembo della sua camicia rossa, ispirando il profumo di cui odorava... Ora riuscivo a distinguere quell’odore... Sembrava profumo di sandalo...
Miseriaccia a me se continuo così... Però è così indescrivibile... Mi porta fuori di testa...
Con un gesto lento, ci staccammo entrambi nello stesso momento. Chissà perché, ma anche lui sembrò essere scosso quanto me. Mi lanciò un lieve sorriso. «Ora è meglio che ci andiamo a cambiare», rispose accompagnandomi al corridoio fino al momento in cui dovevamo separarci, per raggiungere ognuno lo scompartimento giusto.
Staccammo le nostre mani, provando un senso di sbigottimento dentro a quella piccola separazione, guardandoci con un’occhiata esitante. Con coraggio, mi spinsi ad arrivare allo spoiatoio, dove trovai costume e accessori all’interno per il dopo-piscina. Sorrisi divertita.
Aveva preparato tutto al meglio, organizzando ogni minimo particolare.
Grazie Michael.
***
Una volta preparata mi prestai ad uscire dallo spoiatoio, coperta da un accappatoio lilla pastello, fino ad avviarmi fino a fuori del corridoio. Qualcuno – dedussi fosse stata qualche inserviente – mi aveva lasciato non solo uno stupendo vestito leggero di seta nero, dalle sottili spalline e dalle fasce svolazzanti, completo di scarpe perfettamente in tinta, ma anche un costume stupendo; era intero, non troppo provocatorio, di una tinta pervinca. Perfetto, nonostante la misura mi fosse forse solo leggermente stretta.
Un istinto mi diceva che Michael c’entrava qualcosa con la scelta dei colori...
Con mia sorpresa, scoprii Michael già fuori dal corridoio, vicino al bordo piscina, toccare con un piede l’acqua. Lo sguardo che rifletteva nell’acqua era così profondo che poteva superare ogni immensa voragine blu notte dell’oceano più profondo al mondo. Ero quasi indecisa se risvegliarlo dai suoi pensieri oppure no. Chissà a che stava pensando.
Sottofondo a quell’ambiente così rilassante, si era aggiunta una musica soffocata dalle melodie vagamente familiari, così soffice e delicata come una meravigliosa notte d’oriente. Ero quasi sicura che fosse stato lui, poco prima, a mettere quella musica, poiché non avevo sentito poco prima quella melodia.
Mentre mi avvicinai con passi inudibili a lui, scrutai tutto il suo fascino. Era bellissimo. Non avevo parole per descriverlo. Se fossi stata una sua fan sfegatata, di certo sarei potuta svenire – non che non ne fossi a rischio, questo è certo.
I suoi capelli ricci e neri arrivavano fino a toccare le spalle, incorniciando quello splendido viso angelico che si ritrovava; i lineamenti maschili ma con quel qualcosa da bambino, pur sempre stupendo; l’accappatoio, di colore pastello come il mio, risaltava alla perfezione il suo fisico, ogni suo muscolo. Sebbene non fosse un modello, o possedesse un fisico da uomo da riviste di moda, possedeva quel fascino e sex appeal da poter stendere una donna. Era, in poche parole, sexy.
Dannatamente sexy. Dio se lo era!
Potevo solo immaginare quante reazioni perverse potesse avere una femmina, continuando a guardarlo come stavo facendo io.
Pensa quando lo vedrai solo in costume, Sharon, disse una vocina nella mia mente,
lì cosa farai? Morirai direttamente fra le sue braccia?
Frattanto che quel pensiero mi vagò in testa, lui si voltò a guardarmi, rivolgendomi un sorriso. Arrossì d’impeto, maledicendo me stessa per dei pensieri poco casti che cominciavano ad attraversarmi le vene al posto del sangue come scosse d’elettricità.
Avevo così voglia di accarezzare quel suo viso, toccare i riccioli neri che scendevano candidi sulle spalle, godere del tatto con la sua pelle che, non ne avevo dubbi, fosse morbida come quella di un bambino.
Ma come diavolo poteva avere un effetto così
anfetaminico? Non avevo mai fatto caso prima al suo charme maschile, quando ancora non lo conoscevo di persona, e ora avercelo davanti... Era una cosa più forte di me. Mi faceva venire i sudori in tutto il corpo. Era da svenimento, da morte imminente!
«Sei stata veloce», mi disse lui allargando enormemente il suo sorriso. Bofonchiai imbarazzata, voltando i miei occhi verso l’acqua, per poi alzare le spalle come se niente fosse.
Sentii la sua risata cristallina arrivare con imminenza alle mie orecchie, portando il mio sguardo curioso verso di lui. Perché stava ridendo? Lo osservai con fare interrogativo, lasciando trasparire nel mio volto corrugato un mezzo sorriso divertito da quel suo gesto.
«Niente, sta tranquilla...», rispose lui alla mia domanda silenziosa che aveva intuito subito trapelare dai miei occhi neri, portandosi la mano sinistra a toccarsi il mento, con fare timido, svoltando i suoi occhi verso l’acqua della piscina, ancora con il sorriso e tossendo per cercare di controllare a stento la risata.
Anche in queste situazioni... Puramente sexy! Perché diavolo ridesse io non lo sapevo. Probabilmente ero così impacciata e ridicola da farlo ridere di me. In effetti ero molto brava a far ridere la gente grazie ai cambiamenti che assumeva il mio volto nelle espressioni che assumevo, Ilary me lo diceva sempre.
«Iniziamo, ehm, il
corso?», dissi soffocando una risata nasale. Il sorriso di lui cominciò a farsi sempre più inesistente, fin quando in volto non gli apparve uno sguardo serio. Subito mi preoccupai di aver detto qualcosa di sbagliato, che non andasse bene.
«Prima però ti devo dire... Far vedere una cosa, in realtà», disse corrugando la fronte in quella che era uno sguardo terribilmente serio e preoccupato; non mi considerava con gli occhi, fissava solo ed in esclusiva le piastrelle del fondo piscina. Cominciai ad essere in ansia anche io.
«Che cosa devi farmi vedere?», chiesi con voce tremula, inclinando la testa e avvicinandomi a lui. Lui non mosse gli occhi. «Se non vuoi non sei obbligato, davvero, puoi mostrarmi cosa si tratta un altro giorno...»
Lui scosse la testa docile, e chiuse per un minuscolo istante i suoi occhi, poi appoggiando i suoi occhi e incatenarli ai miei. «Non... Non riguarda te, riguarda
me. È una cosa del mio fisico, una brutta cosa... Terribile...»
Un fremito mi passò per tutta la spina dorsale, il mio sguardo attento e in attesa non faceva una piega. La tonalità di voce che stava usando era preoccupante, non capivo quale fosse questo grande mistero. Cosa poteva c’entrare con lui questa cosa che lui definiva “terribile”?
«Promettimi che non ti spaventerai, che non mi penserai un mostro...», continuò con occhi fissi e impauriti su di me. «Tutti quei pregiudizi insensati da parte dei media, di tutti... Sono sbagliati, Sharon. Non sanno cos’ho. Ma tu, se io ti mostro quel orribile segreto, mi crederai... Non mi lascerai, vero?», mi prese la mano, quasi con foga come se avesse paura che, da un momento all’altro, potessi scappare.
«Michael, che succede...?», chiesi io con voce oscillante. Non stavo capendo più niente, la mia mente era sul punto di attraversare un punto di delirio senza ritorno. Il suo tono era così atterrito, così angosciato...
Fu in quel momento che si tolse l’asciugamano... E io per poco non ci rimasi secca.
Vedevo il suo fisico, nessun mostro, tutt’altro: sembrava l’arte fatta viva. Quella visione sì che confermava le mie teorie! Mi mancava il respiro, le parole, l’aria per continuare a respirare. Era una vista troppo grande da sopportare... Da restare saltargli addosso letteralmente...
Santa Maria, Sharon... Controlla i tuoi ormoni, non pensare a delle riflessioni così... Così idiote! Non prive di senso, ma idiote...! Sei un’idiota Sharon! E’ troppo bello per essere vero. Cielo...
La mia mente e il mio cuore erano praticamente in palla. Come facevo a resistere – come?! – davanti ad un figo come quello? Se non bastasse per l’animo puro che possedeva, i suoi occhi grandi e intensi, ora ci si metteva anche il corpo a far aumentare le mie calure? Ad aumentare la mia pressione? Dio, mi ero appena rimessa dall’ospedale da solo 48 ore! Continuando così sarei decisamente svenuta in acqua!
Michael mi gettò uno sguardo remissivo, di dolore e rabbia assieme, aprendo le braccia a mo’ di rassegnazione. «Che cosa vedi, Sharon? Dimmi,
che cosa?»
Vedo un figo della Madonna, troppo irreale per essere qui accanto a me, contento? Vedo la causa di un mio futuro infarto o crepacuore, se continuiamo ad andare avanti così!
Risposi comunque, scartando il mio precedente pensiero con una leggera scossa del mio volto. «Io non... Non vedo niente, fuorché te, normale così come sei...». Lui sospirò e allora proseguii con tono più alto. «Michael, smettila di fare il vago! Dimmi cosa c’è, ti prego».
Il mio tono era praticamente implorante e allora lui, schioccandomi un’occhiata insicura, mi porse la sua mano. Con lentezza, fissandolo accuratamente negli occhi, gli porsi la mia e mi lasciai trascinare verso di lui da una lieve pressione della sua mano. Sentii in quel momento le mie guance bollire di rossore. Vicino a lui, a quei pochi centimetri di distanza, in costume?! Stavo sognando...
«Guarda qua, osserva con particolare attenzione. Con cura», disse lui, rabbrividendo al mio tocco, indicandomi un punto del suo avambraccio destro. Io allora osservai, - cercando di concentrarmi con tutte le mie forze - e scrutai con cura ogni centimetro di quella sua pelle soffice.
All’inizio non notai niente, poi dopo pochi secondi di studio vidi delle leggere macchie più chiare sparse. Era strano, ma io delle macchie così le avevo già viste prima in vita mia. Era tutto molto confuso...
«Ti sei mai chiesta come io fossi diventato così chiaro da scuro che ero? Ti sei mai domandata se quello che dicevano i giornalisti sul mio cambiamento di colore era vero? Se ero io che volevo cambiare?»
Non risposi, lasciai la mia mente tornare ad alcuni tempi in cui, sui giornali, su quello che scrivevano i tabloid su lui. Dicevano che si era voluto cambiare il colore di pelle, voleva diventare un bianco. Non ci avevo mai fatto caso, in qualche modo non ci credevo molto a quelle cose. Per mia fortuna, ero abbastanza intelligente da diffidare della stampa.
«Io non ho mai voluto cambiare. Io... Io sono
costretto», pronunciò con labbra serrate dalla rabbia, con voce veramente irritata. «Queste dannate macchie che ho sul corpo mi obbligano a mettere della crema per renderla omogenea con la mia pelle... Questa è...»
«Vitiligine...», dissi io rimanendo a fissare costantemente le macchioline leggere, coperte da – ora me ne rendevo conto – dei strati possenti e duraturi di crema. Ora ricordavo. Tutto stava tornando indietro a me.
Eccome, le avevo viste quelle macchie. Le avevo viste su qualcuno a me vicino. Come potevo non riconoscerle. Sapevo tutto su quella malattia, ogni effetto, ogni sviluppo, il fatto che colpisse solo il 2% della popolazione mondiale... Sì, mi ero molto informata, ancora tanti anni fa...
Sentii il suo sguardo sbigottito su di me, scioccato, e solo allora lo fissai di rimando. Ora capivo. Tutto. Lui aveva la vitiligine. Era quello il mostro. Quella malattia alla pelle...
La vitiligine...
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Capitolo Ventuno.
Get out the nightmare
Punto di vista: Michael Jackson.
Esatto...
Vitiligine», dissi. Rimasi immobile, a guardarla con occhi spalancati di stupore e stordimento.
Come se quella situazione fosse già abbastanza incredibile per me – averla così vicino, così affascinante che era, solamente stesse indossando solo l’accappatoio, mi faceva mancare l’aria nei polmoni -, ma sapere che lei conosceva quella malattia mi confondeva ancora di più. Era strano, in un certo senso, ma in parte... Non sembrava sconvolta da quella visione, né impaurita o schifata, semplicemente dispiaciuta e dubbiosa. Questo mi rincuorava.
Ma il punto principale fisso in testa era un altro: come conosceva il nome della patologia?
Aggrottai impercettibilmente la fronte. «Come fai a...?»
«A sapere il nome di questa?», disse lei riportando gli occhi ancora su quelle piccole macchie visibili, soffocando una risata tutt’altro che divertita. Nei suoi occhi si stava facendo spazio un’ombra di tristezza trafitta. «Perché ne soffriva mia zia, una delle due sorelle di mia madre»
In quel momento mi venne da pensare quando fosse assurdo e strano il destino; per la prima volta nella mia vita avevo conosciuto una persona che avesse a che fare con la patologia – anche se indirettamente. Il fatto era che questa persona era stata proprio lei, Sharon, e questo scombinava ancor più la mia mente.
Dalle labbra di Sharon udii un sospiro. «Parecchie volte mi è capitato di sentire parlare mia madre Alicia e la sorella Ashley di questa malattia. Spesso udivo mia zia piangere, lamentarsi con la sorella più grande della famiglia sul come impedire di essere presa in giro dalle sue compagne di scuola per queste sue macchie in contrasto col suo colorito scuro...»
«Che persone
orribili», dissi sprezzante, pronunciando quelle parole rivelando tutta l’amarezza per quella gente che, per ovvietà di cose, non sapeva cosa significasse sentirsi diversi. «Prendere in giro solo per la malattia che soffre...»
«Già... Mia madre fu una delle poche persone, compresa l’altra sorella, a cercare di risollevare il morale a mia zia, a cercare di trovare una via d’uscita. Un giorno, spinta da una curiosità imminente, nella biblioteca comunale feci una ricerca dettagliata. Studiai a fondo l’argomento per molto tempo, cercai di trovare anch’io un rimedio per aiutarla, ma fu inutile... Non c’era una cura, e se anche ci fosse stata a quel tempo sarebbe costato troppo per una famiglia poco privilegiata come la nostra.. Ma parliamo di tanti anni fa»
Nel suo tono di voce c’era il senso dell’impotenza. Teneva gli occhi fissi sul mio avambraccio, toccava con le sue dita affusolate e delicate la mia pelle, con la testa inclinata un poco verso destra. Percepivo nelle sue parole la sua sensibilità, la voglia reale e piena di aver voluto aiutare, e sentivo il mio cuore farsi piccolo, piccolo, di fronte a questa constatazione.
«Tu non potevi far niente, hai cercato di trovare comunque una soluzione... Sei una delle persone più meravigliose che io abbia mai conosciuto, credimi», dissi con voce affievolita. Lei mi osservò con un sorriso, per poi portare la sua mano ad accarezzarmi una guancia.
«Non doveva succedere a te...», continuai con le poche parole che mi rimasero in gola.
«Forse più che a me questo non doveva succedere né a mia zia né a te...», disse amabilmente. «Ma vedrai che forse troveranno una cura, riuscirai a guarire, non tutto è perduto, e...»
«Non c’è cura, Sharon», pronunciai chiudendo istintivamente gli occhi per un millesimo di secondo, bloccandole la parola. «Le creme sono la mia unica speranza. Non ci sono altre vie d’uscita...», dissi con afflizione.
«C’è una via d’uscita, invece», disse lei con lieve sorriso. Io la studiai, con curiosità e attenzione, stando attento a controllare i miei brividi. «Le creme possono aiutarti, ma quello di cui tu hai più bisogno è una cosa sola: amore. Chi ti ama ti accetta per come sei, chi ti giudica non cerca neanche di capirti».
«Ma sono io a non accettarmi! Fino a quando non lo farò da me nessuno potrà amarmi...», esclamai.
«Michael, aspetta...», cercò lei di bloccare le mie parole, cercando di fermare il dolore che fluiva come lo scorrere veloce di un fiume in piena.
«Provo
orrore, capisci? Per me stesso! E nel caso in cui tu decida di non starmi accanto, ora che ti ho detto cosa provo, ti capisco. Non posso fare peso anche te di questo mio stesso panico... Ho paura a mostrare queste cose perché la gente poi mi
rifiuti!»
Ero in completo subbuglio emotivo. Sentivo che non potevo sopportare l’idea che lei, da quel giorno, mi evitasse, ma da una parte la potevo comprendere. Non avevo il coraggio di dirle che, se se ne fosse andata, io avrei sofferto tantissimo, ma nemmeno volevo lasciarla andare. Sharon doveva rimanere con me. Come avrei fatto senza la sua compagnia? La sua sensibilità? Il suo sorriso? I suoi occhi? Senza il tutto?
«Michael, adesso smettila!», echeggiò lei. Io rimasi immobile, dandole le spalle che avevo voltato nel frattempo che stavo parlando. Non avevo il coraggio di girarmi, fissavo il pavimento.
«Guardami negli occhi, per favore...», disse con voce smorzata, ma io non ubbidii. Ero troppo codardo, avevo troppa paura per vedere la reazione del suo viso, specchio dei suoi sentimenti. Poco dopo neanche mi accorsi che era venuta di fronte di me, con le mani sul mio volto, portando i miei occhi dritti nei suoi.
«Ascolta», continuò con calma. Nei suoi occhi vedevo severità e rabbia, ma allo stesso tempo una strana luce... «Quello che dici non è vero. Non ho mai sentito dire dalla tua bocca cose più cattive di queste! Davvero pensi che per me questo sia un peso? Credi che, se tu mi facessi così tanto orrore e ribrezzo, non me ne sarei già andata? Non avrei trovato una scusa? Pensi davvero che io sia così?»
Il suo fiato era soffocato. I suoi occhi ricolmi di un luccichio sempre più vivo, formandosi alle estremità inferiori dei suoi confini... Lei stava piangendo. L’avevo fatta
piangere!
«Io so cosa significhi essere diversi, sentirsi osservata e sapere che nei pensieri altrui ci sono solo brutte considerazioni. Pensi che io non abbia mai provato sensazioni così? Non solo sono stata denigrata, come tu ben sai, e isolata... Be’, sta a guardare».
Con gesto rapido e irritato si tolse l’asciugamano di dosso, gettandolo sul primo lettino che vidi a distanza di quasi due metri. Quasi mi venne un blocco respiratorio, misto agli ormoni scombussolati che cominciarono a vaneggiare, simili agli scoppiettii dei popcorn. Era bellissima... Dio quanto lo era... Fisico perfetto, curvilineo... Mi ci vollero minuti prima di riprendermi, ero troppo attontito dalla sua presenza.
Calma, Michael, respira a fondo e non distrarti... Controlla i tuoi istinti...
Mi si avvicinò con passo rapido, ma ad ogni modo con la camminata degna di una donna sensuale... Non seppi come feci a resistere, una volta che mi fu accanto a quasi venti centimetri dal mio corpo.
«Guarda le mie gambe, qua», disse indicandomi un punto preciso verso l’interno. Era una tentazione troppo grande da tenere a freno, per un momento temetti fosse un puro attacco alla mia sanità mentale. Eppure c’era qualcosa di strano...
«Vedi queste sottili linee bianche? Sono smagliature, niente di grave sembrerebbe. Inizialmente si manifestano col colore rosso, ma poi diventano visibili e lucide... Sono cicatrici perenni, non sono curabili», disse, lasciandomi evidentemente stupito. Ne aveva per quasi tutta la fascia interna.
«E qua, guarda», disse indicandomi la coscia esterna, dopo altri vari punti sulla pancia e sulle fianchi. «Sono dovute alla poca flessibilità della cute e sono indelebili. Non ci sono cure per eliminarle...»
Non spiccicai parola. Ero troppo sbigottito per dire qualcosa di decente. All’inizio non le avevo viste, ma da quando me le aveva fatte notare le riconoscevo con chiarezza... Non sapevo esistesse questa cosa...
La sentii soffocare una risata senza divertimento. «Pensa che si vedono molto più chiaramente su chi ha la pelle scura, o mulatta, come me... Sebbene non è un male così grande – poiché ne esistono di peggio – ho sofferto molto a causa loro... Mettiti nei miei panni: secondo te è bello far vedere il proprio fisico alla gente, magari in spiaggia, col costume, coperto da queste linee? Che penserebbero mai le persone di me se dicessi “ehy guarda il mio corpo, ho perfino le striature, oltre che ad essere una mulatta”? Pensi che non mi senta orribile per gli altri?»
«Sharon...», sbiascicai inerme. Non sapevo che pensare. Quei lemmi che stava proferendo dalle sue labbra mi ferivano come piccole lame d’acciaio...
«Ovviamente io non ho i tuoi stessi problemi, me ne rendo conto; io non sono famosa, e so che la gravità del mio problema non è come il mio...», continuò incrollabile.
Cercai di bloccarla in qualche modo, ma non ci riuscii. Mi faceva star male quella situazione, e mi sentivo colpevole. Stava mostrandomi quelle cose perché io le credessi, perché io smettessi di farmi male... Mi stava mostrando i suoi punti deboli, le sue paure fisiologiche, cose che non avrebbe di sicuro mai rivelato a uno sconosciuto. Sapevo che queste problematiche che aveva la facevano soffrire dentro. Stava facendo la stessa cosa che avevo fatto io.
«Per favore, basta... Io ho...», dissi, ma non finii il discorso che mi si bloccò il respiro, ma non perché era una emozione troppo bella per il mio cuore... Con una mano appoggiata al suo fianco, mi fissava. Una goccia le era scesa rapida rigandole una guancia.
«Probabilmente sto facendo la figura della vittima nei tuoi confronti... Non ti sto mostrando i miei difetti perché tu mi possa compatire; è davvero l’unico modo questo per farti capire che io ci tengo a te, non importa le malattie o problemi che hai? Anche io ho paura che la gente, una volta saputo i miei difetti, mi abbandoni... Mi guardano come se fossi un’aliena... Tutte le persone a cui rivelavo le mie angosce, usavano queste contro di me, o peggio, mi abbandonavano... Ero sola, sempre...».
Il mio cuore si stava sbriciolando. Se c’era una cosa che non avrei mai desiderato era che qualcuno piangesse per causa mia. E io avevo ferito proprio lei...
Sharon...
«Vieni qui...», sussurrai prendendole la mano, spingendola con più forza di quanto immaginassi verso le mie braccia. Lei si lasciò andare a quella presa, mentre un’altra lacrima cominciò a scenderle dall’altra guancia. Mi faceva così tanta tenerezza, la mia Sharon...
«Scusa... Non volevo arrivare fino a questo punto», le sussurrai con delicatezza in un orecchio, frattanto che mi rendevo conto della nostra attuale situazione. La stavo abbracciando... Ed eravamo in costume?!
Oh mio Dio, stavo arrossendo! Tutta questa mia dannata timidezza...! Eppure sembrava stesse svanendo come polvere, al contatto con la sua pelle. Per un’ennesima volta, con grande piacere, potei sentire appieno il suo profumo, l’essenza così provocante e dolce che emanava. Sarei potuto rimanere lì in eterno, con le mie braccia che la tenevano stretta al mio petto, ma non so quanto avrei resistito alla tentazione.
Il suo calore a contatto con il mio faceva sembrare tutto così irreale, non credevo neanche stessi vivendo davvero. Nonostante fosse in costume, potevo percepire il suo aumentare e diminuire del respiro nel suo petto, incostante, come il mio. Quello che stavamo vivendo – le emozioni che stavamo provando – erano le stesse? Provava nel cuore quel senso di innalzamento verso il cielo che provavo me medesimo?
«Sono io che ti devo chiedere scusa... Non ho capito che la tua è solo paura, un terribile timore che io possa scappare...», la sentii dire dall’incavo del mio collo nel quale nascondeva il suo viso. Era il suo posto preferito dove nascondere il suo volto, ogni volta che l’abbracciavo. «Ma io non ho intenzione di andar via, a meno che tu non lo voglia... E non dirò mai niente a nessuno»
Discostai dal suo volto i riccioli castano scuro dei suoi capelli, guardando attentamente ogni dettaglio del suo viso ancora adagiato sull’incavo. «Io non ti caccerò mai lontano, e mi fido della tua parola data... Ho la certezza inspiegabile che posso fidarmi di te. Sei una delle poche che riesce a capirmi veramente per quello che sono, per il Michael che esiste nella realtà, non per la star chiamata “Michael Jackson”. Solo Michael...»
Lei mi guardò con un sorriso, cominciando a staccarsi dalla posizione in cui ci trovavamo. Solo quando si separò da quella stretta ne percepii l’immediata mancanza, l’imminente imbarazzo dei nostri due corpi troppo vicini.
Il mio cuore stava battendo come un pazzo nel petto, tanto che temetti di non riuscire più a farlo calmare. Ad un certo punto lei aprì le braccia, alzando le spalle, in un gesto secco e bambinesco.
«Quindi, sbaglio o dovevi aiutarmi a nuotare nell’acqua fonda? Hai per caso cambiato idea?», disse arrossendo. Io le sorrisi – ebbi paura di sembrare un cretino, un ebete a quel sorriso a 32 denti che mostravo, evidentemente infatuato – ma cercai di riprendermi.
«No, anzi», dissi sfregandomi le mani. «Iniziamo proprio adesso. Vieni...», le dissi avvicinandomi al bordo piscina, in un angolo dove era evidente che non si toccasse. La guardai e la vidi scrutarmi con timore.
«Che c’è?», chiesi con espressione divertita a quel suo sguardo scrutatore e intimidito. I suoi occhi erano un continuo vagare fra l’acqua e me; in parte non riuscivo a capacitarmi di come potesse avere così tanta paura dell’acqua fonda.
«Non vorrai mica farmi fare un tuffo, vero?». Non appena le annuii tutto sereno e calmo che ero, i suoi occhi si spalancarono. «Ma è fonda... E se non riesco a tornare su? Non ho nemmeno provato ad entrare dentro e cercare di stare a galla, figuriamoci se ho il coraggio di tuffarmi...»
«Tu sai nuotare, hai paura solo di ricommettere lo stesso errore di rischiare di affogare. Hai detto che sapevi galleggiare bene, prima di quel incidente», dissi con convinzione. «Facciamo così, io mi tuffo per primo e poi tu ti butti. Una volta che sei dentro, ti tengo io a galla... Ti fidi di me?»
Sharon rimase con lo sguardo fisso sull’acqua, poi mi osservò mite con assenso del capo. Sorrisi e, dopo una breve rincorsa, non esitai a buttarmi. Il contatto con l’acqua fresca fu stupendo, istantaneo e puro, e servì molto a rinfrescare i miei ormoni bollenti. Ancora riuscivo a vedere il corpo e il volto bellissimo di lei nella mia testa ad occhi chiusi, e quel momento sperai che l’acqua vincesse su quegli implacabili istinti.
Come potevo resistere a lei? Tutto di Sharon mi attraeva. Per chiunque lei poteva sembrare una ragazza qualunque, dal bel fisico, ma oltre all’aspetto c’era il suo carattere meraviglioso a rendere Sharon ancora più speciale. Era unica. E questo era uno degli altri motivi a rendermi pazzo, a farmi uscire terribilmente fuori di testa.
Lei era riuscita a capire... Sharon andava al di sopra di ogni schema, al di fuori delle regole delle persone che si vedevano in giro e con la quale mi ritrovavo ad avere contatti. Era diversa da tutti, poiché tutti erano diversi da lei. Sharon come me non amava i pregiudizi, leggevo attraverso i suoi occhi quando era triste, amareggiata, arrabbiata, allegra, felice, serena...
Era solo una questione di feeling la nostra? Io non credevo. Ci doveva essere qualcosa di più, qualsiasi altra cosa che andava fuori da ogni schema ordinario delle leggi della terra e della normalità. Dentro di me una voce diceva che il nostro incontro, tanto normale quanto scontato, era invece stato un segno. Un qualcosa donato dal divino, da Dio forse. Se era per caso così, ancora di più dovevo tenerla stretta a me e ringraziarlo.
Riemergendo dall’acqua, ancora ad occhi chiusi, mi apprestai subito a tirarmi i capelli bagnati dietro il capo, per poi dopo rivolgere il mio sguardo curioso verso Sharon. Mi guardava immobile, con le guance un poco scarlatte, senza spiccicare parola. Mi apprestai allora a rivolgerle un sorriso.
«Avanti, ora tocca a te», dissi con espressione schietta, come se fosse una delle cose più naturali al mondo che si potesse compiere. Lei aggrottò la fronte, appoggiando entrambe le mani sui suoi fianchi.
«Parli tu. Per te è una cosa da poco...», disse avvicinandosi in modo molto cauto – addirittura schivo - sul bordo piscina, toccando con la mano destra l’acqua tiepida. La vidi rabbrividire, per poi lanciarmi uno sguardo rassegnato. «Davvero mi prenderai?»
«Te lo giuro, a costo di morire seduta stante», promisi con fare solenne e sincero. Sharon si piegò dalla posizione accucciata in cui si trovava, voltando un suo imminente sorriso divertito verso il basso, ad occhi chiusi. Era sempre magnifico il suo sorriso, in ogni maniera in cui lo manifestasse.
«Vedi di non giurare il falso, ne va della tua incolumità...», continuò drizzando la schiena e inarcando un sopracciglio da finta scettica.
«Dai, buttati», la incitai sfiorando il velo dell’acqua con le mani. «Altrimenti sarò costretto a bagnarti con le maniere manuali o venirti a prendere io stesso...»
«Non ce la faresti...», mi provocò lei, mostrandomi la lingua. Mostrai un’espressione di sfida, falsamente scioccato da quello che lei mi aveva appena detto. Davvero pensava non ne avrei avuto il coraggio?
«Dici sul serio? Guarda che ti vengo a prendere, non osare provocarmi...», dissi mite.
Lei sorrise furbescamente, socchiudendo gli occhi. «Ne sono convinta al 100%. Non lo faresti mai. M.A.I.»
«Oh, come vuoi, ma questa te la sei voluta tu...», e così dicendo m’immersi fino a raggiungere il bordo piscina, l’angolo vicino alle scale di marmo che portavano all’esterno. Una volta fuori, Sharon sorrise decisamente sconvolta, cominciando ad allontanarsi ad ogni passo che percorrevo verso lei.
«No... Non ci provare nemmeno, Michael... Non ti avvicinare...», bisbigliò lei con tonalità di voce sempre più squillante man mano che mi approssimavo a lei. I nostri occhi non erano incollati l’uno a l’altro, e fra le mie labbra comparve un sorriso sornione.
«Volevi provocarmi? Adesso ne subirai le conseguenze...». Così dicendo aumentai la velocità dei miei passi fino a correre verso di lei. Sharon urlò mezza divertita mezza spaventata, con l’adrenalina nelle vene, scappando a gambe levate da me. Era abile, dovevo ammetterlo, ma io ero più capace di lei... E, senza ombra di dubbio, più scattante.
Nonostante i via vai attraverso i vari lettini a sdraio – entrambi avevamo le lacrime agli occhi da tanto stavamo ridendo –, riuscii a prenderla. Con agile scatto la presi per una parte nella schiena, dall’altra per le gambe, e la portai sopra la mia spalla destra come un sacco di farina. Non era leggera ma nemmeno pesante, non mi costava poi così tanta fatica l’impegno di tenerla sulle mie spalle.
«Michael! Lasciami!», disse ancora con occhi lacrimanti, lanciando calci e manate senza la minima potenza verso di me. Ero sicuro che non voleva farmi male, perciò con convinzione la ignorai, sfoderando un sorriso enorme, e mi portai sempre più vicino al bordo da dove mi ero tuffato. Là l’acqua era abbastanza fonda da riuscire a non farle male in caso di imprevisti, ma neanche troppa da farla affogare.
«Oddio no! Michael! Oddio!», cominciò a esclamare, alzando la voce, non appena si accorse delle mie intenzioni, nonostante il suo capo fosse rivolto alla mia schiena. «Scusa! Ti chiedo umilmente scusa!»
Una volta che fummo vicino alla piscina, le feci cambiare posizioni e la riportai comodamente sulle mie braccia ad una posizione abbastanza confortevole. «E’ troppo tardi per pentirsi», dissi ridendo non appena mi accorsi del suo sguardo intento se ridere o disperarsi.
«Pronta per un buon tuffo in piscina come inizio corso?», Sharon mi lanciò uno sguardo fulminante.
«Lo prendo come un sì», esclamai divertito, e subito dopo spiccai il salto.
La sua presa attorno al mio collo si fece più possente una volta che ci ritrovammo a mezz’aria, ma quando fummo dentro fui io a stringerla. Come le avevo promesso, non la lasciai affogare, e quando tornammo incolumi con il volto fuori dall’acqua scoppiai dalle risate a causa di quella sua espressione scombussolata.
Risi così tanto che non seppi nemmeno dire io quando smisi. Silenziosamente, con un sorriso sardonico, Sharon si sistemò i capelli bagnati via dal volto, dato che ero praticamente io che la tenevo a galla, in braccio a me. Ora che eravamo in acqua la fatica veniva ancora meno. Senza che lei se ne accorgesse, arrivai in un punto dove potei toccare anche io, almeno per il momento.
«Com’era il tuffo? Emozionante?», le chiesi, mentre lei mi lanciò uno sguardo sorridente e diabolico. «Vedi, alla fine non era poi così terribile! Ho anche mantenuto la promessa, tu che eri scettica»
Lei sorrise, più tranquilla di prima. «Grazie, sei stato gentile. Non ho sentito mancare la tua stretta nemmeno un secondo...», rispose con lentezza mordendosi un angolo del labbro inferiore.
Il suo respiro caldo poco lontano dal mio volto e le sue mani strette in una morsa delicata attorno al mio collo... Dentro di me, il cuore aveva ripreso a battere a ritmi troppo accelerati per essere solo una lieve palpitazione anormale.
Più cose stavano prendendo chiarezza dentro la mia anima e il mio cuore... E dentro la mia mente.
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Capitolo Ventidue.
Lose direction of my mind
Punto di vista: Sharon Villa/Michael Jackson.
Mille tremori m’invadevano – braccia, testa, schiena avevano mai perso il contatto con gli impulsi nervosi del cervello – e il fiato si faceva ogni secondo sempre più esitante. Non sapevo nemmeno come il mio cuore potesse ancora battere, a dispetto di quel dato di fatto.
Potevo sentire l’adrenalina della nostra vicinanza, ogni centimetro che divideva i volti l’uno dall’altro emanava una palpabile sensazione di stordimento inaudito. La
situazione era inaudita. I sentimenti che stavo provando erano insensati, troppo coraggiosi per dovere ad un batticuore di circostanza.
Non seppi quanto tempo rimanemmo così, ma per me sembrò che si fosse fermato per sempre. Le sue mani grandi a tenermi ferramente la schiena, le mie d’istinto legate al suo collo con delicatezza, accarezzate dolcemente dai suoi riccioli neri bagnati... Occhi negli occhi, potevo scrutare nei suoi quelle profondità scure e intense la ricchezza di una luce molto più brillante di quella che mostrava ogni momento in cui mi capitava di osservarlo. Guardai ogni contorno, ogni minimo lineamento di quel viso troppo inumano per appartenere ad un uomo qualsiasi.
Ero sul punto del non ritorno. Il mio cuore stava procedendo senza tener conto dei rischi di cui mi stava avvertendo la mente. Avevo perso la direzione della mia testa, non m’importava più a cosa sarei andata contro, volevo solo avvicinarmi a lui... Volevo essere più vicino alle sue labbra, accostarle alle mie desiderose di un qualcosa che non credevo sarei riuscita mai a provare nella mia vita con nessuno. Neanche la unica parte lucida della mia coscienza ormai poteva farmi riprendere da quei pensieri!
Con respiro fermo in petto, mi strinsi al suo petto in contemporanea al momento in cui lui restrinse le sue mani più possentemente dietro la mia schiena. In automatico, portai il mio viso nel solco del suo collo, lasciando un inudibile sospiro fuoriuscire dalle mie labbra socchiuse.
«Adori stare con il volto sull’incavo destro del collo...», constatò lui con voce sottile, affievolita da un respiro soffocato che gli uscì da quelle labbra perfette. Con le poche forze che avevo in corpo, le quali a quell’abbraccio sembravano essere scomparse, riuscii a sorridere.
«Penso sia una cosa ereditata fin dalla mia infanzia», dissi riprendendo voce alle mie corde vocali. «La mia mamma mi diceva sempre che amavo rimanere così, soprattutto quando mi prendeva in braccio, in ogni occasione si ponesse di fronte, ma che lo facevo solo con poche persone...»
«Chi erano queste persone?», chiese con sincera curiosità, cominciando ad accarezzarmi i capelli. Se non fosse stato lui a reggermi per la schiena, pensai che sarei sprofondata a picco immediatamente. Quel momento era troppo eccitante – lui era troppo eccitante! – da riuscire a tenere a bada.
«Be’... Mia madre... Mio cugino... Solo due, tre cioè con te...», risposi prendendo lunghe pause con l’intenzione di tenere sotto controllo il respiro. Sentii la presa alle mie spalle farsi più stretta, aumentando in automatico la pressione delle mie mani legate al suo collo e il contatto sentito fra i nostri corpi. Stavo trattenendo il respiro...
«Allora posso considerarmi di gran lunga fortunato...», rispose con sorriso sulle labbra. Feci lo stesso e, con un coraggio che non seppi da dove provenisse, spostai la mia fronte sulla sua scapola. Lo sentii addirittura irrigidirsi, trattenere il fiato come avevo fatto io poco prima, ma non ero decisa a muovermi.
«Perché ti definisci così fortunato? A molti non interesserebbe neanche se questo mio gesto è ereditato o no, o se è solo un vizio...», ribadii seria, lasciando per il momento da parte le mie calure, osservando ogni contorno di quella sua spalla destra che sembrava scolpita.
Michael mi osservò serio, con delicatezza riportò con sole due dita il mio mento verso il suo viso, cosicché i nostri occhi fossero ancora incatenati gli uni agl’altri. Eravamo nella stessa posizione iniziale, quella prima che io spostassi il mio capo sul suo collo, e tenevo le mie mani sul suo petto.
«A me interessa la ragione del tuo gesto, è vero, ma sei tu in realtà che mi coinvolgi; voglio scoprire ogni cosa che ti riguarda... Ogni sofferenza, ogni segreto, ogni passione, ogni cosa che non sopporti o ami... Voglio conoscere in tutto e per tutto la persona di cui io mi sto...»
«Michael, ti devo parlare», intervenne una voce maschile. Con gesto secco mi allontanai pochi centimetri dal suo volto, guardando l’uomo che mi ritrovavo di fronte. Chi altri era, se non il suo manager?
Michael voltò quasi totalmente il capo verso le sue spalle, all’inizio stranito, poi osservando con sguardo serio - e dedussi anche un po’ irritato – il signor Di Leo, il quale rimase neutro a guardarci... Anzi, guardava lui. Io ero invisibile.
Preoccupata che Michael poi potesse risentire di quella situazione con il suo manager o chiunque altro, cercai di allontanare la presa che mi teneva legata al suo petto. Contro ogni mia aspettativa, lui non si decise a slegare le sue mani attorno alla mia schiena ma a stringermi ancora di più al suo corpo. Potei dire di essere stata rossa in viso come non mai, totalmente imbarazzata da quel suo modo istintivo che non prevedeva di lasciarmi andare in ogni maniera.
«Frank», iniziò lui con espressione distaccata. Vedere Michael non sorridere era una strana sensazione, soprattutto se in un’occasione del genere. «Se si tratta di lavoro, ne possiamo parlare domani in privato...»
«Non si tratta di lavoro, solo due parole... Ti rubo cinque minuti del tuo tempo libero», rispose immediato lasciando quegli occhi vacui senza il minimo cambiamento. Michael sospirò affranto, abbandonando la presa con cui mi teneva, e mi rivolse un’occhiata amareggiata.
«Torno subito, te lo prometto», mi sussurrò in un orecchio, accompagnando i miei piedi ad appoggiare il fondo della piscina. «Qui si riesce a toccare, non muoverti e non... »
«Forse è meglio smettere qua», dissi, ignorando lo sguardo perplesso che mi lanciò non appena enunciai quelle parole. «Vai a parlare, prenditi tutto il tempo che vuoi... Possiamo benissimo fare un altro giorno».
«Forse faresti bene ad ascoltarla, Michael», disse l’uomo a bordo piscina.
Ah, mi dissi mentalmente indecisa se mostrare uno sguardo irritato,
adesso esisto?
Vidi Michael gettargli un’occhiata fulminea, senza voltare le spalle, affinché l’altro non riuscisse a percepirla, dopodiché mi studiò con attenzione. «D’accordo, però tu intanto vai a cambiarti e a farti con tutta calma una doccia. Le mie sorprese non sono ancora finite...».
Senza esitazioni annuii, obbedendo agli ordini da lui richiesti. Non so se lo fece apposta o perché gli venisse naturale, ma mi prese la mano e con passi lenti ci ritrovammo entrambi fuori dalla piscina. Ora che ne avevo una visione più ravvicinata potevo scorgerlo più sensuale di sempre, forse anche più di prima di quando l’avevo visto bagnato la prima volta, corso fuori dall’acqua per buttarmi dentro con lui.
Non riuscivo proprio a capacitarmi di quanto potesse deviare la mia mente. Vedevo il suo fisico, e il mio cuore accelerava ogni suo battito, rischiando di andare in iperventilazione. Ancora non mi ero abituata a quel ben di Dio... Soprattutto se bagnato d’acqua, con quel costume nero a sottolinearne le curve...
Oh Cristo di Dio! Sharon!, mi rimproverai mentalmente, in meno di un secondo in cui un pensiero poco casto mi balenò in mente, scuotendo la testa percettibilmente con una smorfia.
Prendemmo i nostri accappatoi - frattanto che Frank svolse perfino il capo da tutt’altra parte piuttosto di non vederci - e mi lasciai guidare da Michael lungo il corridoio di luce arancione, ignorando egli stesso se il manager gli fosse dietro. Non sapevo come si sentisse Michael, ma potevo percepire dalla sua stretta che fosse per ovvietà di cose abbastanza sull’attenti. In parte, mi sentivo perfino osservata da quell’uomo robusto chiamato Frank Di Leo. Fu così che poco dopo, dopo un’ultima carezza sulla mia mano, poco prima di separarla dalla sua, lo vidi avviarsi con l’altro allo spogliatoio maschile.
A passi trascinanti, mi diressi in quello femminile, facendo come mi aveva detto Michael. Mi spogliai, mi feci una rapida doccia per togliermi via quel tanto mancato quanto nostalgico odore di cloro dalla mia pelle, indossando il vestito che avevo trovato assieme al costume, quasi una buona mezz’oretta prima.
Presi tutto il tempo per riprendere i battiti e respiri mancati, e, nel frattempo, l’apatia cominciò a fluttuante nei miei pensieri.
***
«Tu sei completamente impazzito, ti rendi conto?», disse Frank, abbastanza agitato, squadrandomi dritto negli occhi, irrigidito. Io battevo i piedi a terra, con lo sguardo verso il basso, guardando ogni piccola gocciolina d’acqua che cadeva giù dal mio corpo bagnato d’acqua clorata, cercando con tutte le mie forze di lasciar perdere ogni sua parola o discorsetto che stava per rivolgermi.
«Non capisco di cosa parli, Frank. Io sono assolutamente normale, come ogni giorno», risposi cercando di sviare il discorso, con tutte le intenzioni di chiuderlo e recuperare il materiale per farmi una doccia, cosicché da non far aspettare molto Sharon. Immaginavo già le cose che si era preparato in testa da dirmi e, detta tutta, proprio non mi interessava quello che pensava, nonostante fosse il mio manager.
«Sì che lo sai, e riguarda appieno quella ragazza che prima era abbracciata a te e che tu tenevi stretta al tuo petto!», continuò con gli occhi sbarrati ad ogni parola che gli usciva dalla bocca. Sbuffai stanco.
«Non c’è niente di cui discutere. Vuoi sapere perché eravamo in quella situazione? Vuoi sapere perché l’ho portata qua con me in piscina privata, nonostante ti avessi già avvisato di starne fuori? Be’, non sono affari tuoi», dissi convinto, dandogli le spalle alla ricerca del balsamo fra tutti quei prodotti proposti.
«Invece sono affari anche miei, anche sulle ragazze che decidi di portarti a letto in un futuro prossimo o che, invece che essere delle ballerine e basta, come da contratto, si comportano da tutt’altra cosa!», esclamò portandosi le mani sui fianchi.
Mi voltai di scatto, irritato, alzando un sopracciglio sconvolto. «Frank, starai scherzando spero?! Non posso credere che tu possa dire certe cose, non posso credere che tu le pensi veramente!»
«Invece sì, Michael, e sono convinto che sotto quella maschera da bambola caffèlatte ci sia una persona pronta a ferirti. Avanti, tutti vogliono stare con te solo per la tua fama, per quello che potrebbero diventare a stare un solo secondo sotto i riflettori con te! Credi che lei sia diversa da tutti?»
«Frank, non mi servono i tuoi pregiudizi insensati e ridicoli, visto che, per prima cosa, tu non la conosci nemmeno un poco per quel che la conosco io; secondo, in questi giorni che ho passato con lei non sono stato bene, ma stupendamente! Sono riuscito a essere solo Michael, un uomo senza quella solita maschera che deve usare con tutti per proteggere sé stesso!»
«Lei ti procurerà dolore come tutti gli altri, stanne certo! E poi non sai quanto sia capace di mentire bene una persona come lei, non ne dubito visto che è bravamente riuscita a stregarti in questo modo...»
«Sharon non mente, lei è
sincera! È sincera, ha provato mie stesse paure che altri non riescono nemmeno ad immaginare, compreso tu! Suo padre la picchiava, come anche mio padre con me; ha paura di rimanere sola e di venire ferita un’altra volta nella sua vita, proprio come me!... Ma che sto a parlare a fare con te di queste cose! Non puoi capire...» dissi cominciando a camminare nervoso avanti e indietro per la stanza.
«Ascoltami, Michael, tu non sai assolutamente dei problemi con cui stai andando incontro con lei...», fece per continuare Frank, ma la mia pazienza era già ridotta in granelli di polvere pronti a scomparire. Mi stava rovinando tutta l’enfasi di quel delicato momento passato con Sharon...
«No,
tu ascoltami!», dissi con rabbia e fermezza, puntando l’indice della mia mano sinistra in alto, a pochi centimetri dal mio viso. «Io so a cosa sto andando incontro, non sono un bambino inesperto su queste cose, e so che di lei posso fidarmi. Ho vissuto da quando avevo cinque anni nel business. Potrò riporre in lei la mia fiducia e lealtà per sempre! Lei non è come gli altri. Perciò, se a te questo sta bene, ne sono felice... Altrimenti non mi interessa! Non ascolterò nessuno se non il mio cuore e la mia di testa...»
«Michael, stammi ad ascoltare!..», disse lui avvicinandosi a me con una calma snervante con lo scopo di tranquillizzare i miei nervi. Come poteva, ora che aveva scatenato l’inferno dentro me?
«...E terzo», dissi alzando la mia voce a risuonare di qualche nota sopra la sua. «Non voglio che parli di Sharon in quel modo, per nessuna ragione! Non m’importa cosa pensi, lasciala in pace. Lasciami in pace!»
Nello sguardo di Frank vidi una luce di paura misto ad un sentimento di rabbia repressa farsi avanti, nonostante il vuoto di quei suoi occhi scuri. Ignorando quell’occhiata di rancore, proseguii prendendo con gesto irritato e secco il mio cambio di vestiti per dopo.
«La mia vita sociale la controllo da me, se sbaglierò ne pagherò le conseguenze! Tu e tutti gli altri dello staff non siete pagati per controllare le mie relazioni affettive, quello è esclusivamente compito mio».
Frank fece per dire qualcosa, ma con gesto ferreo chiuse le sue labbra in una stretta irata, per poi passarsi una mano a massaggiarsi il collo. «Ne riparleremo domani, Michael. Magari sarai abbastanza rilassato da poterne discutere con calma, una volta passata la sbornia causata dalla presenza di Sharon...»
«Non ci sarà bisogno. Non c’è nient’altro da dire, non voglio più sentire una parola su questa faccenda a meno che non sia per questioni veramente
importanti!», dissi freddamente. «E ora, se permetti...»
«Ci vediamo, Mike...», disse Frank non aggiungendo altre parole, voltando i tacchi verso l’uscita dello spogliatoio prima che gli potessi chiedere di andarsene. Non appena ne fu fuori, sentii il bisogno di sfogare quella estenuante pressione che mi aveva provocato. Rimasi immobile e in silenzio per pochi istanti. Poco più tardi, con fare rude presi il mio accappatoio che mi ero tolto poco prima di immergermi nelle docce e lo buttai a terra con rabbia. Loro – nessuno di loro! – avrebbe potuto capire quello che provavo...
Sharon non era come Frank pensava che fosse... Io ne ero convinto... Io sapevo dentro di me che non mi avrebbe mai fatto del male... Dio me lo aveva confermato, molte volte; in ospedale per esempio, o quel giorno. Lei me lo avevo confermato, con la sua dolcezza, e con situazioni in cui avevo potuto scoprire, pezzo per pezzo, alcuni dettagli importanti della sua anima.
Per lunghi istanti lasciai lo scorrere fresco della doccia prendere il sopravvento sulla mia anima, placando i bollori della rabbia appena avuta... Forse era vero che ero stato un po’ troppo aggressivo, ma non tolleravo che si potesse pensare e/o offendere in quel modo Sharon... Proprio non lo tolleravo!
No, lei no... Non Sharon. Lei era quella ragazza. Quella che io stavo cercando... Solo lei...
***
Con il battere del mio piede destro sulle piastrelle bianche, aspettavo in ansia Michael. Il signor Di Leo doveva essersene già andato, prima che io avessi finito di cambiarmi e tutto il resto. Con mia fortuna, non lo avevo neanche incrociato.
Frattanto che aspettavo che Michael arrivasse, potei trastullarmi con il vestito nero che indossavo. Era un capo magnifico; due fasce di seta – con lieve apertura fra esse - mi tenevano strettamente il seno, legate entrambe dietro il mio collo, mentre uno stretto bustino scendendo prendeva la forma di una gonna dai mille veli che, girando, si aprivano lasciando un po’ scoperte le gambe. Ai piedi, indossavo delle ballerine intonate all’abito, basse, con un fiocco in ognuna di esse ad incorniciare ciascuna scarpa.
Per una volta nella mia vita possedevo qualcosa di principesco; era il mio sogno di quando ero molto piccola indossare un qualche capo d’abbigliamento simile, allo stile Marilyn Monroe, e finalmente ne avevo avuta la possibilità, almeno per un’ora soltanto mi sarebbe bastato.
Mentre mi svagavo allegramente come una bambina di pochi anni per quella mia piccolo soddisfazione personale, rispecchiando il mio riflesso nell’acqua limpida della piscina quieta, sentii d’improvviso una forza sollevatrice alzarmi da terra alle spalle. Due mani mi presero per il busto, legate assieme in una presa solidissima, facendomi girare senza che i miei piedi toccassero terra. Risi per quella sorpresa inaspettata, proprio mentre mi faceva roteare. Chi era se non Michael?
Stupendo come sempre, indossava pantaloni stretti - da crepacuore - e neri e una magnifica camicia rossa. Era incredibile, ma ogni cosa che si metteva lo faceva risaltare ancora più paradisiaco di quanto non lo fosse già! Anche vestito di stracci, per me lui sarebbe rimasto sempre un incanto...
«Ti ho fatto aspettare molto?», disse lui facendomi fare mezzo giro guidato da una sua mano su me stessa, in modo che potemmo essere di nuovo uno di fronte all’altra, occhi incatenati agli altri. Non appena vidi il suo sorriso grande su me, non potei che allargare a dismisura il mio.
«No, non tanto...», risposi con fare da furbetta, gettando un’occhiata al vestito. «E’’ stato un tempo necessario per riuscire a godermi un abito che ho sempre sognato d’indossare... Grazie di cuore!»
Lui prese la mia mano sinistra adagiata sul mio fianco con così tanta dolcezza che temetti di potermi sbriciolare come un biscottino, nel frattempo che i suoi occhi si riempirono di un qualcosa d’indescrivibile.
«Tu non devi ringraziarmi di nulla, davvero. Ti meriti queste cose come nessun altro. E’ il mio primo regalo per te...», poi, ignorando la mia espressione sbigottita, divenne più serio e preoccupato. «Hai per caso incontrato Frank...?»
Io scossi la testa, rassicurandolo con un sorriso mite, e allora lo sentii sospirare sollevato. Chissà cosa si erano detti... Di sicuro, però, ero convinta che avessero parlato di me. Il mio sesto senso non mi ingannava mai – o quasi – e negli occhi di Michael riuscivo a scorgere scintille opache di pensieri cupi.
«Qualcosa non va, Michael?», chiesi istintivamente inclinando il capo coprendo il punto a terra cui li stava fissando. Lui m’osservò dapprima confuso e stranito, in seguito si aprì in un altro di quei sorrisi angelici.
«No, stai tranquilla», rispose scuotendo poco il capo. Successivamente, dopo avermi guardato con un’altra delle sue occhiate sbarazzine prese la mia mano e mi fece girare di nuovo su me stessa, divertito. «Sei bellissima, leggermente di più di quanto lo sei già sempre e comunque...»
Sentii le mie guance il torpore di un’imminente coloratura scarlatta sulle mie guance e ogni pensiero dal minimo senso logico frammentarsi. Non credevo possibile che potesse esistere una persona così dolce, capace di rompere in solo poco tempo le mie barriere di diffidenza verso gli altri, create dopo tanti anni di duro impegno emotivo, e rendere così frastornata la mente.
Sorrisi, con ogni istinto a reprimere quel calore che provavo dentro. «La questione vale anche per te, solo che tu sei sempre bellissimo», sbottai recitando una smorfia da bambina piccola.
Nonostante si mise a ridacchiare, continuai a parlare. «E comunque, grazie. Non ricevo molto spesso complimenti, il più delle volte solo critiche...», ammisi abbassando lo sguardo con un sorriso rassegnato.
Nel frattempo che gli mostrai un’espressione birichina – per non pensare a tutte le belle parole mai ricevute nella mia vita – lui mi guardò amorevolmente. «Allora ci penserò io a dirti tutte le cose che le altre persone non ti hanno mai detto. A cominciare da questo...»
Così dicendo, senza che potesse passarmi per l’anticamera del cervello che potesse fare una cosa del genere, mi si avvicinò baciandomi delicatamente la guancia sinistra. Un fiume di tremendi brividi senza pietà m’invase tutto il mio corpo, il quale non aveva né la forza né l’intenzione di muoversi dalla posa fossilizzata in cui si trovava. Il mio cuore non batté fino a quando Michael si staccò con lentezza dal mio viso arrossato e bollente di un sentimento che non sapevo al momento descrivere.
“Oh. Mio. Dio. Abbi. Pietà. Di. Me.”, fu questo l’unico pensiero istantaneo che mi balenò nel cervello, echeggiando in tutto il mio spirito sottosopra. Ero intontita fuor di maniera, neanche avessi usato di sostanze stupefacenti con effetti irrimediabilmente gravi.
Intanto che io pensavo alla straordinarietà di quel gesto così tenero e senza confronti, vidi Michael studiarmi con sguardo attento e curioso, serio ma negl’occhi una piccola luce di soddisfazione brillava.
Senza pensarci su, parlai. «Lo sai che questo te lo meriteresti anche tu, dopo tutta la sopportazione che hai avuto nei miei confronti?», sbiascicai inerme di fronte alla sua presenza, a sopracciglio inarcato e sorrisetto.
Michael rise divertito, lanciandomi un’occhiata di evidente felicità. «In effetti sì, ma non adesso. Abbiamo altre cose da fare; come ti ho detto già prima, altre
sorprese... Prima fra tutte, ti devo far conoscere qualcuno che, da quando siamo arrivati, non ho potuto farti conoscere...»
Lo guardai con aria interrogativa. «Davvero? Ma non è parte dello staff del tour?»
Sorrise. «In realtà non lo è affatto. È una mia amica davvero speciale, una delle poche importanti che ho...»
E adesso sta qui chi è?, mi chiesi sentendo quelle solite spine di gelosia infilzarmi il cuore, accorgendomi che il mio volto doveva aver cambiato espressione. Fortunatamente, Michael non se n’accorse nemmeno!
Neanche mi lasciò il tempo per reagire o rispondere a quella sua frase, che con la sua solita risata cristallina e lieve mi portò fuori dalla stanza della piscina privata, ancora mano nella mano, in una direzione a me conosciuta.