I costi della politica : i nuovi sottosegretari ci costeranno tre milioni di euro

Ultimo Aggiornamento: 26/08/2011 00:49
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01/07/2011 21:32
 
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Rimborsi da favola per i consiglieri regionali emiliani: 81 euro ogni cento chilometri A Bolzano lo stesso percorso è rimborsato 37 euro. Le aziende private al massimo arrivano a 30. Così i consiglieri del Movimento 5 Stelle presentano un esposto alla Corte dei Conti: "Contro ogni regola dettata dall'Aci". Rimborsi chilometrici: nella provincia autonoma di Bolzano, i funzionari pubblici e i consulenti che lavorano su progetti finanziati con denaro pubblico ricevono in media 37 centesimi di euro con variazioni mensili legate alle oscillazioni del prezzo della benzina. A Roma, invece, ci sono aziende private di piccole e medie dimensioni che ricevono commesse da istituzioni e che si rifanno, caso per caso, ai tariffari Aci orientandosi tendenzialmente su un uso medio di 30 mila chilometri all’anno e assestandosi per lo più tra i 27 e i 33 centesimi. I picchi si possono talvolta raggiungere se si usano auto come una Fiat Punto 1.8 per meno di 5 mila chilometri all’anno: in questo caso il rimborso sarà, almeno in termini orientativi, di 44 centesimi a chilometro.

In Emilia Romagna invece no. Se siete un consigliere regionale in viaggio per conto dell’Assemblea e da Bologna andate a Rimini, un centinaio di chilometri di viaggio, c’è caso che vi vediate rimborsare – ritorno escluso – 81 euro. Infatti 0,81 è la tariffa a chilometro, con un aumento del 30 per cento rispetto al passato, quando la tariffa era di 0,65.

“Questo significa”, dichiara il consigliere regionale del Movimento 5 Stelle Andrea Defranceschi, “che stando alle tabelle Aci, sulle quali si fanno i calcoli, tutti noi abbiamo un’Audi 3000 cc da 265 cavalli o una Bmw Cabrio 3000 cc da 218 cavalli, ma posso assicurare che non è così”.

Defranceschi e il suo collega Giovanni Favia, nel denunciare l’anomalia on the road emiliano-romagnola, hanno presentato una risoluzione in cui chiedono che “i criteri di rimborso vengano rivisti con urgenza. Primo, sarà necessario legare il rimborso chilometrico all’auto effettivamente usata per venire al lavoro. Secondo, chiediamo che i rimborsi siano dati in base all’effettiva presenza in sede, come in ogni azienda gestita in maniera sana”.

Le richieste del M5S in via Aldo Moro si articolano su due punti perché non c’è solo la questione del rimborso chilometrico: l’ulteriore nodo sollevato riguarda un tetto massimo di 12 presenze mensili per attività legate al proprio mandato istituzionale. Ma ci sono consiglieri che usano la propria auto tutti i giorni feriali, per cui almeno il doppio delle volte stabilite dall’assemblea regionale. Consiglieri, questi, che rischiano di essere “svantaggiati” – affermano ancora i due consiglieri regionali – rispetto a coloro che trascorrono meno tempo nel loro ufficio in Regione.

“Noi chiediamo solo che si applichino i criteri che le aziende applicano ai propri dipendenti in tutto il mondo”, scrivono ancora Defranceschi e Favia. I quali annunciano l’intenzione di ottenere un parere autorevole in argomento. “Abbiamo preparato una richiesta da inviare alla Corte dei conti in cui chiediamo un parere su questa situazione che secondo noi è di cattiva gestione. Dati alla mano, vedremo”.

Se la richiesta è già pronta, i consiglieri M5S fanno sapere di volerla depositare entro la settimana prossima. Dopodiché, in base alla risposta che giungerà da Roma, decideranno in che modo proseguire nella loro battaglia perché le tariffe dei rimborsi siano ritoccate verso il basso, in media con quanto avviene altrove.


www.ilfattoquotidiano.it/2011/07/01/rimborsi-da-favola-per-i-consiglieri-regionali-emiliani-81-euro-ogni-cento-chilometri...

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03/07/2011 14:27
 
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Manovra, la stangata nascosta
sale il ticket e salasso sui trasporti
Rincari per benzina e Rc auto, a rischio treni e pedaggi. Triplicato il bollo sui titoli in banca. Secondo la Cgia, il costo pro capite delle misure varate dal governo sarà di oltre 700 euro
di ROBERTO PETRINI
Già più cari carburanti e bollette
ROMA - Neanche il "Generale Agosto" potrà farla dimenticare. La stangata d'estate, imperniata sul combinato disposto della manovra da 47 miliardi 1 varata giovedì scorso, gli effetti degli aumenti delle tasse locali ai quali ha aperto la strada il federalismo fiscale, e gli interventi spot come quelli sulle accise per la benzina per finanziare l'emergenza Libia e le spese per la cultura, rischia di essere dolorosa. Per la Cgia di Mestre la correzione per il solo anno in corso costerà 741 euro per ciascun italiano. la Federconsumatori, che valuta le misure in termini di perdita di potere d'acquisto, prevede un salasso di 927 euro a famiglia.

La via dolorosa è già iniziata con l'aumento delle accise sulla benzina scattate nell'ultima settimana: in tutto 6 centesimi al litro, Iva compresa, che hanno già fatto lievitare il costo del pieno. La data del 30 giugno ha anche consentito di fare il bilancio degli aumenti delle addizionali Irpef comunali, consentite dal decreto sul federalismo: 55 municipi, tra i quali Brescia e Venezia, hanno messo in campo aumenti fin da quest'anno dello 0,2 per cento. Anche le Province sono sul piede di guerra: 29, un terzo del totale, hanno approvato l'aumento dell'aliquota sulla Rc auto del 3,5 per cento, come stabilito dal federalismo, portandosi a quota 16 per cento. Si attende - a giorni - solo il decreto attuativo per far partire gli aumenti della base imponibile dell'Ipt, l'imposta sui passaggi di proprietà che potrà essere elevata del 30 per cento e sarà legata alla potenza fiscale. Ed è solo l'inizio della danza, perché i rincari potranno essere reiterati dal 1° gennaio del 2012.

I tagli di 9,3 miliardi agli enti locali imposti dalla manovra saranno la miccia che renderà inevitabili gli aumenti delle tasse locali, ad esempio nei 2.500 comuni che hanno ancora l'addizionale Irpef a quota zero. Senza contare che le Regioni, negli anni topici dell'impatto della manovra potranno aumentare le addizionali Irpef fino al 3 per cento.

E ancora: dal primo gennaio del prossimo anno tornerà il ticket di 10 euro sulla diagnostica e sulla specialistica, mentre i "codici bianchi" al pronto soccorso pagheranno 25 euro. Nemmeno due anni e, nel 2014, come previsto dalla manovra di giovedì scorso, scatterà la possibilità di un aumento della quota nazionale dei ticket sulla farmaceutica. Secondo le stime dell'Università di Tor Vergata, la manovra comporterà un taglio di 10 miliardi in tre anni alla sanità pubblica, innescando aumenti dei ticket e tasse regionali (500 euro all'anno a famiglia).

La tassa sulle auto più potenti è stata ridimensionata, ma aumenti pendono sugli automobilisti se passerà la contrastata norma sul "pedaggiamento" dei tratti stradali Anas come il Gra e e la Salerno-Reggio. Brutte sorprese, inoltre, per i risparmiatori e coloro che hanno un dossier titoli: schivato all'ultimo momento il ritorno del fissato bollato su ogni transazione, arriva però l'aumento del bollo sui dossier titoli che viene più che triplicato e passa a 120 euro.

Senza considerare che il governo nei prossimi tre anni avrà in mano una delega che gli consente di aumentare, seppure gradualmente, l'Iva: una misura che nessuno può escludere che arrivi prima dei tre anni previsti. Del resto i rincari camminano a passo veloce, da due giorni sono scattati aumenti di luce e gas: la norma che avrebbe potuto compensare i rincari e ammorbidire la bolletta energetica del 3-4 per cento con un taglio degli incentivi è scomparsa dalla manovra. Mentre si profila un nuovo rischio: le grandi aziende concessionarie di beni pubblici, come le autostrade, gli aeroporti e le ferrovie, subiranno una stretta nei bilanci sulle politiche di ammortamento e non è escluso che si vedano costrette a chiedere nuovi aumenti tariffari.
(03 luglio 2011)


www.repubblica.it/economia/2011/07/03/news/manovra-18579857/

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03/07/2011 14:31
 
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Risparmio, i soldi sul conto valgono di più
L'aliquota unica del 20% premia il lungo termine
L'imposta di bollo sul deposito titoli sale a 120 euro



Code in banca (Fotogramma) MILANO - Tra qualche anno un Fisco nuovo per le rendite finanziarie. Con un'aliquota unica del 20% che premia il risparmio lasciato sul conto corrente ma anche quello che trova il coraggio del lungo termine. Chi ha un dossier in banca, però, dovrà incassare in tempi veloci un notevole rafforzamento dell'imposta di bollo, introdotta nel 1992 e mai più modificata. Si passerebbe da 34,20 a 120 euro l'anno. E poi c'è il ritocco all'Irap per banche e assicurazioni (0,75 per cento) che ha sostituito il revival del fissato bollato sulle operazioni di Borsa e la tassa sul trading delle banche, improponibili perché in contrasto con regole già approvate e nuove tendenze dell'Unione europea. Queste sarebbero le novità fiscali più significative per gli investitori privati, che si stanno chiedendo in che modo la manovra entrerà in rapporto con i risparmi di famiglia. L'Irap non è direttamente affar loro, ma aspettarsi che in qualche modo i maggiori oneri per le banche arrivino a valle non è un esercizio di pessimismo eccessivo.
E il Fisco nuovo come sarà? L'aliquota unica sulle rendite da capitale al 20% porterebbe in dote un notevole sgravio per i conti correnti di tutte le specie, il cui rendimento è tassato oggi al 27%, mentre diventerebbe più salato il conto erariale per azioni, obbligazioni, fondi e altri strumenti finanziari che oggi sopportano un'imposta del 12,5%. Da questo nuovo sistema sarebbero invece esclusi i titoli di Stato italiani (che resterebbero tassati al 12,5%), oltre a fondi pensione, forme di assistenza socio-sanitaria complementari e piani di risparmio a lungo termine. La previdenza integrativa, quindi, manterrebbe probabilmente l'attuale regime agevolato di tassazione. I piani di risparmio a lungo termine - una possibilità che per ora il nostro sistema non contempla - sarebbero invece una novità e un modo per invogliare l'investimento duraturo nel risparmio gestito, già sperimentata in altri Paesi europei e negli Stati Uniti.


Come funzionano? Si tratta di conti dove è possibile depositare strumenti e titoli impegnandosi a mantenerli per cinque, dieci anni in cambio di un lauto sconto fiscale a fine corsa. Una proposta articolata in merito è stata messa sul tavolo nei mesi scorsi da Assogestioni, la Confindustria dei fondi guidata da Domenico Siniscalco. L'aumento dell'imposta di bollo sull'estratto conto del deposito titoli potrebbe essere invece una misura che entra in vigore velocemente. Oggi è pari a 34,20 euro annuali per tutti coloro che hanno in giacenza valori superiori a mille euro. L'aumento è notevole, fino a 120 euro. Vale a dire più del triplo. La mini stangata arriverebbe, come accade ora, contestualmente alla consueta comunicazione sullo stato dell'arte del dossier, che può essere trimestrale, semestrale o annuale.

Giuditta Marvelli
03 luglio 2011 11:22


www.corriere.it/economia/11_luglio_03/marvelli_risparmio-conto-correnti-convengono_b1c02798-a54b-11e0-980c-35d723c25d...

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03/07/2011 23:10
 
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Assegni più leggeri da 8 a 150 euro
La nuova mappa della previdenza
Il costo della stretta: quattro miliardi e mezzo in due anni



Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ROMA - La nuova stretta sulla previdenza costerà ai pensionati italiani almeno 4 miliardi e mezzo di euro nei prossimi due anni. Sempreché l'inflazione non continui ad aumentare, rendendo più doloroso il blocco, totale o parziale, della rivalutazione degli assegni superiori ai 1.428 euro lordi mensili. Il freno all'indicizzazione porterà nelle casse dello Stato 2,2 miliardi di euro l'anno: l'effetto sulle pensioni più basse sarà quasi impercettibile, ma sugli assegni più alti l'impatto sarà consistente. Per fare i suoi calcoli il governo ha immaginato un indice di rivalutazione delle pensioni dell'1,5% sia nel 2012 che nel 2013, anche se c'è il rischio concreto, visto l'attuale andamento dei prezzi, che l'indice debba essere rivalutato in misura maggiore. Se arrivasse al 2%, il risparmio sulle pensioni, e dunque il mancato recupero del potere d'acquisto per i pensionati, salirebbe a 3 miliardi di euro l'anno, 6 miliardi nel biennio.
Clausola di salvaguardia
Tenendo per buone le stime del governo, un pensionato che percepisce 1.500 euro lordi mensili dovrà rinunciare a 8 euro l'anno, che salgono a 60 euro nel caso di una pensione mensile di 2.000 euro, a circa 100 se l'assegno è di 2.500 euro, oltre 150 euro su una pensione di 3.500 euro. Sacrifici mitigati solo in parte da una clausola di salvaguardia inserita nel decreto, che rende il blocco della rivalutazione meno aspra rispetto a quelli varati nel 1992 dal governo di Giuliano Amato e nel 1996 dall'esecutivo guidato da Romano Prodi. Mentre allora il blocco fu totale per le pensioni più alte, questa volta un minimo di perequazione ci sarà per tutti. I 3,2 milioni di pensionati che ricevono un assegno da tre a cinque volte il minimo (476 euro), cioè tra 1.428 e 2.380 euro lordi mensili, subiranno solo un taglio del 55% dell'indicizzazione solo sulla quota eccedente i 1.428 euro. E così per i pensionati più ricchi: perequazione totale sui primi 1.428 euro, al 45% sulla quota tra 1.428 e 2.380 euro, nessuna rivalutazione sulla parte eccedente (invece del 75% come avviene oggi).

In pensione più tardi
Oltre alla perdita del potere d'acquisto, ci sarà da fare i conti con l'aumento dell'età pensionabile dovuto alle misure varate negli anni scorsi, e che hanno effetto già da quest'anno. Sui requisiti minimi per la pensione di anzianità giocheranno, infatti, sia il meccanismo delle quote, che già dal 2011 ha portato l'età minima a 61 anni (ma con almeno 36 anni di contributi), che le finestre mobili introdotte con la manovra triennale dell'anno scorso, mentre per le donne che lavorano nel settore pubblico nel 2012 l'età minima per la pensione di vecchiaia salirà di colpo da 60 a 65 anni. Dal 2014 in poi, per tutti, bisognerà considerare anche l'effetto dell'agganciamento automatico dell'età di pensione alle speranze di vita. E, dal 2020, anche per le donne che lavorano nel settore privato partirà l'aumento progressivo dell'età minima, da 60 a 65 anni.Di fatto, già da quest'anno, l'età minima della pensione di anzianità è aumentata di due anni per i lavoratori dipendenti e di due anni e mezzo per gli autonomi. C'è stato il passaggio da "quota 95" a "quota 96", cioè 61 anni di età invece di 60 con 35 anni di contributi. In più sono scattate le finestre mobili, che di fatto mangiano un altro anno alla pensione: l'assegno previdenziale, infatti, comincia ad arrivare 12 mesi dopo la maturazione dei requisiti minimi per i dipendenti, 18 mesi per gli autonomi. Dal 2013 si passerà a "quota 97" per i dipendenti e a "quota 98" per gli autonomi, quindi l'età minima salirà ancora di un anno rispetto a oggi. E nel 2014, un anno prima del previsto, entrerà in gioco il meccanismo dell'adeguamento automatico dell'età minima alle speranze di vita. In sede di prima applicazione l'aumento dell'età di pensione non potrà essere superiore a tre mesi. Dal 2018, però, scattano gli aggiornamenti triennali, che saranno pieni, e capaci di produrre effetti consistenti. Basti pensare che l'Istat ha calcolato che nel 2050, rispetto al 2007, le speranze di vita, a 65 anni, aumenteranno di 6,4 anni per gli uomini e 5,8 anni per le donne.

Appuntamento al 2020
L'appuntamento successivo è fissato al 2020, anno in cui inizierà il percorso di progressivo adeguamento delle pensioni di vecchiaia delle donne nel privato, dagli attuali 60 ai 65 anni degli uomini. Dal 2020 ci vorrà un mese in più, dal 2021 due mesi, e così via, per arrivare a regime nel 2032. L'effetto di tutti questi provvedimenti inciderà in modo molto rilevante sulla spesa pubblica. Ai 4 miliardi e mezzo che saranno risparmiati nei prossimi due anni con la mancata rivalutazione, si devono aggiungere i risparmi attesi dall'agganciamento della pensione alle speranze di vita, modesti nei primi anni (2,1 miliardi di euro dal 2014 al 2020), ma molto rilevanti negli anni successivi: 13 miliardi di risparmio nel decennio 2020-2030, e ben 19 miliardi di euro dal 2030 al 2040. Più quello che si risparmierà con l'aumento dell'età di pensione delle donne e l'allungamento dell'età per effetto delle quote e delle finestre.


La rivoluzione assistenziale
Altri risparmi verranno dalla sistemazione del contenzioso previdenziale nel settore agricolo, prevista dal decreto appena varato dal governo. Ma in prospettiva gli effetti più consistenti sono attesi dalla riforma di tutto il meccanismo dell'assistenza, contemplata dalla delega per la revisione del sistema fiscale, e che si configura come una vera e propria rivoluzione. Il primo passo sarà la revisione degli indicatori della situazione economica dei contribuenti, l'indice di "bisogno" che regola le prestazioni assistenziali. Il vecchio Isee andrà in pensione, e sarà sostituito da un meccanismo che terrà in maggior conto la composizione del nucleo familiare. Poi il passaggio fondamentale sarà la revisione dei criteri per poter ricevere gli assegni. Saranno riconsiderati i parametri per le pensioni di invalidità e anche quelli per le pensioni di reversibilità che si tramandano ai coniugi, che sono 4,8 milioni e che costano 38 miliardi di euro l'anno (34 all'Inps, 4 all'Inpdap). Una cifra molto elevata, pari al doppio di quella che si spende in Francia e in Germania e al triplo di quanto costano, in media, le pensioni di reversibilità in Olanda. E non è tutto, perché la riforma prevede anche un ruolo diverso per l'Inps. Sarà l'agente pagatore e terrà il "fascicolo elettronico" di ciascun assistito. Ma a fare selezioni e controlli per l'accesso e il diritto alle prestazioni saranno Regioni e Comuni. Che dovranno rispettare criteri ben precisi, a meno di non volerci rimettere di tasca propria.

Mario Sensini
03 luglio 2011 12:08

www.corriere.it/economia/11_luglio_03/sensini_assegni-piu-leggeri_a5887fac-a54b-11e0-980c-35d723c25d...

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05/07/2011 01:27
 
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Annunziata: «La Rai tenga i suoi divi»
E giovedì si decide se Santoro resta


CUSANI - Nel corso dell'incontro Sergio Cusani ha presentato l'analisi del bilancio della Rai dopo un'accurata ricerca svolta per la Slc/Cgil. «Per una normale azienda ci sarebbe da dichiarare lo stato di crisi. Nel solo 2010 la perdita è stata di 98 milioni di euro, ma dal 2006 ad oggi - ha spiegato Cusani - è avvenuto un declino continuo che ha portato ad un processo di mortificazione delle risorse interne e di dequalificazione sia tecnologica che professionale». E in questo quadro economico lasciar andar via Santoro che scelta è? «Faccia lei, Annozero portava nelle casse dell'azienda ben 16 milioni di euro».


www.corriere.it/politica/11_luglio_04/annunziata-rai-futuro_00d5d1c0-a66e-11e0-89e0-8d6a92cad7...

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La sinistra senza coraggio
L'astensione del Pd alla Camera sulla soppressione delle province è stato un errore imperdonabile, che significa voltare le spalle al "movimento invisibile" che ha votato alle amministrative e ai referendum
di MASSIMO GIANNINI
Pier Luigi Bersani e Dario Franceschini
IMMERSA nella nube di "cupio dissolvi" che troppo spesso la acceca, la sinistra ha perso una formidabile occasione. Astenersi alla Camera 1, nel dibattito sul disegno di legge costituzionale per la soppressione delle province, è stato un errore imperdonabile. È come se l'opposizione, dopo aver trovato un prorompente e promettente varco politico dentro la società italiana che ha votato alle amministrative e ai referendum, gli avesse improvvisamente e inopinatamente voltato le spalle.

Dilettantismo? Opportunismo? Masochismo? Forse tutte e tre le cose. Sta di fatto che la politica, come la vita, è attraversata da fasi. L'esito della doppia tornata elettorale di maggio e di giugno imponeva una scelta inequivoca, che rendesse manifesta la capacità della sinistra di saper "leggere" la fase, e di saperla cogliere con tempestività e mettere a frutto con intelligenza.

La fase suggerisce l'esistenza di un'opinione pubblica sempre più stanca delle menzogne di un governo mediocre e inaffidabile, e sempre più stufa delle inadempienze di una "Casta" ricca e irresponsabile. Il ddl sull'abolizione delle province era la prima opportunità utile, offerta soprattutto al Partito democratico, per dimostrare di saper stare "dentro la fase".

C'era in ballo una ragione tattica, innanzi tutto. Tra molti mal di pancia, l'altroieri il Pdl e la Lega hanno votato contro il testo proposto dall'Idv, rinnegando l'ennesima promessa tradita della campagna elettorale del 2008. La soppressione delle province era nel programma di governo del centrodestra, che ora se la rimangia allegramente, non solo rinunciando a cancellare le province esistenti, ma creandone di nuove. Sbarrargli la strada con un voto compatto di tutte le opposizioni avrebbe significato una quasi certa vittoria parlamentare, una clamorosa sconfitta della resistibile armata forzaleghista e un palese disvelamento delle sue contraddizioni interne.

Ma c'era in ballo soprattutto una ragione strategica. Il "movimento invisibile" che attraversa il Paese (secondo la felice metafora di Ilvo Diamanti) invoca da tempo un sussulto di dignità dall'establishment. Un taglio credibile ai costi della politica (tanto più di fronte all'ennesima burla prevista sul tema dalla manovra anti-deficit da 40 miliardi) resta uno dei temi più sensibili per una quota crescente di opinione pubblica, che subisce con disagio una condizione sociale sempre più dura e insicura e reagisce con indignazione di fronte ai privilegi sempre più intollerabili delle classi dirigenti. Auto blu, aerei blu, stipendi blu, pensioni blu. Tutto è blu, nel meraviglioso mondo del Palazzo.

Gli italiani chiedono alla politica efficienza, produttività, equità. Le misure appena varate dal ministro del Tesoro non gli offrono nulla di tutto questo. L'abolizione delle province era invece il primo test, sia pure collocato su un piano parzialmente diverso, per dare una risposta a questa domanda degli italiani. Il Pd quella risposta gliel'ha negata. E non ha capito che cogliere un "attimo" come questo è il modo migliore per evitare che monti ancora l'onda dell'antipolitica. È il metodo più efficace per contenerla, senza lasciarsi travolgere e poi essere costretti a subirla e a inseguirla. Com'è successo tante volte alla sinistra, dai girotondi di Nanni Moretti ai raduni di Beppe Grillo.

Ai riformisti non si richiede l'agio di lasciarsi "etero-dirigere" dalle masse, rifiutando la fatica necessaria di provare invece a guidarle. Il voto favorevole alla soppressione delle province poteva essere motivato senza cedimenti al populismo e al qualunquismo, perché la buona politica non deve mai ridursi a un'alzata di mano o alla x su una scheda. Il Pd aveva strumenti per inquadrare quel voto in uno schema di riordino complessivo dell'architettura istituzionale, dove non si punta a picconare a casaccio un sistema di autonomie locali codificato dalla Costituzione. Quello che non doveva fare è trincerarsi dietro la difesa di questo sistema, per giustificare la sua codina astensione. Ed è invece esattamente quello che ha fatto. Legittimando così i peggiori sospetti di chi vede in questa mossa malsana l'intenzione malcelata e maldestra di salvare le solite guarentigie e le solite poltrone.

Le province italiane sono 110. Costano al contribuente circa 17 miliardi di euro, cioè quasi la metà dell'importo della stangata a orologeria di Tremonti. Le presidenze di provincia occupate dal Pd sono 40, contro le 36 del Pdl, le 13 della Lega, le 5 dell'Udc. Tutti tengono famiglia. Ma se la sinistra non ha la forza e il coraggio di dimostrare agli italiani che non tutti sono uguali, la partita dell'alternativa non comincia nemmeno. Siamo fermi a Nenni: le piazze si riempiono, ma le urne si risvuotano.
(07 luglio 2011)


www.repubblica.it/politica/2011/07/07/news/la_sinistra_senza_coraggio-18777976/?ref...

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08/07/2011 11:14
 
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Viene giù tutto, rischio default
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Venerdí 08.07.2011 09:48




Si capisce che a Roma, e da lì per li rami, sta venendo giù tutto. Si capisce che nel Palazzo è in corso una guerra per bande feroce quanto mai per la conquista del potere, fatta di dossier, intercettazioni, soffiate. Si capisce che i vertici delle istituzioni, da Palazzo Chigi ai ministeri più importanti, dalla Giustizia, all'Economia, sono destabilizzati e delegittimati. Ma si capisce anche che le divisioni attraversano tutti i partiti, di maggioranza e di opposizione, in una sorta di guerra di tutti contro tutti. E se nel Centrodestra la lotta tra la corrente di Letta è quella di Tremonti è all'ultimo sangue, di là quella tra Bersani e Veltroni non è un rito del tè. Mentre nella Lega lo scontro tra maroniani e non è al'insegna del mors tua vita mea, e nell'Idv dipietristi e demagistrisiani lottano per il controllo del partito. Merda nel ventilatore, a palate. E senso di impotenza e di pericolo da parte dei cittadini. Visto l'impazzimento di una classe dirigente irresponsabile e in via di implosione, il rischio è che neanche il Quirinale mantenga in mano il pallino e possa organizzare una plausibile via d'uscita. E in tutto questo regolamento di conti mefitico e sanguinoso e tuttavia magari inevitabile e forse anche catartico, il guaio è che la stabilità finanziaria dell'Italia è a rischio. E trascina con sé i conti dello Stato ma anche i risparmi dei privati. Siamo sull'orlo del burrone, ma non si vede chi possa fermare la macchina impazzita che corre verso il precipizio. Le forze più serie e responsabili della società civile, quelle non intruppate e fintamente indipendenti, dovrebbero trovare la forza per emergere, fare rete e contrastare il default. Rimane poco tempo, il momento è grave, facciamo qualcosa tutti insieme per rinsavire.

fonte affari italiani
Questo è il costo più alto che citroveremo a pagare........
08/07/2011 11:39
 
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Re: Viene giù tutto, rischio default
visentindenis, 08/07/2011 11.14:

Viene giù tutto, rischio default
Venerdí 08.07.2011 09:48




Si capisce che a Roma, e da lì per li rami, sta venendo giù tutto. Si capisce che nel Palazzo è in corso una guerra per bande feroce quanto mai per la conquista del potere, fatta di dossier, intercettazioni, soffiate. Si capisce che i vertici delle istituzioni, da Palazzo Chigi ai ministeri più importanti, dalla Giustizia, all'Economia, sono destabilizzati e delegittimati. Ma si capisce anche che le divisioni attraversano tutti i partiti, di maggioranza e di opposizione, in una sorta di guerra di tutti contro tutti. E se nel Centrodestra la lotta tra la corrente di Letta è quella di Tremonti è all'ultimo sangue, di là quella tra Bersani e Veltroni non è un rito del tè. Mentre nella Lega lo scontro tra maroniani e non è al'insegna del mors tua vita mea, e nell'Idv dipietristi e demagistrisiani lottano per il controllo del partito. Merda nel ventilatore, a palate. E senso di impotenza e di pericolo da parte dei cittadini. Visto l'impazzimento di una classe dirigente irresponsabile e in via di implosione, il rischio è che neanche il Quirinale mantenga in mano il pallino e possa organizzare una plausibile via d'uscita. E in tutto questo regolamento di conti mefitico e sanguinoso e tuttavia magari inevitabile e forse anche catartico, il guaio è che la stabilità finanziaria dell'Italia è a rischio. E trascina con sé i conti dello Stato ma anche i risparmi dei privati. Siamo sull'orlo del burrone, ma non si vede chi possa fermare la macchina impazzita che corre verso il precipizio. Le forze più serie e responsabili della società civile, quelle non intruppate e fintamente indipendenti, dovrebbero trovare la forza per emergere, fare rete e contrastare il default. Rimane poco tempo, il momento è grave, facciamo qualcosa tutti insieme per rinsavire.

fonte affari italiani
Questo è il costo più alto che citroveremo a pagare........




La situazione è veramente tragica e il Presidente Napolitano non mi sembra abbastanza forte. L'unica via d'uscita è un governo tecnico con una guida sicura come Amato.
08/07/2011 11:53
 
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Re: Re: Viene giù tutto, rischio default
Victoryfan, 08/07/2011 11.39:




La situazione è veramente tragica e il Presidente Napolitano non mi sembra abbastanza forte. L'unica via d'uscita è un governo tecnico con una guida sicura come Amato.



Amato era un esponente di spicco del partito che ha fatto esplodere il debito pubblico negli anni 80, con regalie e ruberie varie.
Amato è quello che ha approvato DI NOTTE un provvedimento che consentiva la razzia dei conti correnti (una vera e propria rapina).

E' esattamente della stessa razza del tributarista di Sondrio.


“You have to be realistic about these things.”
08/07/2011 11:58
 
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Re: Re: Re: Viene giù tutto, rischio default
Rarronno, 08/07/2011 11.53:



Amato era un esponente di spicco del partito che ha fatto esplodere il debito pubblico negli anni 80, con regalie e ruberie varie.
Amato è quello che ha approvato DI NOTTE un provvedimento che consentiva la razzia dei conti correnti (una vera e propria rapina).

E' esattamente della stessa razza del tributarista di Sondrio.





Amato e Ciampi sono coloro che hanno salvato questo paese dalla bancarotta nei primi anni '90. Questo è il mio pensiero. Se hai un altro nome altrettanto autorevole..puoi anche scriverlo!
[Modificato da Victoryfan 08/07/2011 12:15]
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