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Una cavallina storna?

Ultimo Aggiornamento: 03/11/2007 11:07
03/11/2007 11:07
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Una cavallina storna?




La cavalla storna
Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:
« O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d'otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non tocco' mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l'uragano,
tu dai retta alla sua piccola mano.
Tu c'hai nel cuore la marina brulla,
tu dai retta alla sua voce fanciulla».
La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:
« O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l'amavi forte!
Con lui c'eri tu sola e la sua morte
O nata in selve tra l'ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l'agonia . . . »

La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
«O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
oh! due parole egli dove' pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l'eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole».
Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l'abbraccio' su la criniera.

« O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
a me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona . . . Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise:
esso t'è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t'insegni, come».
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l'unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome . . . Sonò alto un nitrito.


Quando Giovanni Pascoli ha composto “La cavalla storna”, forse non sospettava che generazioni di italiani, frugando tra i ricordi del liceo, ne avrebbe ricordato il refrain per tutta la vita. E forse non avrebbe neppure sospettato che, attraverso le sue rime, si sarebbe un giorno aperto un piccolo spiraglio sul mondo equestre del suo tempo.

Rileggendo la poesia, infatti, superata la rigidità dovuta al ricordo delle imposizioni scolastiche, si ritrovano atmosfere di scuderia molto ben descritte. Il Poeta, ad esempio, descrive “i cavalli normanni alle lor poste”. Anche solo da questo rigo, si vede come fossero presenti due tipi di cavalli in scuderia: la cavalla da calesse, diremmo l’autovettura del tempo (appunto, la cavalla storna di cui diremo più avanti) e i cavalli da lavoro, i normanni appunto, grandi e potenti, che mangiano avidamente l’avena (anche detta, biada) dopo una dura giornata di lavoro nei campi: “frangean la biada con rumor di croste”. Secondo ‘usanza del tempo, il loro spazio non era un box ma una più stretta e frugale “posta”, che consente un movimento limitato al cavallo. Oggi le poste non sono più in uso o quasi, ma per un cavallo che lavora per un certo numero di ore, al tempo, questa sistemazione era considerata adeguata. Sembra di vederlo, il Pascoli fanciullo, guardare con occhi attenti la vita di scuderia, osservare i grandi cavalli da tiro rompere i chicchi d’avena con le forti mandibole, pensando forse già allora al parallelo con il rumore delle croste di pane masticate dai suoi familiari.

Sembra di vederlo anche osservare il calpestio della paglia, il materiale da lettiera utilizzato quasi in esclusiva per i cavalli al tempo, ed il rumore prodotto dagli zoccoli, descritti correttamente come “vuoti” perché la suola di un cavallo in buona salute è, appunto, concava. Sì, dietro a molti versi di questa poesia si cela una competenza nel descrivere la scuderia ed i suoi abitanti che molto difficilmente viene evidenziata ai tempi della scuola.

Ma veniamo alla cavalla storna: dovendo portare il calesse, solitamente al trotto, è sicuramente più leggera, più nevrile, con una espressione sicuramente vispa. Il Pascoli ne descrive le orecchie aguzze (forse, derivazione di antichi progenitori di sangue arabo: anche la testa, descritta come lunga, scarna, fiera, confermerebbe questa ipotesi) e le narici, ancora attente agli spruzzi del mare che aveva visto da puledra. Una bella bestia, nulla da dire. Ma il poeta ci informa anche sul suo colore. Storna, infatti, si definisce una cavalla di mantello grigio, cioè con peli e crini bianchi e neri mescolati, ma con colore di fondo nero, punteggiato da macchie bianche, appunto come la livrea dello storno. Non è infrequente che il colore del mantello dei cavalli venga descritto facendo riferimento a immagini comuni. Esiste un mantello del cavallo detto “morello maltinto”, che in passato veniva descritto come il colore della tonaca dei preti di campagna, quando ormai è lisa. E rende bene l’idea.

Ma torniamo alla nostra cavalla: nel cavallo grigio, come nell’uomo, il bianco avanza con l’età. Per questo, possiamo dire che l’età della protagonista della poesia non era avanzata. Questo giustifica ancora una volta l’immagine inquieta che il poeta ne offre al lettore.

Certo, il centro della poesia non è la cavalla, bensì la tragedia familiare. Ma i cavalli erano, al tempo, talmente protagonisti della vita di tutti i giorni, che i particolari forniti servono per meglio definire il contesto ambientale.




da: www.lastampa.it/lazampa/girata.asp?ID_blog=190&ID_articolo=2&ID_sezione=388&sezione=Mond...

vanni
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