È possibile guardare ai numerosi
cambiamenti estetici che il volto di
Michael Jackson ha via via subito nel corso degli anni addirittura come ad una
forma di espressione artistica?
Per la scrittrice
Willa Stillwater, assolutamente sì: nel secondo dei quattro saggi in cui su
medium.com - a partire da agosto 2020 - ha sapientemente analizzato il
ruolo del Re del Pop nella
sfida ai pregiudizi e alle discriminazioni razziali nella società moderna, ci invita a riflettere su come
l'evoluzione della fisionomia di Michael possa dirci molto, molto di più che una semplice trasformazione estetica.
Da premettere che la sua analisi sui
progressivi cambiamenti del volto dell'artista segue a ruota quella - altrettanto interessante e per certi versi "rivoluzionaria" - sui
significati più profondi in tema razziale nascosti nella trama di
"Thriller", oggetto dello stesso saggio
«"Are You Scared Yet?" - How Michael Jackson Altered the Sensations of Racism» (
«Hai ancora paura?" - Come Michael Jackson ha trasformato le sensazioni di razzismo»).
Saggio a cui è già stato dedicato un
topic nel nostro
Forum:
www.freeforumzone.com/mobile/d/11757389/Il-Michael-Jackson-s-Thriller-e-la-sua-sfida-culturale-ai-pregiudizi-razziali/discussi...
Tenendo perciò conto anche di quelle importantissime premesse, addentriamoci dunque nelle riflessioni della scrittrice sulla geniale
teoria del "volto-come-arte".
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Innanzitutto, occorre prendere nella dovuta considerazione le patologie da cui Michael era affetto, e che sono all'origine dei suoi cambiamenti somatici.
Un aspetto della sua vita che lo ha accomunato ad un altro grande artista del mondo contemporaneo, il poliedrico Andy Warhol:
«Qualche tempo dopo l'uscita di
"Thriller", iniziarono a circolare
alcune voci - che via via andarono sempre più rafforzandosi - secondo le quali
l'aspetto esteriore di Jackson si stava modificando: in particolare, a poco a poco la sua
pelle stava diventando più chiara, e il suo
naso più sottile.
Ora, è ormai ben documentato (grazie a fotografie, testimonianze di medici, familiari e amici, nonché sulla base del suo referto autoptico) che Jackson soffriva di
due malattie autoimmuni,
vitiligine e
lupus discoide: esse danneggiavano
il colore della sua pelle (vitiligine) così come
la capacità della pelle di guarire (
lupus). Inizialmente, delle
macchie bianche avevano cominciato ad apparire sulla guancia destra, sul collo e sulle mani, e poi sono andate gradualmente aumentando di dimensioni e numero, finché non ne è stata colpita l'intera superficie corporea.
Questa
depigmentazione invadente ha posto ancora una volta
Jackson in una posizione culturale estremamente complicata. Era
l'uomo di colore più celebrato al mondo - ovvero, più precisamente, un uomo celebrato soprattutto perché
nero e
di successo, e quindi un
vivido simbolo del fatto che forse gli Stati Uniti stavano superando il razzismo del passato - e invece adesso la sua pelle stava diventando
letteralmente bianca.
Come con
"Thriller", Jackson ha usato
la propria arte per esplorare la sua difficile situazione, e come con
"Thriller", la sua risposta artistica si esprime secondo
modalità che riflettono le ansie del suo pubblico e quindi trasforma profondamente quelle emozioni.
È istruttivo, a questo punto, fermarsi un attimo e guardare ad
un altro artista che si è trovato in una situazione piuttosto simile. [...]
Michael Jackson e
Andy Warhol si incontrarono per la prima volta il
31 gennaio 1977, quando un
Warhol di 49 anni organizzò un'intervista con un
Jackson di 18 anni. Il diario di Warhol su quel giorno ci fa capire che nessuno dei due artisti conosceva molto dell'altro o del suo lavoro. [...]
Warhol e
Jackson cominciarono a incontrarsi abbastanza frequentemente allo
Studio 54, anche se non è chiaro se abbiano parlato molto tra loro. Entrambi tendevano ad essere piuttosto timidi in pubblico. [...]
Sorprendentemente, ad un certo punto, proprio nello stesso periodo in cui
Jackson stava conoscendo Warhol, iniziò a manifestare i suoi
problemi di depigmentazione della pelle, esattamente come lo stesso
Andy Warhol.
Il dottor
Richard Strick è un
dermatologo assunto dall'
Ufficio del Procuratore Distrettuale di
Santa Barbara nel
1993 per controllare le cartelle cliniche di Jackson ed esaminarlo. In un'intervista dopo la morte di Jackson,
Strick ha riferito che
"Jackson aveva una malattia, la vitiligine, in cui il pigmento della pelle va progressivamente perdendosi. E su di lui sono stati fatti diversi tentativi per recuperare in qualche modo il pigmento, ma non hanno avuto successo".
Strick ha inoltre affermato che Jackson soffriva di
lupus. Questa patologia fu scoperta per la prima volta durante il trattamento a cui venne sottoposto dopo che il suo cuoio capelluto rimase bruciato nell'
incidente del 1984.
Come spiegato durante il
processo AEG del
2013 dalla sua infermiera e seconda moglie,
Debbie Rowe, Jackson subì
numerosi interventi chirurgici ricostruttivi sul cuoio capelluto: molte di queste procedure, però, non ebbero esito positivo e dovettero essere ripetute - un processo straziante - perché
la sua pelle non guariva oppure perché si erano create delle
cicatrici eccessive e dolorose.
Jackson ha sviluppato problemi simili anche dopo la
rinoplastica. L'
eccessiva cicatrizzazione interna dopo il suo primo intervento chirurgico al naso rese difficile la respirazione, e comprometteva le sue capacità canore. Nel documentario del
2003, Jackson affermava che un intervento chirurgico aggiuntivo
"mi ha aiutato a respirare meglio in modo da poter raggiungere note più alte". Secondo
Strick, il
lupus gli causò anche dei problemi alla
pelle sulla superficie del naso. [...]
Nel
1993, quando Strick lo esaminò, Jackson aveva già subito
numerosi interventi chirurgici al naso, più di quanto lui stesso avesse desiderato. È importante sottolineare che
Strick ha classificato questi ripetuti interventi chirurgici nasali come
"ricostruttivi", e
non elettivi.
Quando cominciarono a manifestarsi i primi sintomi delle condizioni patologiche di
Jackson, a quanto pare lui si sentì
molto in disagio, e cercò in qualche modo di mascherarli.
Però, ad un certo punto, a poco a poco ha gradualmente iniziato ad
accettare questo suo elemento di differenza, e ha perfino mostrato una
tendenza a sottolinearlo, dapprima per necessità, ma in un secondo momento come se fosse un qualcosa di più: come
parte della sua stessa arte.
In altre parole, ad un certo punto
Jackson, proprio come
Warhol, ha cominciato a concepire
il proprio volto come una
via di espressione artistica.
Il suo
dermatologo di lunga data, il dr.
Arnold Klein, ha confermato in numerose occasioni che Jackson soffriva sia di
lupus che di
vitiligine. Tuttavia, ha anche raccontato che lo stesso Jackson aveva descritto il proprio volto come
una forma d'arte:
"Devi capire. È difficile... comprenderlo, ma lui ha davvero visto il suo viso come un'opera d'arte, un'opera d'arte in evoluzione".
Mentre alcuni interpretano tutto ciò in modo piuttosto semplicistico, come una banale dimostrazione del fatto che Jackson voleva che il suo viso fosse bello, l'evidenza suggerisce invece che lui aveva in mente
qualcosa di molto più significativo - e molto più trasgressivo».
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A questo punto, una creazione jacksoniana che può raccontarci molto, sempre nell'ottica della teoria del "volto-come-arte", è il futuristico - ed originalissimo - video di "Scream", uscito il 13 giugno 1995:
«
Jackson ci fornisce
intriganti suggerimenti su come interpretare il suo volto nel suo
short-film del 1995
"Scream". [...]
Mentre Jackson canta ripetutamente:
"Smettila di pressarmi!", il suo personaggio nel video entra in una
galleria futuristica e prende in considerazione
tre opere d'arte. È importante sottolineare che la prima è una
fotografia del volto di Andy Warhol. [...]
In questo modo, in
"Scream" Jackson suggerisce sottilmente che
il volto di Warhol è esso stesso
un'opera d'arte, che pertanto dovrebbe essere visto e interpretato come
arte, e - soprattutto - che è
un nuovo tipo di arte futuristica.
Anche il modo in cui
Jackson introduce la
fotografia di Warhol è altrettanto importante.
Dopo essere entrato nella galleria, il personaggio che Jackson interpreta si sporge in avanti, focalizzando l'attenzione sul
proprio volto, che nello
short-film è reso
in bianco e nero. Quindi schiaccia un pulsante su un
telecomando, che sposta così l'immagine sullo schermo da una inquadratura del proprio viso alla fotografia in bianco e nero del
volto di Warhol, giustapponendo i due.
Dopodiché, il personaggio interpretato da Jackson aziona di nuovo il telecomando, e la foto di Warhol si trasforma in una
seconda opera d'arte: un
dipinto astratto di
Jackson Pollock. [...]
Di lì a poco, Jackson fa di nuovo clic sul telecomando, e l'astratto di Pollock si trasforma in una
terza opera d'arte,
"Il Figlio dell'Uomo". In questo
ritratto surrealista di
René Magritte, il volto del soggetto è nascosto da una
mela. [...]
Il risultato è che, quando guardiamo a
"Il Figlio dell'Uomo", vediamo una
natura morta - anch'essa
un'opera d'arte - laddove ci aspetteremmo invece di vedere un
volto.
Tutto ciò diventa particolarmente significativo se considerato in riferimento a
Warhol e
Jackson: come accade con
"Il Figlio dell'Uomo", quando guardiamo i loro volti incontriamo anche
l'arte. [...]
Attraverso il suo
"volto-come-arte", Jackson ha toccato una
ferita aperta nella psiche collettiva americana, e ha riaperto
una discussione decennale sulla razza che ha poi funzionato come una sorta di
"terapia" nel linguaggio nazionale.
Le
reazioni dinanzi al volto di Jackson variavano considerevolmente da un gruppo demografico all'altro.
Ad esempio, i
critici bianchi tendevano a trattare il suo aspetto mutevole con un misto di
accondiscendenza e nello stesso tempo
disgusto, persino
ostilità: reazioni che smascheravano la loro
sensazione di un privilegio razziale. Gli
scrittori neri, invece, spesso hanno espresso sentimenti di
imbarazzo o di
vergogna, a volte associati ad un
senso di tradimento, oppure, al contrario,
un'identificazione scomodamente vicina. [...]
Per ciascuno di noi come spettatori, le
nostre reazioni specifiche di fronte all'aspetto in evoluzione di Jackson ci dicono
qualcosa di importante su come percepiamo e interpretiamo la
razza, e su come ci poniamo rispetto al
privilegio razziale. [...]
L'aspetto esteriore di
Jackson in continua evoluzione, infatti, ha attraversato i
confini razziali, mentre quello di
Warhol no. Già questo fatto, da solo, può spiegare perché i critici e il pubblico in generale abbiano risposto in un modo così diverso di fronte al
"volto-come-arte" di Jackson, rispetto a quanto accaduto con
Warhol. [...]
A metà degli anni '80, lui era probabilmente
la persona più famosa al mondo, e poi - con tutto il mondo che lo guardava - ha progressivamente modificato i
significanti fisici della sua razza d'origine proprio davanti ai nostri occhi stupiti. Era incredibile, un fenomeno così sorprendente che la gente semplicemente non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
Modificando i
significanti razziali evidenti sul suo volto e violando il confine tra
"nero" e
"bianco", Jackson ha dimostrato come una
barriera apparentemente assoluta fosse
molto più permeabile di quanto non sembrasse. Le
implicazioni culturali di questa rivelazione sono
profonde e
di vasta portata».
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Una creazione jacksoniana esemplare, a proposito dei confini tra "nero" e "bianco", è il discusso e controverso short-film del 1991 "Black or White":
«Nel suo
short-film del
1991 "Black or White", Jackson ci suggerisce di essere ben consapevole di quali
implicazioni razziali il suo volto mutevole possa comportare, e come il
clamore culturale da lui provocato fosse, in una certa misura, intenzionale:
una decisione artistica. [...]
Lo
short-film comincia con l'immagine di un
ragazzo bianco intento a suonare l'
air guitar con la
musica di Jackson, finché
suo padre non gli dice con rabbia di smettere di
"perder tempo con questa spazzatura". Poco dopo, un'
esplosione di suoni fa volare il padre in giro per il mondo, per poi atterrare in
Africa: sta per essere istruito non soltanto sulla musica, in particolare sulle
radici ritmiche della musica popolare americana, ma anche sull'
intersezione tra razza e arte. E anche noi, come pubblico, stiamo per essere istruiti su tutto questo.
Mentre il padre, ancora in poltrona, atterra con un tonfo in una pianura africana, inizia la parte del
videoclip musicale. La prima cosa che vede il padre è un
gruppo di tribù africane, sui cui volti dipinti il
"nero" e il
"bianco" sono intrecciati in
complesse geometrie: il che rivela chiaramente che i loro visi sono un
luogo d'arte. [...]
Piuttosto, questa è un'arte di un tipo diverso. È sorprendente, inquietante, perfino minacciosa. [...]
Subito dopo l'atterraggio di fortuna del padre,
Jackson si unisce al gruppo di ballerini, e anche il suo volto è
un'opera d'arte. Come per gli altri ballerini, il suo viso è una
miscela di bianco e nero, ma in un modo più sottile del loro: nel suo viso, i
tratti fisici che tradizionalmente indicano la razza sono in uno
stato di cambiamento. Il volto di Jackson confonde quindi i significanti che distinguono il
"nero" dal
"bianco" e, soprattutto, dimostra che è possibile
dissolvere quelle distinzioni. [...]
Questa allusione alla storia dei
volti come arte viene nuovamente ripetuta un minuto dopo, quando Jackson balla con un
gruppo di indiani d'America: tra costoro, un uomo la cui parte superiore del viso è stata dipinta di un
rosso intenso. [...]
Tuttavia, la composizione specifica della sua pittura facciale suggerisce anche
altre interpretazioni, in particolare se considerata accanto ai volti dei ballerini africani che lo hanno preceduto.
Come i loro volti, pure il suo è stato visivamente
diviso in due, ma mentre i primi erano suddivisi verticalmente, il suo è stato attraversato
orizzontalmente da una
linea bianca frastagliata. Al di sotto della linea, il suo viso mostra il
colore naturale della sua pelle, mentre sopra la linea è stato dipinto di un
rosso esagerato, una tonalità che evoca le
illustrazioni degli indiani d'America realizzate nel 18° e 19° secolo da artisti bianchi. [...]
In questo modo, la sua pittura facciale implica una sorta di
"coscienza divisa", determinata dal
colonialismo e dalla
distinzione razziale che ne è seguita, con gli
stereotipi imposti su di lui rappresentati sopra la linea bianca e un
sé più autentico visibile al di sotto di quella linea.
La sezione dello
short-film contenente il videoclip musicale termina con la celebre sequenza di
morphing, in cui un bel viso si trasforma in un altro. [...]
Il modo in cui questi volti si trasformano senza soluzione di continuità dall'uno all'altro mette in discussione le
differenze percepite tra loro, così come i
"marcatori di confine" piuttosto arbitrari comunemente usati per distinguere tra
razza e
genere. [...]
Questo è il momento in cui
Jackson esegue la
"Panther Dance", un grido appassionato contro il
pregiudizio razziale.
Si comincia con l'immagine di una
pantera nera che cammina inaspettatamente nel
backstage, mentre si concludono le riprese della sequenza di
morphing. La pantera ringhia davanti a una statua di
George Washington (proprietario di schiavi, oltre che padre fondatore), e poi scende giù lungo una rampa di scale, forse suggerendo una
discesa nel subconscio.
Dopodiché, la pantera si trasforma in
Jackson, che esegue così una delle
danze più espressive della sua carriera, senza un sottofondo musicale, ma soltanto al
ritmo di suoni ambientali. Nel corso della danza, Jackson esplora e prende pieno possesso del suo corpo, mentre protesta contro le
forze culturali che mirano a separarlo da se stesso. [...]
Alla fine, si strappa la camicia e
"battezza" il suo corpo appena recuperato nella sua pienezza, e nel frattempo lancia dell'acqua su un'insegna luminosa per il
"Royal Arms Hotel" - un velato riferimento al
colonialismo - facendola esplodere in una pioggia di scintille. La
"Panther Dance" termina con la completa distruzione del
"Royal Arms", suggerendo il
potere rivoluzionario di questo
atto di recupero corporeo, e quindi Jackson si trasforma nuovamente in una
pantera nera ringhiante.
La
"Panther Dance" era una tale minaccia per i
circa 500 milioni di persone che avevano visto la Prima TV dello
short-film, per non parlare degli schizzinosi
dirigenti di
MTV che tremavano davanti alla protesta pubblica che ne derivò, da essere brutalmente
eliminata dal cortometraggio, e riproposta molto raramente in seguito. L'aspetto più importante, in questo caso, è che le ripetute
allusioni ai "volti-come-arte" in
"Black or White" [...] sono parte integrante di uno degli
short-film di Jackson più apertamente
politici, un cortometraggio che affronta la
questione del pregiudizio razziale in modi nello stesso tempo incredibilmente audaci ma anche - in certi momenti - così sottili da risultare difficili da percepire, e tanto meno da capire.
Una
coda di 10 secondi che segue la
"Panther Dance" alleggerisce l'atmosfera con un po' di umorismo, ma ha anche delle implicazioni molto serie. Nello specifico, mostra un altro figlio bianco ribelle -
Bart Simpson - che balla sulla
musica di Jackson nonostante gli ordini di suo padre di
"Spegnere quel rumore!".
Questa coda finale richiama la scena di apertura dello
short-film, ed evoca uno
schema ricorrente di giovani
ragazzi bianchi ispirati da un
artista nero particolarmente carismatico a
ribellarsi contro l'ordine sociale stabilito: in particolare, la visione del mondo rappresentata dai loro padri bianchi di periferia».
Che Michael fosse assolutamente
fiero delle proprie origini afro-americane, e che anzi le rivendicasse
con orgoglio, è un dato di fatto: ne ha anche dato
dimostrazioni concrete, nonostante fin troppo spesso sia stato accusato del contrario proprio per via dei suoi cambiamenti fisici.
Ma le
trasformazioni del suo volto, sebbene strettamente collegate alle
patologie da cui era affetto, e con ogni probabilità anche
espressione di un suo disagio riconducibile a vari fattori, ci lasciano nello stesso tempo
un grande insegnamento, sul quale in genere non ci si sofferma a riflettere: sono la
prova più evidente di quanto in realtà il
presunto "confine" tra le varie razze umane possa essere
labile e del tutto
superabile.
Si tratta di un confine al quale siamo abituati a pensare principalmente perché
frutto da convenzioni culturali, anziché di un'effettiva distinzione stabilita dalla natura.
Un'
ennesima lezione, che la vicenda personale e il percorso di vita di
Michael Jackson ci hanno lasciato.
Per il saggio di
Willa Stillwater in versione integrale:
medium.com/@willa.stillwater/are-you-scared-yet-e0645ab26046
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A cura di
Francesca De Donatis per il
Michael Jackson FanSquare.
[Modificato da francesca.dedonatis 23/07/2021 21:25]