Quel bavaglio bipartisan
Perché il Cav rivuole la legge Mastella.
di Fabio Chiusi
Silvio Berlusconi e Clemente Mastella.
Il caso del presunto ricatto ai danni di Silvio Berlusconi, che ora rischia di finire a sua volta tra gli indagati, ha spinto il governo a premere nuovamente per una stretta sulle intercettazioni. Dopo il tentativo del disegno di legge Angelino Alfano, subito ribattezzato “legge bavaglio” dalle opposizioni, prima annacquato e poi accantonato durante l'iter parlamentare, il presidente del Consiglio è tentato dall'idea di ripresentare il testo proposto nel 2006 dall'allora Guardasigilli Clemente Mastella.
EVITARE IL PROSSIMO SCANDALO. La possibilità è stata messa sul tavolo esplicitamente dal Cavaliere una prima volta lo scorso 24 giugno, nella ricerca affannosa di giungere a un'approvazione entro l'estate. Progetto sfumato forse per lo scoppio di un'emergenza finanziaria che l'esecutivo non aveva saputo prevedere. Ma riproposto in questi giorni, proprio a seguito della pubblicazione delle intercettazioni del caso P4 e delle imbarazzanti conversazioni di Berlusconi con Gianpaolo Tarantini e Valter Lavitola, che hanno avuto risonanza internazionale.
Quando il bavaglio piaceva anche a sinistra
Romano Prodi, due volte presidente del Consiglio.
Potrebbe sembrare strano che Berlusconi ripeschi una norma voluta dal ministro della Giustizia dell'odiato secondo governo di Romano Prodi. Ma non lo è affatto. Il decreto legge di Clemente Mastella, infatti, fu licenziato dal consiglio dei ministri del Professore il 22 settembre 2006, in un clima di totale intesa bipartisan. La politica era appena stata travolta dallo scandalo 'Bancopoli' e, in particolare, dalla pubblicazione da parte del Giornale di una telefonata tra l'amministratore delegato di Unipol, Giovanni Consorte, e il segretario dei Democratici di sinistra, Piero Fassino, in cui quest'ultimo pronunciava l'ormai celeberrima frase: «Abbiamo una banca?».
Un'intercettazione irrilevante a fini giudiziari, ma ugualmente sbattuta in pagina. E proprio a ridosso di una tornata elettorale, quella di aprile 2006, in cui, prima del “fattaccio”, per il centrodestra si profilava una sonora sconfitta. Scampato per un soffio il pericolo di vedere compromesso l'esito delle urne, il governo di centrosinistra appena insediatosi si è messo al lavoro per impedire che qualcosa di simile si ripetesse.
LA BENEDIZIONE DI PRODI E D'ALEMA. Così, Prodi diede la sua benedizione alla stretta sulle intercettazioni. Una norma che si proponeva di evitare «ricatti a catena» e di «far venire fuori il marcio». Mastella ammonì: «Vengono garantiti tutti i cittadini, non c'è solo la tutela dei cosiddetti “vip”. Non è possibile che chiunque telefoni debba essere preoccupato che magari ci siano filtri indebiti o interferenze illegali». E posizioni simili furono espresse dallo stato maggiore del centrosinistra, da Massimo D'Alema a Luciano Violante, da Giuliano Amato ad Anna Finocchiaro.
Un linguaggio vicino a quello da sempre utilizzato dal Cavaliere, che infatti gradì. E con lui gli alleati. Con il leader Udc, Pier Ferdinando Casini, disposto ad aiutare l'approvazione del testo all'Aula: «Finalmente, per una volta, la montagna non ha partorito un topolino», disse.
ANCHE DI PIETRO ERA D'ACCORDO. Tutti d'accordo insomma: dall'allora vicepremier Francesco Rutelli («il garantismo deve essere in vigore 365 giorni all'anno») a Beppe Fioroni e Paolo Gentiloni, attualmente nel Partito democratcio (Pd), dal comunista Fausto Bertinotti («tutto quello che si fa per difendere la privacy e i diritti dei cittadini è ben fatto») al ministro per l'Università Fabio Mussi. E, soprattutto, senza escludere il “giustizialista” per eccellenza, Antonio Di Pietro. Che, pur chiedendo inizialmente delle modifiche per evitare potenziali effetti nocivi in termini di libertà di espressione derivanti dalla legge, non fece mancare i voti suoi e dell'Italia dei valori (Idv) al provvedimento, una volta raggiunta l'Aula di Montecitorio. «Di Pietro», commentò Prodi, «ha approvato totalmente il decreto». E senza alcun cambiamento nel dettato.
Il «grande ed esaltante momento» di Mastella
L'ex Guardasigilli Clemente Mastella.
Qualche voce fuori dal coro ci fu, a dire il vero. Come quella del diessino Cesare Salvi o, a sorpresa, del senatore di Forza Italia Alfredo Biondi. Ma quando si trattò di pigiare il bottone verde, nessuno si sottrasse.
Così che, il 17 aprile 2007, il passaggio alla Camera fu una passeggiata: 447 voti favorevoli, sette astenuti, nessun voto contrario. Mastella, soddisfatto, esclamò: «Un grande ed esaltante momento della nostra attività parlamentare».
NIENTE CAMPAGNE CONTRO IL BAVAGLIO. Altro che le campagne contro il “bavaglio” per il disegno di legge (ddl) Alfano. Eppure, i motivi di perplessità già allora non sarebbero mancati. La legge firmata da Mastella, infatti, prevedeva il divieto di pubblicazione delle intercettazioni fino alla conclusione delle indagini preliminari; e, in caso di dibattimento, il divieto sarebbe stato addirittura esteso fino alla sentenza di appello. Previsto anche il divieto di trascrizione delle intercettazioni estranee alle indagini. Le operazioni avrebbero potuto avere una durata massima di 15 giorni, rinnovabili fino a un massimo di tre mesi.
CARCERE PER I GIORNALISTI. Soprattutto, la norma ipotizzava sanzioni severissime: reclusione da sei mesi a tre anni per chi rivelasse notizie su atti coperti da segreto istruttorio. E un'ammenda da 10 a 100 mila euro, o in alternativa 30 giorni di carcere, per i giornalisti che le pubblicassero. Quanto basterebbe, insomma, per scatenare le proteste dei difensori della libertà di stampa e di espressione.
Eppure allora, a parte qualche timido dubbio a sinistra, a prendere nettamente posizione contro la legge Mastella furono soltanto la Federazione nazionale della stampa, l'Ordine dei giornalisti e l'Associazione nazionale magistrati. E non si ricordano folle oceaniche di manifestanti.
Due testi non così diversi
Angelino Alfano.
Eppure si trattava di misure non dissimili da quelle previste dal testo elaborato dal Pdl e approvato alla Camera l'11 giugno 2009 tra le proteste e i cartelli dell'opposizione («Vergogna», «Libertà di informazione cancellata»). In entrambi i testi, infatti, figurava la possibilità di ricorrere a intercettazioni solo in presenza di «gravi indizi di reato» e se «assolutamente indispensabile alla prosecuzione dell'indagine», così come solo per una limitata finestra temporale. Simili anche le sanzioni (tuttavia annacquate in seguito in Commissione giustizia).
Con l'aggravante, per la legge Alfano, di multe anche per gli editori, scomparse nel testo passato a Montecitorio e ripresentate per il passaggio al Senato, per una somma fino a 300 mila euro. Più dura, invece, la legge Mastella per quanto riguarda il divieto di pubblicazione delle intercettazioni: nel testo dell'attuale segretario del Pdl Alfano, infatti, era inizialmente previsto solamente fino alla conclusione delle indagini preliminari.
IMPENSABILE ORA UN'INTESA BIPARTISAN. Nel 2008, il traballante governo Prodi cadde prima che la riforma della disciplina sulle intercettazioni fosse approvata anche a Palazzo Madama. Ora, Berlusconi è intenzionato a portare a compimento quanto iniziato dagli avversari. Difficile, se non impossibile, che si ristabilisca lo stesso clima di intesa bipartisan. E il supporto del Colle, già intervenuto per esprimere le sue cautele al riguardo, resta tutto da verificare. Per il Cavaliere, c'è sempre il ricorso a un improbabile appello alla coerenza: «Voglio proprio vedere se quelli della sinistra», avrebbe confidato secondo La Repubblica, «smentiscono se stessi e mi dicono di no». O, più realisticamente, il ricorso alla fiducia. È già successo 50 volte, chissà che la maggioranza non decida di concedere l'ennesimo bis.
Mercoledì, 28 Settembre 2011
www.lettera43.it/politica/26905/quel-bavaglio-bipartisan.htm
[Modificato da angelico 09/10/2011 00:38]