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Odor di elezioni: chiude l'informazione

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    AntonellaP85
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    00 05/10/2011 15:06
    Re: Re:
    Compix83, 05/10/2011 15.03:



    Uh vero, non l'avevo visto. Anche se forse non sono stato l'unico [SM=g27828]




    Infatti prima di spostare l'ho cercato, ma dov'è?
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    angelico
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    00 05/10/2011 15:12
    eccolo:


    mjj.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9619053

    il riferimento e sempre all informazione anche se li la causa sono le elezioni....ma il succo e lo stesso, cambiando la causa, le conseguenze sono le stesse....

    [IMG][/IMG]
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    AntonellaP85
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    00 05/10/2011 15:14
    Ah quindi non era un topic a parte....va bene, allora continuate in quello vecchio, li unisco.
    [Modificato da AntonellaP85 05/10/2011 15:14]
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    angelico
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    00 07/10/2011 18:14
    Internet, Moncler fa oscurare 500 siti
    perché 'citavano' il nome dell'azienda
    Decisione senza precedenti del tribunale di Padova: centinaia di domini bloccati solo perché utilizzavano il nome dell'azienda. Il sequestro preventivo per contraffazione, ma molti non vendevano nulla. Un precedente che rischia di avere ripercussioni sulla libertà del web e su siti di vendita online come eBay
    di ALESSANDRO LONGO

    PADOVA - Una sentenza italiana rischia di mandare in tilt la libertà di citare un'azienda sul web. Un giudice, per la prima volta in Italia, ha infatti ordinato l'oscuramento di circa 500 siti web internazionali per ordine di un'azienda, interessata a proteggere il proprio marchio su Internet: la Moncler. È una decisione del 29 settembre del tribunale di Padova, a cui si era rivolta la multinazionale dell'abbigliamento.

    Moncler è riuscita così a bloccare l'accesso ("oscurare") agli utenti italiani a ben 493 siti e domini contenenti quel marchio nell'indirizzo. A quanto si legge nel provvedimento, si tratta di sequestro preventivo di siti web per i reati di "introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi" (articolo 474 del codice penale) e "vendita di prodotti industriali con segni mendaci" (art. 517).

    Di per sé non sarebbe una novità oscurare un sito per combattere la contraffazione. Qui però c'è un fatto eccezionale: per il giudice, il reato di contraffazione non è la vendita di merce falsa, ma la semplice registrazione di un indirizzo web con il marchio dell'azienda.

    "Il provvedimento è clamoroso, per la prima volta si oscurano siti non per reati legati al diritto d'autore, ma per le diverse ipotesi di violazione del marchio", spiega Fulvio Sarzana, avvocato tra i massimi esperti di diritto su Internet. "Solo alcuni di quei siti vendevano merce contraffatta, infatti".

    Altri sono vuoti, contenendo solo pubblicità. Altri ancora non sono nemmeno siti: sono semplicemente domini registrati, senza alcun servizio sopra (esempio, Monclerfans.com). Moncler ha fatto insomma una guerra preventiva alla contraffazione e in generale contro chiunque altro aveva registrato un dominio con quel marchio.

    Ragionando in questo modo, diventa vietato anche registrare un sito come "Monclernonmipiace", per pubblicare commenti negativi sui prodotti. Pratica che invece è stata comune finora, sulla rete: un caso storico è Alitaliasucks.com ("Alitaliafaschifo.com"), registrato da un americano per raccogliere varie disavventure e sopravvissuto alle denunce dell'azienda.

    Finora ha prevalso il diritto alla libertà di espressione e quel sito, come altri, è visibile anche agli italiani; ma in futuro chissà: "Questa sentenza ha un altro primato", dice infatti Sarzana. "La maggior parte dei siti risiede presso provider stranieri: americani, spagnoli, giapponesi". Siti che, dopo questa sentenza, potrebbero restare attivi ma inaccessibili agli utenti italiani. "Se passa questo principio diventa impossibile citare un marchio in Internet senza l'autorizzazione della rispettiva azienda", dice Sarzana. "Il marchio verrebbe violato anche se tu scrivi un'inserzione su eBay, 'vendo un piumino Moncler'. Questa cosa equivale a registrare un dominio Moncler: sempre di contraffazione si tratta, alla luce di quella sentenza".

    "Siti come eBay potranno quindi essere chiamati a rispondere in concorso per la vendita di oggetti contraffatti e subire il sequestro preventivo delle pagine delle inserzioni", continua Sarzana.

    È insomma la nuova frontiera a cui l'Italia è arrivata camminando sulla strada dell'oscuramento dei siti web. Si era partiti bloccando l'accesso a singoli siti, come The Pirate Bay, condannati per violazione del diritto d'autore (permettevano il download di musica e film). Adesso si è già nella fase della guerra preventiva contro la contraffazione, con centinaia di siti bloccati in un colpo solo.


    (07 ottobre 2011)

    www.repubblica.it/cronaca/2011/10/07/news/moncler_oscurare-2...

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    angelico
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    00 09/10/2011 00:36
    Quel bavaglio bipartisan
    Perché il Cav rivuole la legge Mastella.

    di Fabio Chiusi


    Silvio Berlusconi e Clemente Mastella.

    Il caso del presunto ricatto ai danni di Silvio Berlusconi, che ora rischia di finire a sua volta tra gli indagati, ha spinto il governo a premere nuovamente per una stretta sulle intercettazioni. Dopo il tentativo del disegno di legge Angelino Alfano, subito ribattezzato “legge bavaglio” dalle opposizioni, prima annacquato e poi accantonato durante l'iter parlamentare, il presidente del Consiglio è tentato dall'idea di ripresentare il testo proposto nel 2006 dall'allora Guardasigilli Clemente Mastella.
    EVITARE IL PROSSIMO SCANDALO. La possibilità è stata messa sul tavolo esplicitamente dal Cavaliere una prima volta lo scorso 24 giugno, nella ricerca affannosa di giungere a un'approvazione entro l'estate. Progetto sfumato forse per lo scoppio di un'emergenza finanziaria che l'esecutivo non aveva saputo prevedere. Ma riproposto in questi giorni, proprio a seguito della pubblicazione delle intercettazioni del caso P4 e delle imbarazzanti conversazioni di Berlusconi con Gianpaolo Tarantini e Valter Lavitola, che hanno avuto risonanza internazionale.
    Quando il bavaglio piaceva anche a sinistra


    Romano Prodi, due volte presidente del Consiglio.

    Potrebbe sembrare strano che Berlusconi ripeschi una norma voluta dal ministro della Giustizia dell'odiato secondo governo di Romano Prodi. Ma non lo è affatto. Il decreto legge di Clemente Mastella, infatti, fu licenziato dal consiglio dei ministri del Professore il 22 settembre 2006, in un clima di totale intesa bipartisan. La politica era appena stata travolta dallo scandalo 'Bancopoli' e, in particolare, dalla pubblicazione da parte del Giornale di una telefonata tra l'amministratore delegato di Unipol, Giovanni Consorte, e il segretario dei Democratici di sinistra, Piero Fassino, in cui quest'ultimo pronunciava l'ormai celeberrima frase: «Abbiamo una banca?».
    Un'intercettazione irrilevante a fini giudiziari, ma ugualmente sbattuta in pagina. E proprio a ridosso di una tornata elettorale, quella di aprile 2006, in cui, prima del “fattaccio”, per il centrodestra si profilava una sonora sconfitta. Scampato per un soffio il pericolo di vedere compromesso l'esito delle urne, il governo di centrosinistra appena insediatosi si è messo al lavoro per impedire che qualcosa di simile si ripetesse.
    LA BENEDIZIONE DI PRODI E D'ALEMA. Così, Prodi diede la sua benedizione alla stretta sulle intercettazioni. Una norma che si proponeva di evitare «ricatti a catena» e di «far venire fuori il marcio». Mastella ammonì: «Vengono garantiti tutti i cittadini, non c'è solo la tutela dei cosiddetti “vip”. Non è possibile che chiunque telefoni debba essere preoccupato che magari ci siano filtri indebiti o interferenze illegali». E posizioni simili furono espresse dallo stato maggiore del centrosinistra, da Massimo D'Alema a Luciano Violante, da Giuliano Amato ad Anna Finocchiaro.
    Un linguaggio vicino a quello da sempre utilizzato dal Cavaliere, che infatti gradì. E con lui gli alleati. Con il leader Udc, Pier Ferdinando Casini, disposto ad aiutare l'approvazione del testo all'Aula: «Finalmente, per una volta, la montagna non ha partorito un topolino», disse.
    ANCHE DI PIETRO ERA D'ACCORDO. Tutti d'accordo insomma: dall'allora vicepremier Francesco Rutelli («il garantismo deve essere in vigore 365 giorni all'anno») a Beppe Fioroni e Paolo Gentiloni, attualmente nel Partito democratcio (Pd), dal comunista Fausto Bertinotti («tutto quello che si fa per difendere la privacy e i diritti dei cittadini è ben fatto») al ministro per l'Università Fabio Mussi. E, soprattutto, senza escludere il “giustizialista” per eccellenza, Antonio Di Pietro. Che, pur chiedendo inizialmente delle modifiche per evitare potenziali effetti nocivi in termini di libertà di espressione derivanti dalla legge, non fece mancare i voti suoi e dell'Italia dei valori (Idv) al provvedimento, una volta raggiunta l'Aula di Montecitorio. «Di Pietro», commentò Prodi, «ha approvato totalmente il decreto». E senza alcun cambiamento nel dettato.
    Il «grande ed esaltante momento» di Mastella


    L'ex Guardasigilli Clemente Mastella.

    Qualche voce fuori dal coro ci fu, a dire il vero. Come quella del diessino Cesare Salvi o, a sorpresa, del senatore di Forza Italia Alfredo Biondi. Ma quando si trattò di pigiare il bottone verde, nessuno si sottrasse. Così che, il 17 aprile 2007, il passaggio alla Camera fu una passeggiata: 447 voti favorevoli, sette astenuti, nessun voto contrario. Mastella, soddisfatto, esclamò: «Un grande ed esaltante momento della nostra attività parlamentare».
    NIENTE CAMPAGNE CONTRO IL BAVAGLIO. Altro che le campagne contro il “bavaglio” per il disegno di legge (ddl) Alfano. Eppure, i motivi di perplessità già allora non sarebbero mancati. La legge firmata da Mastella, infatti, prevedeva il divieto di pubblicazione delle intercettazioni fino alla conclusione delle indagini preliminari; e, in caso di dibattimento, il divieto sarebbe stato addirittura esteso fino alla sentenza di appello. Previsto anche il divieto di trascrizione delle intercettazioni estranee alle indagini. Le operazioni avrebbero potuto avere una durata massima di 15 giorni, rinnovabili fino a un massimo di tre mesi.
    CARCERE PER I GIORNALISTI. Soprattutto, la norma ipotizzava sanzioni severissime: reclusione da sei mesi a tre anni per chi rivelasse notizie su atti coperti da segreto istruttorio. E un'ammenda da 10 a 100 mila euro, o in alternativa 30 giorni di carcere, per i giornalisti che le pubblicassero. Quanto basterebbe, insomma, per scatenare le proteste dei difensori della libertà di stampa e di espressione.
    Eppure allora, a parte qualche timido dubbio a sinistra, a prendere nettamente posizione contro la legge Mastella furono soltanto la Federazione nazionale della stampa, l'Ordine dei giornalisti e l'Associazione nazionale magistrati. E non si ricordano folle oceaniche di manifestanti.
    Due testi non così diversi


    Angelino Alfano.

    Eppure si trattava di misure non dissimili da quelle previste dal testo elaborato dal Pdl e approvato alla Camera l'11 giugno 2009 tra le proteste e i cartelli dell'opposizione («Vergogna», «Libertà di informazione cancellata»). In entrambi i testi, infatti, figurava la possibilità di ricorrere a intercettazioni solo in presenza di «gravi indizi di reato» e se «assolutamente indispensabile alla prosecuzione dell'indagine», così come solo per una limitata finestra temporale. Simili anche le sanzioni (tuttavia annacquate in seguito in Commissione giustizia).
    Con l'aggravante, per la legge Alfano, di multe anche per gli editori, scomparse nel testo passato a Montecitorio e ripresentate per il passaggio al Senato, per una somma fino a 300 mila euro. Più dura, invece, la legge Mastella per quanto riguarda il divieto di pubblicazione delle intercettazioni: nel testo dell'attuale segretario del Pdl Alfano, infatti, era inizialmente previsto solamente fino alla conclusione delle indagini preliminari.
    IMPENSABILE ORA UN'INTESA BIPARTISAN. Nel 2008, il traballante governo Prodi cadde prima che la riforma della disciplina sulle intercettazioni fosse approvata anche a Palazzo Madama. Ora, Berlusconi è intenzionato a portare a compimento quanto iniziato dagli avversari. Difficile, se non impossibile, che si ristabilisca lo stesso clima di intesa bipartisan. E il supporto del Colle, già intervenuto per esprimere le sue cautele al riguardo, resta tutto da verificare. Per il Cavaliere, c'è sempre il ricorso a un improbabile appello alla coerenza: «Voglio proprio vedere se quelli della sinistra», avrebbe confidato secondo La Repubblica, «smentiscono se stessi e mi dicono di no». O, più realisticamente, il ricorso alla fiducia. È già successo 50 volte, chissà che la maggioranza non decida di concedere l'ennesimo bis.
    Mercoledì, 28 Settembre 2011



    www.lettera43.it/politica/26905/quel-bavaglio-bipartisan.htm
    [Modificato da angelico 09/10/2011 00:38]

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