00 01/06/2010 18:50
PUNTO DI VISTA: MICHAEL

CAPITOLO I

Prego, ora tocchi alla signorina Megan Taylor», disse l’accomodante voce di Mrs. Phillips, la professoressa delle ballerine che stavo per l’appunto esaminando accuratamente.
Io e il mio manager avevamo vagato per tutte le scuole di danza di Los Angeles, in cerca di una ballerina per il mio nuovo e primo video estratto dall’album Bad, The Way You Make Me Feel, ma non avevo ancora trovato quella che avrei desideravo trovare. Ci erano rimaste solo 5 scuole da esaminare, e chissà, magari avrei trovato quella giusta nei posti che più potevano essere impensabili.
Solo due, quel giorno, avevano attirato per quel poco la mia attenzione; erano brave, avevano base a sufficienza per essere delle professioniste, ma non avevano quella, come si dice, passione quando si esibivano, che ormai ero sul punto di credere che anche in quella scuola non avrei trovato la ragazza che cercavo.
Ella doveva essere semplice, quando si muoveva doveva essere… Doveva essere felice. Doveva essere orgogliosa di ballare, dovrebbe trasmettere. Ecco, la parola giusta era proprio trasmettere.
Stavo seduto su una cattedra lunga di mogano, in fondo ad un angolo di un’enorme stanza di parquet di legno e senza specchi. Ero seduto al centro del tavolo, con alla mia sinistra il mio assistente coreografo, il mio manager Frank Di Leo e alla mia destra la Signorina Phillips. In quella posizione, potevo avere una chiara visione della sala e delle ballerine che si esibivano.
Quella volta, a discapito di altre, avevo scelto di farne esibire una per una, in modo da osservarle attentamente e senza far differenze. Non volevo rischiare di perdere, se nel caso ci fosse stata, la persona giusta che avrei proclamato fosse quella corretta.
Quando l’esibizione di anche questa finì, toccò ad una certa Jenny Vain, secondo l’elenco. L’insegnante accanto a me sembrò emozionata all’idea di vederla ballare, quando le lanciai un’occhiata fulminea potei capire che di sicuro era una delle preferite.
La ragazza cominciò a ballare, ad un ritmo quasi classico, forse troppo per i miei gusti, siccome ricercavo qualcuno che sapesse danzare una musica più movimentata. Aveva tecnica però, dovevo ammetterlo. Ed era anche abbastanza carina. Decisi di prenderla in considerazione e sull’elenco delle ballerine la segnai con un asterisco.
Quando la professoressa vide quel mio gesto, mi parlò emozionata.
«Jenny Vain è una delle più promettenti ballerine di questa scuola, sono sicura che se ci lavorerà un po’ su non la deluderà» mi disse sottovoce. «E possiede bellezza, anche questo non si deve scordare».
«Oh, certo. La prenderò in considerazione» risposi, non staccando gli occhi dalla ballerina che, con un lieve sorriso in volto, fece l’inchino.
Chissà perché, Mrs. Phillips non era una donna che mi suscitava fiducia. Faceva differenza, e la cosa non mi piaceva. In ogni modo, decisi di prendere in considerazione il talento delle ragazze, non il carattere.
«Bene,» dissi poggiando la penna sul tavolo e rivolgendo alla ragazza un lieve sorriso di rimando. «Grazie per l’esibizione. Passiamo a…» Guardai l’elenco e poi ripresi. «Sharon Villa».
Silenzio. Non successe praticamente niente. Pensai che non avesse sentito, perciò ripetei il suo nome. Dalla sala cominciarono a provenire voci soffocante e risatine dalle ragazze presenti e subito Mrs. Phillips mi bloccò, prima che potessi spiccicare di nuovo parola.
«La ragazza non verrà, penso. Chiedo scusa al posto suo di questo suo comportamento infantile,» disse pronunciando quelle parole in un modo dispregiativo che mi portò a guardarla fisso negli occhi. «Ma non si perde niente, è qui da poche settimane perciò…»
«Sì, sì, ho capito», risposi bloccandola prima che potesse dire altre cose.
Non mi piacevano le persone che offendevano a priori, sebbene in effetti non pensavo avesse tutti i torti. Era stato un comportamento un po’ impulsivo, ma capivo l’ansia che si poteva provare. La compativo, nonostante non la conoscessi. Tuttavia, non potevo capire come mai quel tono malvagio da parte dell’insegnante.
Da un gruppetto di ballerine in fondo scorsi alcune, fra cui Jenny Vain, ridere sarcasticamente e, casualmente, sentii pronunciare il nome della ragazza che non si era presentata. Quando incrociarono il mio sguardo, quelle quattro o tre ragazze smisero subito di ridere, siccome le fissavo pensieroso e deluso dal comportamento di certe persone.
Feci finta di niente, nonostante gli sguardi di paura e di timore, e continuai a chiamare una ad una le ragazze dell’elenco, sotto gli sguardi di tutti i presenti in sala.
«Avanti con… Roxanne Views».
Una ragazza dai capelli bruni e gli occhi scuri si fece avanti, minuta, e inserì nel lettore Cd dell’angolo alla mia sinistra della parete il disco.
Cominciò a ballare e cercai di rimanere con l’attenzione fissa alla sua danza, piuttosto che pensare alla ragazza precedente ed il motivo perché non fosse venuta. <br>Nessuno, penso, avrebbe mai perso un’occasione così. <Ci doveva essere una giustificazione logica.
Ad un certo punto la mia attenzione – e un po’ quella di tutti in sala – si rivolse ad una ragazza che, in fretta e furia entrò nella stanza ansimando. Era una ragazza dai capelli ricci e lunghi, di colore castano scuro, e con profondi occhi neri. Aveva la pelle mulatta e un viso ovale, dai lineamenti marcati ma con un che da bambina. Che fosse lei Sharon Villa?
Mrs. Phillips si alzò dalla sua sedia in modo molto secco, con l’aria di chi sta per scatenare tutta la sua ira e la sua furia. La ragazza rimase immobile, guardando tutte le persone nella sala, incrociando in ultimo il mio sguardo.
Non so cosa accade, ma la sensazione che mi provocò attraverso i suoi occhi fu fatale. Non avevo mai visto uno sguardo più intenso. La luce che trasmettevano i suoi occhi neri era profonda, intensa. Una luce che trasmetteva vita.
Arrossì di colpo, non appena ebbe focalizzato che quello che stava fissando ero veramente io, e spostò di colpo gli occhi sulla Signorina Phillips, che nel frattempo l’aveva già raggiunta a passo agile e dinamico. Vidi le labbra della ragazza muoversi veloci, fin quando non furono interrotte da quelle della anziana donna, furente di rabbia.
«Michael?», disse il coreografo, alla mia sinistra, preoccupato.
«Di’ di fermare un momento la musica, per cortesia…» dissi guardando un momento la ragazza, Roxanne Views, che si era accorta di quello che era successo e si era fermata, preoccupata.
La musica s’interruppe di colpo e gli sguardi delle ballerine, dell’insegnante e di Sharon – ormai non avevo dubbi sul chi fosse – mi fissarono straniti. Guardai la professoressa Phillips, improvvisamente terrorizzata, e Sharon, la quale non muoveva un muscolo.
«C’è qualche problema?» disse il coreografo, rubandomi parola di bocca.
Subito Mrs. Phillips guardò me, a bocca aperta, poggiando successivamente uno sguardo omicida su Sharon – che teneva gli occhi fissi ai miei – e rivolgendosi infine a me.
«Mi… Mi dispiace molto, signor Jackson, per l’interruzione. Lei non…» disse balbettando con voce tremante e irata.
«Sei Sharon Villa, vero?» chiesi rivolto alla giovane, con un lieve sorriso. Lei annuì soltanto e poi tornò a guardare la maestra, con uno sguardo carico di rancore e frustrazione.
Perché quell’odio reciproco, fra insegnante e alunna?
«Signor Jackson, le chiedo perdono per l’interruzione. Io davvero…». Senza le parole giuste per proseguire, tornò a guardare negli occhi la ballerina, questa volta con un tono di secca decisione.
«Non ci saranno più intoppi, la ragazza non ballerà e potrete andare avanti coi provini».
«Cosa?!», esclamò la ragazza, sbarrando gli occhi. Rimasi ad osservarla, questa volta sorpreso dalla sua improvvisa esclamazione. Poi il suo sguardo fuggì verso due ragazze, di cui una sempre la solita Jenny Vain, a sogghignare. Il suo sguardo si fece carico di rabbia.
«Tu non ballerai, né ora né qua», ripeté l’insegnante, questa volta fulminandola con lo sguardo di chi non ammetteva repliche.
Vidi gli occhi di quella Sharon farsi lucidi di rabbia e delusione e sentii improvvisamente l’istinto di volerla aiutare. Potevo scorgere in lei la voglia di danzare e qualcosa dentro di me mi disse che dovevo farle raggiungere il suo scopo; se non l’avrei fatto, magari mi sarei pentito per sempre.<br> E lei soprattutto avrebbe sofferto per sempre.
«Io invece vorrei vederti ballare, Sharon» dissi, sentendo tutti gli sguardi, nel giro di un secondo, su di me. Anche la ballerina mi guardò con occhi sconvolti e eccitati. Io, allora, le sorrisi gentilmente.
«Cosa?». Questa volta era Mrs. Phillips ad esserne sconvolta, mentre Sharon mi ricambiava la cortesia con un sorriso aperto e spontaneo, affascinante.
«Io avrei finito, puoi prendere il mio posto se vuoi…» rispose una timida voce, proveniente da Roxanne Views, la ragazza che si era interrotta nel mezzo dell’esibizione.
Sharon la guardò con uno sguardo pieno di rammarico e angoscia, immaginando si sentisse in colpa per averle troncato una occasione come quella. L’altra le sorrise gentile e solo allora lei ricambiò con un sottile “Grazie”.
Sorridendo, a discapito di tutte le ballerine e la professoressa sconvolte e scioccate da quella situazione, con un cenno del capo invitai Sharon a farsi avanti, in piedi dalla sedia su cui una decina di minuti prima stavo seduto.
La Signorina Phillips accennò una smorfia irata con le labbra e squadrò l’alunna con disgusto e odio inumano. Solo allora la ragazza, facendo finta di niente, s’incamminò allo stereo per inserire il Cd di ballo.
L’anziana donna si portò alla cattedra, non enunciando parola, e finalmente mi sedetti anche io. Sorrisi inconsciamente. Nel frattempo che la ragazza faceva un po' di stretching, il mio assistente coreografo mi parlò.
«Sei davvero sicuro ne varrà la pena? E se non è brava come desideri?», chiese dubbioso.
«In quel caso almeno avremo tentato.», dissi cordiale, alzando le spalle, non riuscendo a distogliere gli occhi dalla ballerina Sharon, che velocemente si riscaldava.
«Signor Jackson, le prego di perdonare quella che sarà una perdita di tempo…» riprese imperterrita Mrs. Phillips, non dandosi per vinta. «Lei non è una professionista, è solo una ragazza straniera che non ha base… Frequenta questa scuola da solo due settimane, non ha tecnica… E' solo... La prego, non… Non sa quello che fa…»
Subito la interruppi, non volendo più sentirla enunciare parola. Mi davano fastidio le persone che dispregiavano altra gente senza un motivo giusto. «So benissimo quello che sto facendo, ho le idee molto chiare».
Non disse più nulla. Nessuno disse più niente e, da quel momento, solo la musica cominciò a regnare sull’immensa stanza. La traccia che avevo scelto non mi era nota, ma stranamente – in confronto a tutte le altre – non aveva preparato una coreografia su una mia canzone.
La ragazza si fece avanti al centro della stanza, con accanto alla sua sinistra a qualche metro da lei una sedia. Mi guardò un istante, con una espressione decisa e tranquilla, per poi volgere il suo sguardo sul pavimento.
La vidi chiudere gli occhi e respirare profondamente. Una volta che il ritmo si fece più veloce, vidi il suo corpo cominciare a scaldarsi e dalle sue labbra comparire un sorriso. Un sorriso sereno. Felice. La ragazza aprì gli occhi di scatto e cominciò a muoversi, sinuosa ma secca nei movimenti, a ritmo delle note di quella stupenda canzone hip hop. L’unica cosa che in quel momento riuscivo a fare era quella di starmene a bocca aperta. Come tutti quelli presenti nella sala, d’altronde.
Il mio istinto non aveva torto, quella volta. Era lei. Ne ero sicuro. Lei trasmetteva emozioni!
La vidi muoversi agilmente, sorridente, felice di quello che faceva. Era magnifica. Non avevo mai visto nessuno così, e lei era quella particolare eccezione alle regole. Davvero sembrava di vivere personalmente la scena di Flashdance, la scena in cui la protagonista si esibiva per il suo esame.
Ma la cosa che più mi rendeva senza parole, era l’energia che dava. Trasmetteva quella voglia di ballare e di muoversi, la libertà e la serenità di quando si prova ad essere senza catene, senza limiti di svago.
Non riuscii neanche a pensare a qualcosa di concreto. Era come starsene in un altro mondo e non ero il solo a pensarla così. Tutti in quella sala erano senza parole e le persone che prima la giudicavano ora la guardavano scioccate e senza le parole per dire qualche altra cattiveria. Lei regnava in quella pista da ballo, niente la poteva fermare. Il suo mondo era il ballo. Ballare era la sua unica via d’uscita da quel mondo… Proprio come per me.
Quando finì il ballo, la ritrovai inginocchiata con gli occhi chiusi, a pochi metri in linea da dove stavo seduto. Non seppi che espressione avevo in volto, né quelle degli altri in sala. Lei ansimò e si alzò in piedi, in equilibrio perfetto. <br>Guardò la sua insegnante e, a scapito di tutti, fece l’inchino. Vidi nel suo volto comparire un’espressione di tranquillità innata, quasi come se si sentiva la più serena di quel mondo.
«Grazie… Per avermi dato… Questa opportunità…» disse ancora ansimante, accennando un sorriso verso di me, e girò i tacchi in direzione del lettore Cd.
Prelevò il suo disco e lo mise nella tracolla che aveva portato con sé. Nessuno disse niente, ma lei proseguì dritta per la sua via, senza guardare nessuno in faccia. Una volta propensa alla porta d’uscita, un istinto dentro di me mi spinse ad alzarmi dalla sedia.
«Aspetta…», la chiamai, con voce alta ma comunque tremante, a causa delle forti sensazioni di felicità immotivate che mi possedevano.
Sentivo lo sguardo di tutti i presenti su di me – alcuni dubbiosi, alcuni ansiosi, alcuni perfino arrabbiati – ma ero concentrato solo su una persona, Sharon.
Lei si voltò a guardarmi, sinceramente curiosa, neanche si aspettasse la lasciassi andare senza fermarla. Io le sorrisi e, mantenendo una tonalità normale, le chiesi: «Se posso chiederti… Cosa pensi, quando balli?»
Pronunciai quelle parole con calma, quasi sillabando, e lei abbassò lo sguardo verso il pavimento, a pensare, a fronte corrugata. Improvvisamente sorrise e mi rivolse i suoi occhi particolarmente illuminati di felicità.
«Io non penso. Mai. Quando ballo mi libero di tutti i problemi, del dolore, della sofferenza, del passato… Ballare mi rende forte, mi fa sentire bene. Mi da la forza di andare avanti. Sono libera, felice.»
Disse quelle parole con estrema devozione trasparire nella voce e nello sguardo che mi fece rabbrividire. Un lungo fremito mi avvolse tutto, rendendomi immobile e impedendomi la capacità di movimento. Il cervello non aveva più capacità di pensare. Sentivo solamente un senso di calore dentro l’anima, a quelle parole.
Lei mi sorrise apertamente, con incantevole gentilezza, e uscì dalla porta, lasciandosi sguardi increduli e immediati bisbigli soffocati alle spalle.

È difficile dir loro ciò che sento per te. Non ti hanno mai conosciuta, e non sanno come sei fatta. Come fanno a sapere il tuo mistero? Diamo loro un indizio.
Due uccelli sono su un albero. Uno mangia le ciliegie, mentre l’altro sta a guardare. Due uccelli volano nel cielo. Il canto di uno scende giù dal cielo come cristallo, mentre l’altro resta in silenzio. Due uccelli roteano al sole. Uno riflette la luce sulle sue piume argentate, mentre l’altro distende le sue ali invisibili.
Non è difficile capire quale dei due uccelli sia io, ma non riusciranno a capire chi sei tu. A meno che…
A meno che non sappiano cos’è un amore che non interferisce mai, che guarda da dietro, che respira libero nell’aria invisibile. Dolce uccellino, anima mia, il tuo silenzio è così prezioso. Quanto passerà prima che il mondo possa udire il tuo canto col mio?
Oh, come bramo quel giorno!