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UN FANTASTICO INCONTRO (in corso). Rating: rosso

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    malabi
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    00 23/05/2010 02:36
    Ecco la seconda parte del racconto. Spero che sia di vostro gradimento.

    PARTE SECONDA (Il Secondo Incontro)

    1° Capitolo


    Sono passati quasi otto anni, per l’esattezza 7 anni e 4 mesi, da quella meravigliosa giornata passata a Roma con Michael e, purtroppo l'occasione per rivederci non c'è stata.

    Dopo la sua partenza, nei primi giorni, avevo ricevuto qualche sua breve telefonata, non molte a dire il vero, dove lui mi diceva che sarebbe stato felicissimo di rivedermi, ma il suo Dangerous Tour lo portava sempre più in paesi lontani, e per me, che ero da poco entrata a far parte di uno studio associato, era del tutto impensabile poter lasciare il lavoro, anche se solo per poco tempo.

    Percepivo chiaramente il suo disappunto, perché ogni volta che ripetevo questa cosa, lui mi sottolineava che se avessi veramente voluto, avrei fatto del tutto per raggiungerlo, e che ovviamente lui si sarebbe preoccupato di tutto sia dal punto di vista economico che organizzativo.

    Mi scusavo e ribadivo che il lato economico non c'entrava nulla, ma che ero davvero legata mani e piedi dal mio lavoro, soprattutto in quel periodo di dichiarazioni dei redditi. Ero profondamente dispiaciuta e gli giuravo che anch'io desideravo moltissimo vederlo e che pensavo moltissimo ai bei momenti trascorsi assieme, e che mi mancava tantissimo.

    Sentivo però che le mie parole lo irritavano sempre di più, e secondo me, era fermamente convinto che la mia fosse solo una scusa.
    Durante quel mese mi chiamò, solo un altro paio di volte ed il tenore della conversazione, almeno da parte sua, era molto formale, anche se sempre estremamente gentile.

    Dopo un po' come è ovvio, le telefonate cessarono del tutto ed io dal canto mio non ho mai avuto il coraggio di richiamarlo, tranne una volta sola in cui però, non ho parlato poiché a rispondermi è stata una voce femminile, forse qualcuno del suo staff, almeno così ho sperato.

    Ero davvero dispiaciuta e triste, e stavo tremendamente male per questo, giacchè dal quel giorno passato assieme, Michael era costantemente nei miei pensieri, come un’adolescente mi ero perdutamente innamorata di lui e mi mancava come l’aria, ma che altro potevo fare?

    Ero una donna sola, che viveva del proprio lavoro e, non potevo rischiare di perdere tutto per correre dietro ad un’illusione poiché, anche se lo amavo tantissimo, anche se a volte fantasticavo su un’idilliaca quanto improbabile vita assieme, non avevo mai pensato che da parte sua ci fosse l’intenzione di trasformare questa nostra, chiamiamola “affettuosa amicizia”, in qualcosa di più serio e duraturo. Michael, infatti in tal senso, non si era mai minimamente espresso, quindi io dovevo tenere ben saldi i piedi per terra e, ciò mi faceva soffrire tremendamente.

    Non vedevo alternative per migliorare la situazione e, con il passare del tempo poi, al dispiacere e alla tristezza è subentrato un po' di risentimento, perché questo suo atteggiamento lo trovavo molto superbo
    Ero convinta, infatti, che lui pensasse che in quanto Michael Jackson, nessuno poteva permettersi di dirgli un no, anche se validamente motivato.

    Lui era la super-star indiscussa che stava facendo un Tour mondiale, senz'altro molto, ma molto più importante del mio banalissimo e piccolo lavoro da commercialista.

    Così sono passati i giorni, i mesi e poi, gli anni, ed io, ho continuato a vivere la mia vita, divisa tra lavoro e famiglia; nel frattempo, infatti, mi ero sposata, avevo avuto una bambina e poco dopo avevo divorziato.

    A Michael pensavo sempre, i primi mesi molto intensamente, e con una struggente nostalgia, alternata a volte a rabbia e, biasimandomi per aver accettato il suo invito quella sera, mi dicevo anche che avevo scelto il momento peggiore per entrare in uno studio associato.
    Mai tempistica fu più deleteria di quella.

    Con lo scorrere del tempo poi, come quasi sempre accade, sempre più di rado mi soffermavo su quel bellissimo ricordo, ma mi accorgevo che questo, che custodivo in me ancora vivissimo, nonostante il passere delle stagioni, andava però assumendo l'inconsistenza dei sogni, arrivando io stessa, a volte, persino a dubitare che quel magico incontro fosse davvero avvenuto tanto che, per paura di essere presa per una mitomane visionaria, mi ero guardata bene dal raccontarlo a qualcuno, tranne che a mia sorella.

    Povera! Lei, al contrario di me, era una sua fan sfegatata, però, all'epoca del mio incontro con Michael a quella cena, viveva a Londra e, nel momento in cui ha saputo quello che si era persa, si può dire che mi ha tenuto il muso per un anno.

    Un giorno però, dopo tutto questo tempo, la mia vita, scandita solo dal solito tram-tram quotidiano, viene rivoluzionata da una telefonata di mio padre che mi chiama al lavoro, mentre sono occupata con un cliente e, senza nemmeno lasciarmi il tempo di dirgli che in quel momento non posso parlargli, mi chiede a bruciapelo:

    "Guarda è una cosa veloce, ti va di accompagnarmi a Los Angeles?"

    Dopo un primo istante di vera sorpresa, senza riflettere, gli rispondo che si poteva fare e che l’avrei richiamato in serata, dopo il lavoro, così mi avrebbe spiegato meglio.

    Tornata finalmente a casa, richiamo papà, e lui mi spiega che a Los Angeles deve andarci per discutere con delle persone, interessate alla coproduzione di un film che vorrebbe realizzare. Mi dice che il soggiorno durerà non più di una settimana, che non ha nessuna voglia di viaggiare da solo e che saremmo dovuti partire fra tre giorni.
    Mentre mio padre parla, la mia mente viaggia a velocità supersonica, perché sto già pensando come fare con mia figlia e con il lavoro, ma a lui rispondo che va bene e che lo accompagnerò volentieri, in fondo non capita tutti i giorni di poter andare a Los Angeles.
    Non appena attacco il telefono, chiamo subito il mio ex marito per dirgli di occuparsi lui della bambina per una settimana, perché devo partire con mio padre. All'inizio mi fa un sacco di storie ma poi, con grande fatica, riesco a convincerlo.

    Finita poi, la telefonata col mio ex, chiamo una mia amica, anche lei associata dello studio e le dico che devo assolutamente accompagnare mio padre in un viaggio, perché non se la sente di andare da solo, e le chiedo di potermi sostituire qualora ci fosse qualcosa di urgente, per il resto si rimanda tutto al mio ritorno.

    Mi dice di andare tranquilla perché penserà lei a tutto. La ringrazio di cuore e le prometto che potrà contare su di me per qualsiasi cosa.

    Finalmente finito di organizzarmi, comincio a pensare al viaggio, e mi dico che un'opportunità così non potevo lasciarmela sfuggire, finalmente sarei andata in America e soprattutto a Los Angeles che, da sempre, era stata una delle mie mete preferite.

    Mentre dunque fantastico su quello che avrei potuto fare in quella meravigliosa città, sento un tuffo al cuore, perché improvvisamente realizzo che proprio vicino a Los Angeles vive Michael.

    Al solo pensiero, mi riaffiorano alla mente tutti i ricordi di quella giornata passata con lui tanto tempo fa, ma in questo momento per me, è come se tutto fosse avvenuto ieri, il suo ricordo dà di nuovo vita ad un'emozione fortissima ed intensa.

    Mi siedo sul divano perché mi sento le gambe molli, e le farfalle nello stomaco, mi prendo la testa tra le mani e mi ripeto di non reagire come una quindicenne, di non essere cretina, che tanto le probabilità di incontrarlo a Los Angeles sono scarsissime, anzi quasi nulle.

    Per convincermi e per tornare a comportarmi come una donna di 40 anni, e non come una quindicenne, comincio a elencarmi tutte le impossibilità ad incontrarlo.

    Mi dico che intanto è possibile che lui in quel periodo non sia neppure a Los Angeles, o meglio a casa sua; ed anche ammesso che sia a casa sua, è distante da LA almeno 150/200 Km., e quindi la probabilità di poterlo incontrare è pari a zero, a meno che io non vada fino a Neverland per cercare di vederlo, cosa assolutamente impensabile.

    Penso poi a tutto il tempo che è passato e, mi convinco che questo incontro è meglio che non avvenga, anche perché in quasi otto anni, non sono rimasta certo come mi ha conosciuta, adesso, pur non dimostrando la mia età, non sono più magra come allora e qualche rughetta comincia a farsi vedere. Quindi, anche se riuscissi ad incontrarlo mi sentirei fortemente a disagio, sempre ammesso che mi riconosca, cosa questa che credo assai improbabile.

    Alla fine di tutte queste elucubrazioni mentali sono talmente certa che tanto non lo incontrerò mai per cui mi impongo di smettere di sognare ad occhi aperti e di vivermi questo viaggio nella maniera migliore.

    Dopo aver passato la giornata, prima della partenza, a fare un po' di shopping per l'occasione e, a preparare i bagagli, che sono un vero tormento, perché non so decidermi sul cosa portare o no, vado finalmente a dormire esausta con in testa soltanto il viaggio che mi aspetta.

    L'indomani mattina, mio padre passa a prendermi alle 9,00 dato che dobbiamo essere a Fiumicino per le 10,00, il nostro aereo partirà, infatti, due ore dopo.

    Sono emozionatissima, nel frattempo, mi faccio raccontare da papà come è organizzata la nostra vita a Los Angeles e lui, dopo avermi ragguagliato su tutti i minimi particolari, inaspettatamente mi chiede:

    "Ma tu Michael Jackson l'hai più sentito?".

    Resto un po' perplessa poiché, da quella sera in cui ero andata via con Michael, mio padre, solo una volta, qualche giorno dopo, mi aveva chiesto con chi fossi tornata a casa ed io molto semplicemente avevo risposto che mi aveva accompagnata MJ.

    Lui si era semplicemente limitato a chiedermi se era più interessante come persona o come personaggio e io gli avevo risposto che come personaggio era straordinariamente carismatico ma come persona lo trovavo ancora più affascinante. Questo fu tutto.

    Mi metto subito in allarme e voglio sapere come mai dopo tutto quel tempo mi stia facendo questa domanda ma lui mi dice che è solo per curiosità, e che gli è venuto in mente perchè stiamo andando a Los Angeles.

    Gli rispondo che è moltissimo tempo che non lo sento più, e lui inaspettatamente aggiunge:

    "Peccato".

    Finalmente siamo in aeroporto, dopo aver espletato tutte le formalità, ci sediamo nella sala d'attesa per essere chiamati per l'imbarco, ci immergiamo nella lettura di riviste e giornali che ci siamo comprati per passare senza annoiarci le circa 12 ore di volo che ci aspettano.

    Dopo quasi un’ora di attesa ci chiamano per l'imbarco del volo Roma - New York - Los Angeles e finalmente saliamo sull' aereo, ci sediamo in buisinness - class, l'aereo decolla e noi ci slacciamo le cinture di sicurezza.

    Dopo esserci slacciati le cinture di sicurezza, mio padre che con l'età ha cominciato ad avere tutte le fobie possibili, inclusa la paura dell'aereo, mezzo intontito da non so quanti calmanti, cerca di appisolarsi.

    Tra me penso, che sarà un viaggio di noia assoluta, con papà che sarà in stato catatonico per tutto il tempo, senza nessuno con cui parlare. Non mi resta quindi che cominciare a leggere le riviste che mi sono procurata, sperando che il tempo passi il più velocemente possibile.

    Tra uno spuntino, qualche bevuta di Coca e succhi di frutti, tra la lettura, la visione di un paio di film, ovviamente in lingua inglese, e l'ascolto di un po' di musica, arriviamo a New York.

    Mentre l'aereo atterra, noto che è giorno pieno, nonostante che il mio orologio segni le 19,00 o giù di lì, e mi sembra una stranezza, visto che oltretutto siamo in novembre.
    Lo dico a mio padre, che nel frattempo si è risvegliato da quello stato di letargia che non lo ha mai abbandonato, e lui mi risponde che è normale perché lì sono le 13,00 circa.

    Caspita ma come ho fatto a non pensarci, il fuso orario!
    In pratica è come se non ci fossimo mossi, quindi considerato che la sosta a New York sarà di un'ora o forse più, sommate ad altre cinque circa di volo saremmo arrivati a Los Angeles verso le 4,00 di notte ora italiana, mentre lì sarebbero state le 19,00.
    All'aeroporto, tra l'altro, ci aspetteranno gli amici di mio padre per accompagnarci in albergo e poi a mangiare da qualche parte! Solo l'idea di affrontare una cena, alle 6,00 del mattino secondo il mio bio-ritmo, mi provoca conati al solo pensarci.

    Sono terrorizzata perché penso che arriverò in uno stato deplorevole. faccia stravolta dal sonno, borse sotto gli occhi e talmente stanca tanto da essere al limite di una crisi isterica.

    Già sto pentendomi amaramente di aver accettato di accompagnare mio padre, perché il soggiorno si preannuncia più come un tour de force, che un qualcosa di rilassante e piacevole. Comunque ormai sono qui e devo fare buon viso a cattivo gioco.

    Ovviamente l'aereo a New York deve imbarcare altri passeggeri oltre che a fare rifornimento di carburante, quindi nell'attesa, approfittando del fatto che papà si sia risvegliato, mi faccio dire chi siano queste persone che avremmo incontrato a LA.

    Lui mi spiega che all'aeroporto sarebbero venuti a prenderci tre persone, di cui due sono amici di mio padre di vecchia data, con i quali aveva lavorato già in passato, il terzo, molto amico di uno dei due, è quello che, se le cose si fossero concluse al meglio, avrebbe dovuto produrre il film.

    Subito dopo, con "nonchalance", butta lì che uno di questi conosce Michael Jackson molto bene, perché aveva organizzato, in passato, qualche spettacolo per lui.

    Al nome di Michael, il mio cuore comincia a battere forte, ma a mio padre rispondo con un tono molto distaccato, commentando con un secco:

    "Ah sì?".

    Lui tuttavia, imperterrito continua, descrivendomi quanto questo suo amico sia in gamba come organizzatore, tanto da essere molto ricercato a Hollywood ed infatti anche Jackson, che è solito lavorare con i migliori sul mercato, ha voluto che lavorasse con lui. E bla, bla, bla. Bla, bla, bla.

    Non lo sento più, la mia mente ormai sta tornando indietro di otto anni e il ricordo di quella giornata passata con lui a Roma, riaffiora prepotentemente, di nuovo.

    Mi si stringe il cuore per la nostalgia di quei momenti meravigliosi, per il rammarico di non averlo mai più potuto rivedere e, per la tristezza di aver perso, forse, la possibilità di vivere una bella storia, che comunque sarebbe finita, valeva assolutamente la pena di essere vissuta.

    Michael era stato con me una persona stupenda, piena di gentilezza, premura e dolcezza. In quella giornata avevo capito quanto fosse davvero un uomo speciale, intelligente, colto, sensibile, carismatico, divertente, profondamente generoso, ma anche terribilmente solo ed emotivamente complesso.

    Gli ero grata per avermi permesso di conoscerlo, poiché per me era stato come aprire uno scrigno magico, che racchiudeva in sé una gemma preziosissima e piena di sfaccettature, che la rendevano ancora più scintillante e luminosa, direi quasi abbagliante.

    Ripensando a tutto questo i miei occhi si riempiono di lacrime e per dissimulare la commozione che mi sta sopraffacendo mi alzo con la scusa di andare a chiedere qualcosa da bere.
    Esco dalla Buisinness Class e per cercare la hostess passo davanti al portellone dell'aereo aperto e vedo che la scaletta per i passeggeri è accostata. Guardo fuori e vedo una quindicina di persone che stanno venendo verso l'aereo per imbarcarsi.

    Tra me penso:

    "Meno male, così tra un po' si riparte, questo viaggio mi ha già sfinito".

    Sto per passare oltre, quando in fondo a questo gruppo di persone noto un altro gruppetto, un po' distaccato dal resto, formato da circa 6/7 adulti e 2 bambini piccoli tenuti in braccio. La mia attenzione è attirata da quattro di questi che mi sembrano essere giganteschi, disposti un po' a cerchio intorno agli altri.

    Non riesco a vedere bene chi siano le persone che stanno al centro, un po' per la distanza e un po' perché sono fortemente miope, tra l'altro per il viaggio non ho nemmeno messo le lenti a contatto ma gli occhiali, per cui la mia visibilità è ancora più ridotta e, dato che sapere chi siano non mi interessa affatto, proseguo per avvicinarmi alla hostess che era nella saletta antistante la classe turistica, e le chiedo se può portarci qualcosa da bere.

    Ringrazio e mi avvio di nuovo verso la mia classe.
    Nel ripassare davanti al portellone, mentre i primi passeggeri stanno cominciando a salire la scaletta, ributto uno sguardo verso il gruppetto distaccato, che nel frattempo era molto più vicino e noto che, oltre ai giganti, un po' spostata verso l'esterno, c'è una signora che tiene in braccio un bambino, e al centro un uomo che ha in braccio quell'altro.

    Penso che sicuramente saranno persone importanti, poiché capisco che, quegli armadi che li circondano, sono senz'altro dei body-guards.

    Ad un tratto però il bambino, tenuto in braccio dall’uomo, si rigira verso l'aereo, si sposta di lato rendendo quindi visibile il volto di chi lo stava abbracciando.

    Il cuore fa un tonfo, per interminabili attimi penso che mi si fermi, le gambe mi diventano molli come il burro, comincio a sentire sudori freddi e, in un primo momento penso di avere le traveggole, ma poi lo riconosco:

    “E' lui! E’ Michael!”


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    malabi
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    00 23/05/2010 03:50
    PARTE SECONDA (Il Secondo Incontro)

    2° Capitolo


    Stento a crederci, ma è proprio Michael che sta venendo verso l'aereo ed io in piena crisi di panico, letteralmente volo verso la mia poltrona dove mi siedo con un affanno tale, che mio padre mi chiede se mi sono fatta tutto l'aereo di corsa ma, in questo momento, non riesco nemmeno a parlare per quanto sono agitata.

    Entra l'hostess, con le bevande richieste, che lascia la porta della nostra classe aperta e, in quel preciso istante sento la sua inconfondibile voce che risponde al saluto del comandante che stava attendendo i passeggeri.

    Sono talmente confusa che quando l'hostess mi porge il bicchiere, alzo la testa e fisso un punto dietro di lei, con uno sguardo stralunato senza capire cosa mi stia dicendo.

    La poveretta rimane con il bicchiere a mezz'aria aspettando pazientemente che io abbia una qualche reazione cognitiva ma resto lì impalata a fissare il vuoto.

    In realtà sto fissando uno ad uno quelli che stanno entrando nella nostra classe, con il terrore che passi anche Michael.

    Vengo riportata alla ragione , ma solo per un brevissimo attimo, da mio padre che mi chiede, con un tono un po' nervosetto, se non m'ero accorta che quella, stava cercando di mettermi sto benedetto bicchiere in mano almeno da trenta secondi, finalmente poi, scuotendomi dal mio temporaneo corto circuito mentale, prendo quello che mi stava porgendo mentre mi sorride forzatamente, per nascondere, di sicuro ben altre intenzioni

    Dopo aver afferrato il bicchiere , non riesco nemmeno a bere, poiché m'accorgo che le mani mi stanno un po' tremando e, in quel momento lui mi passa accanto, riconosco il suo profumo, lo vedo solo di spalle che si dirige verso la fine del corridoio della Buisinness per passare attraverso una porta, di cui mi accorgo solo ora, tenuta aperta da uno stewart, che si sta profondendo in saluti cordialissimi accompagnati da sorrisi tali da far invidia ad una reclame di dentifricio.
    Noto poi, che due delle sue guardie del corpo si siedono nelle poltrone, vicine alla porta, che à stata richiusa, dopo che il resto del gruppo è scomparso oltre.

    Mio padre che oltre ad essere in stato semi-catatonico, è oltretutto miope poco meno di me, ovviamente non si è minimante accorto di chi fosse passato vicino a noi, qualche istante prima, ed in realtà, mi rendo conto che anche gli altri passeggeri che sono nella nostra classe, sembra che non si siano accorti della presenza di Michael, oppure, e forse questa è la spiegazione giusta, non sono minimamente interessati a tale presenza.
    Io invece, sono letteralmente attonita, perché mai e poi mai, avrei pensato di poterlo incontrare su questo volo.

    Mi chiedo, infatti, per quale motivo abbia preso un volo di linea, quando lui sicuramente possiede almeno un aereo personale.

    Ovviamente è una domanda a cui non so dare una risposta e comunque anche sapere il perché, non cambierebbe minimamente la situazione assurda in cui mi trovo.

    Mentre corro dietro ai miei pensieri, papà, risalendo dal suo stato semi-letargico, mi dice che dietro la porta, dove sono appena sparite quelle persone, ci sta la classe super – lusso - extra, etc. etc., che pochi si possono permettere perché, costa veramente un'enormità, ed è riservata ai ricchi veri.

    Rispondo con una battuta, per non far minimamente trapelare lo stato di scombussolamento in cui mi trovo, citando una frase di Fantozziana memoria, che le poltrone saranno senz'altro di pelle umana, e papà accennando una risatina, risponde che non sono proprio di pelle umana, ma quasi.

    Nello stesso istante il comandante annuncia il decollo e noi ci riallacciamo le cinture di sicurezza.

    Papà, che nel frattempo si è presa un'altra dose di tranquillanti, sta già con gli occhi chiusi, ed io penso che da questo momento in poi, il viaggio che mi aspetta non sarà affatto noioso ma anzi, estremamente agitato, vista la ridda di pensieri che, dal momento in cui ho rivisto Michael, stanno attraversando la mia mente a velocità della luce.

    La prima cosa a cui penso, è che devo evitare ad ogni costo di farmi vedere, perché, nella remotissima ipotesi che egli possa riconoscermi, mi troverebbe sicuramente peggiorata, rispetto a molti anni prima; mi consola tuttavia l’idea che da allora sono così tanto cambiata, sia nell'aspetto che nel modo di vestire, che mi convinco che tanto non mi riconoscerà.
    All’epoca, infatti, pesavo 62 chili su 178 cm. di altezza, avevo i capelli tagliati a Carrè, color castagna con riflessi ramati e soprattutto avevo 32 anni.

    Oggi ho i capelli lunghi con colpi di sole biondo chiaro e scuro e la frangia che porto lateralmente: per essere più comoda durante il viaggio, me li sono annodati dietro la nuca e li tengo fermi da una specie di spillone di legno lavorato, che mio padre mi ha portato in regalo dalla Thailandia. Peso tra i 68 e i 69 chili e, ho anche gli occhiali da vista, che sicuramente mi conferiscono un'aria molto più professionale, ma diversa rispetto a quando porto le lenti a contatto, ma soprattutto, e questo conta più di qualsiasi altra cosa ai fini del mio cambiamento, ho quasi 40 anni.


    Dato che papà, prima di partire, si è raccomandato che mi vestissi in maniera sobria ma elegante, per far bella figura con gli americani, che di solito vestono pure maluccio, per farlo contento, ho indossato un tailleur pantaloni con giacca a 3/4 di lino e seta nero, con sotto una camicia di seta grigio perla, scarpe decolté anch'esse grigie con tacco 3 cm., quando poi, infatti, mi è venuto a prendere sotto casa per andare all'aeroporto, mi ha fatto molti complimenti per il mio look e mi ha detto che stavo benissimo e, che sicuramente, in America, avrei riscosso un grande successo tra le persone che dovevamo incontrare, e non solo.

    Naturalmente, a queste parole non do nessuna importanza, perché è stato mio padre a pronunciarle e non un estraneo, quindi per me, sono del tutto inaffidabili.

    Prendo quindi lo specchietto dalla borsa per dare un'occhiata al mio disfacimento e l'immagine che mi appare, è davvero terribile.

    Il trucco della mattina si è praticamente liquefatto in sbavature nerastre ai lati degli occhi ed ho delle borse sottostanti, per la stanchezza, che potrei usare tranquillamente come tascapane.

    Ai lati della bocca ho due segni, anzi direi due solchi, che mi danno un'espressione da cane S. Bernardo, mi manca solo la fiaschetta al collo e l'immagine sarebbe perfetta.

    Ho la pelle della fronte, del mento e dei lati del naso lucida, come se mi fossi fatta delle spugnature all'olio d'oliva.

    La frangia, anche lei per la stanchezza si è appiattita sulla fronte come se avessi portato un elmetto per 24 ore di fila, e credo che non si riprenderà nemmeno con una cotonatura tipo anni '60.

    Insomma dopo quest’attento esame del mio aspetto, la sentenza è una sola: sono irrecuperabilmente un cesso.

    L'imperativo, di conseguenza, è uno solo, non farsi assolutamente vedere da Michael, in ogni caso.
    Dato per scontato, infatti, che mai avrebbe potuto riconoscermi, in queste condizioni, qualora inavvertitamente, mi avesse degnato di uno sguardo, gli avrei di certo fatto un’impressione bruttissima.

    Sono affranta, in cerca di un po' di conforto mi giro verso papà che se la dorme alla grande; per noi, infatti, sono circa le 2,00 di notte, e penso che anch'io devo assolutamente dormire un po', perché altrimenti al mio arrivo a Los Angeles, il mio aspetto sarebbe senz'altro peggiorato e allora altro che riscuotere grande successo! Quelli, cioè gli amici di mio padre, avrebbero girato la testa dall'altra parte per non sputarmi in faccia.
    Insomma mentre continuo a pensare a come fare per porre riparo a tale scempio, cado in uno stato di dormi-veglia.

    Ad un tratto sento toccarmi leggermente il braccio e mi sento chiamare per nome, ma non riesco ad aprire gli occhi per la stanchezza e mugolo qualcosa, il tocco si fa più insistente e sento nuovamente il mio nome ripetuto più volte.

    A fatica riesco a socchiudere gli occhi, e vedo la faccia di Michael a pochi centimetri dalla mia che mi sorride. Faccio uno scatto sulla poltrona e spalanco gli occhi con il cuore che mi batte in petto come un tamburo, e grido "Michael".

    Mi guardo intorno e vedo, l'hostess di prima, sempre con quel sorriso di circostanza stampato sulla faccia, che mi sta toccando il braccio e mi chiede se stessi bene dato che mi ha sentita agitarmi.

    Realizzo che Michael l'ho soltanto sognato, quindi tiro un sospiro di sollievo, tuttavia penso:

    "Meno male che non era lui! Sì, però che figura del cavolo ho fatto, se per davvero ho gridato il suo nome.”

    Tranquillizzo l'hostess, la ringrazio per il suo interessamento e le chiedo di portarmi un caffè, tanto ormai sicuramente non sarei più riuscita a dormire

    Nell'attesa che la "simpaticona" arrivi con quella specie di sciacquatura che molto eufemisticamente osano chiamare caffè, cerco di riordinare le idee.

    Intanto comincio a tirare fuori la mia trousse da trucco, dove ovviamente c'è di tutto, compresa una mascherina che si deve comprimere sugli occhi per far sparire, magari, o meglio attenuare le borse , decisa ormai a passare l'ultima ora di volo a darmi una di quelle restaurate, che al confronto, quello avvenuto nella Cappella Sistina, è una bazzecola.

    Ritorna l’hostess con la nera bevanda, ovviamente lunga un chilometro, annacquata, bollente, e che non sa di niente. La trangugito comunque e, mi illudo che possa darmi un minimo di energia.

    Do inizio al restauro, sperando di far fare una figura decente a mio padre, ma non solo per questo, anzi soprattutto pensando, se mai dovessi imbattermi in Michael!

    Dopo 40 minuti circa, ho finito di truccarmi, quindi decido di andare alla toilette per darmi una sistemata ai capelli.

    Ovviamente questa è in fondo al corridoio, oltre la porta della classe iper –mega – super - vip.


    Mi alzo e con passo un po' strascicato, anche per via delle pantofole, che mi ero messa praticamente subito dopo il mio imbarco a Roma, mi avvio verso il bagno.

    Arrivata a circa tre passi dalla classe di Michael, il cuore ricomincia a battere all'impazzata, ed anche se mi do dell'imbecille per venti volte di seguito, non c'è verso di farlo smettere, comunque proseguo e passando davanti alla sua porta, mi accorgo che, questa, è leggermente socchiusa.

    Cerco di guardare dentro, ma l'unica cosa che vedo è un braccio e una gamba, che non so dire a chi appartengano.

    Proseguo per il corridoio ed entro in bagno cercando di fare un po' di iper-ventilazione, perché sto di nuovo in affanno; finalmente mi calmo e mi guardo nello specchio.

    L'opera di restauro fortunatamente ha dato i suoi frutti. Non che sia proprio uno splendore ma perlomeno sono presentabile.

    Sciolgo i capelli, li pettino a testa in giù per dare loro un po' di volume, li cospargo di lacca e mi riporto la frangia sul davanti.
    L'immagine che ora vedo riflessa è decisamente migliore rispetto a quella precedente.

    Esco dal bagno un po' più rincuorata, mi riavvio verso il corridoio e già da subito noto che la porta, che prima era socchiusa ora è aperta quasi del tutto.

    Prima di passarci davanti, guardo dentro e vedo semi-allungato su una comodissima poltrona, posta leggermente più giù rispetto all'entrata, Michael.

    E' vestito tutto di nero, sia i pantaloni, che non saprei dire se jeans o altro,
    sia la t-shirt giro-collo e sia la giacca. Anche gli stivali che calza sono neri.

    Ha i capelli non più ricci, come li ricordavo io, ma ondulati e lunghi fino all'attacco del collo con la spalla. Ha indosso gli immancabili occhiali neri, Ray-Ban.
    Anche se mi sembra cambiato rispetto a tanti anni fa, mi appare comunque bellissimo, anzi così vestito, decisamente più affascinante e, noto che inequivocabilmente la sua pelle è molto più chiara.

    Sta parlando con una delle guardie del corpo che erano sedute fuori, e mentre passo lì davanti, con la testa abbassata, ma tremando per l'emozione che, fortissima, si è riappropriata di me dopo averlo rivisto, la trousse che avevo in mano e, che avevo chiuso non del tutto, cade, spargendo a terra buona parte del suo contenuto.

    In questo momento, tale e tanta è la vergogna, che prego che l'aereo mi si apra sotto e mi risucchi nel vuoto e, poiché la sensazione di grande imbarazzo si aggiunge ad un’emozione incontrollabile, mi sta addirittura venendo da piangere per la rabbia.

    Mi abbasso per raccattare tutta la mia roba, mentre mi sento addosso uno sguardo, anzi due, raggelanti. Sono sicura che starà pensando chi sia questa stupida che, forse volutamente, ha fatto cadere le sue cose, proprio davanti alla sua porta.

    Per cercare di darmi un contegno e per fargli capire che, sono italiana, così forse può pensare che magari non l'abbia riconosciuto, mentre raccolgo il più velocemente possibile tutte le mie carabattole, faccio commenti ad alta voce, del tipo: "Ma guarda che mi doveva capitare…………. mannaggia la miseria……." ed altre amenità del genere.

    Tutto ciò sempre a testa bassa, senza mai guardare nemmeno con la coda dell'occhio verso di lui.

    Ironia della sorte, i commenti in italiano che ho cominciato a profferire solo per cercare di non sembrare una perfetta idiota, adesso mi escono spontanei, perché non trovo più il mio rossetto della Christian Dior, pagato un occhio della testa, color rosa pesca brillante che mi sta oltretutto stupendamente, che chissà dove caspita era rotolato.

    Comincio a guardare intorno a me, ma niente, cerco allora un po' più in là, senza mai però girare lo sguardo verso la mia sinistra, in direzione di Michael.
    Non trovando purtroppo da nessuna parte, ciò che stavo disperatamente cercando, sono purtroppo costretta a girarmi verso quel lato che fino ad ora avevo evitato come la peste, quindi senza mai alzare gli occhi, comincio a guardare verso la sua direzione, ma purtroppo del rossetto neanche l'ombra.

    Sto per desistere perché veramente mi sembra di vivere una farsa e soprattutto mi sento come una ladra, quando ad un tratto sento una voce che si rivolge a me in inglese:

    "Have you problem, madam?"

    E' la voce di Michael, un po' più profonda di quella che ricordavo, o almeno credo che sia stato lui a parlare, perché nello stato di agitazione in cui sono potrei avere anche delle allucinazioni auditive.

    Ovviamente non oso guardare in su per sapere se la domanda sia stata formulata da lui o da qualcun altro, per cui mentre cerco di assumere una posizione finalmente eretta, rispondo in italiano

    "Grazie, ma sto cercando il mio rossetto che non trovo più."


    Poi mi rendo conto e rettifico in un inglese improbabile, ma non ho tempo per pensare alle parole giuste:

    "Sorry. Thanks, I look for my lost lip-gloss."

    E' chiaro che mentre rispondo, per educazione, devo guardare verso di lui, quindi, sfodero un sorriso di cortesia, senza far trapelare minimamente né che l'abbia riconosciuto e, né tantomeno, che mi stavo letteralmente squagliando dall'emozione.

    Percepisco che lui mi sta guardando fisso, ma non capisco con quale sguardo perché non si è tolto gli occhiali da sole. Ma quando mai!
    Mi parla quindi di nuovo, dicendomi che, forse, il mio rossetto è rotolato lì dentro, ma ovviamente io non oso muovermi dalla mia posizione, vale a dire impalata fuori la porta.

    Nel frattempo anche la guardia del corpo si è messa a cercare, dopo che Michael si è rivolto a lui brevemente.
    Non sapendo né che fare né che dire, mi rimetto gli occhiali, che mi ero appoggiata sulla testa, per vedere meglio da vicino, mentre cercavo il mio rossetto, e in quel momento Michael esclama:

    "Ahhh!"

    In un primo momento, penso che quest’esclamazione sia per i miei occhiali, ma poi, noto che sta indicando con la mano un punto non meglio identificato poco distante dai miei piedi, che ricordo ora, sono calzati dalle orrende pantofole.

    Non riesco proprio a vedere ciò che mi sta indicando, quindi, forse esasperato, si alza, viene verso di me e poi si china per raccogliere il mio rossetto, che si era andato ad infilare tra la porta e il suo stipite.
    Lo prende, si alza e me lo porge con un sorriso, dicendo:

    "Your lip-gloss, madam".

    Prendo il rossetto dalle sue mani, sorrido, lo ringrazio di cuore e guardandolo intensamente negli occhi gli porgo la mano per salutarlo, lui a quel punto si toglie gli occhiali, mi guarda anche lui fisso ma con uno sguardo un po' incerto e mi chiede se sono italiana, gli rispondo di sì ma lui vuole sapere se sono di Roma.
    Io non so che rispondere perché ho come l'impressione che mi possa riconoscere e gli dico che sono di Venezia, ma che abito a Roma da poco tempo. Lui mi guarda ancora con un'espressione perplessa e con il sopracciglio alzato come per chiedere se quella sia la verità.

    Sono imbarazzatissima, abbasso gli occhi e per porre fine a questo esame, gli domando perché mi ha fatto quella domanda e lui mi risponde che gli sembrava che somigliassi molto ad una ragazza che aveva conosciuto molti anni prima proprio a Roma.

    Per sdrammatizzare e per cambiare discorso, replico che ognuno di noi ha almeno sette sosia nel mondo e, ridendo mi dice che lui ne ha molti di più di sette.

    A questo punto non posso continuare a far finta di non averlo riconosciuto, anche perché veramente farei la figura della cretina e gli rispondo che lo so.

    Sorridendo mi dice:

    "Allora sai chi sono?"

    Ora sono io a guardarlo con aria perplessa e il sopracciglio alzato, e rispondo:

    "Se non sei uno dei tanti suoi sosia, dovresti essere Michael Jackson".

    Fa una bella risata, mi prende finalmente la mano che sfiora leggermente con le labbra e mi conferma che è il vero Michael Jackson ed è contento di aver fatto la mia conoscenza, anche se in un primo momento ha pensato che fossi un po' funny.

    Di rimando gli chiedo:

    “Perché funny?”

    Lui allora mi spiega che quando ha visto che mi era caduta di mano tutta quella roba, e mi sono abbassata per raccoglierla, parlavo da sola e non ho mai girato la testa verso di loro, che erano lì a pochi passi da me, come se in quel momento vivessi in un mondo tutto mio, insomma questo gli ha fatto pensare che fossi un po' funny, ecco.

    Gli chiedo se adesso lo pensa ancora, mi risponde di no, e che dopo aver guardato i miei occhi, il mio sorriso, la mia bocca, e dopo aver ascoltato la mia voce gli ho fatto ricordare quella sua amica di Roma, che non vede da tanto tempo e che gli sarebbe piaciuto incontrare di nuovo.

    Vengo presa dall'angoscia perché il desiderio di dirgli che sono io quella persona è violento, ma poi penso che non so nemmeno quale sia attualmente la sua situazione sentimentale, e per paura di illudermi e di soffrire ancora, preferisco far finta di niente.

    In questi ultimi anni, infatti, non ho seguito molto le sue vicende, perché in primo luogo, quando in tutto il mondo circolò la notizia che era stato accusato da quel ragazzino, di pedofilia, cosa a cui non ho mai creduto nemmeno per un millesimo di secondo, sono stata talmente male per lui e ho sofferto talmente per non essergli potuta stare vicino, che mi sono rifiutata di leggere o di ascoltare qualsiasi cosa potesse essere scritta o detta sul suo conto, perché la consideravo solo sporcizia, messa in giro per distruggere la sua immagine, infangare la sua credibilità ed estorcere il suo denaro.

    Ogni qualvolta che capitava che alla televisione parlassero di lui, mi affrettavo a cambiare canale, poiché mi rifiutavo di ascoltare qualsiasi tipo di notizia che lo riguardasse, pur tuttavia, inevitabilmente, avevo comunque saputo dei suoi due matrimoni e, dei suoi due figli avuti dalla seconda moglie e, se da una parte mi auguravo che lui fosse felice, dall’altra avevo passato lunghi periodi di sconforto totale.

    Ogni volta che sentivo pronunciare il suo nome mi veniva da piangere, e cadevo in uno stato di profonda tristezza che mi durava giorni, per questo, mi sono imposta di fare del tutto per saperne il meno possibile sul suo conto, proprio per evitare di soffrire. Rinuncio quindi a rivelargli la mia identità.

    Mi chiede poi se sto andando a Los Angeles per turismo, e quanto tempo mi fermerò.
    Gli rispondo che sto accompagnando mio padre che deve avere un incontro d'affari e che se la cosa si svolgerà senza problemi tra una settimana dovremmo ritornare a Roma.

    A questo punto mi chiede :

    "Scusa, ma posso sapere il tuo nome?”

    Nel momento in cui stavo per rispondergli un nome a caso, ecco che vedo arrivare verso di noi mio padre, che per stazza non passa certo inosservato.
    E' difficile infatti non notarlo visto che è alto 1,95 e pesa 130 chili.
    Presa dal panico, poiché ho paura che vedendolo possa avere la conferma dei suoi dubbi, dico in tutta fretta a Michael che mi dispiace, ma che devo andare perché vedo che mio padre mi sta chiamando, lo ringrazio ancora e lo saluto.

    Lo lascio, visibilmente sconcertato per il mio comportamento che troverà a dir poco del tutto funny, e proseguo verso mio padre che sta mi sta venendo a cercare preoccupato, visto che erano circa 30 minuti che mi ero allontanata da lui.
    Lo tranquillizzo che sto bene e che ho fatto tardi perché mi dovevo sistemare prima di scendere.
    Vado a risedermi al mio posto e finalmente realizzo ciò che è successo.

    Ho il cuore che ancora batte forte dall'emozione e faccio fatica a fare ordine nella mia mente.

    Intanto la prima cosa a cui penso è che ho fatto davvero una figura barbina che per fortuna si è risolta al meglio.

    Sentire da lui, infatti, che m'ha preso, in un primo momento per una pazzerella, perché parlavo da sola mentre io credevo che quell'escamotage gli facesse pensare che quell'incidente non era stato voluto, mi procura ancora sudori freddi e, come se questo non bastasse aver ritenuto inoltre che non guardando mai dalla sua parte mi scagionasse ancora di più e, invece scoprire che non aveva fatto altro che attirare maggiormente l'attenzione su di me, mi fa sentire ancora più idiota.

    Passando a considerare la nostra breve conversazione poi, il fatto che Michael si ricordasse ancora di me, dopo tutti questi anni, mi ha lusingato moltissimo ma non posso fare a meno di essere anche profondamente dispiaciuta per non avergli detto che ero io la ragazza di cui si ricordava e che comunque aveva riconosciuto.

    Mi sono già pentita del mio comportamento, e mi ripeto che mai mi capiterà un'altra occasione come questa, tanto più che tra una quindicina di minuti arriveremo a destinazione e allora addio per sempre, mio amato Michael.

    Nemmeno ad averlo chiamato, il comandante annuncia l'atterraggio a breve e, noi allacciamo le cinture di sicurezza.


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    manu 62
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    This Is It Fan
    00 23/05/2010 06:30
    ma io ti adoro!i capitoli sfornati cosi',uno dopo l'altro!sempre piu' avvincente!
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    marty.jackson
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    00 23/05/2010 11:24
    bravissima bellissimi questi due capitoli!!

    If you wanna make the world a better place take a look in yourself than make a change~Michael Jackson

    'Cause nothin' lasts forever and we both know hearts can change and it's hard to hold a candle in the cold November rain~Guns n' Roses

    Remember yesterday walking hand in hand love letters in the sand I remember you~Skid Row

    I'm just the pieces of the man I used to be,too many bitter tears are raining down on me~Queen

    And I will love you, baby Always and I'll be there forever and a day always~Bon Jovi

    Come as you are,as you were,as I want you to be as a friend,as a friend,as an old enemy~Nirvana

    Rock ’n’ roll ain’t noise pollution Rock ’n’ roll ain’t gonna die~ACϟDC

    There's a lady who's sure all that glitters is gold and she's buying a stairway to heaven~Led Zeppelin
  • (angel66)
    00 23/05/2010 11:44
    bellissimi i capitoli, tutti belli grazie
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    malabi
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    Number Ones Fan
    00 23/05/2010 20:59
    grazie a tutte per i complimenti.

    Ecco qualche altro capitolo sperando che vi piaccia.


    PARTE SECONDA (Il Secondo Incontro)

    3° Capitolo.

    Finalmente l'aereo è atterrato. Mio padre che è un po' claudicante mi dice di aspettare che sfollino tutti i passeggeri, così può scendere la scaletta senza avere gente dietro e, io entro nuovamente in fibrillazione perché ho paura di incontrare nuovamente Michael, e forse vedendomi con mio padre, che come ho già detto non passa di certo inosservato, possa davvero riconoscermi, visto che comunque, la sera in cui ci siamo conosciuti a Roma ci aveva scambiato anche due parole.

    Comunque aspetto pazientemente e quando vedo che l'ultimo passeggero sta per scendere, dico a papà che ora possiamo andare anche noi, e ci avviamo verso l'uscita.

    Resto alle spalle di mio padre che affronta un gradino per volta per scendere e mentre mi trovo sul terzo gradino sento delle voci dietro di me. Non mi giro dato che so con sicurezza che quello è Michael con tutti gli altri suoi accompagnatori che stanno scendendo anche loro e, ovviamente papà, sentendo le voci si gira e mi guarda interrogativamente come per dirmi:

    “Ma non erano usciti tutti?"

    Gli faccio un gesto di rassegnazione e gli dico di non preoccuparsi.
    Sento un brusio dietro di me, allora mi giro e alla guardia del corpo che sta più vicina a me, dico di avere pazienza poiché mio padre ha difficoltà nello scendere le scale, lui mi sorride e mi dice che non c'è nessun problema, poi ripete quello che gli ho detto a qualcuno dietro di lui che sento che risponde con un:

    “Ok. Don’t worry”.

    Finalmente arriviamo a terra, ci dirigiamo verso la navetta che ci deve portare al terminal, sempre con il gruppo di Michael dietro, che immagino non salirà sullo stesso mezzo con noi, ma invece mi sbaglio, perché anche loro per uscire devono necessariamente arrivare dentro l'aeroporto.

    Papà ed io restiamo in fondo, ma non proprio vicini, cosicchè quando il gruppo sale, qualcun'altro passeggero si piazza tra me e lui.

    Mi ritrovo quindi vicinissima alle guardie del corpo che praticamente circondano Michael e la sua famiglia, nascondendoli dalla vista degli altri.

    Ad un tratto però mio padre mi chiama per dirmi qualcosa ed io ancora una volta mi faccio prendere dall'angoscia e spero con tutta me stessa, che Michael non abbia sentito il mio nome, poiché altrimenti i suoi sospetti, troverebbero una certezza.
    Mi consola tuttavia pensare che tanto quando saremo al terminal, sicuramente imboccheremo delle uscite diverse, perché noi venendo dall'Italia dobbiamo passare la dogana, mentre lui no.

    All'arrivo scendiamo tutti e, papà che vorrebbe uscire per ultimo, si trova invece a dover scendere prima del gruppo di Michael, visto che una delle body-guards gli fa cenno con la mano di passare e a quel punto scende prima di loro. Ci dirigiamo quindi verso una porta a vetri e fatti pochi passi ci ritroviamo sopra un lungo tapis-roulant.

    Mi giro per vedere se papà è dietro di me e mi accorgo che invece è rimasto un po' distanziato, faccio passare quindi le persone che sono tra me e lui, davanti.

    Dietro di noi torreggiano le guardie di Michael, ma lui non riesco a vederlo pur essendo solo a pochi centimetri di distanza, penso, tuttavia, che sia meglio così.
    No, anzi dopo tre secondi, comincio a darmi dell’idiota per non avergli detto che invece sono io quella persona che lui ricordava e per la rabbia mi vengono le lacrime agli occhi e mentre arriviamo alla fine del tapis comincio a frugare nella borsa per cercare un fazzoletto di carta.

    Scesa dal nastro, mi fermo per cercare bene in quella che, per la maggior parte delle donne, è un ricettacolo di qualsiasi cosa, utile (pochissima) ed inutile (tantissima) e, mentre mio padre si dirige all'uscita dei voli internazionali, il gruppo di Michael si dirige verso un'altra vetrata a destra.

    Mentre sto tirando fuori il fazzoletto per asciugarmi quelle lacrime furtive, Michael, mi passa talmente accanto che quasi mi sfiora, io lo guardo imbarazzata ma lui non mi guarda, o meglio non so se mi stia guardando, perché con quei sempiterni occhiali da sole non riesco a vedergli gli occhi, ma ciò nonostante mi sembra che mi saluti chiamandomi per nome.

    Sentendomi avvampare il viso per l'imbarazzo, mi dirigo subito verso la mia uscita dove mi sta aspettando mio padre, infilo anch'io gli occhiali da sole, tanto a LA c’è ancora luce e, ci incamminiamo entrambi verso il nastro trasportatore delle valigie, recuperate le quali, finalmente passiamo la dogana.

    Mentre sono in fila aspettando il mio turno per il controllo dei passaporti, ripenso a quello che era appena successo, dicendo a me stessa che probabilmente sono stata vittima di un'allucinazione auditiva, perché Michael, passandomi vicino, mi aveva solo salutata, ma io, che invece mi ritrovo con una coda di paglia lunga un chilometro, per essermi comportata come una perfetta idiota, ho creduto che mi chiamasse per nome.

    Comunque ormai è inutile pensarci poiché, il treno è passato, ed io per la mia idiozia, non l'ho preso.

    Finite poi tutte le formalità, abbastanza lunghe, ci avviamo finalmente all'uscita degli arrivi internazionali, dove ci stanno attendendo gli amici Americani di mio padre e, infatti, non appena siamo fuori, sento qualcuno che a gran voce chiama papà e vedo due uomini che si sbracciano a salutarlo.

    Ci avviciniamo senz’altro verso i due, che a turno ci salutano molto calorosamente, mentre i suoi amici, parlando uno slang americano che io capisco a malapena, mi fanno molti complimenti, mio padre traduce il tutto, non dimenticandosi di aggiungere, che lui era sicuro che avrei fatto una bellissima figura.
    Sorrido e ringrazio nel mio inglese piuttosto incerto, anche se di sicuro migliorato, grazie alla frequentazione di qualche corso rapido, rispetto a quello che parlavo, o per meglio dire, balbettavo nel periodo in cui avevo incontrato MJ la prima volta.

    Finiti i saluti, mio padre chiede come mai il terzo amico, non sia là con loro, ma l'organizzatore, quello bravissimo, che si chiama Ted, spiega a mio padre che ci sta aspettando nel suo ufficio, dato che doveva incontrare una persona molto importante, che il produttore, voleva farci assolutamente conoscere. Alla domanda di mio padre sul chi fosse questa persona, il suo amico, senza svelarci nulla, aggiunge:

    “Non potrete mai immaginare chi vuole farvi conoscere………..”

    Tra di me penso:

    “E chi sarà mai sto personaggio così importante, tanto da non poterlo nemmeno mai immaginare, il Presidente degli Stati Uniti?”

    Prima però che Ted possa aggiungere altro, dico a mio padre che prima vorrei passare in albergo per potermi almeno fare una doccia e cambiarmi, dopo tutte quelle ore di viaggio e, lui mi risponde che ovviamente faremo una sosta in hotel, ma che abbiamo appena 30, al massimo 40 minuti per sistemarci, dato che il produttore ci aspetta nel suo ufficio, per poi andare a cena da lui.

    Visto che, il tempo per prepararmi è del tutto esiguo e, visto che, io odio fare le cose di corsa, non posso fare a meno di replicare:

    “Capirai, cominciamo bene!”

    Mio padre non osa ribattere nulla, cosicchè usciamo dall'aeroporto e ci avviamo verso una limousine nera con tanto di autista, messa a disposizione dal tizio che ci stava aspettando nel suo ufficio.

    Una volta seduta nell’auto, cerco di scacciare tutti i pensieri negativi, guardando fuori per cercare di gustarmi il paesaggio, tuttavia ciò che vedo sono solo ed esclusivamente automobili che percorrono insieme a noi un’enorme autostrada ed ho come la sensazione di essere stata catapultata in un altro mondo.

    Dopo circa 40 minuti di tragitto arriviamo in un quartiere elegantissimo, larghe strade, palme gigantesche, grattacieli con all'entrata portieri in livrea e bellissimi alberghi.

    Appena giunti davanti al nostro hotel, subito qualcuno ci viene ad aprire la portiera della limousine e, due inservienti prendono le nostre valigie, veniamo accolti poi, all’interno, da una serie di saluti e sorrisi, come se fossimo chissà chi.

    Sono senza parole, guardo mio padre allibita, ma lui mi dice che lì fanno le cose sempre in grande e, che il nostro produttore se lo può permettere.

    Saliamo finalmente nelle nostre camere e, non appena metto piede nella mia, il mio stupore si trasforma in meraviglia.
    Non sono in una semplice camera, ma in una vera e propria Suite, con tanto di salotto, sala da pranzo, camera da letto e un bagno che non avrei mai immaginato nemmeno nei miei più rosei sogni.

    La mia ammirazione viene tuttavia distolta dal pensiero che ho solo mezz'ora di tempo per prepararmi.
    Con l'affanno riesco a essere quasi pronta, quando mio padre mi bussa alla porta per dirmi che mi aspetta nella hall dell'hotel.

    Non sapendo dove si svolgerà la cena, ho indossato un abito elegante ma sobrio, di velluto di seta nero , corto leggermente sopra al ginocchio, con una scollatura dritta che lascia scoperte le spalle e con un ampio collo a revers che segue la scollatura medesima, maniche fino al gomito, calze velatissime e scarpe nere con cinturino impreziosito da strass, tacco 5 cm., e pochette nera.

    Per dare un tocco di raffinatezza, ho raccolto i capelli in un morbido chignon ed ho lasciato sul davanti la frangia leggermente di lato. Tipo Haudry Hepburn, in Colazione da Tiffany, anche se nient’affatto a lei somigliante.

    Scendo nella hall e vedo mio padre seduto con i suoi due amici ad un tavolo dove, i tre, stanno bevendo qualcosa, quando mi avvicino, Ted e l'altro amico di papà, che si chiama Andy, si alzano in piedi e con sguardi ammirati, mi dicono che sono molto elegante ed affascinante, poi finiscono di bere in fretta e ci dirigiamo tutti verso la nostra auto che sta aspettando davanti all'entrata dell'hotel.
    [Modificato da malabi 23/05/2010 20:59]


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    malabi
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    00 23/05/2010 21:14
    PARTE SECONDA (Il Secondo Incontro)


    4° Capitolo.


    Il viaggio è molto breve, la limousine si ferma davanti ad un altro grattacielo, scendiamo prendiamo uno dei tanti ascensori e saliamo fino ad un piano altissimo.

    L'ascensore si apre e noi ci ritroviamo direttamente in una bella sala d'attesa arredata molto riccamente. Un'impeccabile segretaria appena ci vede alza il microfono di un interfono e annuncia il nostro arrivo.

    Immediatamente si apre una porta ed esce un bell'uomo, classico americano, bel viso, denti perfetti, alto ed atletico, capelli castano chiaro, occhi azzurro intenso.

    Penso subito che è davvero un gran bel tipo e, cercando di attribuirgli un'età, mi decido per i 45, massimo 50 anni.

    Il bell’uomo ci fa un bellissimo sorriso e si dirige verso di noi esclamando:

    "Eccovi qui finalmente!”

    Ted presenta per prima me e, lui molto garbatamente, mi fa un leggero baciamano, poi mentre saluta mio padre con una vigorosa stretta, si dichiara molto contento di averci lì invitandoci ad entrare nella stanza.

    L'ufficio è molto ampio, con una bella scrivania di legno scuro davanti alla parete tutta a vetri, bei quadri appesi e, un comodo salotto in un angolo, illuminato solo da una lampada che emana una luce soffusa, dove sono sedute due persone, di cui riesco ad intravedere solo la sagoma, dato che ormai, la luce del giorno sta lasciando posto alle ombre notturne.

    Il produttore, che si chiama Phil, ci dice che vuole presentarci due suoi carissimi amici Mr. ............. e Mr.................., ovviamente non riesco a capire bene i loro nomi, anche se di uno mi è parso di capire Jackson, ma persa come sono ad ammirare il bell'ufficio ed il panorama notturno di Los Angeles, che trovo davvero meraviglioso, non ci bado più di tanto, mai pensando che possa essere “quel Jackson”.

    Comunque, per non essere sgarbata, mi faccio più vicino al salotto, dove vedo che i due uomini che prima erano seduti si sono alzati in piedi ed anzi, uno dei due, che è di spalle rispetto a me, sta abbracciando affettuosamente Ted il quale, contraccambia quell’effusione con altrettanto calore.

    Cerco con gli occhi mio padre e vedo che ha una faccia strana e mi indica con lo sguardo Ted e l'amico che sta salutando.

    Dapprima non capisco quello che papà vuole dirmi, ma immediatamente il velo si squarcia, perché, anche se di spalle, lo riconosco, quello che Ted sta abbracciando è Michael, sì proprio “quel Jackson”.

    Mi paralizzo e sento il sangue che mi si raggela nelle vene, e penso che davvero il destino a volte ci fa degli scherzi di cattivo gusto.
    Questa volta sono davvero nel panico tanto che mi sembra quasi di svenire, noto poi, che anche papà, ha una faccia con un'espressione strana che non so nemmeno definire, sicuramente sorpresa ma forse anche imbarazzata.
    Non appena Ted si scioglie dall'abbraccio si rivolge a Michael e gli dice se può presentargli un suo carissimo amico italiano con la sua affascinante figlia, lui risponde che ci vuole conoscere senz'altro e si gira verso di noi.

    Mentre Ted gli dice il mio nome, senza osare guardarlo in faccia, gli porgo la mano per salutarlo, che lui sfiora appena e, con aria gelida, senza accennare al benché minimo sorriso, dice:

    "La signora ed io ci conosciamo già".

    Ted ovviamente, non accorgendosi della tensione che si è creata tra di noi, prende questa notizia come se fosse positiva e, con tono allegro, chiede quando ci saremmo conosciuti, ma Michael, con aria distratta e senza alcuna allegria nella voce risponde che ci siamo incontrati oggi sull'aereo, tutto questo mentre io rimango sempre ad occhi bassi perché non voglio guardare la sua espressione.

    Mike, comunque, rivolge immediatamente la sua attenzione verso mio padre che saluta, mi pare, un po' più calorosamente di quanto abbia fatto con me, dopodiché continua a parlare con Ted come se noi non esistessimo più.

    Phil ci presenta poi l'altra persona che è con Michael, della quale non capisco nemmeno il nome e alla quale, per come mi sento in questo momento, vale a dire completamente nel pallone, a mala pena riesco a rivolgere qualche parola di circostanza; tuttavia, la nostra nuova conoscenza, forse intuendo che c'è qualcosa che non va, si mostra davvero gentile cercando di intavolare subito con me una cordiale conversazione, forse per togliermi dall'imbarazzo.

    Mi chiede, infatti, come mai mi trovo a LA e gli spiego che mio padre dovrebbe concludere un affare qui e, Phil che si è seduto vicino a noi, spiega subito a Franky, questo è il nome dell'amico di Michael, che ho capito in seconda battuta, che probabilmente coprodurrà con mio padre un film che dovrebbe essere girato in parte a LA ed in parte a Roma, non omettendo di raccontarne anche la trama.

    Non riesco a seguire nemmeno una piccola parte di discorso a cui, tra l'altro, si è unito anche mio padre, perché sono preda di un malessere dal quale non so come potermi liberare, per come sono andate le cose e, soprattutto dopo aver visto la reazione di Michael che con il suo atteggiamento assolutamente raggelante, mi sta facendo soffrire come non avrei mai creduto potesse di nuovo accadere.

    Continuo a pensare a quello che ha detto e soprattutto a come l'ha detto, se mi avesse insultata infatti, con una parolaccia, cosa che lui non farebbe mai, mi avrebbe ferita di meno e, mentre sto seduta sul divano, guardando Michael che sta parlando in piedi con Ted e sempre di spalle a me senza mai, nemmeno una volta, essersi girato verso di noi, ho la netta sensazione che io, per lui, non esista proprio in quella stanza.
    Ad un tratto Franky si rivolge a me chiedendomi se anch'io mi occupo di cinema, gli rispondo di no, ma che comunque, in qualche maniera, sono nell'ambiente poiché, tra i clienti dello studio in cui lavoro, ci sono molte persone dello spettacolo e società di produzione cinematografica.

    Mi chiede poi dove alloggiamo, ed io rigiro la domanda a mio padre poiché, nel trambusto dell'arrivo, non mi sono nemmeno accorta del nome dell'albergo e, papà risponde che l'hotel è il Beverly Hills.

    Franky sorride e mi dice che anche lui alloggia lì, mi stupisco perché pensavo che invece lui abitasse in città, ma mi risponde che abita a circa 200 Km. da LA, però quando si trattiene in città per lavoro, abita al Beverly Hills.

    Aggiunge poi, sempre con il suo sorriso cordiale, che è una fortuna per lui, così forse potremmo incontrarci e magari cenare insieme almeno una volta e, se mi fa piacere, sarebbe contento di accompagnarmi se avessi voglia di visitare la città.

    Lo ringrazio e gli dico, ma solo per non sembrare scortese, poiché la mia mente è altrove, che in base agli impegni di entrambi potremmo trovare un po' di tempo libero.

    Phil, dopo un po’ di tempo passato in chiacchiere, si alza e ci annuncia che ovviamente siamo tutti suoi ospiti a casa sua per cenare insieme e, per continuare tra di noi la piacevole conversazione.
    Sono del tutto convinta che Michael ovviamente non verrà ma, con mia sorpresa, si avvicina a Franky per dirgli qualcosa a bassa voce, il suo amico quindi, prende subito un cellulare per parlare per pochi secondi con qualcuno e, dopo aver attaccato, fa un cenno con la testa a Michael, come per dire che è tutto a posto.

    Da perfetta imbecille, non avevo realizzato, fino a quel momento, che Franky facesse parte dello staff di Michael, pensavo che fosse soltanto un amico, ed improvvisamente mi viene anche il dubbio che al Beverly Hills abiti proprio con Michael.

    Mi auguro che quello che penso non corrisponda alla realtà, perché per me, saperlo nel mio stesso albergo, sarebbe davvero una sofferenza maggiore.

    Con la testa che mi sta per scoppiare, vuoi per la stanchezza, per le emozioni che si sono susseguite e per il dolore che provo nel vedere l'atteggiamento così distaccato di Michael, m'incammino insieme agli altri verso l'ascensore.
    Sento che Michael è alle mie spalle riesco a percepire il suo profumo, dolce intenso, sensuale e vengo sopraffatta da una voglia irrefrenabile di girarmi e baciarlo, qui davanti a tutti, ma il pensiero della sua reazione, che potrebbe essere ancora peggiore di quella avuta nel momento della presentazione, mi fa rigettare questo insano desiderio, nei meandri più reconditi della menta e mi impongo di non pensarci assolutamente più, perché ormai con lui il capitolo è chiuso, anzi chiusissimo.

    Entro, mi giro verso le porte e mi ritrovo Michael esattamente di fronte a me, sempre con quei cavolo di occhiali da sole, ovviamente non tento neppure di vedere se mi stia guardando o no, mi chiedo solo perché li porta pure di notte, non faccio però in tempo a rispondermi perché ormai siamo arrivati al piano terra e, qui scendiamo tutti.

    Mentre ci dirigiamo verso l'auto che ci aspetta, mi accorgo che saliremo tutti sulla limousine di Phil. guardo mio padre con aria interrogativa che mi risponde a bassa voce che non sa perché stiamo andando con una sola auto.

    Ovviamente mi fanno salire per prima, così vado ad occupare il sedile posteriore di sinistra, poi entra mio padre che si siede su quello di destra, sale Michael che si posiziona di fronte al me, poi Franky che invece mi si mette vicino. A seguire tutti gli altri

    La limousine si muove lentamente ed io guardo fuori dal finestrino, ma osservo Michael con la coda dell'occhio, che nel frattempo si è finalmente tolto gli occhiali da sole e si sta aggiustando i capelli.

    Per stare più comoda tiro su una gamba per accavallarla ma, tocco inavvertitamente quella di Michael, lo guardo e, con un filo di voce, chiedo scusa ma lui mi risponde, con un tono del tutto impersonale, che non è niente, poi rimane a guardarmi con un'aria, che a me, nel buio della macchina, sembra di sfida.

    A questo punto, però, sorreggo lo sguardo, perché non mi va proprio più di sentirmi come un cane bastonato per tutta la serata e, non lo avrei assolutamente distolto se Franky non mi avesse chiesto
    se era la prima volta che venivo negli States e che impressione mi avesse fatto
    Los Angeles.
    Gli rispondo che era la prima volta e che era molto presto per avere un'opinione, anche se tutto mi sembrava così enorme e, aggiungo, che noi in Italia siamo abituati a spazi molto più angusti, specialmente poi per me, che per molto tempo ho abitato a Venezia, ed anche se ora abito a Roma, per quanto grande esse sia, non può essere certo paragonata all’immensità di LA.

    Franky però replica, che mi considera una privilegiata, perché ho avuto la fortuna di vivere nelle due città tra le più belle del mondo e, mentre afferma questo si rivolge a Michael per chiedergli la sua opinione.

    Contrariamente alla risposta secca che mi aspettavo, lui invece comincia a parlare, dicendo che l'Italia gli piace moltissimo ed in particolare Roma, dove si era trovato benissimo e, che suo malgrado, non era riuscito a visitare tutta come avrebbe voluto, perché è una città così piena d'arte che per poter vedere tutto ci avrebbe dovuto abitare per qualche mese, cosa che non ha mai potuto fare a causa degli impegni di lavoro.

    Ovviamente gli altri, sentendo che Michael sta parlando, si sono subito ammutoliti e, hanno cominciato a chiedergli le sue impressioni riguardo all'Italia e agli Italiani.

    Michael risponde che, secondo lui, noi siano molto espansivi, calorosi e molto vitali, soprattutto poi era rimasto colpito dalle donne italiane, che trova in generale molto belle, sexi, passionali e molto materne con i lori figli.

    Specifica, inoltre, che visitando le città italiane, aveva notato che le donne che camminavano per la strada erano quasi tutte molto ben vestite, non erano affatto trasandate come invece gli era capitato di vedere in tanti altri paesi, America compresa.

    A quel punto Phil interviene e, indicandomi, dice che quella sera, tra di loro, c'era un bellissimo esempio di donna italiana, bella, elegante e di classe.

    Tutti tranne mio padre, per ovvi motivi e, Michael per motivi non altrettanto ovvi, almeno per altri, approvano quello che Phil aveva appena detto su di me.

    Non so più dove guardare per l'imbarazzo e spero che a casa di Phil ci sia qualche altra donna che partecipi alla cena. Comunque ringrazio per i complimenti che trovo però esagerati e guardo Michael come per cercare un po' d'aiuto e lui forse capendo il mio disagio, accenna ad un mezzo sorriso, che io ricambio.

    In quel preciso istante l'auto entra in un imponente cancello e dopo aver percorso un lungo viale si ferma davanti ad una villa enorme, stile neo-classico, però di recente costruzione, che personalmente non avrei mai acquistato per viverci, ma gli americani vanno pazzi per queste cose.

    L'autista ci apre la portiera e, dopo essere tutti scesi, seguendo il padrone di casa, cominciamo a salire le scale della villa.


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    00 23/05/2010 21:29
    Malabi ho letto ora i 2 capitoli nuovi....Bellissimi!!!!!! Ma cavolo, lei poteva rivelarsi, così si è solo incasinata la vita. Nn vedo l'ora di leggere il seguito. Baci !!!!

    Ops....hai postato altri 2 capitoli !!!! Volo a leggere!!!!

    Oddio, voglio sapere come va la cena!!!!! Sono troppo curiosa.....Lo sapevo io che facendo come ha fatto sull'aereo si giocava Michael, speriamo che riescano a chiarirsi....
    [Modificato da BEAT IT 81 23/05/2010 21:48]

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    00 23/05/2010 21:35
    Re:
    BEAT IT 81, 23/05/2010 21.29:

    Malabi ho letto ora i 2 capitoli nuovi....Bellissimi!!!!!! Ma cavolo, lei poteva rivelarsi, così si è solo incasinata la vita. Nn vedo l'ora di leggere il seguito. Baci !!!!

    Ops....hai postato altri 2 capitoli !!!! Volo a leggere!!!!




    Cara Beat It 81, ma non ci sarebbe più "suspense". Vedrai che questo racconto è pieno di colpi di scena. Con Michael niente è facile e scontato.

    Comunque grazie, vedo che sei una mia lettrice affezionata.


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    00 23/05/2010 21:49
    Re: Re:
    malabi, 23/05/2010 21.35:




    Cara Beat It 81, ma non ci sarebbe più "suspense". Vedrai che questo racconto è pieno di colpi di scena. Con Michael niente è facile e scontato.

    Comunque grazie, vedo che sei una mia lettrice affezionata.




    Assolutamente sì, la tua storia mi ha completamente catturata...Brava!!!!!!!

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