Michael Jackson FanSquare Forum Dal 2001, il Forum italiano di Michael Jackson

Ho qualcosa da raccontarvi... [Fan Fiction]. Terminata: 33 capitoli + versione aggiornata di 19 capitoli. Rating: arancione

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    Anto (girl on the line)
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    00 16/07/2010 00:16
    Sere,anche noi siamo certe che la tua nuova storia sarà un successone!!!Già non sto più nella pelle!!!

    Letti anche questi capitoli,bellissimi!! [SM=g27817] [SM=x47938]
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    Sere-88
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    00 19/07/2010 15:28

    Capitolo 17




    “…You got I know that keepin the faith
    Means never givin up on love
    But the power that love has
    Has to make it right
    Makes it
    Makes it right
    So keep the faith
    Don't let nobody turn you round brother
    You got to know when it's good to go
    Get your dreams up off of the ground…”
    (Keep the faith)


    Coniugare arte ed impegno sociale; in questo avevo avuto un “grande maestro”, dovevo riconoscerlo. Ero in procinto di partire per Roma per lavorare ad un progetto in cui poter coinvolgere la compagnia di danza di cui ero la direttrice artistica e l’associazione che anni addietro avevo fondato per la tutela delle donne maltrattate. Avevo in mente uno spettacolo centrato su questa tematica da portare in giro per l’America e per le principali capitali europee, i cui proventi sarebbero stati devoluti a sostegno delle organizzazioni mondiali che si occupano dei diritti delle donne
    Era un lavoro di un’entità non indifferente che avevo pensato di mandare in porto entro l’anno a venire, ma la preparazione del tutto richiedeva un notevole dispendio di pubbliche relazioni per l’individuazione di possibili collaboratori. Decisi di partire dalla mia terra, dalla mia casa, dalla mia Italia; avevo buoni contatti e ero certa di poter contare su una proficua collaborazione nostrana.

    Stavo preparando le valige in quel mio modo meccanico e metodico che accompagnava da anni la mia natura ormai cosmopolita.
    Scrutai attentamente nell’armadio per individuare i capi di cui avevo bisogno per quel soggiorno di circa una settimana quando, immersa nella mia logica del piccolo bagaglio-grande comodità, venni destata dallo squillo del cellulare, e come in un deja vù fui catapultata nel passato.

    -Ohi Mike…ciao, come stai?

    -Susanna…

    Aveva pronunciato il mio nome per intero, quello era il segno di una grande preoccupazione.

    -Domani Susanna…d omani… vieni con me a Londra?

    -A Londra? Domani?...Oddio Mike, mi cogli in un momentaccio…stavo preparando i bagagli perché parto per Roma, per lavoro capisci? Mi dispiace tantissimo ma temo che…

    -Susie…per favore…

    Al suono di quel “per favore” pronunciato con tanta paura e quasi implorante, rabbrividii, e ad un tratto ogni mia priorità divenne secondaria a quella richiesta. Di nuovo, come sempre.

    -Mike…accidenti…mi metti nei casini così…Era un impegno importantissimo…Ma che diamine devi fare a Londra domani?

    Quell’ “era” lasciava chiaramente presagire come sarebbero andate le cose.

    -Susie…annuncio il mio ritorno…

    Aveva preso la sua decisione; come era solito fare per ogni cosa importante che lo riguardasse, anche quella volta non potette fare a meno di comunicarmela a bruciapelo.

    -Ah…cacchio…alla fine ci è riuscito…

    -Ho deciso io Susie…io…Allora? Vieni con me alla conferenza stampa?

    Mi sorse spontaneo un accenno di sorriso; quella proposta non mi era nuova, anzi, era vecchia di vent’anni. Ma se in passato furono l’imbarazzo, l’incertezza e la confusione ad indurmi passivamente ad agire in una situazione analoga con un Michael sconosciuto e con una giovane impulsività, adesso sapevo perfettamente cosa dovevo fare.
    Non mi restava che andare con lui.

    -Dannazione ragazzo! Ma quanto mi complichi la vita tu?...Va bè dai...ritieniti fortunato perché le valige sono già pronte…

    -…Che Dio ti benedica piccola!...ti devo un favore…

    Non mi doveva nulla, perché non sarebbe bastato vivere per intero un’altra vita a ripagarlo per tutto ciò che mi aveva donato negli anni.
    Ero pronta a seguirlo.
    ***

    Destinazione Londra.
    Londra e Mike; un binomio che più volte nella mia vita si era ripetuto, ma soprattutto una accoppiata vincente che permise a me diciottenne di conoscere il fenomeno musicale Michael Jackson.

    Quindici giorni di vacanza studio a Londra furono niente male come regalo dei genitori in occasione della maturità per una ragazzina di provincia che non era mai uscita dai confini dell’Italia, e che aveva una voglia matta di festeggiare la tanto sudata licenza liceale.
    Ma per un grande viaggio ci voleva una grande compagnia, e la mia cara Diana si offrì entusiasta di accompagnarmi in quella prima gita fuori porta.
    Alloggiavamo presso una famiglia che era solita ospitare studenti stranieri; la mattina frequentavamo dei corsi per migliorare il nostro inglese scolastico e per il resto della giornata ce la spassavamo alla grande visitando qualsiasi cosa meritasse di essere ricordata e se possibile fotografata.
    Con cartina alla mano girammo la città senza alcuna guida, se non il nostro talvolta discutibile senso dell’orientamento che spesso e volentieri ci lasciava in panne nel bel mezzo di stradine sconosciute.
    Ed in una di queste avvenne la magia.

    -Susà confessa…ci siamo perse…

    -Noooo, ma che…tranquilla è tutto sotto controllo…Della cartina me ne dovevo occupare io no? Quindi fidati…

    -I miei piedi gonfi e doloranti stanno organizzando una rivolta contro di te e quella dannata mappa…Che tra l’altro stai guardando al contrario…Facciamo una cosa, questa la prendo io e tu cerca di chiedere in giro qualche informazione…

    -Io?

    -E no io…Ma se so dire solo dog, yellow e hello, my name is Diana Ferrante?…Vedi un po’ tu…

    Ci guardammo intorno spaesate, quando una piccola insegna con su scritto “Music tales” ci convinse ad entrare nella speranza di poter ottenere qualche indicazione utile.

    Una porta pesante si aprì su di un piccolo bugigattolo stretto e lungo diviso centralmente da una lunga scaffalatura stracolma di vinili, musicassette e quant’altro, catalogati in ordine alfabetico e per genere musicale.
    Diedi un’occhiata fugace in giro, giusto il tempo di prendere coraggio per formulare una di quelle belle frasi fatte che avevo imparato alla perfezione per i casi di emergenza, con tanto di corretta pronuncia londinese.

    -Salve, potrei chiederle un’informazione?

    Un signore sulla cinquantina dalla capigliatura fulva, una pioggia di efelidi sul viso e due curatissimi baffoni all’insù dall’aria da aristocratico dell’800, alla mia domanda distolse prontamente lo sguardo dal televisore che teneva poggiato su uno sgabello dietro al bancone e su cui stavano trasmettendo quello che aveva tutta l’aria di un concerto.

    -Certo signorina, dica pure…- risposero quei simpatici baffoni d’altri tempi che tuttavia stonavano maledettamente con il codino, il cerchietto al lobo dell’orecchio e con quel tatuaggio sull’avambraccio che diceva “Elvis forever!”.
    Quell’uomo era lo specchio degli anni ’50, ’60, ’70 e ’80, tutto riassunto in una unica immagine a tratti grottesca che non dimenticherò mai.

    Le norme della consueta comunicazione dialogica a quel punto avrebbero chiaramente previsto che io, avendo inizialmente formulato la domanda, proseguissi nel chiarire che cavolo volessi sapere dal signor Elvis-per-sempre, ma niente.
    Nessuna parola uscì dalla mia bocca, e non perché non sapessi come esprimere in inglese che ci eravamo perse e che non avessimo la più pallida idea di quale fosse la zona della città in cui ci trovassimo, ma perché ero troppo impegnata a tenere le fauci spalancate e gli occhi catturati dalle immagini che la televisione dietro al bancone continuava spietatamente a trasmettere, indifferente dinanzi a quello scenario adolescenziale alquanto pietoso.

    -Signorina si sente bene?

    Niente; catalessi totale.
    Mi sporsi per guardare meglio, e la cosa non migliorò di certo l’espressione da ebete che avevo assunto.
    Un ragazzo scuro, magro ed agilissimo, dalla capigliatura accuratamente ingellata e dal look a dir poco luccicante, si stava dimenando in maniera divina su un palco cantando con una voce superlativa il groove di un basso che mi fece pulsare il sangue nelle vene.
    Avevo sentito in radio quel motivetto così invitante per lo spirito ballerino che ormai già da anni coltivavo con passione, ma non ricordavo bene come si chiamasse dal momento che da ragazzina ascoltavo poco la musica straniera e ci andavo giù pesante con il cantautorato italiano, anzi il “pallautorato” come lo definiva Diana.
    Gli occhi non ne vollero sapere di scollarsi da quello schermo, ma la mia bocca prese a balbettare qualcosa che sembrava essere un’altra domanda.

    -Ma…ma chi è questo ragazzo?

    Quell’interrogativo dovette rendermi ancora più imbecille agli occhi del signore del negozio.

    -Non mi dica che non conosce il tornado Michael Jackson? Ma da dove viene scusi?

    A quel punto Diana, dopo aver incasinato un po’ gli scaffali del negozietto con le sue mani curiose, si unì alla conversazione e non appena udì il nome Michael Jackson, che tra l’altro era l’unica cosa che avesse capito di tutto il discorso, saltò come una molla.

    -Oh Susà …Ma hai capito chi è quello?...- disse indicando il televisore come un marinaio che avesse appena avvistato terra-...è quel pezzo di figo americano che balla con gli zombie…Hai capito chi? Mamma mia quanto mi fa sangue questo…

    Non prestai attenzione alle sue considerazioni che spessissimo anche in pubblico trascendevano i limiti della censura, e continuai a godermi estasiata quello spettacolo.
    Ripresi fiato.

    -Ma è un suo concerto?- chiesi ad Elvis-per-sempre

    -No, in realtà è un tributo che ha fatto in occasione dell’anniversario di una importante etichetta discografica che lo rappresenta. Signorina se lo guardi bene, sta assistendo alla nascita di una stella mondiale, sentiremo ancora per molto parlare di questo giovanotto…

    Quei piedi svelti si muovevano di magia, e ad un tratto li vidi disegnare una danza quasi illusionistica che mi lasciò sconcertata.

    -Porca vacca Dià, ma guarda che fa questo…O gesù, va avanti camminando indietro!!!!!!!…- esclamai portandomi una mano alla testa tanto fu lo stupore che quei passi mi procurarono.

    -Cavolo, questo si che è ballare…non quelle pippe classiche che fate a scuola tua. Tesò non ti offendere ma più di una volta ai tuoi saggi, tranne quando eri in scena tu, lo giuro, ho rischiato di addormentarmi. Non mi dire che quest’anno fate di nuovo “Schiaccianoci” che altrimenti me le porto io da casa le noci e ve le butto appresso…

    Non prestai alcuna attenzione alle sue parole, rapita dalla magia di quell’arte cantata e ballata.

    -Mamma mia, questo è un genio, ma guarda là come si muove….

    -Già…Se sotto le lenzuola si sa muovere anche solo la metà di come si muove sotto i riflettori, lo vado a cercare in capo al mondo e me lo sposo sto tipo…

    -Che palle Diana! Ma pensi sempre alla stessa cosa? Sei peggio di un ragazzo…

    -Mi scusi Suor Susanna dei miei stivali, non sono io che penso sempre alla stessa cosa, sei tu che non ci pensi mai…Diciamo che io lo faccio anche per te, prendilo come un favore da parte di un’amica…Ah, già che ci sei, un favore fammelo pure tu, chiedi a sto tipo “Pel-di-carota” se vende qualche poster di quel cioccolatino con gli zombie…lo voglio…lo voGLIO…LO VOGLIOOOO!!!!

    Cercai di formulare alla meglio quella richiesta anche con una certa urgenza, dal momento che volevo porre fine allo stravolgimento ormonale a cui il povero signore con le lentiggini stava assistendo.
    Per fortuna il poster c’era e così i bollenti spiriti della mia cara amica, e anche i miei, furono almeno in parte placati.
    Una volta ottenute le informazioni che ci occorrevano per riorientarci, eravamo pronte a proseguire il nostro tour fai-da-te, quando il baffo rosso ci fece una richiesta.

    -Signorine vi andrebbe di farvi una foto da mettere nella “bacheca del viaggiatore”?

    Ci indicò una parete su cui erano fissate con delle punesse un centinaio di foto di persone di tutte le nazionalità, immortalate tra gli scaffali del negozio con il simpatico proprietario.

    -Sapete, sono anni ormai che porto avanti questo negozietto, e sin da quando è nato è stata mantenuta questa tradizione. Ogni viaggiatore che si trova per caso o con l’intenzione a mettere piede in questo mio caro e piccolo bugigattolo, anche se per pochi minuti, mi lascia un po’ della sua storia, del suo viaggio, della musica che ama…Ciascuno di noi ha una qualche musica che lo racconta, che ne accompagna i ricordi e le esperienze…Le persone sono storie di musica care ragazze, e anche voi oggi me ne avete raccontata una, quella di questo bel ragazzotto di colore che il mio fiuto da intenditore di note dice che diventerà un Re…Mio amato Elvis, concedimi questo azzardo…

    Con sorpresa e divertimento acconsentimmo a quella simpatica richiesta, in cui vi lessi anche un qualcosa di magico e profetico.
    Io, il signor baffo-rosso, Diana ed il mitico poster di Michael Jackson tra gli zombie dispiegato dinanzi a noi, ci mettemmo in posa ed imprimemmo i nostri sorrisi nello scatto di una Polaroid.
    Lasciammo una frase ricordo e le nostre firme su quella foto, che noi stesse provvedemmo ad attaccare tra le centinaia di altre che riempivano la parete.
    Salutammo l’atmosfera magica di quel negozietto e prima di varcarne la soglia, il proprietario del negozio ci disse qualcosa che con gli anni non ho mai dimenticato.

    -Molti di coloro che si sono trovati qui di passaggio e che hanno lasciato una loro foto sono ritornati, e mi hanno raccontato di aver trovato fortuna…Chissà che “la bacheca del viaggiatore” non ne porti tanta anche a voi…Buon viaggio ragazze, aspetto che torniate un giorno a raccontarmi altre storie della vostra musica…


    Di quell’episodio tanto divertente e al contempo suggestivo, conservo oltre che il ricordo anche la cassetta di Michael che acquistai, le cui canzoni furono la colonna sonora di quel viaggio.
    All’epoca ero una ragazzina e la sua voce mi accompagnò per la mano lungo le strade sconosciute di una città nuova tutta da scoprire, che mi aveva regalato un augurio di fortuna; e adesso, diventata donna, toccava a me accompagnarlo in quella stessa città in cui, per la prima volta in assoluto, mi incantai nella sua magia.
    ***


    In genere sono un tipo molto puntuale, ma quella mattina feci un ritardo epocale!
    Mi svegliai di buon ora con un entusiasmo da scolaretta pronta per la gita.
    Colazione, doccia e poi una lunga sosta dubbiosa tra le ante dell’armadio. Ma dov’era quella mattina la Susie donna pratica e sportiva? A quanto pare doveva essere momentaneamente assente, ma soprattutto più agitata del normale.
    Decisi di indossare il tailleur e le scarpe che avevo appena acquistato; un completo con gonna aderente e fasciante sui fianchi tra il grigio e il lilla, un giacchettino corto che lasciava la vita scoperta, da cui veniva fuori il collo di una camicetta screziata dalla scollatura decisa; e per completare il quadro delle deliziose e scomodissime scarpe di vernice viola dal tacco acrobatico. La tenuta da viaggio meno da viaggio che avessi mai indossato!
    Mi acconciai i capelli e il trucco con una cura certosina, spinta da una strana voglia di sembrare una bella donna; fu quella la prima causa del mio ritardo.
    Ero pronta, adesso bisognava solo trovare le chiavi della macchina ed avviarmi all’aereo privato di Mike.
    Le chiavi della macchina…Queste sconosciute! Dopo una furibonda ricerca delle stesse, durante la quale imprecavo in maniera bilingue per l’idea malsana di indossare quella specie di trampoli che erano le mie scarpe nuove, le trovai infilate tra i cuscini del divano.
    Finalmente ero in macchina pronta a partire, ma quando la sfiga ci si mette non c’è scaramanzia che regga; il motore aveva deciso di lasciarmi a piedi, e neanche i cornetti rossi che tenevo folcroristicamente conservati nel cruscotto furono capaci di rimetterla in moto.
    Non ebbi il tempo per lasciarmi prendere dal panico, e il barlume di praticità che quella mattina sembrava avermi abbandonato come l’auto, si fece vivo appena in tempo per chiamare un taxi.
    Con quarantacinque minuti di ritardo arrivai a destinazione.

    -Scusa, scusa, scusa, scusa….- iniziai a dire mentre stavo ancora salendo le scalette dell’aereo- sono imperdonabile…

    -De Matteo ti abbiamo aspettato solo perché Michael ce lo ha chiesto con insistenza. Non capisco perché ti ritenga così indispensabile, in fondo non sei mica sua moglie…anche se si vede da un miglio che ti piacerebbe…-blaterò acidulo Thomas Machina

    -Di fatti le scuse non erano per te…Mike mi dispiace, è successo di tutto oggi…Siamo ancora in tempo no?

    Sollevò gli occhiali scuri infilandoli nei capelli, e mi accolse con uno sguardo dal significato indecifrabile.

    -Cavolo Susie…ma sei…

    -…Si si lo so, perdonami, sono in ritardo bestiale, ma me ne sono successe di tutti i colori stamattina…

    -Guarda che non mi riferivo al ritardo…volevo dirti che stamattina sei…sei…uno splendore…A cosa devo tanta eleganza?

    All’imbarazzo per il ritardo si aggiunse quello per il complimento inaspettato, e la conferma di essermi conciata in maniera evidentemente inadatta all’occasione. Nel tentativo di mantenere un decente aplomb da donna quarantaquattrenne, cercai di nascondere alla meglio il disagio che stavo provando in quel momento, per quella gonna, per quei tacchi, per quella scollatura, e per gli occhi di Michael su ciascuna di quelle parti del mio corpo.

    -Elegante? Dici?...Ma no…ho preso la prima cosa che avevo a portata di mano…

    Si, come no...Quella mattina per stare comoda avevo indossato il primo completo di Armani e le prime scarpe John Galliano, tra l’altro pagate vergognosamente troppo, che avevo trovato in giro per casa. Quanto fui poco credibile…
    Lasciai scivolare il discorso e mi misi a sedere per spezzare l’impaccio. Si accomodò nel sedile accanto al mio, e non appena poggiò la testa sullo schienale soffiò un sospiro che lasciava chiaramente intendere quanto fosse agitato per ciò che lo attendeva.

    -Come mi trovi?

    -Sincera sincera?

    -Sincera, sincera…

    -Troppo teso ragazzo…Dai su…, questo è un momento importante per te, cerca di viverlo serenamente…prenditi il meglio. I tuoi fan saranno lì ad aspettarti impazienti di vedere il loro grande idolo…Non vorrai mica farti trovare in questo stato?

    -…Lo so , lo so…del resto è soprattutto per loro che faccio tutto questo…

    Machina, inutile e fastidioso come l’intervallo pubblicitario nel bel mezzo di un film interessante, si intromise nella nostra conversazione.

    -Certo caro Michael che la tua amica in quanto a consigli va a avanti a botta di banalità…Direi che potresti tranquillamente farne a meno…

    Con una scusa mi alzai e mi avvicinai a lui, infilandogli “per sbaglio” il tacco dodici delle mie belle scarpe nuove dritto dritto nel suo piede

    -…Machina…vedi di stare al posto tuo e di non rompere i coglioni oggi…I tuoi interventi hanno la piacevolezza di un dente cariato…

    -Ragazzi…e per favoreee…-rispose Mike infastidito-…Susie, almeno tu, ti prego…Così non mi sei per niente d’aiuto però…

    -Michael lascia stare, la signorina forse oggi ha le sue cose… Mi metto per conto mio a leggere il giornale così non urto la sua suscettibilità…

    Feci finta di non sentire per evitare di buttarlo elegantemente a calci nel sedere fuori da quell’aereo.
    Mike aveva ragione, ero lì per un motivo. Aveva bisogno del mio sostegno e non della mia irascibilità.
    Durante tutto il viaggio cercai di farlo distrarre cercando di parlare non troppo seriamente di ciò che lo attendeva nei mesi seguenti; avremmo avuto tempo di discutere tranquillamente anche di quello in un momento migliore e senza quel parassita di Thomas Machina tra i piedi.

    -Mike…prima di partire mi hai detto che mi dovevi un favore giusto?

    -Giusto…sono in debito con te perché so che oggi seguirmi ti è costato un grande sacrificio, quindi sei libera di chiedermi ciò che vuoi, spara!

    -Almeno in uno dei tuoi prossimi concerti mi piacerebbe tanto che mi dedicassi una canzone…Lo so…queste richieste non sono da me, sembra una cosa sciocca da quindicenne, ma ci terrei davvero…

    -Non è una richiesta sciocca anzi, sono felice che tu me lo abbia chiesto…anche se…mi hai rovinato una sorpresa…

    Sgranai gli occhi. La sorpresa me l’aveva fatta lo stesso, in quel preciso momento.

    -Perché? Oddio!!!!…Non mi dire che mi avresti cantato una canzone su quel palco?

    -Sei così tanto stupita?...Prima o poi un tributo alla mia più fedele, paziente ed insostituibile compagna di avventure dovevo farlo…e questa è la volta buona…

    Mi sporsi verso di lui sommergendolo in un abbraccio vulcanico che lo scompigliò tutto.

    -Grazie, grazie, grazie, grazie…Ah…aspetta… ma ancora non ti ho detto che canzone vorrei sentire…

    -Eh no, almeno questa sorpresa me la potresti lasciare…Sei proprio una guastafeste rompiscatole!

    -Uffi dai…

    -Niente da fare, decido io…

    -Ok capo, decidi tu, ma io un suggerimento te lo do lo stesso…Vorrei tanto sentire dal vivo “Don’t walk away”…

    -E perché quella?...Dove credi di andare ragazzina?- disse lui sorridente afferrandomi di colpo una mano come per trattenermi.

    -Non so perché Mike…ma so solo che quel pezzo mi fa venire i brividi…Dai su, e cantamela, anche se non è prevista in scaletta…

    -Infatti non credo che sarà inserita nella scaletta…anche se per te potrei fare una eccezione…Ma poi perché quel pezzo? E’ triste, malinconico, non so, mi dà la sensazione di fine, di una cosa irreparabile, è una richiesta disperata…E poi se devo dedicarti una canzone deve essere una che mi fa pensare a te…Cioè tu per me non sei quella disperazione là, capito che intendo? Se in questo momento fossi una canzone saresti una cosa bella grintosa, frizzante…Guarda, piuttosto che lasciarti andare via, da te mi farei ammazzare su una pista da ballo…

    Ridemmo entrambi di gusto per l’allusione al quel suo pezzo il cui testo raccontava di una certa “Susie”, una tipa un po’ particolare, che andava a ballare con intenti omicidi.
    Le classiche metaforiche costruzioni musicali di Mike, sottese da pensieri che poi diventavano successi pazzeschi.

    -Ah ma poi quel pezzo là mica l’ho capito….Adesso sono diventata anche una pazza assassina? Questa cosa me la devi spiegare ragazzo, ce l’ho sospesa da qualche annetto ormai…

    Rise ancora dinanzi al mio sopracciglio alzato ed interrogativo.

    -Cara mia, devi imparare a leggere tra le righe, lì ci sono le risposte…

    -Ma sai in fondo hai ragione, ci sono persone che volentieri mi ispirano questo tipo di intenzioni- gli dissi lanciando un’occhiata a Machina che stava infilato con la testa nel giornale.

    -In realtà per me sarebbe difficile dedicarti una delle mie canzoni, ma non perché non ce ne sia nessuna in cui potrei ritrovare un po’ di te, ma perché in effetti tu non sei nessuna in particolare delle mie canzoni, ma allo stesso tempo sei un po’ tutte loro…Non so se mi spiego…

    -Mhmhmhm…si forse ci sono, dopo venti anni probabilmente riesco almeno un pochino a decifrare il Michael-pensiero…

    -Mi è capitato di nominarti nei miei testi, sai perchè?

    -No…

    Finalmente stava per rispondere a quella domanda che mi portavo dietro da tanto e tanto tempo, me che ero troppo inibita per porgliela.

    -Perché quando scrivo la mia mente fa dei lunghi viaggi, viaggi che attraversano i miei anni, le cose che ho provato, le esperienze che ho vissuto, e in questo viaggio di istinto ed ispirazione mi lascio andare guidato da una sorta di spinta naturale, e quando a questo istinto e a questa natura gli si chiede di pronunciare di getto un nome di donna, il primo che mi viene è sempre il tuo.
    Ecco, forse non riuscirei mai a dedicarti una canzone perché tu sei in più di una…Forse sei la firma di tutte le canzoni che ho scritto da quando ci siamo conosciuti…

    L’espressione e la gestualità che accompagnò quella sua spiegazione mi lasciò completamente travolta. Io, nella semplicità che da sempre credevo mi contraddistinguesse, nel caleidoscopio umano che quell’uomo rifletteva nella sua arte diventavo una donna altrettanto complessa.
    Mi strinse la guancia in un dolcissimo pizzicotto fraterno, e mi arruffò un po’ i capelli; adoravo quel suo modo di farmi sentire piccola, indifesa, una bambina da coccolare.

    -…”Little Susie”…lo capisci o no quanto sei importante nella mia vita?...Tu ci sei sempre…nella mia testa e nel mio cuore, anche se talvolta non sono stato capace di dimostrartelo…

    La sua mano si trasformò in una carezza indugiando sul mio viso qualche istante di più, quel tanto che bastò ad avvampare le mie gote di un rosso tiziano. Eccola, era quella la sua vera magia, la capacità di accendere in me il calore di una emozione mai invecchiata, acerba, impacciata, inaspettata, come quando eravamo solo due giovani ragazzi speranzosi.
    Mi tuffai nella notte di quegli occhi d’ebano, e i nostri sguardi si incrociarono di complicità.
    Come la sveglia delle sette, il battito del mio cuore si fece di una intensità fastidiosa ed allarmante. Lui colse il mio imbarazzo, che insieme al suo si dissolse in un’occhiata distratta al finestrino.
    Per superare quell’impasse decisi di adottare i miei soliti vecchi metodi, aggrappandomi alla vena comica che avevo ereditato dalle mia napoletanità.

    -Mike, ti va di fare un gioco?

    -Che gioco si può fare in un aereo?

    -In Italia lo chiamiamo tipo “Nomi, cose, città…” un cosa del genere…Quello delle parole con una certa lettera…

    -Ah si ho capito, facciamolo facciamolo…

    Iniziammo aggiungendo un po’ di regole nuove, tipo categorie di nomi assurde come acronimi, nomi di politici, stilisti, parolacce, e cose disgustose. In più io avevo la possibilità di usare anche parolacce in italiano, a patto che però gliene spiegassi il significato.
    Era uscita la s, e tra le parolacce ne misi una in italiano che di certo non conosceva e che mi avrebbe assegnato di sicuro il punto, “sparacazzate”.

    -Susie…non imbrogliare…secondo me sto sparacose che hai scritto tu non esiste…

    -No Mike, ti giuro, esiste. Io la uso spesso…

    -Allora voglio sapere che significa altrimenti niente punto…

    - …Diciamo che “sparacazzate” non è una offesa generica, è più che altro un tipo di persona…

    -…E che persona è questo tipo di persona?

    -Dunque….mhmhmhm…fammici pensare….uno, uno che spara cavolate e si sente un genio, uno come…come Thomas Machina…

    Iniziammo a ridere mentre il tipo si sentì chiamato in causa.
    Alzò la testa dal giornale che stava leggendo e disse

    -De Matteo hai fatto il mio nome? Che onore…E a cosa devo cotanta gentilezza?

    -Niente di che. Stavo spiegando a Mike il significato di una parola in italiano, e per fargliela capire ho preso te come esempio. Ne sei il prototipo più chiaro direi…

    -Addirittura…Posso sapere di che si tratta?

    -Certo come no…Allora diciamo che è una specie di mestiere….Mhmhmh….si avvicina a quello di cui ti occupi tu diciamo…tecnicamente si dice “sparacazzate “….

    Intanto Mike cercava di trattenersi per non scoppiare a ridergli in faccia.

    -Bene…Quindi mi stai dicendo che qualora mi capitasse di trovarmi in Italia per lavoro potrei presentarmi come spara…”spara cazzate”?

    -Senza dubbio, ne hai tutte le caratteristiche…- risposi io mantenendo non so come un viso serissimo.

    -…Wow…grazie, così mi do un tocco di professionalità in più…Comunque devo impararlo l’italiano, è una lingua affascinante…

    A quel punto mi nascosi dietro la mia borsa tappandomi la bocca per evitare che la mia risata fragorosa potesse venire fuori e rovinare quella bella scenetta; Machina tutto compiaciuto che si dava dello sparacazzate, mentre Mike ridendo sotto i baffi mi ripeteva

    –…L’attrice, l’attrice…dovevi fare l’attrice…

    Risate, chiacchiere e qualche assopimento ammortizzarono quelle lunghe ore di viaggio e il mal d’aereo che accompagnava Michael in ogni decollo e in ogni atterraggio sebbene fosse da anni assiduo frequentatore di quegli aggeggi volanti.
    Arrivati a destinazione, venimmo accompagnati all’albergo interamente prenotato solo per noi e dopo una cena veloce ci ritirammo ognuno nella propria stanza.
    Durante quella notte pensai a cosa avrei potuto fare per farlo stare meglio in un giorno emozionante come quello che lo avrebbe atteso l’indomani. Avrei voluto dirgli un in bocca al lupo in modo speciale, diverso dal solito; avrei voluto augurargli la fortuna e la speranza che gli avrei augurato ai suoi inizi di carriera da solista se solo ci fossimo conosciuti, nel tempo in cui era un giovanotto che ballava con gli zombie.
    Fortuna, zombie, Londra…quella semplice associazione portò la mia mente al ricordo di negozio di musica in cui mi trovai tanti anni prima con Diana e alla bacheca del viaggiatore.
    Il signore dai baffoni rossi aveva ragione, quella foto mi aveva portato tanta fortuna, e mi chiesi se fossi ancora in tempo per dirglielo.
    Mi svegliai di buon ora e chiesi alla receptionist dell’albergo delle informazioni sul negozio che intendevo cercare, e con l’aiuto della mia memoria e di Google maps lo trovai.
    L’autista di Mike si offrì di accompagnarmi, ma rifiutai l’invito, volevo andare da sola in metro come quando avevo diciotto anni e l’autista lo vedevo solo nei film.
    Il destino volle che quel negozio fosse ancora lì, come in attesa di quei viaggiatori che prima o poi sarebbero ritornati a portagli le loro storie.
    L’insegna era nuova ma diceva la stessa cosa di vent’anni prima, “Music tales”. Aprii la porta e con essa nel mio cuore si spalancò la dolce emozione di quel ricordo indimenticabile. Ebbi modo di constatare che gli anni avevano reso quel posto assai migliore in fatto di arredamento; la struttura era sostanzialmente la stessa, con in più un piano superiore in cui vi era un altro settore.
    Il negozio era vuoto data l’ora piuttosto insolita per frequentare un negozio di musica, ed un ragazzo era intento a mettere apposto degli scatoli su uno scaffale.

    -Salve, posso esserle utile?

    Lo guardai e non potetti fare a meno di sorridergli. Stessi capelli fulvi e stesse efelidi del signor “Elvis-per-sempre”.

    -Salve…ehm si…dovrei chiederle una cosa…Anche se è una cosa un po’…strana, ecco…

    -Dica pure…

    -Tanti anni fa, probabilmente quanti ne ha lei adesso, venni in questo negozio...Il proprietario era un signore con dei baffoni rossi…

    -Si…mio nonno…-disse il ragazzo sorridendo-…e lei è qui per la bacheca del viaggiatore scommetto…

    A quanto pare i viaggiatori ci tornavano davvero in quel posto, e con un certo imbarazzo non potetti che confermare la sua affermazione.

    -Ehm…si…C’è ancora?

    -Certo che c’è, e come potrebbe essere altrimenti…Del negozio me ne occupo io adesso, ma ci tengo alle tradizioni di famiglia…Venga, l’accompagno…

    Mi fece strada tra gli scaffali e finalmente mi trovai dinanzi a quella parete, ancora più stracolma di come la ricordavo. Volti di persone, sorrisi, occhi, firme, frasi…vite.
    Cercai per più di un quarto d’ora la foto che avevo fatto con Diana, la foto di quel viaggio tanto speciale in cui aveva avuto inizio il mio sogno, e dopo aver scrutato tra quelle migliaia di scatti, la trovai. Io, con i miei capelli cotonati, Diana con lo zaino in spalla, i baffoni rossi del signore del negozio e quel poster.

    -Senta, la posso prendere questa foto?

    -Non me lo chieda…mio nonno mi ammazza! Se le ricorda tutte queste facce, e nonostante l’età ha una vista da aquila; beccherebbe anche un minimo spazio vuoto…Ci tiene troppo alla sua bacheca…

    -La prego, è importante per me…

    -Guardi, non mi metta in difficoltà…E poi alla bacheca le cose si aggiungono non si sottraggono…

    -E se io rimpiazzassi il buco che lascerebbe quella foto?

    -E come?

    -Con una che racconta come sono andate le cose da quel giorno in poi…

    Dopo qualche titubanza la sua resistenza fu abbattuta in un secondo non appena gli mostrai la foto che avrei attaccato in sostituzione.
    Era una fotografia autografata mia e di Mike fatta nell’87 dietro le quinte del primo tour mondiale in cui lo accompagnai, la portavo sempre con me e ne avevo a casa la versione ingrandita ed incorniciata.
    Il ragazzo trattene a stento l’entusiasmo e diede un urlo di gioia. Mi abbracciò forte e mi disse che l’avrebbe portata a suo nonno il giorno stesso, perché quella foto era troppo preziosa per rimanere esposta, doveva essere custodita con cura.
    Prima di lasciargliela volli scrivevi sopra una dedica rivolta al signore con i baffi.

    “...Lui, solo e sempre lui, la mia vera storia di musica…Grazie, per avermi portato fortuna.
    Susanna M. De Matteo”

    Presi la foto e andai, ma prima di uscire da quella porta mi voltai verso il ragazzo per rivolgergli una domanda che aspettava da anni una risposta.

    -Scusi, un’ultima cosa…Come si chiama suo nonno?

    -Michael…


    Tornai in fretta e furia all’albergo nella speranza di non arrivare in ritardo anche quella volta. Ed in effetti ero giunta appena in tempo.

    -Ehi, ma dove ti eri cacciata? Mi hai fatto preoccupare…

    -Ehm scusami Mike, ma avevo una cosa importante da fare, e poi ho pure dimenticato il cellulare in camera…

    Una macchina dai vetri scuri lo attendeva dinanzi all’albergo, ed io lo avrei raggiunto dopo con il resto dello staff per evitare di essergli di ulteriore impiccio. Già immaginavo la folla ansimante che lo aspettava, ci mancava solo che si fosse dovuto preoccupare che io venissi schiacciata dalla gente.

    -… Allora ci vediamo dopo lì…-gli dissi avviandomi verso l’altra macchina che avevano predisposto per noi.

    Non rispose.
    Mi si avvicinò e le dita della sua mano si intrecciarono alle mie trascinandomi fluidamente dietro il suo braccio

    -Ho bisogno di te…adesso…- mi disse con una voce che non lasciava spazio a repliche; ed io non avrei mai replicato.

    Durante il viaggio non disse una parola, era evidentemente agitato.

    -Mike, oggi ho fatto questo…

    Gli mostrai quella Polaroid sbiadita con un entusiasmo che la diceva lunga su quanto fosse importante per me, e gli raccontai del viaggio a Londra con Diana, della prima volta in cui avevo fatto la sua conoscenza attraverso un televisore, del signor “Elvis-per-sempre” e della sua bacheca del viaggiatore. Rimase divertito dal racconto dello sconvolgimento mio e della mia amica dinanzi alla sua esibizione, e fu affascinato dalla storia della foto.

    -Ma quanto sei folle da uno a cento?

    -Si, in effetti sono folle parecchio, hai ragione…ma dovevo trovare un modo speciale per farti in bocca al lupo. Vedi cosa c’è scritto su questa foto? “…Da qui inizia una nuova avventura…” Voglio che sia così anche per te, che da oggi, da qui, ci sia un nuovo inizio…Portala con te…

    Con fatica l’auto si fece largo nella calca.
    Prima di scendere ad affrontare quella folla, mi strinse forte a sé.

    -Grazie, che Dio ti benedica piccola matta…


    Capitolo 18



    “…Don’t walk away…”
    (Don’t walk away)


    Eccolo, era tornato!
    Ma quanto ama il suo lavoro quest’uomo, pensavo mentre lo vedevo indaffaratissimo e talvolta visibilmente affaticato tra basi, coreografie, effetti di luci e tutto quello strabiliante palcoscenico che lo circondava.
    La macchina dello spettacolo stava per partire, e tutto aveva l’impressione di essere straordinariamente, esplosivamente, esageratamente alla sua maniera. Ma perché tutto fosse davvero alla’altezza del suo genio, c’era un elemento essenziale che doveva essere scelto con una perizia ed una accuratezza senza limiti, il corpo di ballo; la cornice, il prolungamento, l’eco di quella danza epocale che si chiama Michael.
    Sebbene fosse affiancato da validi coreografi che lo accompagnavano da anni, il giorno delle selezioni dei ballerini volle che io fossi presente.

    -Mi serve un tuo consiglio- mi disse- so che con te posso fare una scelta migliore…

    Sapevo che stimava le mie capacità di coreografa ed adoravo la chimica e la complicità che scattava tra noi quando lavoravamo insieme, e con piacere immenso lo aiutai nelle selezioni.
    Arrivai nella platea semi-illuminata, mentre sul palco ragazzi e ragazze provenienti da ogni parte del pianeta scalpitavano di emozione perché dinanzi a loro stava per sedersi il mito, il sogno di una vita, l’ispirazione di una intera carriera.
    Mi riconobbi negli occhi speranzosi di quei ragazzi e in loro rividi i miei inizi. Si avvertiva nell’aria la voglia di farcela, di dare il massimo, di far si che il proprio corpo sapesse danzare la convinzione di essere la scelta migliore per quello spettacolo.
    Quei ragazzi erano la grinta, la passione e l’elisir di eterna giovinezza capace di far sorridere di entusiasmo Mike non appena li vide.
    Prendemmo posto dinanzi al palco, si spensero le luci in sala e prima che la musica partisse una frase scivolò spontanea fuori dal mio cuore.

    -Mike…quante generazioni hai fatto ballare…

    Seduto su quella poltrona era elettrico.
    Come quando lo vidi la prima volta il giorno del mio pseudo-provino, il 28 agosto ’87, non riusciva a stare fermo; ballava, ballava sempre, con qualsiasi musica. Faceva scattare la testa e le spalle con un ritmo tutto suo, quel ritmo che ha fatto storia.

    -Lei, lei lei!!!...lei è perfetta!! -disse indicando ripetutamente la ragazza in prima fila.

    Alta, mora, capelli mossi e lunghi, leggermente scura di carnagione.
    Mi ricordava qualcuno.
    Si rivolse a me e dolcissimo mi strinse le guance tra le sue mani.

    -Come vedi i miei gusti rimangono sempre gli stessi…

    Ci abbracciammo a lungo e mi guardò felice con gli occhi lucidi.
    Era stanco, stressato, preoccupato, ma leggevo ancora nel suo sguardo la voglia di regalare qualcosa di bello al mondo, uno spettacolo epico, strabiliante, sfarzoso, sorprendente. Il saluto ai suoi fan non poteva che immaginarlo così.
    Emily Dickinson diceva che la fama è come un’ape, ha un ronzio, ha un pungiglione, ma ha anche le ali per volare, e sapevo che in quello spettacolo Mike avrebbe volato alto, meravigliosamente, come ha sempre fatto.
    Con un ampio gesto panoramico del braccio indirizzò la mia attenzione sul quel palco, le luci, gli amplificatori, gli strumenti.

    -Vedi Susie, questa è la musica per le migliaia di ragazze e ragazzi che mi hanno seguito in questi anni con tanto affetto. Alcuni di questi saranno ormai già uomini e donne adulti, altri forse, chissà, sono ancora dei ragazzini…ma tutta la musica di quel palco sarà per loro…

    Prese le mie mani e se le portò al petto. Il suo cuore come il ritmo di una follia di tamburo.
    Tirò giù gli occhiali scuri come per timore che dentro quegli occhi si leggesse troppo sfacciatamente ciò che gli frullava nella mente o forse solo per nascondere l’imbarazzo, ma il rossore sulle sue guance lo tradì.

    -…E la senti questa Susie?...questa è la mia musica solo per te. Non è mai stata di nessun altra…Quanto sono stato stupido Susie…Come ho fatto a non capire che la felicità non l’avrei trovata cercandola lontano…La felicità è sempre stata seduta al mio fianco, dove sei seduta tu adesso.

    Abbassai lo sguardo incapace di reggere la trepidazione di quella sua voce senza età mentre, accarezzandomi il viso, allontanava dalla mia fronte qualche ricciolo ribelle.

    -Ma dimmi…è tardi Susie?...è troppo tardi per noi…?

    -…Non è mai troppo tardi per noi Mike…non lo è mai stato…

    Mi diede un caldo bacio sulla fronte e avvicinandosi al mio viso come per annullare ogni altra cosa dal suo campo visivo mi disse a voce lieve

    -Allora ragazza tieniti pronta… perchè quando tutto questo sarà finito ti giuro che ci sarà tempo solo per noi e per quello che in questi anni abbiamo lasciato sospeso…tutto il tempo che vogliamo…

    Non mi restava che aspettare.
    ***



    Tra pacchi, scatoloni e carta da imballaggio non ci stavamo capendo più niente. La compagnia mi teneva sempre lontana da casa per mesi, ma adesso era arrivato il momento di cominciare quel benedetto trasloco.
    Quella villa era uno spettacolo dell’architettura, ma per me era troppo. I miei tentativi di rifiutare quel regalo furono vani, ormai Mike aveva deciso così .

    -Susie…non voglio sentire storie…Non è carino rifiutare un regalo- disse facendo tintinnare le chiavi della casa davanti ad un mega sorrisone dei suoi.

    Con il naso verso il soffitto mi sorprendevo dell’immensità di quelle stanze.

    -Guarda Mike, questo posto è uno spettacolo…Ma…ma girati un po’ intorno…che ci faccio io con tutto questo spazio? Lo sai che non ci sono abituata, e poi vivere da sola in un posto così grande mi mette un’angoscia senza limite…

    -Ma pensi solo a te?...che egoista…E io e bambini dove ci mettiamo? Ragazza, la famiglia si allarga, ne siamo in cinque fattene una ragione…

    Un tuffo al cuore, dal sapore così straordinariamente emozionante che non riuscii nemmeno ad assaggiarne la dolcezza, tanto fu trepidante di anni l’attesa di sentirmi dire quella frase. Non potevo credere alle mie orecchie.

    -…Ripetimelo Mike…ripetimelo, ripetimelo, ripetimelo all’infinito…

    Gli saltai al collo piansi un’alluvione di gioia.

    -Voglio che tu diventi la mia famiglia Susie…Tu lo vuoi?

    -Non ho mai smesso di sperarlo tesoro mio, mai, mai, mai, mai…

    Ci incontrammo in un bacio infinito che pose finalmente fine alla nostra trincea di cuori. Ci eravamo arresi finalmente al nostro amore.
    Ci stringemmo intensamente come colti dalla paura di perderci di nuovo per sempre, e poi cercai di tornare sulla Terra.

    -Mike ma con i bambini? Come facciamo? Loro non sanno nulla, non hanno mai saputo nulla, e poi in questo periodo tu devi lavorare come un matto, non ci vedremo per non so quanti mesi…Come facciamo?

    -Si si, c’avevo pensato. Magari cerchiamo di fare una cosa graduale, piano, piano. Non perché i bambini non ti vogliano bene, lo sai che ti adorano, però sai com’è…Per loro ci sono sempre stato solo io, vedermi con una compagna accanto all’improvviso, sotto lo stesso tetto tutti e cinque…Non vorrei che per loro fosse una cosa un po’ traumatica…Poi in effetti mi aspetta un periodo di fuoco. Starò via tanto e già so che per quanto voglia fare i salti mortali li vedrò pochissimo, quindi far vivere loro quest’altro cambiamento improvviso, così subito, forse non è il caso…Che dici?

    -Si si…hai ragione… Tanto che fretta abbiamo? Facciamo così, in questi mesi mi occuperò io di tutto, di sistemare la casa, arredarla, ecc ecc, tu intanto hai un certo tour da fare. Quando poi avrai concluso con i concerti e le varie cose, faremo questo passo con più tranquillità, per allora sarà tutto pronto e non mancherà nulla. Adesso sarebbe uno strapazzo per noi e per i ragazzi…

    -Ma penserai proprio a tutto tutto?

    -Si, non ti preoccupare, a tutto tutto…

    -…E…anche…alle nostre fedi Susie?

    Tutto ciò che riguardava la nostra storia era stato inusuale, anche la sua proposta di matrimonio.

    -…Si Mike…anche alle nostre fedi…


    Era trascorso qualche mese da quando avevamo preso quella casa, ma da allora nessuno dei due ci aveva più messo piede; io sempre in giro con il nuovo progetto della compagnia e lui assolutamente impegnato con le prove. Era arrivato il momento di darmi una mossa con l’arredamento e i vari acquisti necessari per rendere quella stupenda villa, la nostra casa, ma si sa che le cose si fanno meglio in due, per cui approfittai di graditissimi rinforzi venuti dall’Italia.
    Finalmente, dopo ventidue anni che vivevo in America, Diana era venuta a trovarmi. Si sarebbe fermata per un paio di mesi, giusto il tempo di far lavorare un po’ le sue braccine e farmi dare una mano.
    Era da ore che spacchettavamo e spolveravamo di tutto.

    -Mamma mia sono distrutta…

    -Susà vai a letto, non ti preoccupare per me, io sto ancora stordita dal fuso orario quindi adesso non riesco a dormire…Magari leggo un po’…

    -Mi dispiace lasciarti di qua da sola…Anzi, sai che faccio, mo mi metto a dormire su sta poltrona nuova. L’ho pagata un occhio della testa, è reclinabile e fa pure i massaggi, la devo testare e se non funziona a quello del negozio gliela butto appresso…

    Presi il lettore mp3 e decisi di ascoltare un po’ di buona musica per accompagnare la mia fase di dormiveglia. Scorsi le varie cartelle della playlist nella sezione in cui avevo i dischi dei cantanti stranieri: Aereosmith; Alicia Keys; Beyoncè; Celin Dion; Janet Jackson; John Legend; George Michael; Mika; Michael Jackson; Queen; Sting.
    Mi ci voleva un pezzo dolce, lento, una voce sottile che accompagnasse il mio riposo.
    Non potetti fare a meno di pensare a Michael e a quanto sarebbe stato importante sentirlo cantare per me quella canzone che tanto mi emozionava, e pensai che se poi lui avesse deciso di dedicarmene una diversa sarebbe stata stupenda lo stesso, lui sarebbe stato stupendo lo stesso. La cercai nella cartella in cui avevo raccolto i suoi pezzi che più mi piacevano; con il dito confermai sullo schermo la scelta e la musica partì.

    “Don’t walk away
    See I just can’t find the right thing to say
    I tried but all my pain gets in the way
    Tell me what I have to do so you’ll stay
    Should I get down on my knees and pray…”



    Il campanello.
    Sobbalzai.
    Guardai l’orologio con gli occhi semiaperti, non riuscivo a vedere che ora fosse perché l’orologio mi parve essere senza lancette. Il sonno e la mia cocciutaggine a non voler mettere gli occhiali da vista mi facevano brutti scherzi.
    Aprii la porta.

    -Ohi…Mike!?...Ma che ci fai qua.? Entra dentro…ti vedranno!

    Era solo, non era travestito, né tantomeno indossava mascherine, cappelli o cose del genere.

    - No…stai tranquilla non può vedermi nessuno…

    -Eh si come no… dai, non sparare cavolate ed entra…

    Indossava quel paio di stivali neri che tanto gli piacevano, con la punta e dal tacco rumoroso, ma tanto furono lievi i suoi passi che mi sembrò di non avvertire alcun suono che accompagnasse il suo incedere curioso, spaesato, come di qualcuno che per la prima volta si trova in un posto nuovo e totalmente sconosciuto.

    -Allora? Come mai qui?

    -Sono venuto per lasciarti delle parole…

    Parlava piano, forse non voleva svegliare Diana che dormiva.
    Diana!!! Solo a quel punto realizzai che in casa c’era anche lei, l’amica di una vita, una delle donne per me più importanti che per ironia della sorte non aveva mai, e dico mai, conosciuto di persona l’uomo per me più importante. E adesso, in quel giorno, ad un’ora imprecisata, si trovavamo nella stessa stanza.
    Era il momento dello storico incontro. Dopo vent’anni era ora.

    “…And how can I stop losing you
    How can I begin to say
    When there’s nothing left to do but walk away…”

    -Mike…Mike…aspetta aspetta. Prima che vai avanti devi conoscere Diana. È arrivata ieri, te la presento finalmente…

    Mi avvicinai per svegliarla, quando lui mi bloccò delicatamente.

    -Shhhhhhhh- mi fece con l’indice poggiato sulle labbra- ci saranno delle parole solo per lei, ma non adesso…Ho fame Susie…

    -Ah…vedo che ho in frigo. Che ti va?

    -Hai dei muffin Susie?

    Sorrisi leggermente a quella richiesta per via del dolce ricordo che mi suscitava.
    Mi affaccendai a cercare qualcosa nella credenza che avevo quello stesso giorno provveduto a riempire.

    -No Mike…non credo proprio…Posso controllare… Oggi ho fatto un po’ di spesa, ma non ricordo di averli pre…Ah…sei fortunato! Li ho trovati…deve averli portati Diana perché non credevo…mah…comunque tieni, prendi pure.

    Mangiò lentamente e in silenzio; composto, seduto al tavolo della cucina.
    Nemmeno io dissi nulla, rimasi in piedi a guardarlo.
    Quella visita, quella richiesta, tutto avvenne lentamente e con una ritualità quasi mistica che mi tolse ogni parola.
    Una volta che ebbe finito si avviò verso la porta.

    “…I close my eyes
    Just to try and see you smile one more time
    But it’s been so long now all I do is cry
    Can’t we find some love to take this away
    ‘Cause the pain gets stronger every day
    How can I begin again
    How am I to understand
    When there’s nothing left to du but walk away…”

    -Ehi Mike, ma vai via così…?

    -…Lo so ma…credevo di avere più tempo, però prima di andare via ti lascio tre cose Susie.
    Il ricordo di una promessa preziosa, una coperta per quando la tua paura sarà fredda e il mio Ti Amo…Ti Amo per sempre Susie…

    “…See now why
    All my dreams been broken
    I don’t know where we’re going
    Everything we said and all we done now
    Don’t let go, I don’t wanna walk away…”

    Avvicinò delicatamente il mio viso al suo e lasciò sulle mie labbra il sapore di quel muffin.
    Non ebbi la forza di parlare anche se dentro di me a quel ti amo sussurrato rispondeva un Ti Amo gridato; ma adesso che sapevo che il mio Mike innamorato era tornato non avevo più nulla da temere, perché io, la sua piccola Susie innamorata, non ero mai andata via.
    Ero così felice che una sola notte non mi sarebbe mai bastata a colmare l’immensità che quella semplice parola mi aveva aperto dentro, ma ormai avremmo avuto tante altre notti in cui gli avrei potuto raccontare la mia gioia.
    Aprì la porta e prima di uscire mi stinse in una culla calda di braccia, occhi e sorrisi. Il suo profumo era più intenso, la sua pelle più vellutata, il suo avvolgermi stretto e bruciante come un marchio a fuoco impresso sulla pelle.

    -Susie…un’ultima cosa, i miei bambini…ti raccomando…


    “…Now why
    All my dreams are broken
    Don’t know where we’re going
    Everything begins to set us free
    Can’t you see, I don’t wanna walk away
    If you go, I won’t forget you girl
    Can’t you see that you will always be
    Even though I had to let you go
    There’ nothing left to do…”


    Quella frase stritolò il mio cuore in un pugno; un nodo di incomprensibile ed improvviso dolore mi strinse la gola, lasciandomi solo il respiro sufficiente a pronunciare poche parole sconnesse.

    -Michael…“Don’t walk away…”


    La mia testa si appesantì di lato e con uno scatto brusco aprii gli occhi.

    -Uè, che c’è? Ormai parli americano pure nei sogni…Non riesci a dormire nemmeno tu? Stai da un’ora che ti giri e ti rigiri su quella poltrona. Forse non è poi così comoda come pensavi… Neppure io ci riesco comunque, sto jet lag mi uccide…

    -Dià ma che stai dicendo? Se non mi alzavo io, mo l’aprivi quella porta. E quel povero Mike a voglia di stare là fuori…

    Diana si avvicinò e mi pose una mano sulla fronte.

    -Eppure non scotti… Susà ma ti sei presa qualche cosa? Dimmi la verità, mica ti droghi e non me lo dici? Mi fai dispiacere assai se è così…

    -Ma la vuoi smettere! Mi stai facendo incazzare! Ho fatto bene a non svegliarti; Mike è venuto qua e non te l’ho nemmeno presentato. La prossima volta impari…aspetta altri vent’anni mo!

    Diana con sguardo serio e con voce tranquilla cercò di calmarmi accarezzandomi i capelli. Ad un tratto ero diventata una furia. Mi agitavo, ero sudata e paonazza in viso.

    -Susanna calmati…mi stai facendo preoccupare. Forse hai fatto un brutto sogno? Io sono stata sveglia a leggere fino ad adesso, tu dormivi, e qua non è venuto nessuno…

    -Ah no?...Ma che ti pensi che mi sono rincretinita? Vieni con me in cucina…ti faccio vedere chi delle due sta male…

    La trascinai nell’altra stanza e sul tavolo c’era un pacco di muffin aperto.

    -Ecco! Hai visto? Mike è venuto qua, è stato dieci minuti. Ha detto che aveva fame e che voleva un muffin. L’ha mangiato…

    -Susà vieni un attimo per favore

    Diana mi interruppe turbata, mentre frugava dentro la scatola delle merendine

    - Ci sta qualcosa qua dentro…

    -Embè che sarà mai. Forse è una di quelle sorprese per i bambini…sai quelle…

    -Ah si…E da quando in qua nelle merendine ci mettono gioielli di brillanti?

    Tirò fuori da quel pacco uno scatolino dalle fattezze note, e prima ancora di vederne il contenuto il cuore mi esplose nel petto.
    Conoscevo quel cofanetto.
    Lo aprii e ciò che vidi al suo interno mi lasciò inebetita.
    Il mio ciondolo, anzi il nostro ciondolo, era adagiato su un piccolo cuscinetto come in attesa di essere ritrovato e ammirato di nuovo nella sua bellezza; quello con la data che Mike mi aveva regalato tanti anni prima. Ma era impossibile! Insomma, erano passati quattordici anni da quando mi era stato strappato via dal collo con violenza durante quella notte infernale e da allora non lo avevo più ritrovato.
    Lo voltai, e dietro c’era quella scritta eterna come il “Per sempre” che vi era inciso, eterna come…
    …come “il ricordo di una promessa preziosa” che qualcuno mi aveva lasciato insieme ad un bacio dal sapore dolce, in un tempo sospeso senza lancette.
    Stavo per svenire.
    A quel punto Diana mi sostenne e mi accompagnò sul divano; mi addormentai distesa con la testa sulle sue gambe, mentre lei in compagnia del fuso orario sballato leggeva il suo libro.

    Mi alzai tardi quella mattina e cercai di fare piano per non svegliarla, quella poverina non aveva dormito tutta la notte. Le tolsi il libro che ancora teneva in una mano, ed involontariamente lo feci cadere a terra.
    Dalle pagine ne uscì una busta; pensai che fosse un segnalibro, ma sembrava una piccola lettera.
    Mi incuriosii e la aprii. Tanto tra me e lei non c’erano segreti, non se la sarebbe presa.
    Dietro c’era una scritta che diceva “Per Diana” ; era in inglese il che mi parve strano perché lei l’inglese lo parlavo poco, e quella scrittura era troppo riconoscibile per non provocarmi un altro mancamento.
    Per leggerla dovetti sedermi, stavo per svenire di nuovo.

    “Diana,
    il Destino ha voluto che noi due, totali sconosciuti, separati da mondi ed oceani, condividessimo un tesoro prezioso dalle sembianze di donna, quel tesoro di nome Susanna.
    La vita non mi ha concesso di godere ancora della meraviglia del suo amore, ma a te che l’accompagnerai negli anni a venire, lascio un’eredità d’anima.
    Sii per lei i miei occhi, il mio calore ed i miei abbracci;. stalle vicino nei momenti difficili e gioisci con lei nei momenti di felicità, mentre io vi seguirò senza infastidire il percorso delle vostre vite e vivrò ancora nel tuo affetto, nelle tue carezze e nelle tue parole.
    Come Susanna ha scelto te per esserle amica nella vita, io ti scelgo come tramite oltre la vita, perché è attraverso di te le insegnerò ad udire con gli occhi e a leggere ciò che scriverà ancora per lei il mio amore silenzioso. Sarò lontano, ma mai così tanto da impedire al mio cuore di raggiungerla ovunque.
    Diana, le nostre mani non si sono mai strette per presentarsi e me ne dispiace, speravo di avere più tempo anche per questo, tuttavia da oggi mi auguro che saranno le nostre anime a stringersi, in questo patto eterno…
    Ti sorrido dall’alto,
    Michael.”

    Il tempo artefatto del sogno aveva ceduto il posto alle lancette della realtà.
    Erano all’incirca le dodici e un quarto del 25 giugno 2009, e al mio angelo stavano per spuntare le ali.
    Eh si…era volato via, prima ancora che il suo spettacolo potesse avere inizio.


    Epilogo




    “Smile though your heart is aching
    Smile, even though it's breaking
    When there are clouds in the sky
    You'll get by...
    If you smile
    With your fear and sorrow
    Smile and maybe tomorrow
    You'll find that life's still worth while if you'll just...
    Light up your face with gladness
    Hide every trace of sadness
    Although a tear may be ever so near
    That's the time you must keep on trying
    Smile, what's the use of crying
    You'll find that life is still worth while
    If you'll just...”
    (Smile)


    Ti vedo camminare nella cadenza riconoscibile del tuo passo. Il tuo solo incedere fa musica. Ti sento tra i palmi di queste mani, nella ruvidezza del tuo viso che talvolta si impigriva di radersi e nell’odore così tanto tuo che vi lasciavi sopra come una firma al solo accarezzarti.
    Silenzio intorno, ma poi sento soffiare un respiro. Non è il mio, perché il mio è spezzato da singhiozzi ritmati. Lo so che sei qua dentro, tra queste mura che aspettavano l’impazienza di diventare famiglia, ti sento.
    Chiudo gli occhi.
    La tua voce.
    Susie…stasera cinese?...Susie ti piacciono queste scarpe?....Susie andiamo in giro?...Susie sono impegnato, ma ti prometto che dopo ti chiamo…Susie quando torni a Napoli a Natale mi prendi i pastori del presepe?...Susie mi serve una mano…Susie hai bisogno di aiuto?...Susie chiama quando arrivi a casa…
    La mia voce.
    Mike non fare il musone…Mike smettila con l’acqua…Mike mi manchi tanto…Mike fatti sentire…
    Mike ti ho preso un regalo…Mike facciamo una torta…Mike guarda questo pezzo…Mike stai benissimo così, lascia stare…Mike lavoraci un po’ su ed è perfetto…Mike non fare quelle facce…Mike te l’ho mai detto che sei un testone?....Mike abbracciami un pochino…Mike passo a prendere i bambini…Mike…
    Poi il silenzio di queste stanze vuote. E adesso?
    Senza cene, senza scarpe, senza uscite, senza presepe, senza telefonate, senza aiuto, senza attesa, senza rimproveri, senza consigli, senza regali, senza proposte, senza linguacce, senza abbracci, senza te…Michael, senza te per il resto dei miei giorni. Cosa può esserci dopo?
    Non lo so.
    Si può morire forse?
    Si, si può.
    Allora che faccio? Ti seguo?
    ...E tu che farai? So che mi rimprovereresti. Ma io sono testarda lo sai, potrei non darti ascolto.
    Però tu mi hai aperto gli occhi al futuro, tu mi hai suggerito un obiettivo, tu sei la mia speranza, tu mi hai lasciato quelle parole. Tu per me sei vita Mike.
    Mi alzo in piedi e volteggio al suono di quella musica che mi canta nelle orecchie…quella in cui sussurri “…Sorridi anche se ti piange il cuore…con le tue paure e il tuo dolore sorridi e forse domani scoprirai che vale ancora la pena di vivere…”. È paradossale; tu sei capace di uccidermi, e solo tu sei capace di farmi rinascere…
    Sento che mi avvolgi le spalle in un abbraccio caldo, protettivo, sicuro, come in questa foto che tormenta i miei occhi di lacrime. Avverto la tua presenza intorno a me con lo stesso calore, con la stessa protezione e con la stessa sicurezza…ti sento forte Michael e questo mi dice che è arrivato il momento giusto. Il mio momento giusto.
    Alle celebrazioni pubbliche ero assente, agli annunci ufficiali ero assente…Ed eccomi qui nella mia commemorazione personale per ricordare il tuo sorriso appassionato, i tuoi occhi struggenti, le tue mani accoglienti, il tuo profumo intenso, il tuo cuore grande; non per rendere onore al re della musica, ma al “mio piccolo grande uomo normale”.
    Mi hai insegnato ad amare e a combattere per ciò in cui credo. Mi hai insegnato che i figli non sono di chi li fa ma di chi li cresce e che per cambiare il mondo bisogna partire da se stessi prendendo un piccolo posto per renderlo un posto migliore. E adesso in questa casa semivuota con addosso il tuo pigiama rosso a righe, mentre sullo schermo della tv scorrono le immagini di un ragazzino che vola in groppa ad un drago bianco, penso a noi e alla nostra storia infinita.
    Quanta gioia, quanto dolore, quante lacrime e quanti baci si nascondono e si intrecciano tra le righe di questa specie di diario che ho scritto ricordando con sofferenza e sorrisi quello che siamo stati; mi pare quasi assurdo pensare che questa carta sia adesso in parte depositaria della nostra vita Mike, ma ne sentivo il bisogno. Non per buttarmi tutto alle spalle, non per cancellare ed andare avanti, bensì per rendere il tuo ricordo eterno anche dopo di me, quando il destino deciderà che è arrivato il mio tempo per raggiungerti.
    Custodirò queste pagine come un dono prezioso che lascerò in dote a mio figlio, si Mike come vorrei che tu adesso potessi sentirmi dire questa frase, a mio figlio, quel bambino che adotterò perché tu mi hai aperto la strada della speranza, così che in futuro possa sapere che quando era piccino piccino la sua mamma decise di amarlo anche se non aveva potuto vivere la gioia di portarlo in grembo, e tutto questo per merito di un angelo chiamato Michael volato in cielo troppo presto perché potesse imparare a conoscerlo.
    Solo in questo modo sento di poterti dare il mio saluto eterno, con la consapevolezza di esserti stata amica nel modo migliore in cui avrei potuto esserlo, ma con il rimpianto di non aver avuto il tempo di gridare al tuo sussurro il mio Ti Amo lungo vent’anni; ma adesso, in questo giorno, nel “Nostro Anniversario Di Vita”…ti giuro che anche il mio sarà Per Sempre.

    Con tutto l’amore che posso,
    la tua piccola Susie.
    29 agosto 2009.




    *** The end ***


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    Anto (girl on the line)
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    00 19/07/2010 16:24
    Serena...Non so cosa dire..
    Ti lascio solo un pensiero..



    Questa storia mi ha colpita nel profondo dell'anima... [SM=x47964] [SM=x47964]
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