00 24/07/2020 17:30
Poi ho ripreso in mano quello della Jefferson.



Lo avevo letto a suo tempo, in inglese, e quando è uscita l'edizione italiana ci ho fatto un pensierino, anche perché avevo letto che aveva scritto una prefazione dopo l'uscita dell'abominio innominabile. Ero curiosa, e così ho cercato e ho trovato la prefazione. Non c'è che dire, come premio Pulitzer una totale delusione. Non si è concessa alcun dubbio, né alcuna ricerca, nulla di nulla. Una gran fretta di cavalcare l'onda, forse per vendere, forse per non assumere il ruolo di chi difende un pedofilo, in piena campagna metoo. Non lo so, ma mi sarei aspettata qualcosa di più.
Comunque, per chi è interessato, questa è la prefazione:

Introduzione

Oh, ho perduto la mia reputazione! Ho perduto la parte immortale di me stesso e ciò che resta è bestiale!
OTELLO, atto I, scena 3, 256-257

Un bel giorno, nel primo anno del Ventunesimo secolo, io e il mio editor americano ci trovammo in un ristorante per discutere di Michael Jackson. Tessemmo le lodi della sua incredibile genialità e allo stesso tempo la rimpiangemmo: rimpiangemmo trent'anni di musica, di balli e film, in cui Michael aveva incrociato stili e generi, modelli e metafore, confondendo i codici culturali. Discutemmo delle voci e degli scandali che lo avevano trasformato in un oggetto di scherno, in un personaggio repellente.
Ci ripromettemmo di restituirgli quel che gli spettava prima che (parole del mio editor) «si autodistrugga.... anzi, prima che lo distruggano e che si autodistrugga».
Ma i fatti si susseguirono troppo velocemente e io non riuscii a concludere il libro che avevamo in mente prima dell'arresto di Michael del 2003. Fu rinviato a giudizio nel 2004 e un anno dopo, nel 2005, fu prosciolto dalle accuse. Nel 2009 fu trovato morto per overdose.

Ora, a dieci anni di distanza, è tornato a catturare l'attenzione di tutti. Eravamo convinti che una volta morto sarebbe finita. Speravamo che la morte avrebbe ristabilito la sua grandezza di artista, mettendo a tacere sia i fatti sia le bugie sui suoi rapporti sessuali con i bambini.
In Leaving Neverland, un documentario dai toni pacati e tuttavia tremendo, due uomini di trent'anni si mettono davanti a una cinepresa e descrivono gli anni della loro infanzia, quando hanno fatto sesso con Michael Jackson. Usano quest'espressione piatta, «fare sesso», e lo farò anch'io. Fissano la cinepresa all'incirca per quattro ore, descrivendo i modi e i luoghi in cui, da piccoli, hanno fatto sesso con Michael Jackson.
Descrivono, quasi con stupore, quanto lo amassero, o meglio quanto lo adorassero, aiutandoci a capire fino a che punto e con quale frequenza l'abuso sessuale implichi un bambino in adorazione di un adulto autorevole - cioè un bambino che si affida, che ha bisogno e che forse è innamorato di quell'adulto.
Molestia e abuso sono due parole dure e inequivocabili, il cui reale significato ci sfuggirebbe se non fossimo in grado di comprendere che sono due parole il più delle volte inseparabili dalle lusinghe e dalle ambiguità della seduzione; che nel cervello e nel corpo di un bambino quei sentimenti si mescolano. E che non dovremmo mai separare i fatti e l'atmosfera della seduzione dai fatti e dall'atmosfera dell'abuso. Michael Jackson era una divinità della nostra cultura. E ovviamente questi ragazzini erano molto eccitati all'idea di trovarsi era una divinità della nostra cultura. E ovviamente questi ragazzini erano molto eccitati all'idea di trovarsi davanti a lui - cosi come tanti altri milioni di persone due, tre o anche quattro volte più grandi di loro erano eccitati all'idea di essere davanti a lui, anche solo attraverso lo schermo di un computer, un gadget o un concerto in uno stadio. Immaginate di incontrare Michael Jackson, di persona. Immaginate di essere un bambino che una divinità ha scelto come suo favorito.
Eppure quando diventa grande oppure troppo scontato per essere desiderabile, il favorito viene sostituito. Significa che è libero? No, non emotivamente. La colpa, il senso di abbandono, la nostalgia, la paura, il desiderio, il disgusto: gli sono già accanto, pronti a crescere insieme a lui. Agli occhi di un bambino, qualunque adulto autorevole - un genitore, un mentore, un mecenate, un consigliere - ha qualcosa della divinità.
Wade e James erano due piccoli performer che venivano da famiglie ordinarie. Anche i Jackson un tempo erano una famiglia ordinaria finché, attraverso Michael, il mondo non li ha scelti e fatti assurgere alla fama mondiale. Adesso era Michael a scegliere i bambini. Andava a trovarli nelle loro abitazioni ordinarie, si metteva a guardare la tv insieme a loro, ridacchiava e mangiava i pop-corn con loro. Le mamme perdevano la testa, i padri erano compiacenti oppure esclusi. Michael gli comprava tanti regali e li faceva viaggiare. Gli raccontava la favola della scalata sociale. Una favola che i Jackson avevano vissuto - e allora perché non anche loro? Michael faceva sentire speciali le famiglie. Faceva sentire amati i bambini. Ma li amava? Nei limiti di una creatura ferita che sapeva ferire, immagino di si. Ci piace pensare di amare dando il meglio di noi. Ma amiamo anche con tutto il peggio di noi. «l'infanzia è una fornace violenta in cui ci sciogliamo nei nostri elementi essenziali e in cui prende forma quel che è essenziale» ha scritto Katherine Anne Porter. Avrebbe dovuto aggiungere due paroline in più. Avrebbe dovuto aggiungere «nel bene e nel male».
Nel video di una canzone che ha scritto e intitolato Childhood, Michael Jackson siede, vestito di bianco, nel bel mezzo di una foresta lussureggiante, e canta dolcemente, con nostalgia, rivolto all'obiettivo:

It's been my fate to compensate,
For the Childhood I've never known
Before you judge me, try hard to love me
The painful youth I've had..

Perciò adesso dobbiamo ri-leggere compulsivamente i suoi video e i versi delle sue canzoni in cerca di qualche criptica confessione? «Have you seen my childhood?» chiede per due volte, nelle languide tonalità di un piccolo soprano. In tribunale equivarrebbe a una richiesta di proscioglimento.
D'altra parte sappiamo parecchio dell'infanzia di Michael Jackson. Sappiamo bene il prezzo che ha dovuto pagare per aver fatto uscire la famiglia dalla povertà e dall'anonimato.
Sappiamo che è stato picchiato e vessato psicologicamente da Joseph, il padre. E girano voci insistenti secondo le quali, da bambino, Michael sia stato molestato sessualmente da almeno un adulto del mondo della musica. Per cui, si, potremmo sostenere che, come Wade e James, neanche Michael sia mai riuscito a liberarsi degli abusi subiti durante l'infanzia.
Ma li ha reiterati. Ciò che è iniziato con Joseph Jackson è stato trasmesso a Michael Joseph Jackson. Il figlio che non la smetteva di farsi tagliuzzare chirurgicamente la faccia anche per non somigliare al padre non ha troncato il legame con il suo retaggio di abusi: lo ha trasmesso alla generazione successiva. La sua è una favola sia tragica sia horror. Cè un predatore-seduttore che si finge il protettore puro di cuore di tutti i bambini innocenti del mondo. Dico che si finge - e Michael era un performer senza uguali, ma son convinta che desiderasse sinceramente essere un protettore dal cuore puro dell'innocenza infantile.
Quel desiderio ha donato alla sua finzione un potere inquietante. E un potere che esercita ancora oggi sulla moltitudine di fan che pubblicano affannose difese o denunce feroci su #MJlnnocent o sui siti Micheal Jackson Innocent.
Il genio vulnerabile è stato anche uno scaltro pedofilo: è questo il dato di fatto con cui dobbiamo fare i conti adesso, e non possiamo certo far passare la cosa sotto silenzio. Torniamo dunque ai capitoli finali della storia di Jackson e riflettiamo su quanto quei capitoli ci chiedono di aggiungere alla storia che tutt'ora si sta dipanando.
Michael Jackson, uno dei grandi del Ventesimo secolo l'artista popolare più elettrizzante, innovativo e influente -, fu acusato per la prima volta di abusi sessuali, ai danni di Jordan Chandler, nel 1993. All'epoca aveva trentacinque anni. Un accordo stragiudiziale fece cadere tutte le accuse. Dieci anni dopo, nel 2003, Michael Jackson fu arrestato con l'accusa di aver abusato di un altro ragazzino, Gavin Arvizo. Il processo, iniziato il 31 gennaio del 2005, fu uno spettacolo multimediale clamoroso e totalizzante. Il dipartimento di polizia di Los Angeles fotografò qualunque cosa gli appartenesse, dal suo pene alla sua collezione d'arte. I resoconti delle indagini, alcuni ufficiali, altri trapelati in modo illecito, diventarono virali. Il processo fu trasmesso ogni giorno in televisione e commentato convulsamente. Quattro mesi e otto giorni dopo Michael fu riconosciuto non colpevole per tutti i capi d'accusa.
L'innocenza legale, però, e ben altra cosa rispetto al proscioglimento pubblico. Michael era stato disonorato. Era pieno di debiti. Aveva fatto accapponare la pelle alla gente. Le vendite dei suoi dischi si fecero prima oscillanti, poi precipitarono. Dietro il «senza ombra di dubbio» non c'era rimasto più nulla. I suoi sostenitori spiegarono che gli accordi stragiudiziali erano l'unico modo per evitare lo sfruttamento da parte di altre famiglie in cerca di soldi e disposte a tutto pur di salire alla ribalta. I suoi oppositori e i dubbiosi sostennero che era necessario andare più a fondo: c'erano state altre due accuse, altre voci insistenti e il fatto che Jackson avesse ammesso in tutta tranquillità di aver condiviso il proprio letto con dei ragazzini. Visto che non poteva essere processato di nuovo per lo stesso crimine, il caso fini per essere dibattuto nel tribunale dell'opinione pubblica.
Nel frattempo Michael iniziò a vagabondare come un re in esilio - Bahrein, Las Vegas -, assillato dai debiti e costretto ad accettare l'ospitalità di reali e magnati. Diventò la figura iconica di qualunque storia sul declino di una star. Dentro c'era la storia degli uomini rovinati dagli scandali sessuali, che ha attraversato tutto il Ventesimo secolo, da Fatty Arbuckle a Roman Polanski, passando per Jerry Lee Lewis, Chuck Berry e Pete Townshend. E c'era la storia delle droghe e del viso deturpato, rappresentata da Elvis Presley e da ogni star femmina che invecchiando è stata derisa per i suoi problemi con la tossicodipendenza e la chirurgia plastica. Michael fu completamente cancellato da qualsivoglia storia ufficiale dedicata all'innovazione e ai trionfi del pop.
Quando, nel 2006, pubblicai il mio libro su Michael Jackson rimpiangevo il Michael Jackson artista. Rimpiangevo il bimbetto inquietante, il ragazzo carismatico e vagamente triste, il mutaforma bambino-uomo-donna-cyborg-extraterrestre. II poliglotta culturale che aveva studiato - che aveva padroneggiato ed esaltato - così tanti stili e tradizioni, il performer per cui non esisteva alcuna forma di musica e danza popolare che potesse essere considerata aliena.
Lo rimpiangevo ed ero confusa, direi anche ossessionata. Le azioni di Michael erano come quei geroglifici che cerchiamo di decifrare senza sosta. Volevamo tutti - ero una fan anch'io - che si spiegasse in un modo che potesse restituirci la fiducia che avevamo in lui. Le piccole star ci fanno credere che possiamo comprenderle, che tra noi e loro esiste un rapporto di confidenza assoluta. Il nostro ricordo di Michael, quando vestiva i panni del bambino amabile e affettuoso, non si accordava con quello che adesso metteva una distanza tra lui e noi.
Ma ero anche infuriata. Michael non voleva essere capito, pretendeva di essere amato incondizionatamente. Avrebbe continuato a mentire sulle operazioni di chirurgia plastica, a fingere di non avercela con il padre, a rimanere imprigionato nel suo personaggio tutto dolcezza e gentilezza. Compromettendo la sua capacità di realizzare opere d'arte eccelse. All'epoca dicevo che stava sperperando lo spirito in un oceano di vergogna, intendendo che a mio parere stava sprecando il suo talento nella sterilità di un tormento psicologico e sociologico. Adesso intendo anche dire che stava sprecando lo spirito - la sua psiche - nell'oceano della vergogna sessuale.
Quando mori, mi sentii sollevata, grata. Adesso riuscirà a riprendersi tutto, pensai. E ce ne vanteremo.
E cosi è stato. La morte restituisce a un artista la sua reputazione. Il rinascimento di Michael Jackson avvenne negli anni successivi alla morte raccapricciante del 2009 - l'overdose di farmaci, i frenetici tentativi di rianimazione cardiopolmonare, il cadavere nel sacco, i macabri dettagli dell'autopsia. I musicisti pop, jazz e hip hop adattarono e campionarono le sue canzoni; due generazioni di ballerini riciclarono e rivitalizzarono i suoi passi. Sorsero e si svilupparono diversi modi di leggere le sue opere. Gli accademici cominciarono a osservarlo dal punto di vista della decostruzione, della teoria post-coloniale e della teoria queer; e anche nell'ottica degli studi culturali e della performance. Diventò l'avatar del mondo trans-razziale, trans-gender e trans-specie. E tutto questo mi rese felice.
Ma ora, dieci anni dopo, un documentario come Leaving Neverland ci mette davanti a nuove domande. Al termine delle tragedie shakespeariane, il palcoscenico è sempre disseminato di cadaveri e una figura autorevole e serena li osserva, promettendo di mantenere vivo il ricordo di quell'orrore e di mettere fine al caos. Sul palcoscenico della vita di Michael Jackson, i corpi appartengono a dei ragazzini, la figura che ristabilisce l'ordine è Dan Reed, il regista di Leaving Neverland, ma in questo caso, con un inquietante doppio effetto, due ragazzi tornano in vita per raccontare la loro storia.
Provo imbarazzo e vergogna per il fatto che quando ho scritto il libro che state per leggere non sono riuscita a spingermi fino al punto di riconoscere che quest'uomo ferito era quasi di sicuro un predatore sessuale? Certamente. Anche perché come critica tendo a credere di essere immune da considerazioni ingenue e dal rifiuto della realtà. Adesso mi dico che almeno non sono stata l'unica. Di recente un amico avvocato mi ha detto che negli anni Ottanta e Novanta gli abusi sessuali sui bambini rappresentavano ancora (parole sue) un buco nero nella nostra coscienza culturale. Era un buco nero dall'irresistibile forza gravitazionale: ci giravamo attorno, ma non volevamo guardarci dentro per cogliere la sua portata sociale e i suoi grovigli psicologici. Ci siamo quindi limitati a raccontarci trame e storie. Per esempio la storia della Chiesa cattolica - è molto interessante che le prime rivelazioni sugli abusi sistematici all'interno della Chiesa vennero fuori proprio negli anni Ottanta e Novanta. O le trame e le sottotrame di film come Mystic River, Kids e Precious. O le trame e le sottotrame di serie televisive come Law & Order: Unità vittime speciali. La crisi determinata da #MeToo e da movimenti simili dimostrano quanto poco sappiamo e quanto poco vogliamo sapere di.. qual è l'arsenale linguistico che abbiamo? La molestia sessuale, lo sfruttamento, l'aggressione, la violenza carnale e l'abuso superano qualunque divisione di classe, genere, razza, etnia, religione ed età anagrafica.
Sappiamo che alcune delle vittime, dei responsabili e dei complici sono persone famose. E che le persone famose possono trasformare le loro storie in tragedie pubbliche che suscitano la nostra pietà e il nostro orrore. E tuttavia non c'è catarsi.
Che accadrà adesso? Sulla carta stampata, online, faccia a faccia, discutiamo di quel che proviamo e ci chiediamo cosa fare. Alcuni sostengono di aver bisogno di «cancellare» Michael Jackson, di smettere almeno per un po' di ascoltarlo e guardarlo. E cosi hanno fatto anche alcune stazioni radiofoniche e i canali streaming. Le case di moda hanno ritirato dal mercato gli abiti con la sua effige o quelli riconducibili (con troppa evidenza) al suo stile. In Europa, diversi Stati
hanno deciso di demolire le statue che gli erano state dedicate. Ma si tratta di provvedimenti di scarsa rilevanza. In alcuni casi indecorosamente ipocriti.
Nell'aria c'è anche il tentativo di eliminare Jackson dalla Rock and Roll Hall of Fame. Se la stessa misura fosse applicata a tutti i casi di sfruttamento sessuale e di abuso, la Hall of Fame insieme a molti dei suoi membri maschi e spavaldamente eterosessuali - ne uscirebbe decimata.
Ma queste sono solo liti e controversie a breve termine. Nel frattempo Wade Robson e James Safechuck hanno fatto causa all'Estate di Michael Jackson e, per rappresaglia, l'Estate li ha denunciati a sua volta e fatto causa al canale HbO per cento milioni di dollari. Io mi ritrovo a tifare per questi due uomini, affinché possano ottenere il più alto risarcimento legale ed economico possibile. Al momento, questo genere di ricompensa è l'unica forma di giustizia pubblica a disposizione delle vittime di abusi sessuali. E naturalmente ci sono ancora i tanti casi pendenti, tutti incentrati su uomini di potere che hanno abusato e sfruttato sessualmente persone meno potenti di loro, di solito ragazze e giovani donne. Come si comporterà la legge nei loro riguardi?
Ed eccoci arrivati alle questioni di più vasta portata che affliggono la nostra cultura, alle questioni che riguardano il rapporto tra arte e vita. In genere si tratta di questioni che prendono la forma seguente possiamo, dobbiamo separare l'arte dalla vita? E come?
Ma chissà se saremo capaci di affrontare tali questioni senza nasconderci dietro semplificazioni vecchia maniera, quali:
1) Non dobbiamo separarle perché la storia ci ha insegnato che l'arte riflette inevitabilmente la
corruzione della vita - solitamente questa semplificazione è seguita da un elenco dei danni morali e politici che possono essere provocati da questo genere di opere d'arte.
2) Dobbiamo separarle perché l'arte è sempre dalla parte della libertà, perché regala bellezze e piaceri che trascendono i confini della disapprovazione morale solitamente questa semplificazione è seguita da un elenco di grandi artisti che pur essendo stati fascisti, nazisti, misogini o suprematisti bianchi, hanno realizzato opere d'arte straordinarie.
Opporre l'arte alla vita è troppo semplice. Stiamo parlando delle nostre opinioni e dei nostri giudizi personali sull'arte e sulla vita? Oppure di azioni, opinioni e giudizi formulati dai sistemi sociali, dalla legge, dalle politiche e dalla Storia? Per fare queste distinzioni abbiamo bisogno dell'intelligenza e della volontà - quella dentro di noi, non solo quella che troviamo nell'arte che ci piace. Cos'è che ci fa amare oppure odiare un artista? Cos'è che ci fa amare e contemporaneamente odiare un artista, che ci fa provare insieme piacere e disagio, confusione e beatitudine? Quali bisogni e desideri privati ognuno di noi trasferisce nell'opera d'arte che ama? Quando a prevalere, o a macchiare un'opera, sono i materiali oscuri della vita, dovremmo sbarazzarcene? Forse si, ma dovremmo anche lottare per quelle parti che riteniamo significative. Le nostre risorse derivano dalla loro ricchezza a vastità - intellettuale, emotiva, morale, estetica, etica, politica. E sono le stesse che usiamo per analizzare e demistificare l'opera, per sondare i suoi conflitti e le sue contraddizioni, per sentire la sua energia, ma senza esserne ostaggio. Nessuna evasione, nessuna semplificazione. La sfida è comprendere l'arte e la vita mentre si attorcigliano e si sbrigliano l'una nell'altra, cambiando forma e direzione.
***
Ho visto Leaving Neverland tre settimane fa e da allora non ho né ascoltato né guardato immagini di Michael Jackson. Ma quando leggerete questa introduzione, immagino che sarò già tornata alla sua opera. Trovo molto difficile concepire una vita di rinunce. Ma altrettanto difficile sarà decidere cosa fare delle performance che ho amato per decenni. Del piccolo prodigio che ha fatto il suo debutto televisivo a dieci anni, dominando il palcoscenico con un cappello viola a tesa larga. Dello special televisivo per il venticinquesimo compleanno della Motown, dove, scintillante, in nero, bianco e argento (a metà tra il derviscio e il dandy) si è esibito in Billie Jean portandoci in un'altra galassia con il suo moonwalk. E del momento in cui balla da solo in Black or White, quello in cui, per strada, sui marciapiedi, e alla fine sul tetto di una macchina, lancia urla primordiali, frantumai vetri insozzati da graffiti razzisti e si tuffa in una straordinaria combinazione di balli africani, break dance e tip tap? Ripenso a tutto questo e mi chiedo chi mai potrà capire il fascino degli opposti rappresentati da un performer. Michael era fragile e ferale, percussivo e sinuoso, vulnerabile e imperioso. E quello che ci ha dato la sua arte non si può cancellare.
Quanto alla sua vita, abbiamo sempre saputo quanto fosse affascinante e generoso. Adesso abbiamo anche imparato che era scaltro, egoista, in preda ai suoi stessi demoni. Sono cose che non si possono cancellare, né si può far finta che non esistano. Non ci resta che accettarle, che accogliere quel che suscitano in noi sgomento, dolore, ira, compassione - e tentare di trasformarle in consapevolezza.

[Modificato da omoni 28/09/2020 22:11]