00 21/08/2014 21:30
Buonasera,
anzitutto volevo ringraziare rosamj per le sue parole.
Spero che anche chi non ha scritto, ma ha letto, abbia apprezzato fino a qui la storia.

Ecco il nuovo capitolo. :)



3 Capitolo - I've been looking around in the lost and found of my heart


Aura si guardava allo specchio e non poteva crederci; non riusciva a convincersi che di lì a poco Michael sarebbe stato a casa sua, davanti a lei, loro due da soli. Insieme.
Si era fatta la doccia e lavata i denti. Aveva preparato qualcosa da mangiare, cercando di renderlo commestibile – la sua arte culinaria aveva sempre avuto poco a che fare con quella della madre. Si era cambiata i vestiti almeno dieci volte, sempre meno convinta di stare bene, di essere abbastanza elegante oppure troppo formale. Non riusciva a decidersi, ma alla fine si arrese al suo armadio che non aveva più molto da offrire: indossò per l’ennesima volta i suoi Levi’s, una camicetta bianca morbida e le sue inseparabili scarpe da ginnastica; essere se stessa era l’unica carta che avrebbe avuto un senso giocare, ammesso e non concesso che Michael fosse arrivato veramente. E se non si fosse presentato?
Tornò a guardarsi allo specchio e, per un attimo, nei suoi occhi vide riflettersi quelli di lui, con quello sguardo innocente che le era entrato sotto pelle quel giorno al negozio: no, non poteva averle mentito, non con quel paio d’occhi; non dopo quelle meravigliose parole.
Intanto, il tempo passava. Scoccarono le otto, la tavola era pronta e a lei sudavano le mani. Da un momento all’altro sarebbe arrivato e, benché lei non avesse mai avuto un appuntamento che potesse anche minimamente ritenersi tale, sapeva che in qualche modo quello lo era. Era un appuntamento e, non solo non sapeva cosa le sarebbe convenuto fare o non fare, ma non aveva nemmeno idea di cosa aspettarsi da quell’uomo. Mentre i minuti ticchettavano inesorabilmente – e di lui ancora non si vedeva l’ombra – finì con l’analizzare la situazione e porsi qualche domanda.
“Perché mai uno come Michael desidera rivedermi?”
Iniziò a pensare che, alla fine, non si sarebbe presentato, e un po’ si dava della stupida per averci creduto; per aver recitato il ruolo della patetica ragazza da film romantici, preparandosi, cucinando e facendo l’isterica per decidere cosa indossare. Erano quasi le nove e ormai era chiaro che non sarebbe mai arrivato.
Sì alzò con l’aria sconfitta, senza nemmeno sapere se a farle più male fosse la sua stupidità o il fatto di non averlo potuto rivedere. Era convinta che di lui non gliene importasse poi tanto, che lo avesse semplicemente idealizzato come il suo salvatore da una vita priva di vere emozioni, ma perché allora stava piangendo?
Quando già stava rassettando la cucina, però, il campanello avvisò dell’arrivo di qualcuno. Aura alzò il viso verso la porta per poi buttare un occhio all’orologio. Erano le nove e dieci, e oltre a Michael non aspettava nessuno. Cercò di non correre al citofono come una pazza, non voleva dare l’aria di quella rimasta per ore sulla soglia, in attesa – anche se, in effetti, era stato più o meno così. Prese la cornetta con mano tremante.
«Sì, chi è?»
«Sono Michael – sussurrò l’altro con quella sua voce inconfondibile, che già riconosceva così bene, leggermente trafelata –, posso salire, per favore?»
In quel momento Aura si sentì sopraffatta dalle emozioni. Non riusciva a capire se essere più arrabbiata per il ritardo, sollevata perché alla fine era comunque arrivato o semplicemente estasiata dal fatto che fosse senza fiato e che, quindi, avesse fatto le corse per raggiungerla. Si limitò comunque a un più neutrale: «Ciao! Sì, Sali… secondo piano»
Prima di aprire si diede un’ultima veloce occhiata nello specchio, soprattutto al trucco: non era certo al massimo della sua forma, ma se si fosse degnato di arrivare puntuale – pensò con una punta di sarcasmo – forse avrebbe trovato qualcosa di meglio! Così era e così si sarebbe presentata.
Quando aprì la porta, però, quel principio di risentimento svanì completamente.
Era un po’ sudato, con un lieve fiatone. Indossava dei semplici jeans scuri, una maglietta bianca sotto a una camicia azzurra e un paio di mocassini neri. Era semplice. Semplicemente stupendo. Aura non solo sentì mancarle la terra sotto i piedi, ma il cuore perse qualche battito. Ogni volta, la sua mente si faceva sempre più confusa. Non aveva mai provato niente del genere prima di allora e non riusciva davvero a comprendere perché quell’uomo le facesse un effetto simile.
Lui le sorrise – dio quanto gli era mancato quel sorriso, quanto la faceva sentire felice –, lei si mosse un po’ goffamente verso destra per lasciare libero l’ingresso e lui entrò.
Quando Aura ebbe chiuso la porta si volse a guardarlo, ancora incredula che alla fine si fosse presentato davvero, emozionata e incapace di trovare qualcosa da dire. Le veniva solo da sorridere in risposta a quelle labbra perfette dolcemente increspate.
«Ciao Aura – si chinò leggermente per baciarle una guancia e le porse un pacchettino con un fiocco rosso fatto a regola d’arte –, scusami tantissimo per il ritardo, e anche per il contenuto del pacchetto, è parecchio tempo che non ho un appuntamento. Non ricordo cosa dica il galateo riguardo a come ci si comporta e ai regali da fare.»
“Bene, io di appuntamento non ne ho mai avuto uno, sei comunque avvantaggiato” si ritrovò a pensare lei.
«Non ti preoccupare. E non c’era bisogno del regalo, ma sono sicura che sarà perfetto.»
A lei, onestamente, di quello che le aveva portato non importava granché, tanto che lo appoggiò su una mensola senza aprirlo; lei era semplicemente felice che lui fosse lì.
«Accomodati pure, mi spiace solo per la cena. Si è raffreddata, e riscaldata non sarà il massimo. Già appena fatta non era un granché», ammise con un lieve imbarazzo.
«Sono sicuro che sarà perfetta» e quella frase arrivava giusto a confermare quanto la dolcezza fosse un suo tratto caratteristico; Aura lo aveva capito sin dalla prima occhiata.
 
Poco dopo, seduti uno di fronte all’altro, mangiavano in silenzio. Entrambi imbarazzati da quella situazione, ma in qualche modo curiosi di scoprire come sarebbe andata.
Aura realizzò solo in quel momento di aver messo in tavola hamburger e patatine fritte, e un po’ se ne rammaricò. Avrebbe potuto fare qualcosa di più salutare ed elaborato. Poteva una pop star mangiare quelle schifezze?
«Scusa per il menù, ma non sono un granché come cuoca. Spero non sia un problema.»
Michael, in tutta risposta, prese una patatina, la mise in bocca – sempre con quel suo tipico, tenero sorriso - e la masticò con gusto.
«Io adoro le schifezze! – annunciò ridendo di una risata leggera e morbida – So che non mi fanno bene, ma ogni tanto posso concedermi qualche strappo alla regola.»
Mentre Aura lo ammirava, seduta dall’altra parte del tavolo, non riuscì a non pensare a quanto quelle poche sensazioni che lui le aveva trasmesso la prima volta, si stessero ripresentando, e con una forza almeno cento volte maggiore. Lo osservava mentre le parlava, convinto che lei stesse veramente seguendo quello che diceva, e ogni minuscolo movimento trasudava eleganza, grazia e dolcezza. Non c’era una nota stonata in lui, un dettaglio fuori posto. Un difetto.
«Se ti sto annoiando, non hai che da dirlo – le disse d’un tratto, riportandola coi piedi per terra –, quando sono nervoso mi capita di iniziare a dire cose senza senso. Perdonami…»
«Oh, no, no! Anzi, è molto bello sentirti parlare… - e Aura lo disse così genuinamente che quasi non se ne rese conto finché non vide Michael arrossire, abbassare leggermente il capo e sorridere. Sulla guancia sinistra si formò una deliziosa fossetta che aggiunse altri brividi a quelli che già lei stava provando. Era bellissimo, di una bellezza innocente e pura che mai aveva trovato in qualcuno in tutta la sua vita.
Non ce l’avrebbe fatta ad arrivare fino a fine serata sana di mente. Non era abituata a dover gestire certe emozioni ed ebbe paura di soccombere a quella potenza.
 
Più tardi, dopo aver rassettato la cucina insieme, si accomodarono sul divano.
«Cosa ti va di fare, ora?» gli chiese. Si era sentita un po’ in imbarazzo all’inizio ma, mano a mano che parlavano, presero più confidenza e quel lieve disagio sparì quasi completamente.
«Non lo so, cosa va di fare a te?» le rispose. Se ne stava seduto nell’angolo del divano, con il corpo rivolto verso di lei e il gomito appoggiato alla spalliera. Lei era seduta completamente dalla parte opposta, nella medesima posizione. Non che il suo sofà fosse grandissimo, ma i loro corpi non si sfioravano neanche, e Aura, per la prima volta in vita sua, smaniava un contatto, soprattutto con le sue mani, grandi, affusolate e – immaginava - delicate.
«Parliamo un po’, ti va?» c’era qualcosa che non andava nel modo in cui gli aveva posto la domanda, e sperò che non fosse come pensava: stava flirtando? Stava facendo la civetta con lui?
«Certo che mi va, ma prima – disse lui, alzandosi e prendendo il pacchettino dalla mensola sulla quale Aura lo aveva appoggiato –, non ti va di aprire questo?»
Se l’era pure dimenticato, impegnata com’era a registrare ogni minimo dettaglio di quel viso, di quel sorriso.
«Oh, già, è vero – sussurrò quasi a se stessa, alzandosi per raggiungerlo – vediamo cosa nasconde!»
Gli prese il pacchetto dalle mani, sperando in un contatto fortuito, ma anche in quel caso non si sfiorarono neppure. Lo aprì velocemente, tirando un’estremità del fiocco rosso e alzando il coperchio della scatola. Fu immediatamente divertita dal contenuto: una confezione enorme di M&M’s.
«Che buoni! – li aprì e gliene offrì a Michael che immediatamente infilò la mano dentro al pacchetto e ne prese qualcuno – Ecco a lei servito il dessert!» annunciò ridendo. Non poteva crederci che le avesse portato delle caramelle, ma da una parte fu una cosa che apprezzò davvero, anzitutto per l’originalità, e perché fu un altro indizio che confermava la tesi di quanto fosse diverso dagli altri – anche se con altri non aveva paragoni, ma dalle esperienze delle sue amiche ne aveva avute di informazioni cui attingere!
«Dai, fammi vedere cosa sai fare!» le disse all’improvviso lanciandole sopra la testa una caramella, sfidandola a prenderla al volo. Risultato: M&M a terra.
«Ah! Sei fuori forma, forza, ritenta!» la incitò tirandone un’altra, finita a terra come la prima. «Ci vogliono tanto esercizio e costanza» sentenziò lanciandone una sopra la propria testa, altissima; muovendosi come un funambolo, riuscì a prenderla al volo tra le labbra, masticando poi allegramente e atteggiandosi un po’ per il bel colpo riuscito.
Entrambi scoppiarono a ridere. Aura si alzò per raccogliere ciò che era caduto a terra, continuando a ridere divertita.
«Dovrò fare molta pratica, evidentemente!» ammise. Michael la guardava con uno sguardo dolcissimo, sorrideva ancora e, di punto in bianco, lanciò un’altra caramella, più in alto ancora. Aura si mosse velocemente seguendo l’oggetto con lo sguardo e posizionandosi con la bocca aperta per tentare di prenderla. Finalmente ci riuscì e iniziò a saltellare per la cucina come una bambina di cinque anni. Sì sentiva soddisfatta, leggera e… felice.
«Sì!!! Hai visto che ci sei riuscita!»
Continuarono a giocare in quel modo per un po’, finché entrambi non furono stanchi – e anche sazi di M&M quasi a scoppiare. Sedettero sul divano, ridendo come due ragazzini; quella volta però nessuno si preoccupò delle distanze.
Le loro ginocchia si toccavano, erano seduti come poco prima, con i gomiti sulla spalliera del divano e rivolti l’uno verso l’altra. Si guardavano con ancora quell’espressione ebbra da bambini spensierati.
«Michael, perché hai accettato di rivedermi?» glielo aveva chiesto a bruciapelo, senza aver deciso coerentemente di farlo, ma era un dubbio che avrebbe voluto sciogliere già ore prima, e forse quello era il momento adatto per provarci.
Lui rimase un po’ spiazzato – era evidente da quei suoi occhi scuri spalancati –, ma non ci mise molto a riacquistare la sua tipica espressione tenera e gentile.
«Sono circondato da migliaia di persone meravigliose, Aura, in tutto il mondo, ma non c’è una persona speciale per me, fra queste. – le disse, tutto d’un fiato, come se volesse togliersi un peso dal cuore – A volte mi sento estremamente solo.»
Sembrava aver finito, e Aura non seppe cosa rispondere. Era andato lì solo per sentirsi meno solo? Per carità, le sarebbe andato bene tutto ugualmente, ma…
«E, sai, quando quel giorno al negozio ti ho guardata negli occhi – continuò, come se in quella pausa avesse voluto mettere insieme il coraggio per esprimere ciò che provava, e timidamente, prese ad accarezzarle con due dita il dorso della mano – improvvisamente, ho sentito la mia solitudine volare via con il vento.»



"Smile, what's the use of crying, you'll find that life is still worthwhile, if you just smile"