LA SECONDA POSSIBILITA' (in corso). Rating: verde

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marilola
00mercoledì 30 marzo 2011 17:23
LA SECONDA POSSIBILITA’


"Per favore, apri" ripete Gabriel. Era ormai da dieci minuti che bussava.
"Non voglio, lasciami in pace" dice la voce oltre la porta.
Gabriel ricorda alla porta chiusa che migliaia di persone lo stanno aspettando.
Dentro la stanza l'uomo seduto sul pavimento pensava a una spiaggia. Una giornata piena di luce. Sentiva gli schiamazzi dei bambini e sorrideva al mare che gli accarezzava i piedi a ondate. Il sole gli scaldava la testa sotto al cappello. Nella mano sprofondata dentro alla sabbia sentiva una conchiglia, l’aveva portata all'orecchio e aveva chiuso gli occhi, aspirando l'aria salmastra.
Ma poi le migliaia di persone che lo stavano aspettando iniziarono a spingere nella sua testa, e lo riportarono dietro quella porta.
Si alza, fa scattare la serratura ed esce dal bagno.
Gabriel mette un braccio sulle spalle di Michael e insieme si avviano in un lungo corridoio buio.
"Ce la farò?" chiede Michael, con gli occhi lucidi e la voce che vibra in gola.
"Me lo devi dire tu" risponde Gabriel.
Michael si ferma e lo guarda negli occhi. Le gambe si appesantiscono di ansia, teme di cadere da un momento all'altro."Non voglio sapere se ce la farò adesso" dice. "Voglio sapere se riuscirò dopo, se andrò fino in fondo".
"Me lo devi dire tu" torna a dire Gabriel.
Michael passa una mano sotto agli occhi e corre verso le luci al fondo del corridoio.
Lo accoglie il boato di ottantamila voci che urlano il suo nome e che, alla sua vista, gridano ancora più forte. Un arco di fuochi artificiali scoppia alle sue spalle e la musica riempie lo stadio.
Un uomo – uguale e allo stesso tempo diverso da quello del corridoio - sorride, abbassa il cappello e danza tra le luci che illuminano a giorno la notte. A ogni passo sente l'energia riempire i muscoli. Quando pronuncia le prime parole della canzone la sua voce non trema, ma risuona limpida nelle migliaia di orecchie che va ad accarezzare.





E poi fu di nuovo il buio.
La finestra lascia entrare le luci intermittenti delle macchine che corrono sulla strada e filtra le voci che si rincorrono vicino alla piscina.
Michael chiude gli occhi a ogni bagliore che passa veloce sul pavimento.
Ascolta i rumori prestando attenzione ai diversi timbri di voce. Ricostruisce la conversazione tra un uomo e una donna che litigano in giardino. Poi tappa le orecchie con le mani, sapendo di non poter fare nulla per loro e neanche per sé.
La cena che ha portato la cameriera più di un'ora fa, aspetta ancora sul tavolo, di fronte al letto. Michael non ha neanche voluto vedere cosa ci fosse sotto ai coperchi.
La cameriera - una ragazzina lentigginosa - avrebbe voluto chiedergli un autografo. Quando entrò era così agitata che aveva il terrore di rovesciare il vassoio sul tappeto. Esitò davanti alla porta prima di andarsene, chiedendosi se sarebbe stata licenziata importunando un cliente tanto importante. Michael la guardò posare la mano sulla maniglia e aspettare. Improvvisamente capì. Si alzò e si scusò di non avere con sé i soldi per la mancia. Vide il volto arrossato della ragazza e sorrise. La cameriera credette di svenire. "Puoi accettare questo come mancia?" disse, mettendole tra le mani il suo cappello.
La ragazza non riuscì ad aprire la bocca. Strinse il cappello e annuì, facendo ballonzolare le trecce. Michael le aprì la porta e abbassò la testa per salutarla.
Lei uscì e lui strinse forte la maniglia nella mano, con la voglia di correre per il corridoio e sbucare in giardino e poi uscire in strada e camminare tutta la notte con la luna sulla testa, fino ad arrivare alla spiaggia.
Attraversò il corridoio deserto del piano che aveva riservato e arrivò fino all'ascensore. Con il dito sfiorò il pulsante ma non lo spinse. Il sorriso si spense sulle labbra, abbassò la testa e tornò indietro, fino alla sua stanza. Chiuse la porta.
Passò davanti al vassoio dove stava in bella vista la lettera di benvenuto del direttore e tornò a sdraiarsi sul letto. Chiuse gli occhi.
"Ho freddo" dice Michael, raggomitolato su se stesso.
"Ti cerco una coperta" risponde Gabriel, alzandosi dalla poltrona vicina al letto e accendendo la luce della stanza.
"No, per favore. Spegni. Preferisco il buio".
"Come vuoi".
Nella mente di Michael si intrecciano strani ricordi, hanno la consistenza eterea dei sogni.
Si vede correre dietro a una palla in un prato pieno di bambini. Quella palla stabilisce la direzione della corsa e i bambini sembrano disegnare grandi cerchi mentre giocano. Una danza a cui partecipano centinaia di piedi veloci. Michael si rende conto in questo momento di essere la palla che dà ritmo e senso al gioco. E corre ancora più veloce, sempre più felice. Il vento lo aiuta a rimbalzare alto sull'erba. È sicuro che non si fermerà mai.
Ma un muro si innalza in un istante tutto intono al prato e lui va a sbatterci contro, arrestando la corsa.
"Michael! Svegliati, è ora dell'intervista, vecchio mio. Devi prepararti" sussurra Gabriel, appoggiando una mano sulla sua spalla.
Michel stropiccia gli occhi. Si mette lentamente seduto e si prende la testa tra le mani. Rimane immobile per qualche minuto, cercando di ricostruire in che posto si trova e perché.
Si alza e cammina verso il bagno. Si ferma davanti allo specchio e rimane a guardare il suo viso, cercandoci dentro il passato e tentando di indovinarci il futuro.
Un’ora più tardi Lea porta le mani ai fianchi e sorride soddisfatta: “Et voilà! Sei bellissimo,come sempre”.
Passa un ultimo colpo di cipria sullo zigomo di Michael e si sposta, per lasciare libero lo specchio. Michael abbassa lo sguardo senza guardare la propria immagine riflessa e si alza. “Sono pronto, andiamo”.
L’interprete giapponese lo raggiunge e si presenta, stringendogli la mano. Insieme entrano nello studio di registrazione. Un applauso accompagna i passi di Michael fino al divano.
La conduttrice esibisce il suo miglior sorriso e lo accoglie baciandolo sulle guance. Dedica qualche secondo a cancellare con i pollici il suo rossetto dal viso di Michael, e si finge sorpresa dell’accaduto. Poi si gira verso le telecamere e alza due dita, in segno di vittoria.
La conduttrice sente addosso l’invidia di milioni di persone e sorride ancora di più, sfoderando denti che le sono costati una fortuna.
Gli rivolge la prima domanda e la battuta ingenua con cui Michael risponde riempie lo studio di applausi. L’interprete giapponese traduce ogni parola a milioni di persone che stanno seguendo l’intervista dall’altra parte del mondo.





È di nuovo ora di partire.
Le valige formano un lungo serpente davanti all’entrata dell’albergo.
Michael intravede la folla ai cancelli. Si ferma, indietreggia e inciampa nei piedi di un uomo della scorta. “Scusa”, dice, poi corre indietro: “ho dimenticato una cosa”.
Entra nell’ascensore e schiaccia il primo pulsante che gli capita.
Le porte si chiudono mentre Michael trattiene il fiato. Scivola sulla parete, fino a sedersi per terra. Si prende la testa tra le mani e ripete: “Non lo posso fare. Ho paura. Ho una gran paura”.
“Avanti, dobbiamo andare vecchio mio”.
Michael si gira di scatto. C’è Gabriel appoggiato alla parete dell’ascensore dove è fissato lo specchio. Michael si vede riflesso. Osserva lo spicchio di specchio alle spalle di Gabriel, non c’è riflesso. Sorride, poi alza la testa e lo fissa negli occhi.
“Ne sarò capace?” chiede Michael.
“Solo tu conosci la risposta. Quello che ti posso dire è che il mio Capo non mi manda spesso a fare proposte come quella che ha voluto fare a te. Solo tu puoi decidere”.
Michael si guarda di nuovo allo specchio. Vede un segno sulla pelle vicino all’orecchio e pensa a quando cadde dall’albero che gli procurò quella piccola cicatrice. Pensa al sole che giocava a nascondino fra le foglie e a come gli piacesse sentire i raggi di luce scaldargli il viso.
Spinge il pulsante che riporta l’ascensore al pianoterra ed esce dall’hotel, camminando tra i due cordoni di sicurezza. È un bagno di folla esultante. Alza il braccio e saluta i tanti che lo aspettavano uscire, da ore. Deglutisce, e ringrazia Dio di avergli dato il talento di cui i fan non hanno mai abbastanza.
Un ragazzo riesce a intrufolarsi tra due guardie. Subito viene placcato, ma Michael gli si avvicina e batte le nocche del suo pugno contro quelle del ragazzo.
La macchina dai finestrini oscurati scivola veloce attraverso le strade bloccate al traffico della città per lasciarlo passare. Lo porta all’aeroporto.
Il suo jet privato si alza con un frastuono di rulli e motori.
La hostess gli offre coperte, bibite, cuffie audio. Michael sorride, dicendo che non ha bisogno di nulla. Fissa le nuvole fuori dall’oblò e si chiede se sia davvero così, se lui non ha bisogno di nulla.
Una stanchezza improvvisa lo intorpidisce, sente una grande confusione riempire la testa. Abbassa lo schienale e si addormenta.
Sente un dito che gli picchietta sulla spalla e una voce delicata ma decisa che gli chiede: “Scusa, puoi tirare su lo schienale? Mi dà fastidio sulle gambe. Hai un sacco di spazio lì davanti. Devi proprio sdraiarti su di me?”.
Michael si gira e spalanca gli occhi sulla ragazza. “Ma tu chi sei?”.
“Sono quella che ha avuto la sfortuna di comprare il biglietto per il posto dietro al tuo. Sai che facciamo?” – Michael scuote la testa – “Vengo a sedermi io vicino a te. Tanto il posto è libero, no?”.
“Certo, è mio l’aereo”.
“Umh, ok. Allora io sono la proprietaria dell’aeroporto, dunque mi devi un favore”. Gli dedica un sorriso. Lungo, dolcissimo.
Michael si guarda intorno e vede che l’aereo si è riempito. Non ci crede. Si alza e guarda meglio: tutto pieno! Gente che mangia, dorme e ascolta la radio.
“Ti fermi molto a Roma?” chiede la ragazza.
“Una settimana. Più o meno” risponde Michael, tornando a sedersi.
“Conosci la città? Se vuoi ti do un paio di dritte su quello che non ti devi perdere. A proposito, io sono Maria”. La ragazza allunga il braccio e Michael stringe la sua mano. Le loro dita si sfiorano e insieme sorridono.
Sul maxi schermo parte la proiezione di un film di Charlie Chaplin, ma i due non se ne accorgono. Sono troppo impegnati a domandare, rispondere, ridere e guardarsi. Ancora si tengono la mano.
Volano sull’oceano e sulle ore che li separano dalla terra. Non si lasciano mai le mani.
L’hostess chiede di allacciare le cinture, l’aereo si prepara ad atterrare.
Michael porta un dito sulle labbra – shhhh! - chiedendo alla donna di non svegliare Maria che si è addormentata con la testa sulla sua spalla. Passa la mano intorno alla vita della ragazza e le attacca la cintura in un click. La stringe tra le braccia e la felicità si materializza con un nodo in gola. L’aereo vira, e Michael dal finestrino può distinguere il Colosseo e la Basilica di San Pietro.
Chiude gli occhi e si addormenta. Sorridendo.
“Michael, è il momento, vecchio mio. Svegliati”.
Michael sente la voce di Gabriel ma non apre gli occhi. Un brivido gli fa accapponare la pelle.
Si alza e scopre quello che non avrebbe voluto, ma che già sapeva: è stato un sogno.
Un altro sogno.







Atterraggio, folla, flash, televisione, albergo.
Arriva la sera. Alla festa ci saranno duecento persone e tutti vogliono parlare con lui.
Michael tenta di ascoltare, di sorridere e di partecipare alle conversazioni, ma la sua mente continua a scappare da lì dentro e a correre in strada, in cerca della spiaggia.
L’aria calda e profumata della notte romana gli accarezza la pelle. Ha bisogno di stare solo, ma qualcuno lo segue anche quando va in bagno, e continua a parlargli attraverso la porta chiusa.
Spesso sente i commenti che misurano i suoi movimenti, i suoi vestiti, quello mangia o che non mangia, il suo modo di parlare e i suoi silenzi. Non ci fa caso. Non ci fa più caso da tanto tempo.
E poi i brindisi in suo onore, la torta, lo spettacolo dedicato a lui. Michael continua a scivolare nel vortice di stanze e persone che lo risucchiano, non ha tempo per pensare. Eppure lo deve fare.
Scorge Gabriel tra la folla. Si divincola dalle braccia di due modelle che si sono messe in posa per una fotografia e lo raggiunge.
“Quanto tempo, Gabriel? Quanto?” gli chiede stringendo nel pugno la giacca dell’amico.
“Vai Michael, è il tuo momento. È l’ora del tuo discorso” risponde Gabriel, sorridendogli.
Michael è nel panico. La nausea gli stringe lo stomaco e le gambe vacillano.
Le tempie si imperlano di sudore. Non si sente pronto.
Poi ricorda a se stesso che può scegliere, può ancora scegliere.
Sembra impossibile, ma può girarsi e andarsene.
Non c’è nulla di male a tirarsi indietro, Gabriel ha detto così.
Non lo vuole più fare.
Ha bisogno, almeno, di più tempo.
Sale sul palco lentamente. I riflettori lo abbagliano e con la mano protegge gli occhi.
Il respiro è accelerato. Guarda davanti a sé e si perde nella folla che lo sta osservando.
Vede un viso piccolo e paffuto che gli sorride, gli occhi vispi, le guance rosse e la bocca aperta, intenta a sorridere. Ciuffi biondi sfiorano gli occhi del bimbo che con la bocca li soffia via. È lui. Nel momento stesso in cui lo guarda, capisce che è lui il bambino.
Ora Michael ha voglia di sorridere.
I muscoli delle gambe tornano a sorreggerlo con forza. La stessa forza che ha esibito su centinaia di palcoscenici. Respira profondamente.
Placa gli applausi con le mani e inizia il suo discorso. Un discorso che non aveva preparato ma che esce dalla sua bocca senza fatica, nel sorriso che non lo abbandonerà più.
“Sono un uomo fortunato. Mi sento fortunato. E non perché abbia avuto tutto dalla vita. Anzi, mi sono mancate cose importanti che mi hanno addolorato per anni. Ma ho avuto l’onore di arrivare ai vostri cuori. Di conoscere e parlare a persone lontane chilometri e a volte anche anni. È una gioia che ha sempre dato un senso alla mia vita. Qualcuno mi ha definito un profeta: non lo sono! Ma ho sempre pensato di essere simpatico a Dio se ha voluto farmi dei doni così grandi da regalare agli altri. Non rimpiango nulla, ne è valsa la pena”.
Gli occhi di Michael corrono per la sala e si alzano sul soffitto.
Sente il cuore battere così veloce da incendiare il torace.
Davanti a sé vede Gabriel che gli sorride e annuisce.
Michael con le mani stringe il leggio, poi lo scaraventa per terra e inizia a correre. Si butta sul bambino biondo nel momento in cui uno dei riflettori si stacca dal soffitto. Spinge con violenza il corpicino, mandandolo al riparo, contro il grembo della madre. Un boato terribile si alza dal pavimento, mentre una pioggia di vetro, ferro e plastica invade la sala.
Tutti corrono e tentano di ripararsi la testa con le mani. Alcuni cadono e altri gli camminano sopra.
Michael rimane immobile, sommerso dalle macerie.
Gabriel è l’unico che in quella bolgia non perde il controllo. Si inginocchia vicino al viso di Michael e gli chiude gli occhi con una carezza, sussurrando: “Sapevo che ci saresti riuscito, vecchio mio. Hai fatto la scelta giusta e la scelta giusta non può essere imposta a nessuno. Scambiare il tuo successo per la vita di un bambino. Bravo, vecchio mio. Il Capo sarà contento”.






“Michael! Tesoro svegliati!”. La donna apre le tende e spalanca la finestra.
Michael sente la voce, la riconosce e si nasconde sotto le coperte.
“Dormiglione!”. Le mani della donna corrono lungo la pancia di Michael, solleticandolo.
Fa volare in aria le coperte e lo bacia con uno schiocco sulla fronte.
“I tuoi fratelli ti aspettano al parco. Oggi c’è la partita, ti ricordi?”.
La donna sta per uscire dalla stanza, ma poi torna indietro, si batte una mano sulla fronte e dice: “Ah, dimenticavo! E’ passato un tuo compagno di scuola. Un ragazzino piccolo, biondo, con le guanciotte rosse. Lo conosci? Mi ha detto che si chiama Gabriel. Bello come un angelo. Ti ha lasciato un biglietto”.
Cerca tra le tasche del grembiule e gli sventola sul naso un pezzo di carta”. Poi gli pizzica una guancia, dicendogli di non fare tardi per la colazione.
“Grazie mamma” dice Michael.
Le sue mani tremano. Apre il foglio e rimane parecchio a fissarlo, prima di riuscire a leggere: “Ti sei guadagnato una seconda possibilità, vecchio mio. Non sprecarla!”.
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