A partire da
agosto 2020, la scrittrice
Willa Stillwater ha deciso di illustrare il
valore culturale del fenomeno Michael Jackson nella
sfida ai pregiudizi e alle discriminazioni razziali con una serie di
quattro saggi su
medium.com, tra i più approfonditi e convincenti che si possano trovare sull'argomento.
La conclusione a cui si arriva attraverso la sua analisi, peraltro, finisce per riconoscere nelle
accuse ingiuste di cui Michael è stato vittima il
carissimo prezzo che ha dovuto pagare per
aver provato a ribaltare le convenzioni ormai radicate da secoli in tema razziale nella società moderna, in particolare negli USA.
A questo proposito, il
secondo dei quattro saggi, dedicato all'immortale cortometraggio di
"Thriller", permette di scoprire
i significati più profondi - direi perfino insospettabili - che si nascondono all'interno della trama di quel
capolavoro assoluto, e sui quali, nell'immediatezza di una sua prima visione, di sicuro non ci si sofferma a riflettere:
«"Are You Scared Yet?" - How Michael Jackson Altered the Sensations of Racism» (
«"Hai ancora paura?" - Come Michael Jackson ha trasformato le sensazioni di razzismo»).
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Premessa fondamentale, la portata rivoluzionaria di una creazione artistica come lo short-film di "Thriller", necessaria per poi comprenderne le sorprendenti conclusioni finali:
«È difficile rendere l'idea oggi, a quasi 40 anni di distanza, di quale
fenomeno sia stato negli anni '80
il video di Michael Jackson "Thriller".
È una di quelle
rare opere d'arte che sembra permeare ogni aspetto della cultura in generale. [...]
Ma
"Thriller" è molto più di un'opera d'arte ben fatta. Ha anche toccato
qualcosa di profondo nella psiche americana. [...]
Al momento dell'uscita di
"Thriller",
MTV era il luogo da cui i video musicali venivano diffusi per la maggior parte del pubblico americano, e il suo modello di
business era costruito su un
"casting ristretto" per i
giovani spettatori bianchi: in particolare, gli
adolescenti di periferia con accesso alla TV via cavo e abbastanza soldi in tasca per acquistare degli album. [...]
Come ha scritto il critico
Steven Levy in un articolo del 1983 su
"Rolling Stone",
MTV temeva di
"alienare i ragazzi bianchi di periferia, che, in base ad una ricerca, non amavano i neri o la loro musica". Queste ipotesi su ciò che gli adolescenti bianchi avrebbero voluto vedere ed ascoltare (e quindi acquistare) avevano
bandito gli artisti neri da
MTV.
All'inizio del
1983, il
successo del video di
"Billie Jean" di
Jackson ha dimostrato che i ricercatori di mercato di
MTV si sbagliavano, e ha
aperto le porte ad altri artisti neri, compreso
Prince.
Ma [...] pochi mesi più tardi,
"Thriller" si è rivelato uno
tsunami culturale.
Al momento dell'uscita di
"Thriller" nel
dicembre 1983,
MTV considerava un video in forte rotazione se veniva riprodotto
quattro volte al giorno.
La richiesta pubblica, invece, ha spinto
MTV a mandare in onda
"Thriller" per
due volte ogni ora. Questo è ancora più straordinario se si considera che
"Thriller" dura circa
14 minuti, [...] con i giovani americani bianchi che lo guardavano compulsivamente più e più volte. [...]
Per comprendere questo fenomeno, è importante rendersi conto che
l'emergere di Jackson tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80
come idolo degli adolescenti aveva offerto
una nuova visione evocativa dell'uomo di colore, che milioni di americani bianchi potevano trovare attraente. Tuttavia, continuava ancora a persistere la
narrativa secolare degli uomini neri visti come predatori sessuali. [...]
Queste due
immagini in competizione - Jackson come
ingenuo adolescente rubacuori e Jackson come
predatore - coesistevano fianco a fianco in una
tensione inquieta.
Questa tensione è appunto al centro di
"Thriller"». [...]
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Cominciamo dunque a ripercorrere i passaggi fondamentali della trama di "Thriller": scopriremo che ogni momento della narrazione racchiude dentro di sé
un significato "nascosto", che va ben oltre la semplice apparenza.
Perché, in realtà,
il capolavoro di Michael Jackson e John Landis è qualcosa di molto, molto di più, che un semplice videoclip musicale ispirato al genere horror:
«
Jackson ha usato
la sua arte per esplorare la realtà e lavorare attraverso i conflitti culturali che lo circondavano. [...]
"Thriller" ha colpito una corda
nel profondo dell'inconscio collettivo, [...] e in particolare gli spettatori bianchi ne sono rimasti
ipnotizzati. [...]
Sorprendentemente, sembra che a Jackson non piacessero i
film dell'orrore. [...]
Quindi, non è stato ispirato a realizzare
"Thriller" da
una passione per i film horror, né è stato guidato da
"una fede nell'occulto", come chiarisce il suo celebre
disclaimer all'inizio del film.
Eppure, qualcosa lo ha spinto a realizzare un
film spaventoso nonostante la sua riluttanza e persino disgusto per
"quel genere di cose". È importante sottolineare come la sua motivazione sembri essere stata
il desiderio di "trasformarsi in un mostro" sullo schermo: [...] questo era esattamente
ciò che Jackson voleva che il suo pubblico sperimentasse».
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Primo atto della narrazione: la trasformazione di Michael da romantico corteggiatore a spietato lupo mannaro.
«
"Thriller" si apre con un'inquadratura in lontananza di
una decappottabile anni '50 a corto di benzina su una strada di campagna deserta. [...]
Il tema degli adolescenti a corto di benzina in occasione di un appuntamento è un
luogo comune molto familiare nella cultura pop americana: generalmente, è uno
stratagemma che il ragazzo usa per dare inizio ad un approccio.
In
"Thriller", la ragazza sembra molto esperta in questo tipo di sotterfugi: perciò, presume che
Michael abbia intenzioni illecite. Già all'inizio, dunque, lui si ritrova
sospettato. [...]
Le riprese passano poi sulla
giovane coppia che cammina lungo la strada, [...] sottolineando l'innocenza della situazione. [...]
Michael le chiede di
"diventare la sua ragazza", dandole un anello e spostando la narrazione ad un
vero corteggiamento.
Il focus di queste scene di apertura, quindi, [...] è in particolare sul fatto se Michael sia o meno sessualmente
innocente. È una domanda che ha perseguitato Jackson
per tutta la sua carriera, dal dodicenne che cantava
"Who's Loving You" con una consapevolezza 'inquietante', allo sconcertante
sex-symbol adolescente che appariva esuberante sul palco ma dolorosamente timido al di fuori di esso, fino all'
uomo adulto oggetto di rivendicazioni di paternità e accuse di molestie. Questa continua domanda sull'
innocenza di Jackson è al centro di
"Thriller".
Michael pronuncia quella famosa frase:
"Non sono come gli altri ragazzi". [...]
Una
luna piena appare da dietro una nuvola, e inizia
una metamorfosi: compaiono zanne e occhi gialli a fessura. [...]
La ragazza urla, e poi corre nel bosco cercando di sfuggirgli, ma lui la insegue e la attacca. [...]
Michael non è innocente. È
una bestia, e colpevole di cose mostruose. [...]
Però, all'improvviso, la scena cambia ancora una volta. [...]
Noi, come spettatori, ci ritroviamo di colpo
in un cinema a guardare un pubblico per lo più bianco che reagisce con orrore alle immagini di cui siamo stati testimoni. [...]
Tra il pubblico ci sono anche
una versione anni '80 di Michael e della sua ragazza senza nome, che guardano le loro controparti anni '50 sullo schermo.
Significativamente, l'unica persona nel cinema a non sembrare spaventata dal film è
Michael, che sorride maliziosamente mentre mangia i suoi popcorn, [...] circondato da una
folla di bianchi inorriditi. [...]
Sotto molti aspetti, questo quadro appare
emblematico della sua carriera successiva. [...]
Attraverso questi suoni e queste immagini,
"Thriller" evoca ed amplifica alcune delle
paure più profondamente radicate che uomini e donne bianchi americani hanno proiettato per decenni
sugli uomini di colore. Ma poi quelle paure e quei sospetti vengono
smentiti e sottoposti a verifica.
Michael non è una bestia, un mostro,
un predatore.
Come dice lo stesso Michael, questo è
"solo un film" che è stato creato per infiammare l'immaginazione (in gran parte bianca). [...]
E, soprattutto,
Michael ne sta ridendo. [...]
Attraverso queste scene, Jackson vuole suggerire come
tutte quelle storie di uomini neri descritti come bestie e predatori in realtà
non siano vere, ma hanno comunque un
potente effetto sull'immaginario collettivo dell'America bianca.
Dopo che Michael e la sua ragazza lasciano il cinema, lei inizia a rilassarsi... e anche noi come pubblico [...] ».
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Secondo atto: l'incontro imprevisto con una banda di 'zombie', e la rivelazione di Michael come uno di loro, nientemeno che "il loro Alfa"... ma non senza una sorpresa finale.
«L'atmosfera è giocosa, [...] ma poi lo schema si ripete. L'umore cambia improvvisamente quando Michael e la sua ragazza si ritrovano da soli in una
strada urbana, circondati da una
banda di uomini dall'aria spaventosa. [...]
Questa era una
paura reale per molti suburbani americani bianchi, specialmente negli anni '70 e '80: un periodo di intensa preoccupazione per il
degrado urbano e la
violenza delle bande.
Non solo: un'analisi più attenta di questa temibile "banda" rivela che non si tratta di uomini, bensì di
'zombie'.
Come la ragazza, anche noi da spettatori siamo costretti ad affrontare quei terrori
ancora una volta. È possibile che alcune di quelle
storie dell'orrore di cui Michael ha riso in realtà siano
vere? [...]
La sua ragazza si aggrappa a lui mentre gli
zombie si avvicinano, ma poi si rende conto con orrore che anche
Michael è diventato
uno di loro. A tutti gli effetti, è il loro
Alfa. Guida gli altri
zombie in una danza macabra. [...]
Lei fugge e si nasconde in una casa abbandonata, mentre loro irrompono e avanzano verso di lei in un modo molto minaccioso. [...]
Però, ancora una volta,
quelle paure vengono disintegrate e sgonfiate. La ragazza urla mentre lo
zombie Michael le afferra la gola... ma, aspettate:
non è davvero uno zombie!
Lei si risveglia per rivedere il dolce Michael che conosce, e che ama. Ancora una volta, è il
simpatico ragazzo di colore che l'ha portata al cinema. [...]
È successo di nuovo. Ha lasciato che le sue paure si scatenassero e ha immaginato che lui fosse
un mostro, e ancora una volta Michael si prende gioco di lei (e di noi) per aver creduto a quelle
false narrazioni. [...]
Ma poi Michael si gira verso la telecamera, e noi come spettatori vediamo
qualcosa che la sua ragazza non vede: il suo viso ha il
ghigno diabolico e gli
occhi taglienti di un
mostro. [...]
E noi spettatori,
come lo interpretiamo? [...]
Presumiamo semplicemente che stia diventando
una bestia ancora una volta? Oppure il percorso di osservazione di
"Thriller" ci ha portato ad interpretare la sua figura in un
modo più sofisticato e più sfumato? [...] ».
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Ed ecco la grande, fondamentale conquista culturale rappresentata dal cortometraggio di "Thriller" nel nostro mondo moderno:
«Gonfiando ripetutamente e poi sgonfiando le
paure che l'America bianca proietta su di lui e su altri giovani
uomini neri, in
"Thriller" Jackson esegue
una sorta di 'esorcismo'. Suscita dei
sentimenti che gli americani bianchi tendono a reprimere - in questo caso, sensazioni fisiche evocate dalla
leggenda metropolitana del predatore di colore, sensazioni radicate negli americani bianchi attraverso secoli di condizionamenti culturali - ma poi suscita delle
emozioni spontanee che ne rendono possibile il
superamento.
Perciò, quando alla fine del film compaiono quegli
occhi a fessura da gatto, evocano una risposta difficile da spiegare: c'è ancora un
elemento di paura, ma c'è anche un
piacere inaspettato. [...]
Ironia della sorte,
Michael sembra più vivo quando è non morto: non quando è quel giovane represso nelle scene iniziali, ma quando è
uno zombie che balla e attira anche gli altri nella sua danza. C'è eccitazione e vera gioia per la
possibilità che si liberi dai vincoli convenzionali, che si trasformi e balli ancora una volta. [...]
Mentre il film sfida l
'ipotesi razzista che Michael possa essere una bestia o un mostro, e ci costringe come pubblico a mettere in discussione la
narrativa secolare degli uomini di colore visti come predatori [...], alla fine ci ritroviamo ad aver scoperto in lui un
eccesso creativo meravigliosamente selvaggio che non possiamo catturare o descrivere completamente, e siamo
incoraggiati ad assaporare piuttosto che
temere quell'eccesso».
Attraverso la narrazione del suo
"Thriller", in definitiva,
Michael Jackson ha voluto dimostrare come le
concezioni radicate da secoli nella società bianca - soprattutto americana - che catalogavano gli
uomini di colore come potenziali e pericolosi
predatori fossero in realtà esclusivamente
frutto di pregiudizi razzisti privi di fondamento, nati ingiustamente dalla fantasia umana.
Di sicuro, questa analisi così sorprendente cambia per sempre il nostro modo di guardare quel cortometraggio: la creazione artistica a cui per eccellenza il Re del Pop ha legato il suo nome assume in realtà un valore di
svolta fondamentale nella
sfida culturale ai pregiudizi razziali. 👇
E non solo.
A questo punto, si delinea ancora
un'altra questione, ricca di risvolti altrettanto significativi: quella che riguarda
i cambiamenti fisici di Michael, con la sua progressiva
perdita dei tratti somatici tipici di un uomo di colore.
Ma questa è un'altra storia...
al prossimo approfondimento! 😉
Per il saggio di
Willa Stillwater in versione integrale:
medium.com/@willa.stillwater/are-you-scared-yet-e0645ab26046
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A cura di
Francesca De Donatis per il
Michael Jackson FanSquare.