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Janet, la madre dell’accusatore, sul banco dei testimoni nel processo contro Michael Jackson
[Nella foto Michael Jackson stringe la mano al suo avvocato, Thomas Mesereau]
Mercoledì 13 è salita sul banco dei testimoni Janet Arvizo (che con il secondo matrimonio ha preso il cognome Jackson - nessuna parentela con Michael) nel processo per molestie a minore che lo stato della California ha intentato contro Michael Jackson.
È stata presentata come un testimone chiave, che avrebbe dato il colpo di grazia alla superstar. Ma come ogni premessa fatta da Thomas Sneddon, il procuratore distrettuale assegnato al caso, anche questa non è stata mantenuta. Janet infatti, in una pre-udienza con l’assenza della giuria, si è appellata al quinto emendamento della costituzione americana, che le garantisce il diritto di poter rifiutarsi di rispondere a determinate domande che la difesa avrebbe potuto avanzare.
Infatti Janet Jackson (questo appunto il suo attuale nome) è indagata per frode fiscale nei confronti dell’assistenza sociale Californiana e per falsa testimonianza in tribunale durante un processo civile da lei intentato contro un supermercato per presunte “molestie” subite da lei e sua figlia e per “rapimento”, guarda caso accuse simili a quelle che ora la stessa famiglia rivolge a Michael Jackson.
Sembrerebbe infatti che la famiglia Arvizo, tra il maggio 2001 e il marzo 2003, abbia ricevuto assistenza finanziare dai servizi sociali per un ammontare di circa 100 mila dollari, nonostante la donna avesse ricevuto, come risarcimento a seguito del processo contro la guardia del supermercato già citato in precedenza, una somma superiore ai 150 mila dollari. Pagamento ovviamente tenuto nascosto, poiché avrebbe bloccato le sovvenzioni statali. La donna inoltre sembrerebbe indagata anche per falsa testimonianza nel processo stesso.
Rientrata la giuria in aula, il giudice Melville ha informato i 12 giurati che la testimone si appellava al quinto emendamento per evitare di rispondere a determinate domande.
Janet ha poi iniziato a raccontare il rapporto che si era creato tra la sua famiglia e Michael Jackson, descrivendo il cantante come un importante figura paterna per tutti loro, fonte di consigli e protezione. Ma il rapporto si incrinò, secondo le parole della donna, nel periodo della messa in onda in USA del documentario “Living With Michael Jackson”.
La donna ha infatti raccontato che il giorno in cui il documentario venne trasmesso, la famiglia venne ospitata in una suite in un albergo di Miami, per tenerli il più lontano possibili dal marasma provato dal documentario. Qui Michael e il suo staff avrebbe raccontato alla donna che la famiglia Arvizo si trovava in pericolo, minacciata di morte da parte di ignoti e che quindi necessitava di protezione. Janet continua poi raccontato, in maniera concitata ed emozionata, dopo essersi rivolta alla giuria dicendo “Non giudicatemi, vi prego, non giudicatemi per questo”, che durante il volo, mentre tutti dormivano, vedette Michael Jackson leccare la testa di suo figlio. “Non ci volevo credere, pensavo avessi le allucinazioni, pensavo fossi io e che non fosse vero, ero confusa”.
Successivamente ha però dichiarato che non diede peso a questo avvenimento e che la sua fiducia in Jackson non diminuì, ma continuava a ritenerlo un padre per i propri figli. La famiglia Arvizo venne quindi condotta a Neverland, dove sarebbe stata, secondo la testimonianza, trattenuta contro la loro volontà. La donna, infatti, ha dichiarato che lo staff di Michael Jackson insisteva affinché la famiglia registrasse un video per marginare il danno di immagine provocato dal documentario di Martin Bashir e che solo questo video avrebbe “calmato i sicari, pronti ad uccidere me e i miei figli”, ha detto piangendo la donna. [Nella foto, Janet Arvizo, si nasconde ai fotografi e ai fan di Michael Jackson all'uscita dal tribunale]
La testimonianza della donna è poi continuata anche Giovedì 15, forse in maniera meno teatrale del giorno precedente, in cui sembrerebbe, secondo testimoni oculari, che la giuria apparve disinteressata alla testimonianza, forse ritenuta poco credibile. Sbadigli, dissensi, e sonore risate si sarebbero sollevati dai dodici giurati.
Ma in questi due giorni la donna non ha mai parlato degli abusi al figlio, tranne l’episodio della “leccata di testa”. La sua testimonianza, che secondo molti sarebbe stata l’unica di poter dare un colpo decisivo alla difesa, si è concentrata solamente sull’accusa di detenzione forzata e cospirazione ai danni della famiglia Arvizo.
Terrorizzata da parte dello staff di Jackson, in particolare da quelli che lei ha chiamato come “tedeschi”, Janet non avrebbe mai chiesto aiuto all’esterno perché temeva di non essere creduta. Ha poi riportato di aver ricevuto esplicite minacce da parte di Ronald Konitzer, Dieter Weizner e Frank Tyson, tutti citati come co-cospiratoti non indagati. Questi avrebbero poi pianificato un viaggio per la famiglia in Brasile, per tenerli il più lontano possibile dalla california, "sequestrando" anche i passaporti degli Arvizo, questo a detta della donna. Il viaggio non venne comunque mai realizzato
Successivamente alla messa in onda di “Living With Michael Jackson”, la famiglia Arvizo venne raggiunta dall’assistenza sociale per un indagine in corso nei confronti della superstar, indagine partita a seguito di denuncie sollevata da qualche benpensante che riteneva il documentario un evidente prova di deviazione. A seguito di tale indagine Michael Jackson venne considerato, dai servizi sociali dei minori, estraneo a qualsiasi fatto di maltrattamento o abuso a minore.
Ma quello che è inquietante è che Janet dichiara che durante questo interrogatorio lei venne minacciata dallo staff di Michael Jackson di non fornire elementi che avrebbero potuto danneggiare lo stesso Jackson, altrimenti la famiglia della donna, genitori compresi, sarebbero stati in serio pericolo “Noi sappiamo dove vivono i tuoi genitori”, avrebbe dichiarato una guardia del corpo. Janet sarebbe stata poi obbligata a registrare l’intera conversazione con gli assistenti sociali per verificarne poi le dichiarazioni.
Dichiarazioni piuttosto scottanti, che però non vanno in alcun modo a dare elementi probatori per le accuse di molestie a minori, tantomeno a quelle di somministrazione di bevanda alcolica a minore, ma eventualmente, se la testimonianza della donna fosse ritenuta credibile, solo elementi a favore dell’accusa di sequestro di persona. Ma la credibilità della donna, e quindi dell’intero processo, potrebbe essere oggi, Venerdì 15, messa tremendamente in discussione dal contro-interrogatorio alla quale la donna deve sottoporsi. Mesereau, avvocato principale della difesa, di certo non si farà sfuggire l’opportunità di mettere in risalto le incongruenze della testimonianza della donna, ne le contraddizioni dell’intero processo.
Nel frattempo la portavoce di Jackson, Raymone Bain, ha smentito voci in circolazione su un eventuale vendita del catalogo Sony/ATV, del quale Jackson detiene il 50%.