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I costi della politica : i nuovi sottosegretari ci costeranno tre milioni di euro

Ultimo Aggiornamento: 26/08/2011 00:49
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11/05/2011 00:27
 
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...viva il risparmio!e viva il debito pubblico!
Casta di Governo, i nuovi sottosegretari
ci costeranno tre milioni di euro Per adesso non hanno deleghe, ruoli o “missioni” – come si dice nel gergo di Palazzo Chigi – da portare a termine. Però già ora possiamo calcolare quanto costino alle casse dello Stato i nove sottosegretari nominati giovedì nella compagine di governo: circa 350mila euro l’anno ognuno, oltre 3 milioni di euro sommando i costi di tutti e nove. Da questa cifra sono esclusi gli emolumenti che i nove già ricevono essendo stati eletti a suo tempo nelle assemblee di Montecitorio e Palazzo Madama.

I sette deputati e due senatori, arrivati giovedì a ricoprire ruoli di governo nell’ambito dei ministero dello Sviluppo Economico, all’Agricoltura, ai Beni Culturali, alle Infrastrutture, al Welfare e all’Ambiente non diventeranno ricchi per questo. Ai 14-15mila euro che già ricevono mensilmente per il loro lavoro in Parlamento, aggiungeranno infatti “solo” i 3112 euro lordi per 13 mensilità (40.456 euro l’anno) che vengono riconosciuti al sottosegretario che ricopre il ruolo unitamente a quello del deputato o del senatore. È infatti questo il caso in cui ricadono tutti e nove i neo-sottosegretari.

I costi maggiori sono infatti quelli relativi alla “struttura” che dovrà essere formata per mettere in condizione il sottosegretario di poter lavorare. Seppure debba essere in armonia con il ministero in cui viene incardinata (e quindi, in linea del tutto teorica, obbedire a criteri di efficienza e minor costo), il sottosegretariato deve poter disporre di un “capo di gabinetto” e di un’auto blu. Pare strano a enumerarli assieme, ma sono questi infatti i due “strumenti” necessari perchè il sottosegretario inizi a operare.

Per quanto riguarda il “capo di gabinetto”, anche qui, in linea del tutto teorica, si dovrebbe poter nominare alla carica un funzionario di fascia alta che lavori già nella pubblica amministrazione. Ma, di norma, ogni sottosegretario porta con sè un uomo di propria fiducia, un esterno che andrà a costare alle casse dello Stato tra i 150 e i 170mila euro l’anno.

Per intenderci, solo per pagare gli stipendi agli estranei alla pubblica amministrazione che lavorano nelle segreterie dei “sottosegretari della Presidenza del Consiglio”, l’anno scorso sono stati spesi 1.036.479 euro. Queste stesse figure di “esterni”, assunte nei ministeri senza portafoglio e nei sottosegretariati con delega dei ministri ammontava a quasi sei milioni di euro (5.945.251). Insomma, l’andazzo è questo e sarebbe una sorpresa che fosse smentito.

Il sottosegretario potrebbe aver bisogno anche di un paio di figure amministrative (che verrebbero trasferite da altri uffici del medesimo ministero, acquisendo, semmai, specifiche qualifiche) e di un ufficio stampa, ma non può rinunciare all’auto blu e ai due autisti che devono condurla. Quindi altri due stipendi per l’intera durata dell’esecutivo e il leasing per l’autovettura (si prediligono auto di alta gamma per non far sfigurare il sottosegretario rispetto al proprio ministro).

Tutto sommato, con le economie di scala possibili, un sottosegretariato arriva a costare circa 350mila euro l’anno. Cifra che, sommata a indennità, diaria, cura del collegio e benefit vari di deputati e senatori, ne fa uomini e donne da mezzo milione di euro l’anno.

Non è poco se si pensa che, a volte una volta nominati sottosegretari non si ottiene nessuna delega, vale a dire nessun argomento da seguire all’interno del ministero. Chi ha memoria ricorda come il sottosegretario Giuseppe Pizza, l’uomo che deteneva il simbolo della Dc e che quindi fu prezioso per l’elezione di Silvio Berlusconi, fu lasciato senza delega dal ministro Gelmini per mesi e mesi. In un divertente pezzo sul Corriere della Sera, Gian Antonio Stella ce lo racconta come il personaggio di un’Italia bizzarra: “Pino fa parte dell’organico. Va a presenziare all’ambasciata di Parigi al premio «Giuseppe Colombo». Interviene al convegno «Eurospazio: strategie per il futuro». Rappresenta il governo al simposio su «L’Italia al Polo Nord – Una nuova prospettiva di ricerca in Artico». Invia messaggi di scuse per l’assenza alla «S. Messa in suffragio del compianto amico prof. Diomede Ivone, di cui serbiamo preziose testimonianze dei suoi studi sul cattolicesimo politico e sindacale». Cose così… «E da noi non ci viene nessuno?». «Se volete, Pizza»”.

Ora ci assicurano che entro quindici giorni, come da legge, i nove uomini d’oro chiamati a puntellare il governo di Silvio Berlusconi avranno ricevuto il proprio compito e potranno essere messi in grado di operare. Piacendo ai ministri che li hanno in carica, ovviamente.

Da Il Fatto Quotidiano del 7 maggio 2011


ilfattoquotidiano.it/2011/05/09/casta-di-governo-i-nuovi-sottosegretari-ci-costeranno-tre-milioni-di-euro...

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15/05/2011 01:44
 
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Leggendo questo il mio pensiero è andato alle persone che conosco che, per guadagnare 30 euro al giorno, si alzano alle quattro di mattina per recarsi nelle serre a raccogliere le fragole..Lavoro durissimo!!
E' la realtà!
Sono persone così che meriterebbero il mezzo milione di euro annuo!


"...You're just another part of me..."


"Mai discutere con un idiota, ti trascina al suo livello e ti batte con l'esperienza!" O.W.
26/05/2011 19:37
 
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Ecco il conto delle leggi ad personam
per Berlusconi: 2,2 miliardi
L'Italia dei valori ha calcolato la spesa di dieci anni di provvedimenti a favore del premier. Un'ora di lavoro al Senato? Fa un milione e 400 mila euro. Alla Camera un milione e 800mila euroQuanto sono costate le leggi “ad personam” che il Parlamento ha cucito addosso al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in questi anni? Un calcolo complessivo è praticamente impossibile da fare. Ma per i soli lavori parlamentari, vale a dire per le sole ore impiegate da deputati e senatori in commissione e in aula per discutere di “ex Cirielli” o di “Lodo Alfano” lungo i tornanti del decennio 2001-2011, un calcolo si può fare.
Uno l’ha fatto l’Idv e l’ha presentato ieri alla Camera con Antonio Di Pietro, Felice Belisario e Antonio Borghesi. Lo studio ci informa che la spesa è stata esorbitante: due miliardi e 259 milioni di euro per i soli dieci provvedimenti che riguardano i guai di Berlusconi con la giustizia e il conflitto di interessi diretto.

Per ottenere la cifra, si è partiti dalle ore che Camera e Senato hanno dedicato alla discussione di questi provvedimenti: a Montecitorio, tra aula e commissioni, se ne è parlato per 731 ore e mezza (praticamente un mese intero in dieci anni contando giorno e notte). A Palazzo Madama per 629,23. I numeri, tratti dalle banche dati delle due assemblee sono considerevoli. si pensi che in un anno l’aula di Montecitorio si riunisce approssimativamente per 760 ore e quella del Senato per circa 500. Ma come fare a sapere quanto “costa” un’ora di lavoro alla Camera o al Senato?

Il vicepresidente del gruppo Idv a Montecitorio Borghesi ha pensato di ricavarlo attraverso un calcolo. Ha diviso le ore complessive di seduta dell’ultimo biennio per il costo di ciascuna Camera. E ha ottenuto un dato (ripulito dai soldi dei rimborsi ai partiti che alla fine non ricadono sul funzionamento del lavoro d’aula o di commissione) che è di 1.859.447 euro per Montecitorio e di 1.428.045 per Palazzo Madama. La cifra, già di per sé sorprendente (oltre un milione di euro solo per un’ora di lavoro), è stata via via moltiplicata per i dieci provvedimenti presi in esame: quelli che servivano solo ed unicamente al premier.

Vediamone il dettaglio. Per la prima legge blocca rogatorie (la 367 del 2001) che provò a coprire i movimenti sui conti svizzeri tra Cesare Previti e il giudice Renato Squillante, Camera e Senato hanno lavorato 69,55 ore. La spesa calcolata è stata di 114 milioni di euro e spicci.

Sono stati invece di oltre 363 milioni i costi per approvare in 218 ore di lavoro il legittimo sospetto (la legge 248 del 2002) che permette di chiedere la ricusazione del giudice nel caso la difesa sollevi sospetti sull’imparzialità dello stesso.

Viene poi il tempo dei “lodi” per evitare che vadano a processo le cinque più alte cariche dello Stato. Il Lodo Schifani (legge 140 del 2003, che la Consulta dichiarò incostituzionale l’anno seguente) ha impegnato il parlamento per 103,58 ore, con una spesa di quasi 178 milioni investita in nulla. Alla serie della fuga dai processi per questa via, appartiene anche il Lodo Alfano (legge 124 del 2008). Il Parlamento ne discusse per 36,17 ore, buttando a mare circa 61 milioni di euro prima che la Consulta lo impallinasse nuovamente nel 2009. Stessa sorte per il Legittimo impedimento (legge 51 del 7 aprile 2010) che dopo 59,48 ore di lavoro e quasi cento milioni di spesa, è finito menomato sempre dai giudici costituzionali mesi dopo. Adesso al Senato si discute il Lodo Alfano Costituzionale: non è ancora legge, ma è già costato il lavoro di 30,35 ore per 43 milioni di spesa.

Sempre sul tema la ex Cirielli che riduce i termini della prescrizione (la 251 del 2005) è stata dibattuta per 149 ore: il conto è di 242 milioni di euro circa. La legge Pecorella, invece, che rendeva inappellabili le sentenze di proscioglimento (anche questa, la 46 del 2006, fu azzoppata dalla Corte Costituzionale nel 2007), contemplò un impiego di 107 ore: 178 milioni.

C’è poi il capitolo Gasparri. La legge che porta il suo nome (la 112 del 2004) serviva a “risistemare” il sistema radiotelevisivo: fu discussa per 542 ore, una spesa di 924 milioni. Lo stesso si cimentò poi sul processo breve. La norma deve ancora ripassare dal Senato, ma per adesso ha visto deputati e senatori discuterne per 143 ore (235 milioni di spesa). Il conto “di un’epoca che sta per finire”, per dirla con Di Pietro, buca i due miliardi di euro. E non sono state conteggiate, per scelta, altre leggi che hanno fatto bene a Berlusconi e al suo conflitto di interessi, come la cancellazione dell’imposta di successione, il decreto salva-calcio, il condono fiscale del 2003, la Salva Rete 4, le due finanziarie (2004 e 2005) che contenevano norme sul digitale terrestre in grado di favorire l’impresa di un decoder prodotto da una ditta che faceva capo a suo fratello, Paolo Berlusconi, l’estensione del condono edilizio, la previdenza integrativa individuale allargata al ramo assicurativo.

da Il Fatto Quotidiano del 26 maggio 2011

ilfattoquotidiano.it/2011/05/26/ecco-il-contodelle-leggi-per-b-22-miliardi...
[Modificato da angelico 26/05/2011 20:23]

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28/06/2011 00:33
 
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Per i costi dei partiti la crisi
non esiste: +1.110% di rimborsi
Boom nell’uso degli aerei di Stato. Ogni componente del governo vola 97 ore l’anno




Giulio Tremonti (Ansa) ROMA - «Un conto è fare un articolo, un altro conto fare un articolato…» , ha osservato pubblicamente, alla festa della Cisl di domenica scorsa a Levico Terme, il ministro dell’Economia. Giulio Tremonti ha sperimentato direttamente quanto sia difficile entrare con i fatti nella carne viva degli scandalosi costi della politica. Con la manovra finanziaria dello scorso anno aveva provato a tagliare del 50% i generosissimi «rimborsi elettorali» , come si chiama ipocritamente il finanziamento pubblico, riconosciuti per legge ai partiti politici, cresciuti fra il 1999 e il 2008 del 1.110%, mentre gli stipendi pubblici aumentavano del 42. Ebbene, il taglio è stato prima ridimensionato al 20%, quindi al 10 per cento. Per non parlare della norma che avrebbe riportato le spese di palazzo Chigi, in alcuni casi letteralmente impazzite, sotto il controllo del Tesoro: saltata come un tappo di champagne. Ciò non toglie che quell’«articolato» prima o poi andrà fatto. Perché qui ci va di mezzo, secondo lo stesso Tremonti, la credibilità della politica e del governo.
Se la riforma fiscale le tasse vuole avere una prospettiva minima di serietà, deve passare prima di qua. Fermo restando che i soldi tolti ai privilegi della politica non basteranno certo da soli a tappare il buco che l’eventuale taglio delle tasse (considerato dai capi del centrodestra necessario per arginare l’emorragia di consensi) potrebbe aprire nei conti pubblici. Da dove cominciare? C’è soltanto l’imbarazzo della scelta. «Meno voli blu» , ha detto Tremonti. Una sfida mica da ridere, considerando l’andazzo. Nel 2005 gli aerei di Stato del 31° stormo dell’Aeronautica toccarono il record di 7.723 ore di volo. Due anni dopo, durante il governo Prodi, grazie a una direttiva draconiana del sottosegretario Enrico Micheli erano scesi a 3.902. Tornato Berlusconi, quella direttiva è stata prontamente abrogata e nel 2009 le ore di volo per le sole «esigenze di Stato» sono arrivate a 5.931, ma con un governo ridotto a 61 elementi. Cioè, 97 ore e 15 minuti a testa. Letteralmente stratosferico l’aumento procapite (cioè per ogni componente del governo) rispetto a due anni prima: +154,2%. Ma anche il famoso record del 2005 delle 78 ore e 50 minuti a testa è stato letteralmente polverizzato, con una crescita del 23,3%. Mentre il consumo del cherosene ministeriale, alla faccia della crisi, non si è certamente arrestato. Nel 2009 gli aerei di Stato viaggiavano al ritmo di 494 ore al mese? Nel 2010 si è saliti a 507. Ignoti, ovviamente, i costi.

Non sarà facile, per Tremonti. Certo, se si potessero ricondurre i conti di palazzo Chigi sotto il controllo della Ragioneria, com’era prima che nel 1999 il governo di centrosinistra li rendesse completamente autonomi, sarebbe un’altra storia. Si toglierebbero alla politica molti margini di manovra non soltanto sui 3 o 400 milioni l’anno di spese vive della presidenza del Consiglio, ma, per esempio, anche sul miliardo e mezzo di budget della Protezione civile. Meno sprechi, più sobrietà. Peccato che i messaggi arrivati finora siano di segno opposto. Qualche esempio?

Nel 2010 il budget per pagare gli «staff» politici di palazzo Chigi aveva superato di slancio 27,5 milioni, con un aumento del 26 per cento. Mistero fitto sul numero delle persone. Quest’anno le spese per gli affitti degli uffici della presidenza del Consiglio sarebbero lievitate (sempre secondo le previsioni) da 10 a 13,7 milioni. Recentissima poi la notizia che palazzo Chigi ha deciso di dotarsi non di uno, ma di due capi uffici stampa retribuiti al pari di un «capo delle strutture generali della presidenza del Consiglio dei ministri». E i nuovi sottosegretari concessi da Berlusconi ai Responsabili come contropartita per il sostegno alla maggioranza? L’Espresso ha calcolato che costeranno 3 milioni l’anno. Il problema dei soldi non tocca invece, almeno all’apparenza, l’ex Pd Massimo Calearo, nominato consigliere del premier per l’export (ma di questo non si occupa già il ministro dello Sviluppo?). Né Antonio Razzi, ora consigliere personale del ministro «Responsabile» dell’Agricoltura Francesco Saverio Romano. Ma siccome il deputato ex dipietrista è stato eletto all’estero ed è fissato con la tutela della cucina italiana, poche ore prima di andarsene per lasciare il posto a Romano l'ex ministro Giancarlo Galan gli ha firmato un decreto che istituisce «l’elenco dei ristoratori italiani all’estero». Prevede una targa con la scritta «Ottimo – ristorante di qualità» da mettere sulla porta. Vi domanderete: chi sceglie i locali da insignire? Un apposito Comitato interministeriale composto dal ministro e da uno stuolo di funzionari oltre, udite udite, da nove esperti nominati anche da altri ministeri. Un Comitato interministeriale! Il decreto dice che nessuno prenderà un euro. E le spese vive, fossero anche solo le targhe e i diplomi, quelle chi le paga? Noi. Ma il colmo è un altro. Perché nemmeno un anno fa lo stesso ministero dell’Agricoltura aveva fatto un accordo con l’Unioncamere per dare un marchio di qualità ai «Ristoranti italiani nel mondo». Forse se n’erano dimenticati…

Insomma, se è giusto lamentarsi dei tagli orizzontali e indiscriminati, qui bisognerebbe andarci con il machete. E il Parlamento? Lasciamo da parte il capitolo dei numero dei nostri rappresentanti, quasi doppio rispetto alla Spagna. Ma è chiedere troppo di allineare anche le loro retribuzioni alla media europea, come ha suggerito di fare Tremonti per tutti gli incarichi pubblici? Da anni le Camere non promettono che tagli, limitandosi però a indolori sforbiciatine. Guardiamo i bilanci. Le spese correnti della Camera, che nel solo 2010 ha tirato fuori 54,4 milioni per gli affitti, sono previste passare da un miliardo 59 milioni del 2010 a un miliardo 83 milioni nel 2012: +2,3 per cento. Quelle del Senato, che negli ultimi 14 anni ha sborsato 81 milioni per gli uffici di 86 senatori, da 576 a circa 594 milioni: +3,6%. La Camera dispone di 20 auto blu con 28 autisti e i deputati che hanno il diritto a utilizzarle sono soltanto 63. Il machete potrebbe calare, forse a maggior ragione, anche in periferia. Dove gli sprechi della politica sono inimmaginabili. A cominciare dai posti di lavoro clientelari.


È mai possibile che in Lombardia un dipendente regionale costi 21 euro a ogni cittadino contro i 70 della Campania? E i 173 del Molise? O i 353 della Sicilia? È mai possibile che sia ancora in vigore una regola che consente a chi è stato parlamentare ma anche consigliere regionale di incassare ben due vitalizi, uno del Parlamento e uno della Regione? In questa meravigliosa condizione ci sono almeno duecento ex onorevoli. E che vitalizi: si arriva fino a oltre 9 mila euro lordi al mese. Accade nella Regione Lazio, dove si può ancora andare in pensione giovanissimi, come dimostra il caso dell’ex governatore Piero Marrazzo, il quale percepisce il vitalizio di circa 4 mila euro mensili dal 2010, prima ancora di aver compiuto 52 anni. È mai possibile che l’unica regione ad abolire l’arcaico e odioso privilegio del vitalizio per gli ex consiglieri sia stata finora, dopo sforzi immani, l’Emilia Romagna (naturalmente, a partire dalla prossima legislatura…)? È mai possibile che nei consigli regionali non si riesca a porre fine all’indecenza dei gruppi politici costituiti da una sola persona, che dà il diritto talvolta ad assumere collaboratori, avere l’auto blu e addirittura uno stipendio maggiorato? Ce ne sono 74 (settantaquattro). Con casi esilaranti. In Piemonte ci sono ben due gruppi «consiliari» che si richiamano all’ex governatrice Mercedes Bresso, Insieme per Bresso e Uniti per Bresso. Unico componente di quest’ultimo: Mercedes Bresso. Ma anche nel consiglio provinciale di Bolzano sono presenti due monogruppi gemelli: Il Popolo della libertà e Il Popolo della libertà – Berlusconi per l’Alto Adige. E nelle Marche persino il governatore in carica Gian Mario Spacca si è fatto il proprio gruppo. Come si chiama? Gian Mario Spacca Presidente, si chiama. Che domande!

Sergio Rizzo
18 giugno 2011



www.corriere.it/politica/11_giugno_18/costi-politica-rizzo_ceae1716-9975-11e0-872e-8f6615df4e...


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Parlamentari attaccati alla legislatura
Se B. cade, perdono la pensione Da Scilipoti a Belcastro, a Sisto: 350 parlamentari non hanno maturato il diritto al vitalizio e non si possono permettere che le Camere si sciolgano Se tra una settimana Francesco Pionati improvvisamente dovesse decidere di far mancare il suo sostegno al governo, molti si chiederebbero perché. Ma la motivazione potrebbe essere ritrovata nella sua anzianità parlamentare: tra esattamente 6 giorni, infatti, matura il diritto alla pensione. O meglio a quello che ora si chiama vitalizio. Stiamo ovviamente ragionando in base a un’ipotesi che in questo momento non sembra essere nell’agenda politica, ma la questione “arrivare al vitalizio” in Parlamento esiste. E non è secondaria per la tenuta del governo. Sono, infatti, 246 i deputati e 104 i senatori (dati elaborati da Openpolis, www.openpolis.it) che devono ancora maturare il diritto alla pensione, e quasi tutti lo matureranno solo se finiranno il loro mandato parlamentare e dunque se la legislatura avrà il suo termine “naturale” nel 2013. Eccezion fatta per Pionati e altri 12 deputati, che viceversa avrebbero bisogno di un ulteriore mandato e 5 senatori, di cui uno raggiunge la pensione tra 63 giorni, il Pdl Sanciu, e 4 hanno bisogno di una rielezione.

La pensione? Non prima del 2013
Nel dettaglio si tratta di 84 deputati del Pdl, 36 leghisti, 83 Democratici, 6 dell’Udc, 5 del Gruppo Misto, 12 dell’Idv, 13 Responsabili (quasi il 46% del totale, visto che sono 28) e 7 futuristi. A Palazzo Madama, troviamo in questa situazione 38 senatori del Pdl, 34 Democratici, 11 leghisti, 7 dell’Idv, 6 del Gruppo Misto, 5 dell’Udc, Svp e Autonomie, 2 di Coesione nazionale e uno non specificato. Che si “giocano”, infatti, non solo la loro indennità (così si definisce lo “stipendio” di un parlamentare), che per un deputato equivale a 11.703,64 euro lordi e per un senatore a 12.005,95 (al netto 5.486,58 euro per un deputato e 5.613,63 per un senatore), ma anche la possibilità di avere una pensione. Da sottolineare che questa è la prima legislatura in cui le matricole del Parlamento non arrivano alla pensione, se le Camere si sciolgono anzitempo. Prima, infatti, bastavano 2 anni e mezzo (e le pensioni erano anche più alte). A stabilirlo sono stati i nuovi Regolamenti emanati nel luglio 2007 (durante il governo Prodi), che prevedono che per avere la pensione bisogna aver fatto almeno 5 anni di effettivo mandato e aver compiuto 65 anni. Per ogni anno in più di mandato, diminuisce di un anno l’accesso alla pensione. Oggi, dunque, il vitalizio minimo corrisponde al 20 per cento dell’indennità lorda: quindi 2340,73 euro per i deputati e 2401,1 per i senatori.

Scorrendo la lista dei deputati che devono finire la legislatura per garantirsi la vecchiaia (alla Camera i numeri sono più risicati e la maggioranza più a rischio, dunque i posizionamenti anche individuali hanno più conseguenze) si trovano alcune nuove conoscenze balzate agli onori della cronaca degli ultimi mesi. Immancabile Domenico Scilipoti, tra i voti decisivi per la fiducia a Berlusconi del 14 dicembre. Oppure Souad Sbai, tra le più pronte a tornare dai futuristi al Pdl. Tra i pidiellini appesi alla legislatura va menzionato almeno Francesco Paolo Sisto, l’avvocato che era stato mandato d’ufficio ad Annozero a difendere il premier. O Elio Vittorio Belcastro, passato dall’Mpa ai Responsabili, in soccorso di Berlusconi e poi a Sud, dopo aver mancato la poltrona di sottosegretario. Senza contare il folto drappello di giovani Democratici, portati in Parlamento da Veltroni, da Marianna Madia a Matteo Colaninno.

Quelli dello scampato pericolo
Esiste poi un drappello piuttosto nutrito e abbastanza interessante di parlamentari che hanno maturato il diritto al vitalizio nell’appena trascorsa primavera, giorno più, giorno meno: molti di loro infatti provenivano dalla legislatura precedente che è durata solo due anni. Secondo i dati elaborati da Openpolis, sono 103 deputati (39 del Pd, 32 del Pdl, 5 della Lega, 9 dell’Udc, 6 Responsabili, 4 furisti, 2 dell’Idv e 4 del Misto) e 40 senatori (20 del Pd, 8 del Pdl, 6 della Lega, 3 dell’Idv e 3 del Gruppo Misto). Anche qui, andando a scorgere la lista dei deputati che hanno appena scavallato il termine per arrivare al vitalizio, si può avere qualche spunto in più per leggere gli ultimi sommovimenti politici. E infatti troviamo personaggi come Aurelio Misiti, che ha appena guadagnato una poltrona da sottosegretario per passare dall’Mpa al gruppo Misto, a sostegno di Berlusconi. Senza contare Bruno Cesario, altro socio fondatore dei Responsabili alla vigilia della fiducia di dicembre. Oppure Giampiero Catone, recentemente premiato con un sottosegretariato per aver scelto di votare la fiducia di dicembre contravvenendo alle indicazioni di quello che era allora il suo gruppo (Fli). Merita una citazione Remigio Ceroni, che per compiacere Berlusconi voleva persino cambiare l’articolo 1 della Costituzione.

Più anni, più guadagni
Ma in realtà il gioco delle pensioni è ancora più complicato di così: infatti per ogni anno di mandato in più si conquista un 4 per cento del vitalizio. Fino ad arrivare al tetto massimo che si raggiunge ai 15 anni di mandato. 7022,184 euro per gli ex deputati e 7203, 3 per gli ex senatori. Per cui di fatto, ogni parlamentare ha un interesse economico immediato e futuro a restare in Parlamento il più possibile. Che vuol dire anche garantirsi la rielezione con i cambi di casacca e i riposizionamenti più opportuni. Una notazione finale: la Camera spende per pagare i vitalizi degli ex deputati ben 138 milioni e 200 mila euro, mentre il Senato 81 milioni e 250 mila euro.

da il Fatto quotidiano del 23 giugno 2011


www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/23/attaccati-alla-legislatura-se-b-cade-perdono-la-pensione...


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Quei 250 milioni spesi per il ponte
di Messina (che non si farà più)

La crisi, il no della Lega. E l'opera non parte



ROMA - «Costruiremo il ponte di Messina, così se uno ha un grande amore dall'altra parte dello Stretto, potrà andarci anche alle quattro di notte, senza aspettare i traghetti...» Da quando Silvio Berlusconi ha pronunciato queste parole, era l'8 maggio 2005, sono trascorsi sei anni, e gli amanti siciliani e calabresi sono ancora costretti a fare la fila al traghetto fra Scilla e Cariddi. Sul ponte passeranno forse i loro pronipoti. Se saranno, o meno, fortunati (questo però dipende dai punti di vista).
La storia infinita di questa «meraviglia del mondo», meraviglia finora soltanto a parole, è nota, ma vale la pena di riassumerla. Del fantomatico ponte sullo Stretto di Messina si parla da secoli. Per limitarci al dopoguerra, la prima mossa concreta è un concorso per idee del 1969. Due anni dopo il parlamento approva una legge per l'attraversamento stabile dello Stretto. Quindi, dieci anni più tardi, viene costituita una società, la Stretto di Messina, controllata dall'Iri e affidata al visionario Gianfranco Gilardini. Che ce la mette tutta. Coinvolge i migliori progettisti, e per convincere gli oppositori arriva a far dimostrare che il ponte potrebbe resistere anche alla bomba atomica. Passerà a miglior vita senza veder nascere la sua creatura. La quale, nel frattempo, è diventata un formidabile strumento di propaganda. Ma anche un oggetto di scontro politico: mai un ponte, che per definizione dovrebbe unire, ha diviso così tanto. Da una parte chi sostiene che sarebbe un formidabile volano per la ripresa del Mezzogiorno, se non addirittura una sensazionale attrazione turistica, dall'altra chi lo giudica una nuova cattedrale nel deserto che deturperà irrimediabilmente uno dei luoghi più belli del pianeta. Fra gli strali degli ambientalisti, Bettino Craxi ci fa la campagna elettorale del 1992. E i figli del leader socialista, Bobo e Stefania, proporranno in seguito di intestarlo a lui. Mentre l'ex presidente della Regione Calabria Giuseppe Nisticò avrebbe voluto chiamarlo Ponte «Carlo Magno» attribuendo il progetto di unire Scilla e Cariddi al fondatore del Sacro Romano Impero. Nientemeno.

Finché, per farla breve, arriva nel 2001 il governo Berlusconi con la sua legge obiettivo. Ma nemmeno quella serve a far decollare il ponte. Dopo cinque anni si arriva faticosamente a un passo dall'apertura dei cantieri, con l'affidamento dell'opera (fra polemiche e ricorsi) a un general contractor, l'Eurolink, di cui è azionista di riferimento Impregilo. Quando però cambia la maggioranza. Siamo nell'estate del 2006 e il ponte finisce su un binario morto. Il governo di centrosinistra vorrebbe addirittura liquidare la società Stretto di Messina, concessionaria dell'opera, ma il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, sventa la mossa in extremis. Nessuno lo ringrazierà: ma se l'operazione non si blocca il «merito» è suo. Nel 2008 torna dunque Berlusconi e il progetto, a quarant'anni dal suo debutto, riprende vita.

Certo, nella maggioranza c'è qualcuno che continua a storcere il naso. Il ponte sullo Stretto di Messina, la Lega Nord di Umberto Bossi proprio non riesce a digerirlo. Ma tant'è. Nonostante le opposizioni interne ed esterne, la cosa va avanti sia pure lentamente. E si arriva finalmente, qualche mese fa, al progetto definitivo. Nel frattempo, sono stati già spesi almeno 250 milioni di euro.

Sarebbe niente, per un'opera tanto colossale, se però gli intoppi fossero finiti. Sulla carta, per aprire i cantieri, ora non mancherebbero che poche formalità, come la Conferenza dei servizi con gli enti locali e il bollino del Cipe, il Comitato interministeriale che deve sbloccare tutti i grandi investimenti pubblici. Sempre sulla carta, non sarebbe nemmeno più possibile tornare indietro e dire a Eurolink, come avrebbero voluto fare gli ambientalisti al tempo del precedente governo: «Scusate, abbiamo scherzato». Il contratto infatti è blindato. Revocarlo significherebbe essere costretti a pagare penali stratosferiche. Parliamo di svariate centinaia di milioni. Ma nonostante questo il percorso si è fatto ancora una volta più che mai impervio. Non per colpa dei soliti ambientalisti. Nemmeno a causa della crisi economica, il che potrebbe essere perfino comprensibile. Piuttosto, per questioni politiche. Sia pure mascherate da difficoltà finanziarie.

Per dirne una, il «decreto sviluppo» ha materializzato un ostacolo imprevisto e insormontabile. Si è stabilito infatti che le cosiddette «opere compensative», quelle che i Comuni e gli enti locali pretendono per non mettere i bastoni fra le ruote al ponte, non potranno superare il 2% del costo complessivo dell'opera. E considerando che parliamo di 6 e mezzo, forse 7 miliardi di euro, non si potrebbe andare oltre i 130-140 milioni. Una cifra che, rispetto agli 800-900 milioni necessari per le opere già concordate con le amministrazioni locali, fa semplicemente ridere. Bretelle, stazioni ferroviarie, sistemazioni viarie.... Dovranno aspettare: non c'è trippa per gatti. Basta dire che il solo Comune di Messina aveva concordato con la società Stretto lavori per 231 milioni. Fra questi, una strada (la via del Mare) del costo di 65 milioni. Ma soprattutto il depuratore e la rete fognaria a servizio della parte nord della città, che ne è completamente priva: 80,7 milioni di investimento. Adesso, naturalmente, a rischio. Insieme a tutto il resto. Anche perché le opere compensative sono l'unica arma che resta in mano agli enti locali. Portarle a casa, per loro, è questione di vita o di morte.

A remare contro c'è poi il clima politico. Dopo la batosta elettorale alle amministrative la Lega Nord, che già di quest'opera faraonica non ne voleva sentire parlare, ha alzato la posta e questa è una difficoltà in più. Fa fede l'avvertimento lanciato dal leghista Giancarlo Gentilini, vicesindaco di Treviso: «La gente non vuole voli pindarici, non è interessata a opere come il ponte sullo Stretto di Messina perché è una cosa che non sta né in cielo né in terra. Quindi anche tu, Bossi, quando appoggi questi programmi da fantascienza, ricordati piuttosto di restare con i piedi per terra, perché gli alpini mettono un piede dopo l'altro».

Con l'aria che tira nella maggioranza basterebbe forse questa specie di «de profundis» che viene dalla pancia del Carroccio per far finire nuovamente il ponte su un binario morto. Senza poi contare quello che è successo in Sicilia. Dove ora c'è un governo regionale aperto al centrosinistra, schieramento politico che al ponte fra Scilla e Cariddi è sempre stato fermamente contrario. Una circostanza che rende estremamente complicato al governatore Raffaele Lombardo spingere sull'acceleratore. E questo nonostante i posti di lavoro che, secondo gli esperti, quell'opera potrebbe garantire. Sono in tutto 4.457: un numero enorme, per un'area nella quale la disoccupazione raggiunge livelli record.


Ma il fatto ancora più preoccupante, per i sostenitori dell'infrastruttura, è il disinteresse che sembra ormai circondarlo anche negli ambienti governativi. Evidentemente concentrati su ben altre faccende. La società Stretto di Messina ha diramato ieri un comunicato ufficiale per dare notizia che «il consiglio di amministrazione ha avviato l'esame del progetto definitivo del ponte». Un segnale che la cosa è ancora viva, magari nella speranza che Berlusconi si decida a rilanciare il ponte, annunciando l'ennesimo piano per il Sud? Forse. Vedremo quando e come l'esame si concluderà, e che cosa accadrà in seguito. Sempre che il governo vada avanti, sempre che si trovino i soldi per accontentare gli enti locali... Intanto nella sede messinese di Eurolink, dove lavoravano decine di persone, sembrano già cominciate le vacanze. Come avessero fiutato l'aria.

Sergio Rizzo
24 giugno 2011


www.corriere.it/cronache/11_giugno_24/il-ponte-di-Messina-250-milioni-e-non-si-fara-sergio-rizzo_1f39efc2-9e24-11e0-b150-aadf3d02a3...






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L'anno d'oro è stato il 2008
Versamenti per quattro diverse elezioni

All'origine di tutto c'è un comma nascosto nelle pieghe della legge mille proroghe approvata nel febbraio 2006 alla vigilia dello scioglimento delle Camere: stabilisce che lo Stato passa soldi ai partiti per tutta la legislatura, anche in caso di interruzione anticipataROMA - La chiave di tutto è nel comma di un articolo accuratamente nascosto nelle pieghe delle legge mille proroghe che viene discussa e approvata in parlamento il 2 febbraio del 2006. In quella norma sta scritto che il rimborso elettorale (che la legge numero 157 del 1999 fissa in un euro per ogni cittadino iscritto nelle liste elettorali da dividere percentualmente in base ai voti ricevuti) spetta ai partiti anche in caso di chiusura anticipata della legislatura. Dunque, lo Stato continua a versare i soldi ai partiti per tuti e cinque gli anni, anche se il parlamento è stato sciolto. Adesso, la legge è stata corretta, ma le nuove regole varranno solo a partire dalle prossime elezioni.

Comunque, una settimana dopo quel blitz del febbraio 2006, guarda caso, la legislatura si chiude. Si torna alle urne. Vince l'Unione di Prodi per una manciata di voti e il leader del centrosinistra governa, sul filo della lama, per meno di due anni. Poi, cade e il Paese torna a votare. Nel frattempo, però, nella politica italiana va in scena l'ennesima rivoluzione. Spariscono partiti (Forza Italia, An, i Ds, La Margherita), ne nascono di nuovi (il Pd e il Pdl) e, nelle urne, gli italiani polarizzano i loro consensi sulle formazioni maggiori lasciando fuori dalle aule parlamentari forze politiche come Rifondazione comunista, i Verdi, l'Udeur di Mastella. Una semplificazione dalla quale dovrebbe derivare anche un risparmio in termini di rimborsi elettorali.

Nulla di tutto ciò, dal momento che - grazie a quel comma approvato in fretta e furia nel febbraio del 2006 alla vigilia dello scioglimento delle Camere - i partiti che non esistono più continuano ad incassare i rimborsi elettorali che spettano loro in virtù dei risultati conseguiti nel 2006. E questo nonostante quella legislatura si sia chiusa in anticipo. Non si tratta di bruscolini dal momento che il totale dei rimborsi elettorali da versare ai partiti per il periodo 2006-2011 ammonta a 499,6 milioni di euro. Una somma che viene divisa tra i partiti che sono sopravvissuti alla rivoluzione e quelli che non esistono più o che non sono più rappresentati in parlamento. Come se non bastasse, a quella cifra vanno aggiunti i rimborsi che spettano per la legislatura in corso e quelli relativi alle regionali e alle europee del 2004, del 2005 e del 2006.

L'anno d'oro, per i partiti italiani, è senza dubbio il 2008. In quella stagione - come accertato dalla Corte dei conti - nella casse della formazioni politiche, quelle in vita e quelle "defunte", finiscono nell'ordine la terza rata del rimborso per le politiche del 2006 che vale 99,9 milioni di euro, la prima rata del rimborso per le politiche del 2008 che ammonta a 100,6 milioni di euro, i 41,6 milioni di euro della quarta rata del contributo dovuto per le regionali del 2005 e la quinta rata del rimborso per le europee del 2004 che vale 49,4 milioni di euro. In tutto, fanno 291,5 milioni di euro. Che vanno a dare ossigeno ai bilanci di partiti che svolgono la loro attività e di formazioni politiche che sopravvivono ormai solo nella memoria degli elettori.
24 giugno 2011

inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/inchiesta-italiana/2011/06/24/news/partiti_la_grande_abbuffata-18113885/?inchiesta=%2Fit%2Frepubblica%2Frep-it%2Finchiesta-italiana%2F2011%2F06%2F23%2Fnews%2Fcaro_partito_quanto_ci_costi-181...


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Rimborsi dieci volte più ricchi
delle spese per manifesti e comizi

Un altro aspetto bizzarro della questione è la sproporzione tra quanto i partiti hanno investito nelle elezioni e il denaro versato a copertura dallo Stato. Il caso della Lega Nord alle politiche 2008: più di quaranta milioni di euro contro una spesa dichiarata di neanche tre milioniROMA - Che i "partiti fantasma" siano destinati ad aggirarsi ancora per un po' sulla scena della politica italiana, lo si capisce leggendo la relazione al bilancio 2009 di Forza Italia firmata dal tesoriere Sandro Bondi. Scrive Bondi: "Il movimento (Forza Italia, ndr) resterà in attività almeno fino a tutto il 2012 anche per consentire la presentazione dei propri rendiconti annuali, a norma di legge indispensabili per completare l'incasso dei residui rimborsi spese elettorali rimasti di propria diretta pertinenza e per permettere la percezione da parte dell'istiuto di credito interessato dei crediti elettorali ad esso ceduti nel 2007, le cui erogazioni in caso diverso sarebbero sospese".

In pratica, a partire dal 2006, Forza Italia ha incassato non solo i rimborsi elettorali riconosciuti per la legislatura che si è interrotta in anticipo, ma anche una quota di quelli spettanti al Pdl per il periodo 2008-2013. Dietro il "matrimonio" tra Forza Italia e An che ha portato alla nascita del Pdl, infatti, c'è un accordo da fare invidia ai patti da osservare in caso di divorzio sottoscritti da star del cinema e regnanti. In base a quel contratto, il Pdl ha ceduto a una banca l'intero ammontare del rimborso elettorale che gli spetta per il periodo 2008-2013 (si tratta di circa 40 milioni di euro l'anno) facendosi liquidare in anticipo l'importo e dividendone il cinquanta per cento tra An e Forza Italia. Come dire, lo Stato paga il rimborso elettorale a un partito che ha partecipato alle elezioni, ma quei soldi vanno, in gran parte, a partiti che non esistono più. E che useranno quei soldi per prolungare la loro presenza da "fantasmi".

È il caso di Alleanza nazionale che per gli elettori ha chiuso i battenti all'inizio del 2008 ma che ha ancora una sede, un comitato di gestione e, soprattutto, ha continuato a incassare i soldi del rimborso elettorale. Al punto da chiudere il bilancio del 2009 con un attivo di 75 milioni di euro. Che fine faranno quei soldi? Serviranno a mettere in piedi la fondazione Alleanza nazionale che avrà come obiettivo - si legge nella relazione al bilancio - quello di "determinare l'affermazione, la diffusione e la comunicazione dei modelli sociali, culturali e politici legati alla sua tradizione". Il tutto anche grazie al denaro pubblico che doveva servire solo a coprire le spese elettorali sostenute nel 2006.

Già, la copertura delle spese. A guardare bene, i soldi che i partiti hanno ricevuto a titolo di rimborso sono molti di più di quelli che hanno tirato fuori per stampare manifesti e volantini o per organizzare comizi. La Corte dei conti è andata a spulciare tra le fatture e ha scoperto, per esempio, che per le politiche del 2008 la Lega Nord ha dichiarato spese elettorali per 2 milioni e 940 milioni e ha incassato, come rimborsi, la bellezza di 41 milioni e 385 mila euro. Tanto per spostarsi sull'altro fronte dello schieramento, Rifondazione comunista per le elezioni del 2006 ha dichiarato spese per un milione e 636mila euro. Sapete quanto ha avuto di rimborso? Sei milioni e 987mila euro. Che tra l'altro sono stati versati nelle casse del partito fino allo scorso anno nonostante in parlamento non ne sedesse più da anni neppure un rappresentante. Adesso, però, il rubinetto dei rimborsi per la legislatura finita in anticipo si è chiuso. E per Rifondazione si annunciano tempi davvero duri. Nella relazione al bilancio, il tesoriere lo dice senza mezzi termini: "Rischiamo di chiudere bottega".
24 giugno 2011

inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/inchiesta-italiana/2011/06/24/news/finanziamenti_partiti_an_e_forza_italia_matrimonio_di_interesse-18113970/?inchiesta=%2Fit%2Frepubblica%2Frep-it%2Finchiesta-italiana%2F2011%2F06%2F23%2Fnews%2Fcaro_partito_quanto_ci_costi-181...


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Per il club dei partiti estinti
cinquecento milioni nel 2011

Si chiamano Forza Italia, Alleanza nazionale, Democratici di sinistra, Margherita, Nuova Sicilia... Molti sono stati sciolti, altri bocciati dagli elettori, eppure continuano a incassare nel quinquennio di una legislatura una cifra molto alta soprattutto rispetto alle spese documentate. Per quale meccanismo?ROMA - Di alcuni non è rimasto che il simbolo, assemblee di ex che vengono convocate di tanto in tanto e, forse, il ricordo di qualche elettore nostalgico. Altri, invece, hanno sedi, strutture, impiegati ma da anni non hanno nessun rappresentante in parlamento. Eppure, i "partiti fantasma" continuano ad incassare soldi dallo Stato. L'ultima rata, relativa ai rimborsi per le elezioni regionali del 2007 in Molise, arriverà prima della fine di quest'anno. E così, la cifra incamerata dai partiti che non ci sono più, toccherà la vertiginosa quota di 500 milioni di euro nell'arco del quinquennio 2006-2011. Spicciolo più, spicciolo meno.

Per intendersi, è una somma pari allo stanziamento annuo del governo per Roma capitale, quella che è finita in questi anni nella pancia di sigle che si supponevano scomparse dalla scena della politica, come Forza Italia, Alleanza nazionale, Democratici di Sinistra, Margherita, oppure di partiti che gli elettori hanno cancellato dal parlamento e che sono stati smontati e rimontati da scissioni e nuove aggregazioni come Rifondazione comunista, i Verdi, perfino l'Udeur di Mastella o un partito personale come "Nuova Sicilia", il cui dominus è Bartolo Pellegrino - un ex deputato dell'assemblea regionale siciliana recentemente assolto dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa - che fino allo scorso anno ha percepito circa centomila euro di rimborso elettorale.

Nulla, se confrontato a quanto ha potuto iscrivere nei propri bilanci il più ricco dei "partiti fantasma", Forza Italia. Quella che fu la creatura di Silvio Berlusconi, nata nel 1994 per accompagnare la discesa in campo del Cavaliere e sacrificata nel 2007 sull'altare del bipartitismo per fare posto al Pdl, ha continuato ad incamerare i rimborsi elettorali fino ad arrivare, nel 2010, alla cifra monstre di 96 milioni di euro. Più sotto, in questa classifica, quelli che furono i Democratici di sinistra che hanno potuto iscrivere in bilancio 74 milioni di euro e spiccioli. Soldi che - per ammissione del tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti - sono stati rapidamente pignorati dalle banche e adoperati per chiudere la partita dei debiti ereditata dal vecchio Pci.

Alla Margherita, altro partito formalmente cancellato, è andata meglio. I 42 milioni di euro di rimborsi incassati, malgrado la scomparsa dalla scena politica, sono tutti lì. E, anzi, intorno a quella eredità sta per accendersi una disputa alla quale partecipano pure parlamentari che, nel frattempo, hanno preso differenti direzioni, accasandosi in altri partiti o inaugurandone di nuovi. Ma come è stato possibile che partiti scomparsi dalla scena o bocciati dagli elettori abbiano continuato ad incassare soldi pubblici a titolo di rimborso elettorale? Quanto hanno pesato i rimborsi ai "partiti fantasma" sulle tasche dei cittadini? E, soprattutto, che fine hanno fatto quei soldi?
24 giugno 2011

inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/inchiesta-italiana/2011/06/24/news/500_milioni_per_i_partiti_fantasma-18113847/?inchiesta=%2Fit%2Frepubblica%2Frep-it%2Finchiesta-italiana%2F2011%2F06%2F23%2Fnews%2Fcaro_partito_quanto_ci_costi-181...


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Fiom, Landini: “Parlare male di Berlusconi non basta”“Basta leggere le intercettazioni pubblicate in questi giorni dai giornali per capire qual è la politica industriale di questo governo”. Così il segretario generale della Fiom Maurizio Landini, oggi a Milano per presentare una tre giorni a Sesto San Giovanni, dove, a partire da questa sera, si celebreranno i centodieci anni del sindacato dei metalmeccanici della Cgil. Tra dibattiti e concerti, un’occasione per parlare di lavoro, ma anche democrazia e legalità. Nei prossimi mesi, anticipano gli organizzatori, la festa arriverà in Sicilia, poi in Veneto e a Pomigliano. Landini ha poi ricordato le responsabilità della politica e in particolare del governo di centrodestra. “Chi fa opposizione a Berlusconi non può limitarsi a parlare male di lui – spiega – deve innanzitutto rimettere al centro il lavoro e occuparsi degli interessi dei lavoratori, di chi il lavoro non ce l’ha e dei milioni di precari presenti nel Paese”. Il segretario Fiom ricorda che in Italia la contrattazione nazionale è sotto attacco. “Qui da noi c’è l’idea che per investire bisogna per forza cancellare le leggi e i contratti. Non è così”. di Franz Baraggino





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Rotondi dice no ai tagli dei privilegi
“La gente ci detesta, difendiamo la Casta” Il ministro per l'Attuazione del programma, intervistato da Libero, si scaglia contro Tremonti e a Berlusconi suggerisce: se vuole far durare il governo deve coccolare i parlamentari“Dobbiamo coccolare i parlamentari; se un giorno gli si dice che vanno dimezzati, il giorno dopo che gli si taglia lo stipendio, quello successivo l’auto blu, significa voler proprio far cadere il governo”. Il ministro Gianfranco Rotondi è contrario ai tagli dei privilegi a deputati e senatori. Anzi. I privilegi, dice, vanno tutelati. “Tanto, più impopolari di così”.

Il ministro per l’Attuazione del programma si arruola nell’esercito nemico di Giulio Tremonti. “Le misure contro i privilegi della politica le considero un insulto alla sua intelligenza”, dice. E suggerisce una ricetta tutta sua. “Forte del fatto che nessuno, neanche all’opposizione, vuole andare al voto, Berlusconi deve avere un’unica preoccupazione: coltivare i rapporti con Camera e Senato”. Come? “Teniamoci buoni i mille parlamentari”, dice Rotondi in un’intervista a Libero. “Non possiamo dargli l’aumento, ma almeno coccoliamoli, rassicuriamoli, non rompiamogli le palle se vogliamo arrivare al termine della legislatura. E nel frattempo cerchiamo di farci dimenticare. Perché, inutile negarlo, la gente ormai ci detesta”.

Secondo Rotondi, dunque, cosi il governo può arrivare alla sua scadenza naturale del 2013. Altrimenti rischia. “Se uno un giorno dice a deputati e senatori che vanno dimezzati, il giorno dopo che taglia loro gli stipendi, quello successivo che gli toglie l’auto blu, allora è un kamikaze, significa che vuole proprio farlo cadere questo governo”.

Una difesa della Casta. “Più impopolari di così. Il deputato oggi è uno sputtanato che va per la pagnotta, questo è il giudizio che ci siamo cuciti addosso, per merito dei comici, delle trasmissioni tv”, secondo Rotondi. Non per merito dei parlamentari. “Un tempo si accusava i politici di rubare, oggi gli si rimprovera solo di avere dei privilegi previsti dalla legge. Ma attenzione. Questa furia antipolitica finisce per essere antiparlamentare. e il Parlamento è come la salute: ti rendi conto che è importante solo quando non ce l’hai più”, dice Rotondi.

Insomma una sorta di requiem al governo. E al premier Rotondi suggerisce di tornare allo spirito di una volta tanto “deve rassegnarsi al fatto che in diciotto mesi non può fare le riforme istituzionali, né la riforma della giustizia e neppure quella fiscale. Al massimo si può far approdare qualche legge in Parlamento”.


www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/28/rotondi-dice-no-ai-tagli-dei-privilegi-la-gente-ci-detesta-difendiamo-la-casta...
[Modificato da angelico 28/06/2011 14:18]

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Patto di stabilità e no tasse, la Lega vince la manovra ma deve cedere sul decreto rifiuti Il Carroccio incassa la modifica del Patto di stabilità per i comuni virtuosi (quasi tutti al nord). Quindi annuncia che firmerà il decreto sulla monnezza per risolvere l'emergenza in sei mesi. Sorride anche Tremonti che ha ottenuto di non abbassare le imposte. E il Cavaliere ottiene di spalmare i 47 miliardi. Risultato: la stangata vera sarà affare di chi governerà nel 2013Umberto Bossi ha dovuto cedere sui rifiuti di Napoli, ma ha incassato ciò che neanche immaginava: la modifica del Patto di stabilità per i comuni virtuosi. Silvio Berlusconi è riuscito a convincere Giulio Tremonti a scaglionare i 47 miliardi di manovra così da farli pesare sostanzialmente su 2013 e 2014. Infine, il ministro dell’Economia l’ha spuntata sul taglio delle tasse: non ci sarà. Non ora almeno. E anche buona parte degli altri provvedimenti previsti nella manovra non saranno attuati nell’immediato, ma solo a decorrere dal 2012-2013. Insomma, tutti sconfitti e tutti vincitori. Il vertice di maggioranza è servito sostanzialmente a sancire un patto (comunque precario) di non belligeranza intorno al premier e a confezionare una polpetta avvelenata al governo che verrà dopo l’attuale. Chi siederà a Palazzo Chigi dal 2013 erediterà la manovra pensata da Tremonti. Basta guardare gli scaglioni per rendersi conto dell’allegro scaricabarile affidato ai posteri: dei 47 miliardi previsti, due riguardano l’anno in corso, cinque il 2012, mentre per gli anni 2013 e 2014 sono previsti per la correzione dei conti i restanti 40 miliardi suddivisi in due trance da 20 miliardi ciascuno. E così i tanto sbandierati tagli ai privilegi dei parlamentari, l’aumento dell’età pensionabile per le donne, il congelamento degli stipendi della pubblica amministrazione e tutti i correttivi decisamente impopolari. Tutto rimandato a partire dal 2013 o dal 2014.

La bozza giovedì arriverà sul tavolo del Consiglio dei ministri e, salvo imprevisti, sarà licenziata senza sorprese dall’esecutivo così come è stata confezionata oggi. Il pericolo vero, quella Lega (a parole) sul piede di guerra e pronta ad abbandonare Berlusconi, è stato reso inoffensivo con la concessione della modifica del Patto di stabilità per i Comuni virtuosi. Per lo più, inutile dirlo, amministrazioni del nord. Bossi ha incassato volentieri, quasi sorpreso, ma ha dovuto cedere sul decreto per l’emergenza rifiuti a Napoli. Il senatùr ha dato la disponibilità temporanea ad aprire “i confini” delle regioni del nord ai camion carichi di spazzatura campana. Sei mesi, non di più. Con la base la giustificazione è pronta: serviva un atto di responsabilità perché la Ue ha minacciato di multare l’Italia se non risolve a breve il problema. Per buona pace di Roberto Calderoli che, dopo aver suggerito al governatore Stefano Caldoro di accordarsi solo con le regioni del Sud, adesso dovrà inserire la marcia indietro. Non è la prima volta, non sarà di certo l’ultima. Soltanto ieri aveva minacciato: “O nel decreto c’è scritto che i rifiuti potranno essere portati solo nelle regioni confinanti alla Campania, in modo che restino lì, oppure quel decreto non passerà”. Anche il dl d’emergenza sarà approvato senza grosse difficoltà al Consiglio dei ministri di giovedì. Bossi vuole chiudere subito.

“Fin quando non sarà approvata la manovra il governo rimane a rischio”, ha detto il leader del Carroccio. Anche perché Tremonti ha garantito che la bozza può essere modificata, “sono ben accetti i contributi di tutti”, ha detto il titolare di via XX Settembre durante il vertice. Ed è stato Berlusconi a insistere affinché si chiuda giovedì, senza far slittare il Cdm a settimana prossima, come invece chiesto da alcuni ministri. Unica concessione è stata quella di portare il Consiglio dei ministri dal mattino al pomeriggio di giovedì. Il premier si è detto soddisfatto del risultato del vertice. “Una presa in giro, una farsa drammatica” ha invece gridato Pierluigi Bersani. “La manovra così è soltanto una presa in giro per l’Italia”, ha detto il segretario del Pd criticando in particolar modo la suddivisione in scaglioni. Con lui la levata di scudi si è levata dall’intero Partito Democratico. E dall’Idv. “Il rinvio dei tagli è una furbata vetero-democristiana”, ha tuonato Antonio Di Pietro. La bozza della manovra pare dunque trovare tutti d’accordo su un unico punto: dal 2013 al governo molto probabilmente ci sarà l’attuale opposizione.


www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/28/patto-di-stabilita-e-no-tasse-la-lega-vince-la-manovra-ma-deve-cedere-sul-decreto-rifiuti/129948/comment-page-1/#...

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01/07/2011 11:57
 
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Voli blu, è spreco recorddi Gianluca Di FeoDue nuovi super elicotteri per Berlusconi: 50 milioni di euro l'uno, tutti pagati dai contribuenti. Più di trenta aerei a disposizione del governo, sempre a spese nostre. E 8.500 ore di volo nel 2010, il massimo di sempre: per soddisfare ogni capriccio di ministri, viceministri e sottosegretari. Ecco tutti i numeri della vergogna(30 giugno 2011)Silvio Berlusconi sbarca da un aereo di StatoIl regalo potrebbe venire consegnato a fine settembre, giusto in tempo per festeggiare il suo settantacinquesimo compleanno: un dono coi fiocchi, degno dell'anniversario speciale. Anche perché a pagarlo saranno tutti gli italiani, che hanno contribuito ad acquistare il nuovo elicottero presidenziale di Silvio Berlusconi. Alla faccia dei tagli e del rigore, sulla pista di Ciampino atterrerà uno sfavillante Agusta-Westland Aw-139 con interni in pelle e optional hi-tech: la nuova ammiraglia del trasporto di Stato. Un gioiello potente, silenzioso, sicuro e lussuoso che offre a cinque passeggeri il meglio del meglio, dall'aria condizionata agli schermi al plasma. E il Papi One non resterà solo: confermando la passione del Cavaliere per le gemelle emersa dall'inchiesta sul bunga bunga, nel giro di qualche mese sarà raggiunto da una seconda fuoriserie dei cieli. Un altro Aw-139, con lo stesso sfarzo e qualche poltrona in più per addolcire le trasferte di governo con lo staff di consiglieri (e spesso segretarie molto particolari). La coppia di macchine dovrebbe costare intorno ai 50 milioni di euro, ma il contratto è stato abilmente nascosto nei bilanci, come accade per tutta la contabilità dei jet di Stato diventati il privilegio supremo della politica.

Potersi imbarcare sugli aerei blu è lo status symbol numero uno, con la corsa di ministri e sottosegretari a prenotare decolli illimitati. Nel 2010 lo stormo che si occupa delle trasferte governative ha bruciato quasi 8.500 ore di volo, segnando un nuovo record dello spreco di denaro pubblico: è come se ci fosse stato un velivolo sempre in cielo, notte e giorno, senza sosta per un intero anno. Un viaggio ininterrotto lungo 365 giorni: quanto basta per andare su Marte e tornare indietro. Un paragone ridicolo? Anche i nostri politici spesso ordinano missioni assurde: «Per due volte un membro dell'esecutivo ha preteso un jet che lo portasse da Milano Linate a Milano Malpensa. Il Falcon è partito da Roma Ciampino, è atterrato a Linate per caricare l'autorità e ha compiuto la trasferta di cinque minuti per poi rientrare nella capitale. Una spesa senza senso solo per assecondare i capricci di un ministro», racconta a "l'Espresso" un alto ufficiale dell'Aeronautica.

La manovra che riesce meglio ai ministri è proprio quella che ogni weekend li fa atterrare accanto a casa. Mentre il costo di questi sfizi d'alta quota resta un mistero, protetto dai burocrati di casta. Il valore commerciale delle ore di volo - ossia quello che si pagherebbe per noleggiare gli stessi aerei da una compagnia privata - è di oltre 100 milioni di euro l'anno. Ma sull'amministrazione pubblica pesano soltanto carburante, ricambi e manutenzione per un totale che dovrebbe comunque superare i 60 milioni.

Non solo: i politici viaggiano due volte a sbafo. Palazzo Chigi si dimentica di rimborsare le somme spese dall'Aeronautica. E non si tratta di cifre secondarie: lo studio della Fondazione Icsa, il più importante think tank italiano di questioni strategiche, mostra un debito di ben 250 milioni di euro. L'analisi presentata dal generale Leonardo Tricarico, ex comandante dell'aviazione ed ex consigliere di Berlusconi, evidenzia come in un decennio la presidenza del Consiglio si sia lasciata alle spalle una montagna di quattrini anticipati dai militari per le trasferte ufficiali e le gite dell'esecutivo. Solo lo scorso anno l'Aeronautica si è accollata 25 milioni di euro per i viaggi a scrocco; nel 2009 sono stati 23 milioni e nel 2008 altri 20, quasi tutti sborsati dopo il ritorno di Silvio al potere. Il primato risale al vecchio esecutivo del Cavaliere, con i 30 milioni regalati nel 2004 per i decolli frenetici della campagna elettorale delle Europee che videro il trionfo del centrodestra.

Ma queste somme rappresentano soltanto una parte dello sperpero alimentato dagli habitué dei voli blu: sono l'extra dell'extra. Ogni dicembre la Difesa preventiva uno stanziamento molto frugale per l'anno successivo, assecondando i buoni propositi di Giulio Tremonti: per il 2011 sono stati ipotizzati 4 milioni. Una cifra beffarda, che basta appena per qualche mese di combustibile. Così a giugno si rifanno i calcoli e si cerca di ripianare le fatture per lo sfrecciare dei politici alati. Che sono più veloci dei fondi e si lasciano una scia di euro bruciati oltre tutti i limiti. Nel 2009 ci sono state 1.963 "missioni di Stato": più di cinque al giorno, includendo sabati e domeniche. Un attivismo impressionante, proseguito nel primo trimestre 2010 con altre 486 spedizioni. Impossibile decifrare quale sia stata la spesa globale: si ritiene che nell'ultimo decennio abbia superato di gran lunga gli 800 milioni.



espresso.repubblica.it/dettaglio/voli-blu-e-spreco-record...

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01/07/2011 12:02
 
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Ehm. Tremonti ha appena affittato 30 mila macchine fotocopiatrici. A 6.000 euro l'una. A spese nostre.

Ecco, questo è il Ministro che vuole tagliare i costi della politica. Un appalto pubblico da 172 milioni di euro, da poco predisposto dal Ministero dell'Economia. 30 mila macchine fotocopiatrici in affitto: roba da quasi 6.000 euro al pezzo. Probabilmente questi aggeggi utilizzano una nuova tecnologia basata s'uno speciale inchiostro composto da particelle di oro liquido, anche perché con 2.000 euro, oggi, ti metti in ufficio degli ottimi replicatori di fogli A4. A maggior ragione se ne te ne servono 30 mila. Un po' di sconto te lo fanno, diamine. Certo, non stampano in oro


nonleggerlo.blogspot.com/2011/06/ehm-tremonti-ha-appena-acquistato...

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Manovra, tagli alla Casta solo
dal 2013. E salta l’aumento dell’Iva Tutto rimandato al prossimo esecutivo: dei 47 miliardi previsti solamente 7 in questi due anni, i restanti 40 lasciati in eredità al prossimo governoUn Consiglio dei Ministri fiume (durato circa quattro ore) servito a stabilire tre cose: rimangiarsi le promesse sui tagli ai privilegi della Casta, trasformare la manovra in un decreto legge e farlo approvare con il voto di fiducia in aula. Così la manovra correttiva invocata dall’Europa per raggiungere la stabilità nel 2014, si trasforma in un decreto che rinvia lacrime e sangue al prossimo governo. Compresi i famigerati tagli ai costi della politica. Lo ammette anche Silvio Berlusconi in conferenza stampa: “Qualche cosina la abbiamo pensata, ma sono cose di pochissimo conto”. Tutto rimandato al 2014 quando, si lascia quasi scappare Giulio Tremonti, “l’Europa porterà tutto a livello”. Stando a quanto dichiara il guardasigilli, Angelino Alfano, invece, appare quasi evidente che siano state approvate le parti del processo breve inserite nella prima bozza della manovra. “E’ stato completato il quadro delle riforme per l’efficienza del processo civile intrapreso dall’inizio di questa legislatura, e vengono adottate misure specifiche per la riduzione del contenzioso pendente”, ha detto il segretario politico del Pdl. “L’efficienza della giustizia civile costituisce una fondamentale leva di sviluppo economico, indispensabile per garantire la competitività”. Ma, garantisce il premier, “abbiamo agito nello spirito del buon padre di famiglia”. Purtroppo, aggiunge, “abbiamo ereditato un debito altissimo, al 120%”.

Confermati, come voleva il premier, gli scaglioni della manovra da 47 miliardi spalmati per 1,5 miliardi nel 2011, 5,5 nel 2012 e per i restanti 40 miliardi due tranche nel 2013 e nel 2014. Cancellato il punto percentuale aggiuntivo all’Iva e, tra l’altro, rivista l’innalzamento dell’età pensionabile per le donne.


Giustizia. Nel testo della manovra correttiva finanziaria è stata inserita una parte legata alla giustizia. I punti qualificanti, ha spiegato il Guardasigilli, “l’obbligo di programmazione del lavoro per i capi degli uffici giudiziari; la semplificazione delle comunicazioni processuali; la semplificazione della decisione in grado di appello; le convenzioni per la formazione professionale dei giovani laureati nei tribunali come assistenti del giudice; gli incentivi economici per gli uffici giudiziari più efficienti nella riduzione dell’arretrato; le misure specifiche per la riduzione e l’accelerazione del contenzioso previdenziale”. Nella manovra, inoltre – prosegue Alfano – sono state approvate anche norme per “la sospensione dei processi penali per gli imputati irreperibili” e una “deroga al divieto di svolgere funzioni requirenti e giudicanti monocratiche, limitata ai magistrati nominati ad agosto del 2010, al fine di coprire le sedi sguarnite”. “Si tratta – conclude Alfano – di norme che contribuiranno all’efficienza del sistema giudiziario coerentemente con gli sforzi compiuti in questi tre anni”.

Tassa sui suv. Il superbollo è stato praticamente cancellato. Soltanto chi ha auto di lusso pagherà un sovrapprezzo, che ancora non si conosce. La decisione è stata a dir poco travagliata, riferiscono fonti governative, tanto che sul punto si è perso molto tempo durante il Consiglio dei ministri. Il sottosegretario Casero ha annunciato che la tassa sui Suv era stata cancellata, poi Berlusconi in conferenza stampa l’ha corretto dicendo che era stata mantenuta in forma lieve, infine il ministro per i Beni culturali, Giancarlo Galan ha riferito che pagheranno “una tassazione maggiore” solamente “le auto di lusso”, le altre no “altrimenti sarebbe stato colpito anche chi non lo meritava”. Alla fine è stato stabilito che pagheranno solamente le auto con oltre 225 kw contro i 170 inizialmente previsti.

Iva. Non c’è l’incremento dell’Iva dell’1% sulle aliquote più alte, nel ddl delega della riforma fiscale, come invece ipotizzato da alcune indiscrezioni. Secondo la bozza del provvedimento entrata al Cdm la riforma dell’imposta sul valore aggiunto si articola attraverso una “revisione graduale delle attuali aliquote, tenendo conto degli efeftti inflazionistici prodotti da un aumento”.

Visite fiscali. Stretta sulle assenze dei dipendenti pubblici. Con le nuove disposizioni contenute nella bozza della manovra, la visita fiscale per assenza per malattia arriverà “sin dal primo giorno, quando l’assenza si verifica nelle giornate precedenti o successive a quelle non lavorative”. In precedenza, il controllo poteva essere disposto “nel caso di assenza di un solo giorno, tenuto conto delle esigenze funzionali e organizzative” dell’amministrazione.

Pensione donne. Sale, con tempi e modalità soft, l’età pensionistica delle donne nel settore privato. A partire dal 2020, ci vorrà un mese di più, cioè 60 anni e un mese, per andare in pensione: è quanto si legge nella bozza della manovra, che spiega come i requisiti anagrafici verranno poi aumentati di due mesi a partire dal primo gennaio 2021, per poi proseguire in modo progressivo fino all’ultimo scaglione, fissato al primo gennaio 2032.

Cinque per mille. Introdotta la possibilità di destinare il 5 X mille alla cultura. Secondo quanto si apprende da ambienti ministeriali a partire dal prossimo anno e quindi per la dichiarazione che si farà nel 2012 a proposito dei redditi 2011 i cittadini italiani potranno destinare il 5 X mille ai soggetti annessi al reparto. In particolare il testo prevede l’introduzione di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali tra le finalità della destinazione del 5 X mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.

Ticket sanitario. Misure di compartecipazione sui farmaci dal 2014 e parte dello sfondamento della spesa farmaceutica ospedaliera, in continuo aumento negli ultimi anni, a carico delle aziende del farmaco. Dal 2014, per “assicurare, nel rispetto del principio di equilibrio finanziario, l’appropriatezza, l’efficacia e l’economicità delle prestazioni”, scatteranno “misure di compartecipazione sull’assistenza farmaceutica e sulle altre prestazioni erogate dal servizio sanitario nazionale, aggiuntive rispetto a quelle eventualmente già disposte dalle Regioni”. Queste ultime «possono adottare provvedimenti di riduzione delle misure di compartecipazione, purchè assicurino comunque, con misure alternative, l’equilibrio economico finanziario, da certificarsi preventivamente da parte del Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza e dal Tavolo tecnico» in materia. “In materia di assistenza farmaceutica ospedaliera – si legge poi nell’ultima bozza circolata – al fine di consentire alle Regioni di garantire il conseguimento degli obiettivi di risparmio programmati compatibili con il livello di finanziamento previsto, dal 2013, con regolamento da emanare entro il 30 giugno 2012, sono disciplinate le procedure finalizzate a porre a carico delle aziende farmaceutiche l’eventuale superamento del tetto di spesa a livello nazionale”. Alle aziende toccherà coprire fino a un massimo del 35% di tale sforamento, “in proporzione ai rispettivi fatturati per farmaci ceduti alle strutture pubbliche, con modalità stabilite dal regolamento” che sarà emanato.


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