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Referendum: Il governo rischia sul nucleare , sul voto decide la Cassazione

Ultimo Aggiornamento: 16/09/2011 23:38
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13/06/2011 21:15
 
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Affluenza al top in Emilia, Trentino e Toscana, ultima Calabria


Trentino 64,6% Emilia Romagna 64,1%, Toscana 63,6% e Valle d'Aosta 61,1% sono le regioni in cui è stata maggiore la percentuale sull'affluenza al voto referendario. In coda alla lista la Calabria col 50,4%. Quorum in ogni caso superato in tutte le regioni




E' stata del 57,02% l'affluenza alle urne per il primo dei quesiti referendari sulla privatizzazione della gestione dei servizi idrici. E' il dato definitivo diffuso dal Viminale che non ha ancora reso nota la percentuale dei votanti all'estero. Quando sono state scrutinate circa metà delle schede, i sì all'abrogazione dell'attuale norma sono oltre il 95 per cento


"Oggi il Paese non ne può più e manda un messaggio chiaro: che liberino il campo e consentano all'Italia attraverso elezioni anticipate di tornare a respirare". Lo ha detto oggi a Bari il leader di Sinistra, Ecologia e Libertà Nichi Vendola, commentando l'esito dei referendum

[Modificato da angelico 13/06/2011 21:15]

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14/06/2011 13:39
 
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Berlusconi ha sempre fatto riferimento al consenso popolare, lo faccia pure ora se è coerente e se ha veramente le palle.
14/06/2011 16:17
 
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Re:
angelico, 14/06/2011 13.39:





Glielo suggerirei io un posticino dove potrebbe andare di corsa!!! [SM=x47986] [SM=x47935]


"...You're just another part of me..."


"Mai discutere con un idiota, ti trascina al suo livello e ti batte con l'esperienza!" O.W.
16/06/2011 17:38
 
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Acqua, il Pd fa già retromarcia
I sindaci spaccati sulla gestione pubblica Problemi tra l'azienda che gestisce anche i servizi per l'acqua e il partito che, attraverso i Comuni, la controlla. Risultato? Per ora non cambia niente, le convenzioni restano. "E' il parlamento che deve intervenire". Ma per Cinque Stelle, Idv e Comitati la risposta non basta: "Vogliono solo prender tempo"Con la vittoria dei sì ai referendum il Pd ed Hera, la holding nata nel 2002, forse in tema di acqua non festeggeranno il loro decimo anno di nozze in grande serenità. Vivranno da separati in casa, pur sapendo che gli interessi dell’azienda saranno anche quelli dei Comuni che il partito, in Emilia Romagna guida.

Per ora gli investimenti della società multiservizi proseguiranno, per ben 26,5 milioni di euro, ma sul futuro incombe il verdetto popolare. Adesso che la sbornia di chi ha gioito per il risultato sta terminando, restano molti punti interrogativi per capire quali ripercussioni pratiche avrà l’espressione del voto popolare. La questione dell’acqua è quella che richiede un intervento più tempestivo. Il responso del 12 e 13 giugno ha messo in difficoltà il colosso Hera Spa che in Regione opera in regime di monopolio: votare sì al secondo quesito ha significato abrogare la possibilità di remunerare gli investimenti fatti. E mentre emerge l’esigenza di una legge nazionale che colmi il vuoto normativo creatosi, c’è chi fatica a rimboccarsi le maniche e si gode il clima della festa. È Virginio Merola, il sindaco di Bologna, che non pare preoccuparsi troppo dei rapporti con la multiutility: “Per adesso godiamoci il buon risultato del referendum, le conseguenze del voto popolare su Hera le valuteremo. Devo ancora incontrare l’azienda e bisogna vedere anche quali decisioni assumerà il Parlamento”.

Certo il Transatlantico fa melina e continua a essere in preda ai marosi di una maggioranza scompaginata dalla batosta delle urne, ma non per questo la soluzione dei problemi locali va procrastinata. A provarlo è la stessa Hera che continua a chiudere i conti in rosso: 187 milioni di euro è l’ammontare andato in fumo nell’ultimo periodo, pari alla diminuzione della capitalizzazione che c’è stata tra il 3 e il 13 giugno.

Il problema c’è, è delicato e racconta di un conflitto di interessi in casa del Pd regionale, che lo sta portando a un’incrinatura dei rapporti con Hera. Se il Pdl ha cavalcato la linea del non voto per proteggere il presidente del Consiglio dai suoi processi, il Pd ha fatto dei referendum un vessillo politico per tentare l’ultima spallata a un governo traballante. In questo momento la retorica dei tardivi convincimenti non serve più, devono seguire i fatti.

Liana Barbati, capogruppo regionale dell’Idv, ha chiesto le dimissioni di Andrea Viero, direttore generale di Iren Spa, azienda che coordina l’attività delle società territoriali dell’Emilia Romagna per la gestione operativa del ciclo idrico integrato e di Maurizio Chiarini, amministratore delegato di Hera, che prima del voto aveva detto: “Se vincerà il sì, il referendum bloccherà gli investimenti con effetti pesanti per l’occupazione e pericolosi per i consumatori”. “Solo fumo negli occhi”, le parole di Barbati per il Movimento 5 Stelle che in un comunicato accusa direttamente il partito di Di Pietro: “L’Idv vuole scaricare le sue responsabilità politiche visto che governa con il Pd e ha avvallato le scelte di Hera. Si vuole davvero cambiare e rispettare il voto degli italiani? Si scorpori l’acqua da Iren ed Hera e si dia in mano ai consorzi pubblici eletti direttamente dai cittadini e non dai partiti con le solite spartizioni”.

L’unica reazione in tal senso, tra le fila dei sindaci Pd, sembra quella di Roberto Balzani, primo cittadino di Forlì: “L’abolizione dell’articolo 23 bis, che avrebbe imposto la gestione ai privati per decreto, ci permette di ragionare sulla possibilità di affidare il servizio oggi svolto da Hera a Romagna Acque. È una società interamente pubblica, capitalizzata, che se impiega bene i mezzi che ha, può essere in grado di assicurare una buona gestione pubblica dell’acqua. Certo, è una sfida, ma è una possibilità che dobbiamo valutare”.

Balzani, al momento, è l’unico che ha tentato di sciogliere il “nodo gordiano” del Pd, come l’ha definito Pietro Vandini, capogruppo del Movimento 5 Stelle di Ravenna. Vandini ha depositato un’interrogazione con richiesta di discussione in consiglio comunale per sapere “come farà il Pd a districarsi, dopo aver appoggiato l’abrogazione della quota di remunerazione del capitale, quando è noto che i suoi uomini sono dentro al management di Hera, la multiutility che ha affermato a mezzo stampa che il referendum non potrà avere alcun effetto pratico”. Si guarda a un futuro prossimo ma incerto: “Pare infatti – prosegue Vandini- che già sia pronta una proposta di legge targata Pd che, all’abrogato articolo 154 del d.l. 152/2006, voglia sostituire una norma secondo cui un 4 per cento della tariffa venga assegnata all’azienda erogatrice nella forma della copertura del rischio d’impresa”.

Il Movimento 5 Stelle valuta questa strategia del Pd come una chiara volontà di “ripristinare la remunerazione del capitale abrogata dal referendum, una proposta che si colloca nella scia della politica liberista che -dicono- ci perseguita da 20 anni e che il vertice del Pd è il più coerente ad incarnare”.

Il sindaco di Ravenna Fabrizio Matteucci dovrà trovare una risposta convincente anche un’altra interrogazione depositata in Comune. A firmarla Nereo Foschini e Alberto Ancarani, capogruppo e vice del Pdl locale. Alla base delle loro domande al sindaco una considerazione: “Grazie alle opportunità previste dal decreto Ronchi, Hera aveva assicurato investimenti rilevanti per il miglioramento del servizio idrico e ad oggi gli investimenti realizzati, in corso di realizzazione o da realizzare sono finanziati e remunerati con la tariffa approvata da Ato 7 Ravenna, in contraddittorio con il gestore Hera e di conseguenza pagati dai cittadini con le bollette”. Tenendo conto di ciò i consiglieri del Pdl ritengono che “l’esito referendario ponga in serio dubbio la realizzazione degli investimenti programmati, come peraltro dichiarato pubblicamente dal management di Hera”.

Che cosa succederà adesso è la domanda che tutti si stanno facendo. Daniele Manca, sindaco di Imola e presidente del patto di sindacato dei soci pubblici di Hera, ha gettato – è il caso di dirlo – acqua sul fuoco: “E’ opportuno e utile – ha detto – tenere conto che ci sono convenzioni in essere con le aziende, contratti vigenti che vanno rispettati e che non vengono messi in discussione dai referendum”. Insomma, la palla passa di nuovo alla holding Hera. Il suo direttore generale Roberto Barilli, in un incontro tenutosi alla Provincia di Bologna, ha manifestato a Emanuele Burgin, assessore provinciale all’ambiente in rappresentanza dell’autorità d’ambito (Ato), la “piena disponibilità a proseguire gli investimenti già previsti dalla vigente convenzione, che per il 2011 ammontano a 26,5 milioni di euro”. “Ato ed Hera concordano – si legge in una nota- sulla validità dell’attuale convenzione, nell’attesa di poter riprendere detto percorso anche alla luce della nuova normativa che sarà definita in seguito al referendum”.



www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/16/referendum-guerra-in-famiglia-tra-hera-e-pd-i-sindaci-spaccati-merola-per-ora-festeggio...

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23/06/2011 23:46
 
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Acqua, la rivincita di Hera (e dei sindaci Pd)
A Bologna aumentano le tariffe del 3,5 %
La risposta al referendum è già arrivata, anche se la Cgil si schiera contro la decisione, lo stesso fanno i comitati che hanno promosso il voto e il Movimento 5 Stelle. E' l'epilogo che ilfattoquotidiano.it aveva già previstoA poco più di una settimana dal referendum, Hera, la società per azioni a controllo pubblico che gestisce il servizio idrico in Emilia Romagna, da Modena a Rimini, aumenta le bollette dell’acqua di un ulteriore 3,5 per cento, a Bologna e nei 60 comuni della provincia. A seguire la stangata arriverà per tutti gli altri, città piccole o grandi che siano. Poco importa se dal voto è uscita una indicazione politica sulla richiesta di acqua pubblica, dunque un bene comune e non in vendita. Poco importa se l’Emilia Romagna è tra le regioni che hanno avuto massima affluenza alle urne.

Hera, i cui manager appartengono all’area politica del Partito democratico (e la posizione ambigua del Pd il fattoquotidiano.it l’aveva segnalata più volte), va avanti per la sua strada. Così quel 7 per cento sul capitale investito che la consultazione referendaria ha tolto, viene già recuperato. E a pagarlo sarebbero gli utenti sulle bollette. Da subito.

Il tutto avviene nel momento di vuoto legislativo. In sostanza col referendum è stata abrogata la legge che prevede alle aziende una remunerazione del 7 per cento dei capitali investiti. Legge abrogata, ma che resta valida fino a quando non il parlamento non ne voterà una nuova. Ma Hera, senza perdere tempo – e con l’appoggio dei sindaci che hanno fatto la campagna referendaria – incassa i frutti della vecchia legge ancora in vigore, più gli aumenti.

La legge arriverà, dunque è meglio preparare il paracadute, hanno detto Hera (e il Pd cui fa riferimento). Ma non si meraviglia nessuno, visto che il giorno successivo al referendum il Partito democratico stesso aveva già addolcito la sua scelta referendaria e aveva spiegato con un “vedremo” quello che si sarebbe fatto.

Il problema dell’aumento, spiega Hera, non è solo conseguenza del referendum, ma anche dell’indebitamento e dei consumi più bassi. Due fattori che hanno creato qualche problematica ai conti dell’azienda. Così le bollette sono state subito aumentate del 3,5 per cento. Aumento che bissa quello dello scorso aprile, arrivando così a una crescita delle tariffe di circa il 7 per cento su base annua.

Per Beatrice Draghetti, presidente della provincia di Bologna in quota Pd, “le attuali tariffe non coprono i costi riconosciuti al gestore (Hera) e ogni anno accumuliamo debiti”. La conseguenza opportuna non è altro che un aumento del 3,5 per cento della tariffa, quindi, per “fermare la divaricazione tra entrate e uscite”. Draghetti nella nota precisa che è “molto importante una riflessione pacata e approfondita: sul tavolo ci sono infatti questioni significative. Non ci spaventano le discussioni, ci preme un esito onesto e giusto, segno di buona amministrazione”.

Giovanni Favia, consigliere regionale del Movimento Cinque Stelle, lo dice senza giri di parole: “Queste aziende fanno il bello e il cattivo tempo. Presentano cifre come dicono loro, vanno contro quelli che sono stati i risultati di una consultazione popolare”. E poi, rivolgendosi alle amministrazioni locali: “Tutto ciò è frutto di incapacità e dilettantismo del centrosinistra. Così prendiamo solo il peggio del pubblico, che è lottizzato, e il peggio del privato, che fa utile sulle spalle dei cittadini”. Dopodiché fa una proposta: “Noi chiediamo lo scorporo del servizio idrico, l’acqua è un bene non economico. Se siamo noi i primi azionisti di quelle società pubbliche-private, allora dobbiamo essere noi a controllarle. Ma così non è”.

La coperta sembra quindi essere troppo corta. Da qualsiasi parte la si tiri qualcuno resta scontento, ma soprattutto è costretto a tirare fuori più denaro. Hera sembra comunque propensa a stralciare le attuali condizioni della convenzione e la remunerazione al 7 per cento. Ma finché il parlamento non approverà una nuova legge, l’unica soluzione per gli enti locali è passare al 5 per cento.

Ieri mattina l’ufficio di presidenza di Ato 5, l’autorità territoriale d’ambito di Bologna costituita dalla Provincia e dai suoi 60 Comuni che si occupa anche della gestione nei settori delle risorse idriche e dei rifiuti solidi urbani, avrebbe avanzato le proposte di aumento ai vertici di Hera. A prima vista sembrerebbero una vera stangata post-referendum. È infatti Ato che decide insieme con Hera eventuali aumenti di tariffe. Per questo Favia ha in mente, insieme al suo collega del M5s Andrea Defranceschi, di portare in Regione il prossimo settembre una proposta di legge che sostituisca e riformi le Ato. “La situazione – dicono Favia e Defranceschi – è nata dal fatto che, negli anni scorsi, a partire dal 2004, Hera ha fatto male i suoi conti, mettendo a bilancio preventivo un quantitativo di acqua che poi non è stato in realtà venduto. Quindi ora c’è un buco nel bilancio di circa 20 milioni di euro. E a pagare per gli errori dei suoi manager ora non possono essere ancora gli utenti. Pessima, fra l’altro, l’idea infantile di pararsi dietro la scusa dei danni apportati dalla vittoria dei sì ai referendum. Una menzogna insopportabile e vigliacca”.

Quello di Ato è, comunque, un modo per riuscire a trovare una soluzione dopo l’abolizione della remunerazione al 7 per cento del capitale investito. Le consultazioni referendarie hanno infatti cancellato a larghissima maggioranza quella norma. Ma resta comunque la possibilità per gli enti locali della copertura dei costi di gestione e finanziari degli investimenti. La percentuale dovrebbe essere del 5 per cento per gli impieghi a cui Hera ha dato inizio dopo il referendum, mentre per le opere precedenti continuerà sempre la remunerazione al 7 per cento. Per ora comunque rimane ancora tutto da decidere. Lunedì, infatti, si riunirà nuovamente l’ufficio di presidenza di Ato. Per ora gli aumenti sono congelati.

Anche Massimo Bugani, eletto nel consiglio comunale con il Movimento Cinque Stelle, è categorico: “L’acqua è un bene primario, è un servizio, non deve dare un profitto”. I ragazzi di Grillo presenteranno un ordine del giorno da portare in ufficio di presidenza in Comune con l’obiettivo di modificare lo Statuto comunale per l’acqua pubblica e togliere la gestione alle aziende: “L‘acqua deve tornare completamente in mano pubblica. Se Hera aumenta le tariffe quando manca l’entrata vuol dire che qualcosa non torna. Loro puntano all’entrata economica, ma questo ragionamento non può essere applicato su un bene come l’acqua”.

Dal Pd si continua a chiedere pazienza. Raffaele Donini, segretario provinciale del partito, è convinto che non ci sia “alcuna stangata post referendum. La discussione è ancora in corso. Il Pd si confronterà prendendo in considerazione la scelta referendaria”. “Ci sono diverse posizioni – continua – che devono misurarsi. Noi siamo disposti a discutere. Non vogliamo tradire lo spirito del referendum”.

Ma anche Nadia Tolomelli, della Cgil, si dice perplessa per questo nuovo probabile aumento: “Non siamo assolutamente d’accordo. Il referendum ha posto un tema: l’acqua come bene pubblico. È necessario quindi fare un nuovo ragionamento in relazione alle tariffe”. La strada intrapresa dopo i quesiti referendari “ci sembra un percorso vecchio. Noi chiediamo un confronto e un percorso nuovo che tenga conto di quello che i cittadini hanno chiesto con il referendum”. E in riferimento ai consumi più bassi, che per Hera comportano spese maggiori e quindi aumenti delle tariffe, per Tolomelli parla di qualcosa di “insensato. Anzi, dovrebbe essere un incentivo consumare di meno, parliamo di un bene che non è infinito”.


www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/23/acqua-la-rivincita-di-hera-e-dei-sindaci-pd-a-bologna-aumentano-le-tariffe-del-35...
[Modificato da angelico 23/06/2011 23:53]

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28/06/2011 14:35
 
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«Nessun taglio alle bollette dell'acqua»
Vendola «cancella» referendum su tariffe
Il governatore: «Occorre fare i conti con la realtà
Perché non l'ho detto prima? Nessuno me lo ha chiesto»


Nichi Vendola

NOTIZIE CORRELATE
Vendola l'anti Berlusconi per i blog Usa. Ma la Cgil lo bacchetta su Irpef e sanità (22 giugno 2011)
Farmaci e fasce deboli, ticket non c'è più. A casa i medici «stabilizzati» (22 giugno 2011)
BARI - «È indispensabile fare i conti con la realtà per non precipitare nei burroni della demagogia: sull’Acquedotto Pugliese abbiamo deciso di intraprendere la strada dell’efficientamento e su quella proseguiremo. Per questo non abbasseremo le tariffe». È un Nichi Vendola con i piedi per terra quello che annuncia, a margine dell’assemblea dell’Acquedotto Pugliese (che ha approvato il bilancio 2010 - chiuso con 37 milioni di utili - e il piano industriale 2011-2014 che prevede investimenti per 674 milioni di euro con un indebitamento che raddoppierà da 219 a 402 milioni) l’impossibilità di adeguarsi a quanto deciso dal recente referendum sull’acqua appoggiato dallo stesso governatore pugliese: nonostante i «sì» abbiano abrogato la norma che consente «al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio», il taglio del 7% delle tariffe non ci sarà mai.

IL TECNICISMO - Il motivo tecnico lo ha spiegato l’assessore alle Opere pubbliche Fabiano Amati con un ossimoro ragioneristico: «In Puglia la remunerazione del capitale investito del 7% è un costo: quello che pagheremo ogni anno fino al 2018 sul bond in sterline pari al 6,92% contratto durante la gestione dell’era Fitto». «In Puglia - aggiunge Vendola - in realtà non siamo di fronte alla scelta di abbassare la tariffa del 7% e di conseguenza gli investimenti perché quella remunerazione non è utilizzata, come dovrebbe, per gli stessi investimenti, ma rappresenta la copertura di un debito e quindi dal punto di vista finanziario un costo». Resta, però, il problema politico: perché queste cose non sono state spiegate agli utenti prima del referendum? Lapidaria la risposta di Vendola: «Nessuno me le ha chieste». Né erano scritte nel quesito.

Michelangelo Borrillo
27 giugno 2011(ultima modifica: 28 giugno 2011)


corrieredelmezzogiorno.corriere.it/bari/notizie/politica/2011/27-giugno-2011/nessun-taglio-bollette-acquavendola-cancella-referendum-tariffe-1909615468...

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01/07/2011 23:04
 
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Tre morti e centinaia di incidenti
Chi sono i precari del nucleare francese Oltre ai ritardi e alla moltiplicazione dei costi, nella corsa francese all'atomo ci sono le morti bianche. Oltre ai tragici incidenti, moltissimi infortuni non denunciati. E la situazione dei lavoratori, spesso stranieri, spesso interinali, che vengono sfruttati o non regolarizzatiUn salto di una decina di metri. Mortale. L’11 giugno scorso si è sfracellato al suolo un tecnico al lavoro a Flamanville, sulla costa della Normandia, nel cantiere dell’Epr, il nuovo e supertecnologico reattore nucleare di terza generazione costruito da Edf, il colosso francese, assieme agli italiani di Enel, che detiene il 12,5 per cento della joint venture. E’ morto un uomo di 32 anni, futuro padre, responsabile della sicurezza di una parte del cantiere e dipendente della società Endel: ancora in vita è stato portato in elicottero all’ospedale della vicina Cherbourg. Ma non c’era più niente da fare.

Venerdì scorso, invece, un lavoratore di Areva, altro gigante dell’atomo made in France, impegnato in questo megaprogetto, ha staccato a notte fonda. Aveva 29 anni. E’ rimasto ucciso in un incidente stradale sulla strada del ritorno a casa. Il 24 gennaio scorso era stata la volta di un lavoratore interinale, impiegato momentaneamente dalla Norméntal, un’altra delle svariate aziende coinvolte nell’Epr, la cui costruzione fa riferimento a un capofila, il più grosso gruppo di costruzioni francese, Bouygues. L’uomo aveva 37 anni, padre di tre figli. Era uno dei cosiddetti «nomadi» del nucleare francese, personale occupato con contratti a breve (talvolta brevissimo) termine per i lavori «sporchi» da effettuare per il mantenimento delle centrali o per la loro costruzione. Si spostano da una centrale all’altra, rincorrendo uno stipendio che è sempre più basso di quello dei dipendenti di Edf o Areva, gli «aristocratici » del settore.

E’ chiaro che a Flamanville, per il resto ridente villaggio normanno, pieno di fiori, con vista sulle ciminiere dei reattori già attivi o in costruzione, qualcosa non va. Domani è previsto l’arrivo in loco di una delegazione di eurodeputati, che vogliono capirci qualcosa. E dire che il cantiere doveva rappresentare una sorta di «vetrina» per il nucleare francese. Invece ha già accumulato due anni di ritardi (i costi sono lievitati da 3,3 a 5 miliardi di euro, tanto paga il contribuente francese…). Al lavoro per il nuovo Epr ci sono 3.300 persone, per un terzo stranieri e ancora per un terzo interinali, i precari dell’atomo. Abbiamo visto i tre incidenti mortali (due all’interno del cantiere) dall’inizio dell’anno. Ma la situazione è ancora più complessa. L’Autorità della sicurezza nucleare (Asn), un organismo pubblico francese, ha portato avanti un’inchiesta, conclusa nei giorni scorsi, riguardo agli incidenti sul lavoro registrati nel cantiere. Ha appurato che le imprese non hanno dichiarato almeno 112 incidenti che si sono verificati l’anno scorso. In tutto, invece, gli ispettori del lavoro hanno ricevuto nel 2010 377 segnalazioni. Non solo: certe aziende non pagherebbero correttamente i contributi sociali e non assicurebbero una corretta protezione, sanitaria e non, ai lavoratori.

La documentazione è già stata trasferita dall’Asn alla giustizia ordinaria, che ha aperto un’inchiesta. Il dito è puntato contro Bouygues e vari dei suoi subfornitori, come la rumena Elco Construct o un’altra azienda, Atlanco. Quest’ultima, con base a Cipro, è specializzata nell’assicurare a gruppi europei operai e tecnici in arrivo dai Paesi dell’Est, dalla Bulgaria alla Polonia. Come per miracolo nei giorni scorsi Bouygues ha rotto il suo contratto con Atlanco su Flamanville. E circa settanta lavoratori polacchi se ne dovuti ritornare in fretta a casa. «Siamo dinanzi a una sorta di doppia pena – sottolinea Jacques Tord, dipendente di Edf e sindacalista della Cgt – prima vengono sfruttati. Poi perdono pure il lavoro».

Alcuni di questi operai si erano già messi in sciopero per protestare contro il fatto che su un salario di 2mila euro lordi mensili una cifra compresa fra i 600 e i 700 veniva trattenuta per il fisco e i contributi sociali in Francia, nonostante loro siano residenti (e quindi imponibili) in Polonia. Giusto un altro dettaglio, per dovere di cronaca. Il grosso dei cantieri dei reattori è aggiudicato in Francia al gruppo Bouygues. Che è proprietà di Martin Bouygues, amico da una vita di Sarkozy. «Per me lui è semplicemente un fratello», non perde mai l’occasione di dire il nostro Martin.

Nonostante questi problemi e malgrado una sfiducia crescente anche in Francia sul nucleare, proprio Nicolas è ben convinto di andare avanti. «La Francia consacrerà un miliardo di euro al programma nucleare del futuro», ha appena proclamato il Presidente. Si finanzieranno così gli studi e le sperimentazioni sulla quarta generazione dei reattori, mentre i pochi di terza in costruzione non sono ancora finiti. E i lavori appaiono interminabili. Sì, avanti tutta.



www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/30/tre-morti-centinaia-di-incidenti-chi-sono-i-precari-del-nucleare-francese...

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03/07/2011 23:02
 
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Arezzo, dove l’acqua privata costa oro
Ma il Tar: “Restituite 800mila euro” Gli aretini furono i primi a privatizzare in parte il sistema idrico. Le tariffe ad oggi restano tra le più alte d'Italia e la rete idrica continua a perdere. Ora Sel, Idv e Sinistra per Arezzo chiedono che si torni alla gestione pubblica. Intanto una sentenza del Tar Toscana, su ricorso del Comitato dell'Acqua Pubblica, decreta: "Vanno restituiti gli aumenti illegittimi su 130mila utenze"Bollette carissime, indebitamento milionario e un passaggio di azioni ai limiti della legalità per l’acqua di Arezzo, la prima provincia italiana ad aver fatto entrare in parte, nel 1999, il privato nel servizio idrico. Ora Sel, Idv e Sinistra per Arezzo chiedono che si torni alle gestione pubblica. Alla fine degli anni ’90, 37 sindaci dell’Ato 4 (Ambito territoriale ottimale) affidarono per 25 anni la minoranza della gestione a Nuove Acque S.p.A, capitanata da Gdf Suez, Acea, Monte dei Paschi di Siena e Banca Etruria.

Partiamo con i numeri di questo modello di privatizzazione che il referendum dello scorso giugno ha abrogato: i 122 milioni di euro di investimenti effettuati negli ultimi 10 anni sono meno della metà di quanto speso quando l’acqua era pubblica. Si tratta degli attuali 25 euro pro-capite per anno contro i 31 euro di quindici anni fa che, tuttavia, non scontano il tasso di inflazione dal 1985 ad oggi e quello previsto fino al 2023.

Inoltre “in base ai dati ufficiali dell’Ato (Ambito Territoriale Ottimale) nel ’98 le perdite nelle condutture di Arezzo erano del 35%, in linea con la media nazionale, attualmente, dopo dodici anni, sono al 34%”, dichiara Lucio Beloni, presidente del Comitato Acqua Pubblica di Arezzo. Il Comitato, però, in questi giorni si è preso una bella rivincita. “Nuove Acque Spa dovrà restituire a noi cittadini – spiega Beloni – 800.000 euro circa per 130mila utenze. Avevano richiesto – continua – due aumenti una tantum, ‘unici e irripetibili’, quando in realtà, a noi risultava, che si trattasse del 2° e 3° aumento ‘unico e irripetibile’ nel giro di pochi mesi”. Così il primo luglio il Tar Toscana ha dato ragione agli utenti per quegli aumenti illegittimi.

Vediamo ora, però, perché Arezzo vanta le tariffe tra le più care d’Italia. Secondo la Conviri, la Commissione nazionale che vigila sulle risorse idriche, qui un metro cubo d’acqua costa 2,28 euro contro una media di 1,37 euro. E per i prossimi anni andrà anche peggio: l’aumento previsto è già superiore a quanto consentito dalla legge: il 6,5%. Inoltre l’Ato4, unico caso in Italia, alla tariffa media aggiunge una quota fissa di 60 euro annui, contro i 10 euro della media nazionale (dati Cittadinanza sul 2007). Un sistema che nel novembre 2010 la Conviri ha sancito illegittimo, perché fa “garantire al gestore ricavi extra di 160 milioni di euro fino al 2023”. Intanto Nuove Acque lo scorso anno ha raggiunto un indebitamento di 73 milioni di euro: 58 milioni con le banche, tra cui ci sono i soci privati MpS e Banca Etruria.

Ma alle due banche non dispiacerà l’indebitamento, visto che nel 2005 hanno concesso un finanziamento (Project Financing) a Nuove Acque di quasi 70 milioni di euro a un tasso fisso del 6,2%. In totale il prestito costerà circa 16 milioni di euro in più rispetto a quello agevolato che avrebbe stanziato la Cassa Deposito e Prestiti. Ma la scelta di ricorrere alle banche soddisfa l’articolo 4 dello statuto che “obbliga ad affidare ai soci lavori e servizi”. Ed è proprio su questo punto che si giocano tutti gli interessi dell’oro blu. “La cordata privata – spiega Beloni – trae esclusivamente profitto dalla gestione dell’acqua, mantenendo in difficoltà la società in modo da ottenere l’aumento delle tariffe o l’abbassamento degli investimenti”.

L’articolo 16 dello statuto concede pieni poteri all’ad, Jerome Douziech, scelto dai soci privati, nonostante rappresentino la minoranza. I Comuni possono invece nominare il presidente. Quello attuale è Paolo Ricci, ex sindaco di Arezzo del centrosinistra negli anni in cui si affidava il servizio idrico a Nuove Acque. E se all’articolo 1 è previsto che il consiglio sia formato da nove membri (cinque del pubblico e quattro del privato), cosa meno nota è che per qualsiasi delibera occorrano sei voti.

Un intreccio di potere che nel 2009 ha portato Acea (controllata al 51% dal Comune di Roma con il gruppo Caltagirone al 15% e Suez al 10%) ad acquistare il 35% delle quote private dall’Iride Acqua Gas Spa. Un ingresso dichiarato tuttavia illegittimo da un socio pubblico di Nuove Acque. Per Danilo Bianchi, uno dei 37 sindaci dell’Ato4, si tratta di “un fatto in palese contrasto con quanto previsto nell’art. 11 dello statuto che obbliga il socio a non trasferire a terzi le proprie azioni senza il preventivo consenso scritto degli altri soci. Richiesta che, chiosa il sindaco, non c’è mai stata”.

L’accusa, affatto velata, è che l’entrata di Acea rappresenti un chiaro indirizzo verso la creazione di un unico gestore a livello regionale (Acea e Gdf hanno quote in tutte le Ato private in Toscana). Tanto che, lo scorso 21 settembre, l’Ato4 ha richiesto ai soci privati “di non procedere alla cessione delle azioni a favore di Acea S.p.a. o, nel caso un cui la cessione fosse già stata perfezionata, di vietarne lo svolgimento”. Ma sulla partnership italiana tra Acea e Suez incombe l’arrivo di una sentenza che potrebbe far vacillare ancor di più l’asse sulla gestione privata dell’acqua, messa già a dura prova dal voto referendario. Si attende a giorni l’esito del ricorso presentato dall’Antitrust che nel 2007, durante un’indagine sulla società fiorentina Publiacqua, spiegò che “l’obiettivo era utilizzare Acea come braccio armato di Suez per l’acqua in Italia”. Tanto che l’Autorità, guidata da Antonio Catricalà, comminò una multa di 11,3 milioni di euro a Suez e Acea, e che successivamente il Tar del Lazio annullò. E da qui il ricorso.

di Patrizia De Rubertis


www.ilfattoquotidiano.it/2011/07/03/arezzo-dove-lacqua-privata-costa-oro-ma-il-tar-restituite-800mila-euro...

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16/09/2011 23:38
 
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Sacconi contro l’esito del referendum
sull’acqua. E sul web scoppia la rivolta Il ministro del Welfare ha dichiarato davanti alla platea di Confindustria: "Il risultato della consultazione non è definitivo". Parole che hanno scatenato la reazione di chi si era mobilitato per la raccolta firme: "Si dimetta"Il referendum sull’acqua ha raggiunto il quorum e oltre il 95 per cento dei votanti ha scelto il “sì” per entrambi i quesiti. Per i cittadini è impensabile ignorare il significato politico di quel voto. Non è così invece per il ministro del Welfare Maurizio Sacconi che ieri, ospite a un convegno del Centro Studi di Confindustria, ha dichiarato che l’esito della consultazione popolare non sarebbe affatto definitivo. Una frase passata in sordina, ma rilanciata da un articolo de L’Unità. “Altro che sorella acqua – ha detto Sacconi – mi auguro che troveremo il modo per mettere in discussione il referendum”. Parole che hanno scatenato la reazione di chi si era mobilitato per la raccolta firme.

Il comitato referendario “2 sì per l’acqua bene comune” chiede che il ministro lasci il suo incarico di governo. Infatti con l’esito del referendum “la maggioranza dei cittadini italiani, con un voto chiaro e democratico ha, di fatto, sfiduciato Sacconi che invitiamo al più presto a rassegnare le dimissioni da ministro della Repubblica italiana”. La dichiarazione di Sacconi, “rappresenta di fatto un ‘golpe’ contro la volontà chiaramente espressa il 12 e il 13 giugno 2011 da 27 milioni di cittadini e garantita dalla nostra Costituzione, la stessa alla quale il ministro Sacconi deve attenersi”. E il comitato annuncia che il ministro e “tutti coloro che vorranno mettere in atto scempi alla democrazia contro il referendum si troveranno davanti alla netta opposizione dei cittadini e delle cittadine italiane che la scorsa primavera hanno votato 2 Sì per l’Acqua Bene Comune”. Anche su Facebook impazza la polemica su Sacconi che “non riesce ad ascoltare il popolo”, che aveva manifestato la volontà di salvaguardare la gestione dell’acqua dall’invadenza del mercato e che si permette di violare la volontà dei cittadini “come se ad essere incostituzionale fosse il referendum”. Nessun cenno invece alla polemica sulla pagina del ministro che oggi posta la notizia di uno stage a Creta presso l’Agenzia europea per la sicurezza della rete ricorda che a Roma è ancora aperto il bando per i rilevatori del censimento.

Anche don Paolo Farinella, sacerdote che aveva firmato per l’iniziativa dei religiosi che il 9 giugno hanno manifestato a Roma per l’acqua pubblica, concorda sulla richiesta di dimissioni avanzata dal comitato promotore: “Questa è la degenerazione della democrazia – osserva. – Mi pare che le dimissioni siano il minimo visto che a parole vorrebbe sovvertire la volontà popolare e la Costituzione”, ma riconosce che le dichiarazioni di Sacconi non rappresentino un caso isolato. “Esiste una volontà bipartisan di non lasciare la gestione dell’acqua al pubblico e si tratta di un’esplicita volontà politica. E quando un ministro di lascia andare a queste considerazioni ignora anche il significato di un referendum”. Specie se ha visto la partecipazione di 27 milioni di italiani.


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