È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
 
Pagina precedente | 1 2 | Pagina successiva

Don't call my name (in corso). Rating: arancione

Ultimo Aggiornamento: 29/12/2010 12:54
Autore
Vota | Stampa | Notifica email    
28/12/2010 21:29
 
Quota
Post: 173
Registrato il: 19/07/2009
Città: PAVIA
Età: 39
Sesso: Femminile
The Essential Fan
OFFLINE
CAPITOLO TERZO


1992

[IMG]http://i53.tinypic.com/5nrjol.jpg[/IMG]


One dream one soul one prize one goal
One golden glance of what should be
One shaft of light that shows the way
No mortal man can win this day
The bell that rings inside your mind
Is challenging the doors of time
It’s a kind of magic.
By roger taylor.


-sai cosa ti dico?
Camminava davanti a lui percorrendo quella salita con passo svelto, senza voltarsi e senza difficoltà ad orientarsi nel buio. Quella ormai era la sua casa più di qualunque altro luogo.
-cosa mi dici?
Mantenne il tono di sfida con il quale gli si era parata davanti con la solita domanda estemporanea.
-che chi arriva ultimo alla quercia è un tacchino!
Nat aveva pronunciato quella frase già correndo, sperando di avere un bel po’ di vantaggio sullo scatto felino di Michael, che, sapeva bene, non perdonava.
Ma lui aveva intuito tutto solo dal tono, e si era messo a correre dietro di lei molto prima di quanto immaginasse. Corse allo sfinimento ma non poté evitare il suo sguardo beffardo mentre la superava in quella corsa verso il cielo stellato, senza freni e senza motivo.
-così non vale!
Fu l’urlo di lui mentre avvertiva un peso aggiungersi repentino alla sua schiena, arrampicarsi e stringersi fortissimo fino a raggiungere le spalle, mentre due gambe gli stringevano i fianchi da dietro, in una morsa che non aveva alcuna intenzione di allentarsi. La allacciò a sé affrancando con le mani le ginocchia ai fianchi e, munito della nuova zavorra, prese a correre ancora più veloce verso la grande quercia, all’estremo apice della collina.
-yuhuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu
Natalie urlava a squarciagola, mentre una corda immaginaria sventolava sopra alle loro teste, accessorio di un’improbabile cow boy dall’aria insolitamente felice.
Risero, caddero a terra e risero ancora.
Era così semplice ora, era tutto così dannatamente semplice.
***
Il panorama dalla finestra della camera da letto era più bello che mai.
Le colline sotto di loro sfoggiavano miliardi di perle di luce che, vestite di tremante intermittenza, rendevano la città sottostante molto più affascinante e romantica, impreziosita da quell’oscurità surreale e magica il cui mistero iniziava a svanire ad est, quando le prime luci del giorno si posavano a delineare timidamente la celebre scritta.
Nessun rumore, solo quello della porta della stanza adiacente che si era aperta offrendogli un disegno se possibile ancora più meraviglioso di quello concesso dalla trasparenza della finestra a pochi centimetri.
Lei, avvolta da una vestaglia in pura seta nera, appoggiata allo stipite della porta del bagno lo scrutava con espressione indecifrabile ed una luce nello sguardo in grado di sciogliere l’ inibizione in un soffio. Aveva fatto un paio di passi verso di lui mentre la mano slacciava lentamente quel nastro che teneva uniti i due lembi di tessuto.
La guardava preda di un imbarazzatissimo istinto animale che tratteneva appena, desideroso soltanto che fosse lei a decidere i modi ed i tempi di ogni cosa.
-che ne pensi
Era stata la retorica spiccia di Brooke, che avvicinandosi aveva disteso i palmi sulla camicia scura che lui indossava, percorrendo sentieri immaginari fra il collo e l’addome.
Poi aveva sganciato da ogni asola i bottoni mentre lui, non riuscendo più a controllare il desiderio selvaggio, le aveva fatto scivolare dalle braccia la vestaglia, lasciandola completamente ed irreparabilmente nuda davanti ai suoi occhi.
Sussurrando parole irripetibili vicino al lobo che si era impegnata ad inumidire poco prima, si era inginocchiata sul suo bacino mettendo in seria difficoltà il suo equilibrio, fisico e mentale, mentre una canzone di Sinatra si insinuava attraverso le pareti, proveniente da quel mondo privo di colore appena fuori di lì.
Prigioniero di un limbo assordante e privo di vie di uscita, combatteva con il contrasto delle emozioni brucianti che quelle labbra gli stavano regalando con spietata cadenza. La mente in completa balia di quel fiume in piena alternava momenti di lucidità, in cui si assillava con domande di ogni tipo, a momenti di totale annegamento, avvolta da una nebbia di piacere troppo intensa, ma che tuttavia non era sufficiente a far cessare quella domanda, quella frase che ormai nasceva spontanea e senza permesso, ad ogni ora del giorno e della notte –dove ci porterà tutto questo-
No, non era il sesso, quello non era più un mistero per lui. Erano passati alcuni anni da quella notte del’89, quando aveva deciso di liberarsi dalle catene dei principi morali e di uscire dalle salde barricate che si era creato lui stesso; troppo pochi forse rispetto alla media maschile, ma non gli importava, ora che viveva prigioniero di quel ricordo dolce e amaro che bussava ogni tanto nelle serate d’estate, quando si fermava ad osservare la ruota panoramica nel ranch incapace di raggiungere fisicamente quella del luna park di Santa Monica.
Ora che il tempo aveva tamponato lacrime e sangue con Brooke era diverso.
Il sentimento che lo univa a lei non aveva più nulla a che vedere con quel senso di completezza assoluta, con quella forza sovrannaturale che lo aveva reso pazzo, con quella virulenza totalizzante che gli era entrata nelle fibre e che ancora oggi lo scuoteva.
No, non si sarebbe mai più lasciato trasportare con la stessa accondiscendenza dal fiume in piena, non avrebbe più permesso a se stesso una simile resa di fronte a quel calore che si era trasformato in ghiaccio istantaneamente ed aveva paralizzato il suo cuore, ora grande e vuoto, come una conchiglia abbandonata sul bagnasciuga, il cui abitante è finito chissà dove.
Il suo oggi era terrore. Terrore della solitudine.
E desiderio. Desiderio fulminante.
L’aveva presa con forza su quel copriletto di seta viola chiaro che non erano nemmeno riusciti a sollevare, ancora vestito per metà, in un impeto di frustrata voluttà, mentre la città continuava a vivere sotto ai loro piedi, al di fuori di quella stanza, ignara di aver perso di importanza, sovrastata dai loro gemiti.
Respiri strozzati nel petto e parole graffianti erano la cornice di quel ritmo che sincopato li trascinava fino in fondo, fino all’apice del piacere, fino a quando, insieme al fluire della tensione fuori di sé aveva avvertito ancora quella voce, ultimo sussulto della lucidità, che di lì a poco si era sciolta nel vapore dei loro respiri.
Dove ci porterà tutto questo.
***
Ora, era tutto diverso.
Come due colori sulla tavolozza vicini ma distanti, troppo diversi per unirsi in qualcosa di omogeneo ma ugualmente indispensabili al dipinto, c’erano due Michael, uguali ed opposti, in grado di vivere le emozioni in un modo assurdamente discontinuo.
Il dualismo si faceva a tratti talmente evidente da essere insopportabile proprio quella stessa notte, che nel giro di poche ore aveva del tutto smarrito i toni accesi della lussuria e del piacere intenso, colorandosi ora di blu, di mistero negli occhi di Natalie, di necessità della sua compagnia, così visceralmente indispensabile per l’unica cosa che desiderava veramente: non pensare.
Due colori così belli e preziosi. Due colori che non si sarebbero mai potuti fondere. Lui lo sapeva.
La guardò mentre si accomodava accanto a lui, appoggiando la testa sul suo addome per ammirare meglio lo spettacolo del cielo che sembrava così vicino. Lo aveva sempre utilizzato come cuscino, in tutti quei momenti che erano diventati rari, da un po’ di tempo. Ora sembrava completamente immersa nel suo elemento, in un mondo di silenzio, in cui le dita univano le stelle formando disegni immaginari che prendevano vita all’arrivo del vento, e raccontavano storie, e cantavano canzoni.
-Mike guarda! Ho trovato la stella più brillante dell’universo!
Sollevò lo sguardo dalle sue mani all’immensa oscurità vestita di lucciole che li sovrastava non potendo fare a meno di sorridere dinnanzi a quell’ingenuità che compariva inaspettata, in contrasto con le altre mille caratteristiche, che ora la faceva assomigliare davvero a qualcosa di piccolo e indifeso, una bambina.
-bè..non è esattamente la più brillante, ma di sicuro sarà fra le dieci stelle più brillanti della nostra galassia..
-ah si?! E tu che ne sai? Solo perché l’ho trovata io non è la più brillante?
Tu hai già la luna, lasciami le stelle no?
Non riuscì a risponderle, avvolto da un’intensa sensazione di tenerezza verso quegli occhi inviperiti che lo scrutavano dal basso. Ogni tanto, ne era convinto, era forse l’amica migliore che avesse mai avuto.
-Lo so perché quella è Vega, la quinta stella del cielo per grandezza
-Davvero?
Gli occhi di Natalie si erano ingranditi, se questo era possibile, dallo stupore.
-Si, fa parte della Lira, una costellazione abbastanza piccola ma molto appariscente, proprio grazie alla grandezza di Vega. Guarda-
Si alzò dal terreno mettendosi seduto, indicando il cielo ed unendo i puntini con le dita, come aveva fatto lei a casaccio poco prima. Anche Natalie fu costretta a sedersi dandogli le spalle, anzi appoggiandosi completamente a lui, totalmente rapita da quelle labbra che conoscevano le stelle. Avvicinandosi al suo orecchio la sua voce divenne un sussurro in grado di addomesticare la più feroce delle fiere ed iniziò il racconto che non era stato richiesto verbalmente, ma che sapeva, lei stava aspettando con paziente desiderio.
-Fu la prima lira ad essere costruita, ideata da Ermes, figlio di Zeus e di Maia, una delle Pleiadi, che inventò anche il plettro con cui suonarla.
Grazie a quella lira Ermes si tirò fuori dal guaio in cui s'era cacciato da ragazzo, quando aveva deliberatamente sottratto del bestiame di proprietà di Apollo. Infuriato Apollo si era presentato a reclamare la sua restituzione, ma quando sentì la bella musica che proveniva dalla lira lasciò che Ermes si tenesse le bestie e in cambio si prese la lira. Apollo diede poi la lira ad Orfeo, il più grande musicista del suo tempo, colui che era in grado di incantare le pietre ed i corsi d'acqua con la magia che emanava dai suoi canti, per accompagnare con essa le sue canzoni. Con il suono armonioso della sua lira Orfeo, unitosi alla spedizione di Giasone e degli Argonauti alla ricerca del vello d'oro, aveva perfino coperto le voci tentatrici delle sirene, ninfe marine che avevano adescato ed eliminato diverse generazioni di marinai. Così in molte altre imprese il magico suono della lira aveva accompagnato la vita di Orfeo portandogli buoni auspici e guidandolo come un prezioso talismano, e nel contempo allietando cuore e mente con le sue note irriproducibili, fino al giorno in cui sposò la ninfa Euridice.
L’amore che li univa non si può raccontare, lo profaneremmo. Possiamo solo dire che è impossibile immaginarlo.
Orfeo non viveva senza lei ed Euridice non viveva senza lui, si nutrivano soltanto dell’aria, poiché in essa era contenuto tutto ciò di cui il cuore innamorato necessita: Amore. Ma la bellezza di Euridice era il desiderio anche di altri, così Aristeo, un figlio di Apollo, un giorno in preda ad un raptus di passione l'assalì, e mentre tentava di sfuggirgli la donna inciampò in un serpente che la uccise all’istante con il suo morso velenoso.
Ad Orfeo si spezzò il cuore. Pazzo di dolore ed incapace di vivere senza la sua giovane sposa discese nell'oltretomba a chiedere che gliela restituissero. Questa era una richiesta senza precedenti. Ma il suono della sua musica affascinò persino Ade, il dio di quel mondo sotterraneo, che alla fine consentì che Euridice ritornasse con Orfeo nel mondo dei vivi, ad una condizione: Orfeo non doveva girarsi a guardare indietro fin quando i due non fossero di nuovo sani e salvi all'aperto.
Orfeo accettò prontamente e fece strada ad Euridice lungo l'oscuro passaggio che portava al mondo soprastante, strimpellando la lira per guidarla. Ma quella di essere seguito da un fantasma era per lui una sensazione snervante che nemmeno la sua lira fu in grado di acquietare. Non poteva essere perfettamente sicuro che la sua amata fosse dietro a lui, ma non osava voltarsi per accertarsene. Alla fine, quando erano quasi in superficie, i suoi nervi cedettero. Si girò per assicurarsi che Euridice fosse lì, e proprio in quell'istante lei scivolò nelle profondità del Regno dell'Oltretomba, perduta per sempre. Orfeo fu inconsolabile. Vagò per la campagna suonando musiche malinconiche sulla sua lira. Molte donne si offrirono di sposarlo, ma lui rimase per sempre solo, evocando il ricordo di Euridice con il dolce lamento del suo canto.
-e poi?
-e poi cosa?
-come va a finire?
Glielo chiese con impazienza, ma senza staccare gli occhi dal cielo, che si era trasformato in un teatro vero e proprio, in cui avevano preso forma le voci e le persone, in cui poteva vedere il racconto di Michael diventare realtà.
La sua guancia era ormai completamente adesa a quella fresca di lei che, totalmente sopraffatta dalla curiosità, non si era accorta di nulla in quella posizione con il naso all’insù. Un brivido lungo la schiena lo attraversò senza che potesse anche soltanto interrogarsi sul perché, mentre una forza strana non gli consentì di muovere un solo muscolo.
-ma è finita!
-non è possibile, non hai detto come ci va a finire la lira lassù, fra le stelle
-ah si, è vero. Non si sa molto su come morì Orfeo, si pensa che avesse provocato le ire del dio Dioniso per non averlo onorato abbastanza. Orfeo infatti reputava Apollo, dio del Sole, la divinità massima e se ne stava spesso seduto sulla sommità del Monte Pangeo in attesa dell'alba per essere il primo a salutare il Sole con le sue melodie. Per ripagarlo di quest'affronto, Dioniso mandò i maniaci suoi seguaci ad ucciderlo. Comunque siano andate le cose, alla fine Orfeo raggiunse la sua adorata Euridice nel Mondo dell'Oltretomba e le Muse posero la lira fra le stelle con l'approvazione di Zeus, loro padre.
-così alla fine hanno potuto stare insieme
-già, alla fine
-anche se lui è stato scemo forte eh!
-ma..Nat, come scemo, è mitologia, non..
-ho capito ma se il signor Ade gli aveva detto di non girarsi lui perché l’ha fatto? Perché non siamo mai contenti di quello che abbiamo, perché non vogliamo mai aspettare, vogliamo tutto e subito, e quando la felicità arriva davvero..Bam! non ce ne accorgiamo, la lasciamo ripartire senza averne presa un po’, totalmente incapaci di viverla.
La guardò intensamente in quegli occhi neri come la pece. Il cuore era andato a battere chissà dove mentre aveva udito le sue parole, mentre si era sentito nudo di fronte alla verità uscita da una bocca troppo giovane per conoscerla così. Ma era evidentemente soltanto una sua errata considerazione a questo punto.
Si allungò di poco per afferrarle quel polso sottile e tirarla a sé, non sapeva assolutamente perché ma doveva farlo, era qualcosa di più forte della volontà, della logica e perfino del buon senso, doveva farlo. E lo fece.
Pur essendo girata di spalle lo avvertiva su di sé come un velo leggero, ma presente, palpabile. Non conosceva il motivo di quello sguardo, non sapeva nulla al di fuori di quello che lui voleva concederle con le parole, intuiva. Intuiva e basta, solo vedendolo da lontano, solo dal modo in cui camminava o si voltava quando qualcuno lo chiamava, intuiva la sua stanchezza alla sera, la sua reticenza a parlare, la sua voglia di averla vicino, la sua rabbia, la sua esuberanza, il suo dolore. Non avrebbe mai udito certi pensieri esplicitarsi in parole. Si sarebbe sempre e solo accontentata di udirli sussurrati dalla sua stessa voce interiore, che tutto capiva, ed alla quale poco sfuggiva.
Una lieve tensione al polso, la sua mano la fece voltare verso di sé, lentamente. Non ebbe il coraggio di affrontarlo guardandolo negli occhi come sempre, ma non oppose alcuna resistenza lasciando che dirigesse quel movimento senza un senso.
Non voleva incrociare il suo sguardo, lo avrebbe spogliato definitivamente di quel briciolo di coraggio che gli era rimasto, e che ancora gli serviva per allacciare le mani dietro alla sua schiena ed affondare il viso fra i suoi capelli.
-stringimi
Glielo disse ma a lei parve di aver sognato. Forse per un attimo smise anche di respirare, ma gli concesse quello che desiderava, anche se non lo aveva mai chiesto così intensamente, così disperatamente, così intimamente. Era sempre stata per lui una compagna di giochi, di battute, di guerre con i palloncini d’acqua, di battibecchi e scorpacciate, di ricordi e discorsi che non si potevano annoverare esattamente nella categoria “serietà”. Non era mai capitato questo.
Preferiva farlo ridere o arrabbiare, a seconda dei casi, era così che amava stargli accanto, spesso per pochissimi minuti al giorno, più di rado per alcune ore, alcune volte per un lasso indefinito in cui perdeva completamente la concezione del tempo e dello spazio. In ogni caso i sentimenti erano troppo difficili da definire per lei, e risultavano sempre scomodi una volta palesati. Cambiavano le carte in tavola, costruivano sensi del dovere e sensi di colpa su alte palizzate che era poi troppo difficile riverniciare, una volta rovinate.
-forse sto sbagliando tutto
Un altro sussurro fra i capelli, un altro brivido.
-forse. Ma non lo saprai mai se non provi
Un alito di vento.
-stringimi ancora
Ora la testa le girava vorticosamente, ma non sapeva stabilire assolutamente cosa fosse o non fosse reale, quindi non prestò molta attenzione a quest’ultima sensazione arrivata, mentre lui aveva già aumentato quella pressione delle braccia attorno a lei con abbandono disarmante. Lo strinse ancora, passando i palmi sulla schiena coperta da una camicia bianca di seta che le lasciò una sensazione di fresca sfuggevolezza per diversi minuti. Quel profumo percepito solo a tratti ora era più intenso che mai, -non dimenticarlo, non dimenticarlo- continuava a ripetersi mentre riempiva i polmoni per afferrarne anche la più remota molecola. –non dimenticarlo, fallo durare, fissa questo momento strappato a non so chi, conservalo, imprimilo, incollalo, stampalo nella testa, perché non tornerà. Rendilo immortale dentro di te-
Poi avvertì il naso insinuarsi fra le sue folte ciocche corvine e le labbra posarsi infine sulla linea del collo. Un attimo di esitazione, poi il respiro di Michael le solleticò la pelle in un moto involontario. Farfalle volavano ora in ogni parte, dentro di lei, fuori, intorno. Le vedeva con la coda dell’occhio, poi a tutto campo, poi non le vedeva più, -tanto sto solo sognando- si ripeteva per non soccombere al silenzio che li custodiva sospesi a metà.
-NATALIA!
Una voce da lontano a squarciare l’atmosfera onirica. Si separarono intorpiditi, cercarono pieghe nei vestiti da lisciare o da scrollare dall’erba, si schiarirono la voce guardando il terreno.
-E’ mia madre, devo andare
-si…ora..
-no, tu resta qui..
-ti accompagno
-NATALIA!
-no, non e’ necessario
-ma..
-ciao testone
Un sorriso.
Si era già voltata alla ricerca delle bianche pietre piatte che formavano il sentiero del ritorno.
-quando ci vediamo?
Si era alzato in piedi a chiederlo, con un’urgenza che da subito gli era sembrata esagerata, ma che non era riuscito a contenere, tuttavia.
-mah..chi può dirlo..
-ah si?
-domani scemo. Ciao!
Un freddo familiare si impossessò dei suoi polmoni mentre la guardava andare via. Si distese sul tappeto erboso della collina che lo catapultò istantaneamente e di nuovo verso quel cielo che era stato teatro di un incontro d’anime che non aveva e non avrebbe mai previsto, così potente e sfacciato da essere divenuto clandestino, alla fine, senza alcun motivo apparente. Ed era lì quasi boccheggiante per l’emozione, spaesato ma gratificato da una sensazione che nemmeno lui era riuscito a focalizzare. Non aveva risposte per ora, e forse era questo a rendere unico quel momento appena vissuto, appena sfuggito, segreto prezioso e da dimenticare, che sarebbe rimasto per sempre custodito dalla muta e remota luce di Vega.
***


1983

[IMG]http://i53.tinypic.com/17y7p5.jpg[/IMG]

(Condado Beach, San Juan- Puerto Rico)


-Quando il cielo diventa viola è l’ora della malinconia, lo dice sempre Mama.
Non mi sembra vero, non mi sembra possibile tutto questo, ma tutto porta a pensare che mi sto sbagliando. Ancora poche ore e ce ne andremo. Ancora poche ore e tutto questo sarà soltanto un ricordo, doloroso ed opaco, poi sempre più sfocato, finchè scomparirà senza nemmeno aver ricevuto commiato.
Sono magra, ho la pelle secca e scura. Al posto di quelle che dovrebbero assomigliare a floride noci di cocco ho due datterini raggrinziti, lo so.
-sei meravigliosa così come sei
-Non bevo molta acqua. Mama dice che sono una bambina e tutti mi assegnano un’età inferiore alla mia. Nessuno sa che ti amo. Nessuno sa che si può amare anche a quattordici anni. Pensano che sia pazza quando mi strappo i capelli ed inghiottisco litri di sangue dalla lingua che mi mordo per il nervoso. Credono che sia pazza. E lo sono. Le notti in bianco si seguono fra loro tutte uguali ed hanno formato una scia così lunga che non ne ricordo più l’inizio.
-Paula, mi amor..
-non parlare
-non mi lasciare, non te ne andare
-ormai è tutto deciso. Domani mattina presto partiremo. Mama ha trovato un lavoro in America. Dice che staremo meglio, dice che lì le persone stanno bene e c’è tanto lavoro. Natalia ha solo otto anni, mama dice che vuole per noi una vita più bella. Nessuno sa che anche se non vado a scuola ho imparato a leggere. Amo la letteratura. Neruda, le sue poesie. Marquez, il premio Nobel l’anno scorso. Ho divorato tutti i libri che potevo. Luìs, non voglio lasciarti.
-non piangere, ti prego non piangere, io ti seguirò, non ti lascerò mai andare, mai
-non dire assurdità. Siamo insieme solo in quell’effimero alito di tempo che è relativo, sembra così veloce ora che siamo vicini e sarà così lento da domani, quando l’infinito ci separerà. Viviamolo tutto
-come sei saggia mio amor, anche se non capisco tutto quello che dici. Morirei felice solo ascoltando il suono della tua voce, anche non capendo nulla
-Luìs, il destino è stato crudele con noi. Ci ha fatto assaggiare questo dolce tormento per toglierlo e riprenderselo subito. Ma io voglio prenderne finchè non ci separerà con i suoi artigli. Vieni, entriamo in acqua, lasciamoci cullare, voglio essere tua per la prima volta e per sempre.
Si guardarono intensamente, poi senza aggiungere una sola parola si presero per mano, lui le baciò il palmo tenendo serrati gli occhi per alcuni secondi inspirando il suo profumo. Poi si diressero piano verso la prima onda che andava a morire sulla sabbia rosata dal sole, entrarono nell’acqua che non aveva ancora smaltito il calore dei raggi brucianti che avevano dominato il cielo per tutto il giorno, ed ora, anche ora che erano morti volevano lasciare la loro firma.
Si amarono in silenzio alla luce di quel tramonto che sembrava irripetibile per il colore viola, quello che invitava alla malinconia. Si amarono nell’acqua quei poco più che bambini, troppo piccoli per il dolore, troppo piccoli per quell’amore. Si amarono nella bruciante consapevolezza del mai e del più uniti insieme a sancire una condanna, verdetto impietoso per un fiore così bello e fragile. Si amarono registi di una passione mai sperimentata, vincitori per un attimo e vinti per sempre dal tempo che passava e lasciava solo lacrime.
Si amarono nella muta promessa di vivere per sempre felici nei meandri dei loro ricordi.


1992

[IMG]http://i54.tinypic.com/29uzo3.jpg[/IMG]

I'm falling into you
This dream could come true
And it feels so good falling into you
Falling like a leaf, falling like a star
Finding a belief, falling where you are
Catch me, don't let me drop,
Love me, don't ever stop.
So close your eyes and let me kiss you
And while you sleep I will miss you.
By Celine Dion


Quarantadue gradi, non meno. Il cielo terso, non un alito di vento, non una nuvola e nemmeno il canto di qualcuno dei numerosi Ara Giacinto, i preziosi pappagalli dalle piume blu cobalto che riposavano spossati anche loro, appoggiati ai telai delle ampie uccelliere. Vociare indistinto vicino alla casa, rumore di gioco.
Stavano per scoccare le 16:00 e non era ancora sceso, vittima di un sonno insistente e difficile da debellare. Dopo gli intensi crampi alla schiena della sera prima aveva dovuto prendere qualche sedativo, glielo aveva prescritto il medico. Intorpidito, poco lucido e già stanco ancor prima di affrontare la giornata, gli ospiti ed il mondo, si chiedeva come avrebbe fatto a sopportare tutto. Uscire da quella porta gli costava quanto scalare un monte, ma lo fece, conscio di non avere scelta.
Arrivato all’imbocco della scalinata che conduceva direttamente alla sala principale si dovette però ricredere: le cose non erano andate così male finora, rispetto allo spettacolo che gli si stava presentando davanti agli occhi.
-che succede
Il tono urgente tradiva l’impazienza di avere una risposta. Ma era troppo, risuonava stridulo ed innaturalmente concitato.
-buongiorno Mr Jackson..
-Miranda, che succede
Non l’aveva mai guardata con un’espressione così seria. Un senso di fastidio alla base dello stomaco, disagio.
-mi scusi Mr Jack..
-non scusarti e dimmi che diavolo sono queste valigie!
Gli occhi erano fuoco come le guance, e se ne stavano spalancati a fissarla con una pretenziosità che non gli era mai appartenuta. Non era solito rivolgersi in quel modo alle persone e lei aveva già sentito odore di guai.
-s-sono di mia figlia, Mr Jackson..le stavo preparando perché è in partenza, mi dispiace, non immaginavo di doverla avvertire, io..
-in partenza per dove
Sembrava non interessargli nulla del resto. Era concentrato su quei bordi marroncini che rivestivano la tela dei quattro ampi borsoni. Natalia Gomèz. Si intravedeva scritto con un pennarello nero sulla targhetta che pendeva da uno dei quattro lacci che richiudevano una delle sacche. Il sangue gli affluiva e defluiva al cervello con disarmante velocità, alternando forti giramenti di testa a pulsazioni così violente da fargli credere che gli sarebbero esplose le orecchie da un momento all’altro.
-per Harvard signore. E’ stata presa.
Per un attimo gli parve che tutti e cinque i sensi si fossero azzerati lasciandolo solo sul fondo di un pozzo profondissimo. Nemmeno il mezzo sorriso di Miranda fece in modo che il buonsenso trasformasse quell’espressione basita in qualcosa che si avvicinasse alla sincera contentezza per un’amica che ha raggiunto il suo obiettivo. Nel silenzio imbarazzato che si creò ebbe appena l’accortezza di mormorare un –mi scusi Miranda- prima di catapultarsi giù dalle scale.





Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 2 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 12:55. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com