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Don't call my name (in corso). Rating: arancione

Ultimo Aggiornamento: 29/12/2010 12:54
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28/12/2010 21:03
 
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Grazie ragazze, sono contenta di ritrovarvi anche qui!! [SM=g27836]
Anto il ForeverDarling è un forum dedicato principalmente alle ff di cui sono amministratore insieme ad altre ragazze. Non so se posso lasciare il link qui, non vorrei fare dello spam non consentito..fammi sapere nel caso.

Per chi invece non ha mai letto si prepari ad una raffica di capitoli in arrivo, fin dove sono arrivata a scrivere. Baciiiii

Capitolo secondo


1975

[IMG]http://i37.tinypic.com/16llb9f.jpg[/IMG]



With a child’s heart
Go face the worries of the day
With a child’s heart
Turn each problem into play
No need to worry
No need to fear
Just being alive
Makes it all so very clear
mjj


Era un cestino molto simile a quello che aveva deciso di portare con sé per andare al mercato. Solo che all’interno non c’erano frutti, radici o vento. All’interno c’era una cosa viva, lo si poteva sentire perché respirava, nel buio di quel sottoscala alla periferia estrema della ciudadela di San Juan, nell’isola di Puerto Rico, all’estremo sud dell’ultima costa americana. La Florida.
Ebbene, all’interno di tale agglomerato ai margini, era pur possibile essere ancora più reietti ed esclusi, era possibile essere ulteriormente scartati, era possibile trovarsi in un cestino di vimini, in un sottoscala di Calle Pelayo.
Tuttavia un tale ritrovamento non destò lo stupore che ci si potrebbe aspettare, nemmeno la metà del nostro almeno, perché Mama era una donna del mondo, del suo mondo, e sapeva benissimo a cosa andava incontro ogni mattina quando si svegliava, quando si preparava per il nuovo giorno. Era come un tacito patto fra lei e il destino –lei ci credeva molto nel destino- non lo aveva e non lo avrebbe mai sfidato, per nulla al mondo; avrebbe accettato ogni incombenza, ogni fardello, avrebbe imparato da ogni errore, si sarebbe rialzata senza lamentarsi dei lividi.
In cambio lui le avrebbe regalato la certezza di vincere contro il male oscuro di quella solitudine contenuta nella foschia umida che avvolgeva ogni mattino del suo cuore.
Lui, signore indomato e beffardo, destino, fato, comunque lo si voglia chiamare, ogni tanto sapeva essere riconoscente ai devoti, e li graziava di un semplice gesto, concedendo una briciola che sarebbe dovuta bastare per un’intera vita, ma così saporita e totalizzante per coloro che non avevano in bocca alcun sapore.
Così era. Ogni pettirosso smarrito, non desiderato, dimenticato arrivava a lei. Solo di questo voleva gioire Mama, che arrivassero alla sua casa, che potesse accoglierli, che potesse essere la loro Mama, e che quella costruzione pericolante potesse essere il loro nido.
-Paulina, rosa mia, corri a chiamare Glauco di sopra, vai!
-hai visto mama, non mi credevi tu!
-ora corri bonita, corri su!
La sollevò da quel cestino che, seppur di dimensioni contenute, era troppo ampio per un esserino così piccolo. La sollevò da quel punto scuro e la portò alla luce. Era piccola, molto piccola, era una bambina, e Mama non ebbe bisogno di conferme, quegli abissi più neri del colore che riveste il nostro universo erano di una bambina.


1992

[IMG]http://i38.tinypic.com/2147bz4.jpg[/IMG]

Let’s meet in heaven, Won’t you?


Il sole che filtrava dalle vetrate smerigliate creando fasci geometrici a decorare la monotonia del parquet scuro si posò anche sul letto, creando una piacevole interferenza con il buio del dormiveglia. Nel tepore creato dalle coperte leggere si riusciva a sognare anche da appena svegli, in un tentativo di prolungare quel dolce riposo appena svanito, pensando al nuovo giorno, alle cose da fare, nell’attesa della risoluzione necessaria per uscire dal bozzolo e passare all’azione.
Appoggiata al guanciale la chioma corvina schivava di poco il fascio luminoso, e pareva ancora spenta, cornice di una mente ancora quiescente, che invece, contro ogni ragionevole sospetto era già laboriosa fra il frusciare della stoffa.

mmmmm..Come mi sono divertita ieri sera, tutta quella gente, ma quanto ho ballato?! E quelli che ballavano peggio di me..ma chi erano alla fine?? Mah..chissenefrega, erano fuori quanto me ed in certi casi è l’unica cosa che conta. E meno male che ho mandato giù un po’ di nettare degli dei, altrimenti che noia mortale.. e anche Michael si stava rompendo, non mi venga a dire cazzate! E’ strano in questo periodo, lo vedo da come mi guarda, c’è qualcosa che mi deve dire ma non ci riesce. Il solito tacchino, quando succede qualcosa entra in paranoia cazzo. Ormai lo conosco. Ci vorrà del tempo prima di sapere cosa c’è, lo so..e allora come dicono i cinesi: siediti sulla riva del fiume e aspetta, vedrai passare il cadavere del tuo nemico, presto o tardi. Bè, non è un mio nemico ovviamente, quindi non so quanto possa essere azzeccato ‘sto termine, e se è per questo non è nemmeno cinese.. ahahahaha oddio Michael con gli occhi a mandorla..oddio! Ma ho spento la sveglia nel sonno?!? E’ tardissimo mi devo alzare cazzoooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo!

In tutti questi pensieri era immersa Natalie, che si era svegliata prima della sveglia –lei non l’aveva ancora realizzato- in quella mattina di inizio estate. Una lieve emicrania era il fastidioso strascico della serata precedente, i capelli arruffati, il vestitino bianco di raso ancora addosso. Ora ricordava: l’aveva portata Michael di sopra, e non si era permesso di sfilarle l’abito per aiutarla a mettere il pigiama con il quale avrebbe dormito sicuramente più comoda. –mah, che ragazzo strano, mi avrà vista in mutande mille volte, chissà perché ieri sera non mi poteva infilare un pigiama..vallo a capire!
Non prestò molta attenzione a questo dettaglio comunque, pensando che fosse brillo anche il suo amico a cui piaceva fare il santerellino, e che quindi non fosse stato in grado.
Scese dal letto e, ancora barcollante, si diresse verso la porta del bagno. Ne uscì quindici minuti più tardi, seguita da una densa nube di vapore profumato del sapone per il corpo che era solita usare. Infilò il solito paio di jeans strappati, una t-shirt bianca da yuppie di qualche taglia più grande della sua con la scritta “love is the answer” ed un arcobaleno sullo sfondo, un paio di scarpe da ginnastica tutte rovinate, un velo di mascara ed uscì dalla stanza sbuffando –si ricomincia- disse a se stessa ed inforcò le scale per il piano inferiore. La scuola era finita, ma questo non significava vacanza per Natalie, era più libera ora, e poteva aiutare a tempo pieno sua madre con gli innumerevoli lavori di ogni giorno.

Rumore di passi sulle scale ricoperte dalla moquette cobalto, che tuttavia non riusciva ad attutire del tutto lo spostarsi delle persone che scendevano o salivano. Ma quel passo svelto era inconfondibile alle sue orecchie, era Natalie che andava al lavoro, ne era sicuro. Lei era l’unica in tutta la casa a non avere il minimo riguardo per gli orari e per le persone che eventualmente dormissero più a lungo di lei, ogni mattina era la stessa storia: si alzava alle sei e per le sei e trenta percorreva il corridoio centrale a passo pesante e strascicato, per poi acquisire improvviso entusiasmo proprio all’imbocco della rampa, nella quale si catapultava subito dopo saltellando e scaricando tutto il suo peso molleggiando da un gradino ad un altro.
Le camere degli ospiti comunque erano abbastanza lontane da quella padronale da non farlo considerare un vero e proprio atto di disturbo, a quell’ora inoltre Michael era già sveglio nella maggior parte dei casi. Si trattava piuttosto di una questione di principio, di educazione. Più volte glielo aveva fatto notare, ma non c’era nulla da fare con lei, era più testarda di un mulo quella ragazzina; infatti, dopo averlo liquidato con un “se sei già sveglio perché rompi?”, la mattina seguente riprendeva a fare lo stesso.

Se ne stava appoggiato al vetro che apriva un varco sull’immensa vallata bagnata dalla rugiada del mattino. La camicia rossa in mano, il torace nudo che si lasciava accarezzare dai primi deboli raggi del giorno, gli unici forse che non lo ferivano con la potenza e l’intensità che avrebbero acquisito solo dopo poche ore.
Gli piaceva stare nella luce, quel senso di calore lo completava e lo nutriva, lo curava e lo guariva da quel freddo dentro, da quella foschia umida e densa che avvolgeva ogni mattino del suo cuore.
La pelle liscia aveva toni variabili in base alla zona, anche se ormai una marea lattea aveva inghiottito quasi del tutto il bel colore ambrato di pochi anni prima, delle sue origini che svanivano sempre più.
Una mano grande e nodosa percorreva lunghi tratti giungendo a tale amara constatazione in una carezza angosciata, alla ricerca dell’ennesimo inaspettato mutamento, dell’ennesimo difetto, dell’ennesimo dispetto di quel destino fortunato e crudele di cui subiva l’aura ogni giorno.

Questa è una di quelle giornate in cui non uscirei nemmeno dalla mia stanza. È tutto un caos, la mia vita, il lavoro, la mia testa. A fine mese inizia il tour e sembra non essere pronto nulla, oggi ennesima giornata estenuante di prove, fra un’ora parto per Los Angeles. Se Elliot non si riprende entro una settimana dovrò assumere una nuova assistente. Sempre tutto insieme, sempre tutto nel momento meno opportuno, come se non avessi abbastanza problemi. Sono un fantasma. Sto diventando un fantasma. Stasera devo andare da lei, glielo chiederò. Ho il cuore in gola al solo pensiero, ma lo devo fare, ormai ho deciso. Questa è la mia occasione di essere felice, di non essere più solo, non posso lasciarla sfuggire.
Ma senti quell’elefante di Nat che diavolo di casino sta facendo! Io…non ho parole!

***

Le ore passavano lente mentre il vento aveva spazzato via tutte le nubi rendendo quella macchia azzurra fra una foglia e l’altra ancora più nitida e luminosa. L’aria secca solcava le superfici esterne ed interne dell’immensa abitazione e faceva venire sete, se vi si rimaneva a lungo esposti.
Dopo aver aiutato sua madre a sistemare gli interni ora si trovava in giardino per prendere una rapida quanto salubre boccata d’aria dopo l’intenso lavoro della mattinata, trascorsa ad aspettare la pausa pranzo con impazienza. Non conosceva nemmeno lei il motivo di tanta irrequietezza, solitamente era responsabile e ligia, lavorava senza sosta senza mai pensare ad altro fino alla fine del turno, ma quel giorno tutto era strano, uno strano tarlo nel cervello rendeva tutto motivo di un’impalpabile quanto fastidiosa preoccupazione.
Camminava nel parco e annusava i profumi che arrivavano insieme al vento, apprezzava i colori come se non li avesse mai visti, memore di quella conversazione con Michael della notte appena trascorsa.
Già, Michael. Anche se non riusciva a definirlo con precisione sapeva che quel senso di inquietudine era dovuto a lui, che in quel momento si trovava a chissà quante miglia da lì, che provava le sue canzoni e le coreografie per quello che sarebbe stato il suo secondo tour da solista, ormai imminente. Sarebbero rimasti lontani per chissà quanti mesi, con fusi orari completamente opposti visto che sarebbe stato in Europa, persone diverse avrebbero intersecato i loro percorsi e non ci sarebbero più stati i loro momenti, quelli che li portavano via da tutto il resto, quelli che la facevano sentire viva. Forse era per questo, forse si. –ma che razza di pensieri da rammollita sto facendo?!- chiuse gli occhi e si mise ad ascoltare la danza delle foglie finché, giunta in prossimità delle finestre delle camere, non si trovò a scrutare in direzione di quell’apertura al secondo piano, un po’ più piccola delle altre, un po’ più nascosta. La finestra della camera di Michael.
Rendendosi conto di quanto quel gesto ordinario quanto irrazionale le venne da ridere al pensiero di lui, Aveva scelto di non pensarci troppo per il momento comunque, in attesa di una soluzione divina che ponesse fine all’angoscia che l’attanagliava al solo pensiero, ogni volta. –ma che mi sta succedendo? Io starò benissimo, ho le mie cose, i miei amici, il mio mondo..


-mi regali qualche biglietto? Ti prego..
-non se ne parla! Sei troppo piccola per venire in mezzo a quella bolgia infernale!
-starai scherzando vero?! Dimmi che non l’hai detto sul serio, dimmi che non sei davvero così jurassico!
-non scherzo affatto, tu non hai la minima idea di quello che succede lì dentro. L’aria irrespirabile, la gente ammassata, il caldo..è proprio fuori discussione che tu venga!
-allora fammi venire nella zona vip, dove si siedono le persone importanti, dopotutto io sono importantissima, se non ci fossi sai che noia!?! No anzi: verrò dietro alle quinte e mi godrò il concerto dal palco eh? Che dici? Così magari do una mano, non so i tecnici, il trucco, che ne so..ci sarà bisogno di due mani in più no?!
Aveva guardato in aria scuotendo la testa, quella ragazza era veramente un bussolotto di dinamite pronto a detonare in ogni momento, con la caratteristica di autorigenerarsi, quindi una volta esplosa con le sue mille idee pazze e senza capo né coda era pronta a farlo di nuovo e ancora e ancora, fino allo stremo delle forze del suo malcapitato interlocutore, che in questo caso era lui.
-Natalia! Non infastidire il Sig. Jackson con le tue chiacchiere! Mi scusi Signore, mia figlia non sa tenere a freno la lingua, la perdoni..
Una donna sulla cinquantina abbondante si era affacciata alla finestra attirata dal vociare nell’atrio. Era la sua governante, una delle persone più fidate di tutto lo staff, professionale ed onesta, non aveva mai chiesto nulla al suo datore di lavoro, nemmeno un giorno di permesso oltre a quelli previsti dal contratto. Aveva lavorato ad Encino prima di seguirlo a Neverland, e nutriva per lei un certo affetto, era diversa dagli altri. Era confortevole, emanava il calore delle mamme.
-no Miranda, non scusarti, è un po’ dispettosa, ma.. devo dire che è davvero divertente averla intorno...

Con il tono gentile di sempre l’aveva rassicurata, elargendo un sorriso sincero e leggermente divertito anche per la sua espressione apprensiva, che tamburellava fra gli occhi del padrone e quelli della figlia, in cerca di un rimprovero che non era arrivato.
Voltandosi per continuare la sua passeggiata le aveva riservato uno sguardo di intesa molto eloquente, poi nel passarle accanto l’aveva sfiorata con un delicato tocco della mano sulla guancia, e le aveva bisbigliato all’orecchio -adesso mi devi un favore, ragazzina- per poi eclissarsi dietro al suo albero preferito con il sorriso della vittoria sul viso.
Il ricordo affiorato dai meandri di quella mente troppo sovraccarica per quel giorno l’aveva tenuta imbambolata -per non dire prigioniera- un lasso di tempo troppo lungo, seduta su una di quelle panchine di bronzo di fronte alla grande fontana. Il sole non brillava più dietro alle fronde, piuttosto formava un disegno astratto sulla linea dell’orizzonte, come se vi fosse stato incollato con una pressa, e poi immortalato nel suo ultimo meraviglioso sussulto di luce, prima di andare a scomparire dietro alle colline.
***

-allora signorina, la cena è stata di suo gradimento?
-si, passabile diciamo..
-passabile?!? Mioddio ho creato un mostro!!
Rise alla battuta di lui e bagnò di nuovo le labbra in quel calice di cristallo che, nonostante tutto, sembrava opaco di fronte al bagliore dei suoi occhi. Si sentiva osservata, scrutata, studiata, e la cosa non le dava alcun dispiacere, visto che indossava uno degli ultimi abiti di Valentino, non di alta moda ma comunque un bel prÊt-à-porter rosso fuoco, dall’ampio spacco sulla coscia e di un tessuto morbido come il cachemire ma leggero come la seta che sarà valsa quanto un’automobile, e nemmeno fra le più comuni forse. Orecchini brillanti si intravedevano attraverso la folta chioma mossa e fluente, labbra rosse come ciliegie appena colte, decolletè abbinate, chanel n°5. Era perfetta e amava mostrarsi agli altri nella sua mise più sgargiante, ma soprattutto, amava mostrarsi a lui.
-che ne dici di fare due passi? Potremmo andare da me, sai, hanno appena finito il laghetto dei cigni, manca solo una piccola cascata e poi sarà finito..- pensava che così sarebbe stato più facile, il buio, il chiaro di luna, così avrebbe potuto dirle quello che ormai sentiva da tempo, protetto dall’oscurità e da qualsiasi disturbo esterno.
-si, non mi dispiacerebbe, anche se- si avvicinò lentamente al suo orecchio abbassando notevolmente la voce in un tono più suadente che gli procurò come prevedeva un intenso brivido lungo la schiena –non sarebbe male nemmeno andare da me e saltare tutta la parte dei convenevoli, le passeggiate e quant’altro. Michael, ho voglia di te stasera..
Quello che lei aveva definito “convenevole” per lui era un punto focale dell’incontro, una parte essenziale ed insostituibile, la parte dell’attesa, in cui cresce la tensione, la parte in cui si rimane sospesi su uno spicchio di luna nell’inconsapevolezza e nella paura mista ad eccitazione, la miccia che garantiva la riuscita dell’esplosione perfetta. Arrossì violentemente dinnanzi a tale palesata impazienza, ma la reazione che questo suscitò in lui fu del tutto inaspettata perchè la sferzata di desiderio che quelle poche parole gli avevano iniettato nelle vene si irradiò con velocità allarmante ad ogni fibra del suo corpo, fino ad esplodere nel cervello. Mentre ascoltava il liquefarsi di ogni fibra di materia grigia la prese per mano, la fece alzare delicatamente dalla sedia di fronte a lui e la avvicinò alla sua bocca. Si sfiorarono appena e gli parve di morire come dopo essere stati morsi da un serpente che non lascia tregua, e per il cui veleno non esiste antidoto. La violenta vampata di calore che lo aveva sorpreso alle guance dopo la dichiarazione tanto, troppo esplicita di Brooke, ora lasciava spazio ad una forza innata che gli partiva da dentro e che lo spingeva in territori ignoti, dove forse non si era mai spinto con l’immaginazione.
-allora andiamo.
Le sussurrò all’orecchio piano, nello stesso sensualissimo modo usato da lei poco prima. Senza guardarla negli occhi si voltò e tenendola per mano si incamminò allontanandosi dalla terrazza del “the palm” a West Hollywood, con una fretta innaturale per Michael Jackson, guidato soltanto da un istinto irrazionale e selvaggio che stentava a riconoscere lui stesso.
***

Minuti, ore, non sapeva esattamente quanto tempo era passato da quando si era seduta lì quello stesso pomeriggio in preda all’agitazione. Ora riusciva a distinguere il paesaggio circostante solo a tratti, aiutata dal debole luccichio dei lumini ai lati del vialetto. La casa era un’ombra oscura che si innalzava quasi minacciosa nell’oscurità, con i mille occhi giallognoli delle tante finestre con le luci accese.
Si alzò dalla panca massaggiandosi la schiena dai muscoli leggermente atrofizzati, si stiracchiò e prese il cammino del ritorno, quando, sollevando di poco lo sguardo, lo vide affacciato alla piccola finestra, circondato dalla luce della tenue lampada che teneva di solito sul davanzale, utile in tutti quei momenti in cui non riusciva a dormire e voleva perdersi nei sogni ad occhi aperti.
Il cuore iniziò a tamburellarle nel petto per motivi che le risultavano ignoti, ed istantaneamente sollevò un braccio per salutarlo, convinta di essere vista nel buio. Ma dopo alcuni istanti si dovette rendere conto che Michael non poteva vederla, oppure, ancora peggio, l’aveva vista ma aveva deliberatamente deciso di ignorarla, troppo stanco forse per sostenere la sua solita esuberanza. Era rientrato in camera chiudendo la tenda in velluto blu.
Percorse il vialetto quasi di corsa, il freddo della sera e l’inquietudine l’avevano costretta a considerare i pericoli di quel luogo che di giorno le era parso tanto ameno, -un animale potrebbe uscire dalle gabbie dello zoo, oppure un intruso malintenzionato potrebbe aggirarsi nella proprietà- così, a cavallo fra realtà ed irrazionalità, si ritrovò nello spiazzo della grande fontana, ormai fuori pericolo e considerevolmente più vicina alla casa. Persa nei suoi pensieri si diresse all’ingresso laterale con passo veloce, quando, all’improvviso, avvertì la pressione di una mano posarsi sulla spalla facendola trasalire di colpo, ormai certa che le paure di prima si fossero avverate tutte insieme.
Un urlo acuto e stridulo fece capolino da quelle labbra che erano rimaste serrate per quasi tutto il giorno.
-ehi! sono io, che ti prende?
-ma..ma sei SCEMO?!?! Per poco non mi viene un colpo apoplettico!
-scusami io non pensavo che..insomma non pensavo di spaventarti, ti ho vista dalla finestra e sono sceso a salutarti..
Cercava di trattenere la risata cristallina che dopo meno di un secondo gli scivolò dalle labbra, facendola arrossire dalla rabbia per l’affronto subito.
-ma che ti ridi voglio sapere! Vorrei vedere te se uno ti arriva alle spalle mentre stai pensando agli affari tuoi!
-ah si? E a che pensavi?!
Glielo chiese parlando a fatica, la voce strozzata dalle risate incalzanti, non riusciva a trattenersi, era troppo buffa quando si arrabbiava.
-agli affari miei, appunto!
Paonazza in volto, non era riuscita a mascherare lo spavento e si era fatta cogliere impreparata da lui che magari aveva anche capito a cosa stava pensando. Il solo pensiero le mise i brividi e decise per una prudente ma efficace ritirata, cambiando argomento.
-bè allora come stai? Come è andata oggi?
Si ravviò i capelli dietro alle orecchie cercando di apparire quanto più disinvolta possibile, anche se le chiazze rosse permanevano impietose alla base delle guance, irradiando il fuoco anche alle orecchie che ebbe la non accortezza di scoprire.
-bene, abbastanza bene, è stata una giornata faticosa ma.. è finita. E tu? Che hai fatto?
-ho aiutato mia madre al lavoro, sai c’erano molte cose da sistemare per il ricevimento di dopodomani..
-il ricevimento di dopodomani?! Quale ricevim.. ommioddio! Ommioddio! Non è QUEL ricevimento vero?!? non mi sono dimenticato della giornata di Joe, vero?!
La fissava con gli occhi sgranati mentre un rivolo di sudore scendeva lungo la basetta appena davanti all’orecchio. Non poteva crederci. Con tutto quello che aveva da fare si era dimenticato che da lì a 48 ore scarse il ranch si sarebbe riempito di gente. Ma nemmeno così tanto, in fondo, era stato più colmo altre volte, per esempio al matrimonio di Liz, ma in quel caso era diverso. Si sarebbe riempito della sua famiglia. E non era una cosa facile quella. Impallidì.
-Michael, che succede?! Sei bianco come un cadavere..
-no è che io- si sedette su uno degli scalini in pietra bianca e si fasciò la testa con le mani chiuse a coppa –io me ne ero dimenticato.
-e allora, che problema c’è? Te l’ho appena ricordato con ben due giorni di anticipo, che vuoi di più?
Gli sorrise. La guardò. Era così semplice e spontanea in ogni sua sfumatura, così meravigliosamente rassicurante per questo.
-Nat, io dopodomani ho un impegno improrogabile, ecco qual è il problema. E non posso rimandare con la mia famiglia, perché la giornata di Joe viene solo una volta all’anno, la prenderanno male, diranno che mi faccio negare, che mi atteggio da super star e..
-allora dovrai rimandare l’impegno
Glielo disse piano, cercando di addolcire la pillola con un tono pacato e sedendosi accanto a lui sullo scalino.
-non posso!
Si contorceva le dita facendole arrossare per l’agitazione, era in un vicolo cieco e non sapeva come uscirne. La voce sembrava un lamento.
-si può sapere che devi fare di così IMPROROGABILE?!
-devo..anzi..voglio. cioè, ho deciso di chiedere a Brooke di sposarmi, visto che stasera non ci sono riuscito.
Lo disse tutto d’un fiato, con lo sguardo incollato a terra, come se avesse confessato un peccato capitale al boia. Si sentiva in colpa perché non gliel’aveva ancora detto, e loro due non avevano segreti. La loro amicizia era nata così, spontaneamente, non c’era bisogno di girare intorno alle cose con Natalie, non c’era bisogno di esitazioni, non c’era vergogna, non c’era mistero. Era così da quando era arrivata ad Encino nell’83, ancora bambina, con la signora Miranda. Lui aveva 25 anni, lei soltanto 9, ma era stata una scintilla potentissima a colpirli. Aveva guardato il mondo reale attraverso quegli occhi di bambina che gli raccontavano cosa vedeva fuori dai cancelli, com’era andare a scuola, cosa facevano i bambini al parco, com’era fare la spesa. E trovavano il tempo di correre sulla collina, di salire sul carosello, di rincorrersi e di saltare sulle molle, abbattendo le barriere e le distanze numeriche delle loro età anagrafiche. Ogni volta che partiva sapeva che al ritorno ci sarebbe stata lei, un po’ più grande, ad aspettarlo e a raccontargli di tutto quello che si era perso. Ma non le aveva più detto molto di sé da quando stava con Brooke. Sentiva che qualcosa non andava e la conferma era arrivata proprio l’altra sera, quando gli fu chiaro che era impossibile presenziare tutti e tre ad una stessa festa. Forse era per questo che aveva deciso di andarsene, non riusciva a reggere tutta quella pressione. Ma si sentiva in colpa ora, e il modo in cui lei lo stava guardando non migliorava certo le cose.
-non mi sopporta eh?
Glielo chiese ma non era una domanda. La disarmante retorica di chi ci conosce profondamente incalza sempre nei momenti peggiori. Lo sguardo disteso, le labbra rosa sembravano sorridergli mentre abbatteva ogni sua certezza, mentre lo spiazzava per l’ennesima volta. Comprensione. Una cosa che non avrebbe mai immaginato accanto alla naturale irruenza di quella ragazza.
-non è questo Nat, è che siete diverse, forse troppo. Non pensare che sia solo colpa tua, è che.. non si piò andare d’accordo con tutti!
Cercò in tutti i modi di essere convincente, mantenendo lo sguardo saldo su di lei, che ormai aveva compreso ogni cosa.
-perché non gliel’hai chiesto stasera?
-io.. non lo so.
-siete finiti a letto e la cosa ha perso la vena romantica che piace a te, vero?
-Natalie!
-che c’è?
-certe cose sono private! Che domande fai?!
-non ti ho chiesto i particolari, ti ho chiesto se le cose sono andate così.
Non riuscì a non sorridere guardandolo arrossire a dismisura per quella domanda diretta. Se lo era immaginato più volte, non doveva essere imbranato in certe cose, ma non riusciva a parlarne. Lo vide abbassare lo sguardo, totalmente perso nel vuoto del suo imbarazzo. Lo trovò irresistibile mentre scuoteva il capo cercando qualcosa da dire e non si trattenne dal passare il dorso della sua mano su quella guancia liscia e chiara, come quella di una bambola di porcellana.
-quante cose mi sono persa Mike? Quante?
Per un momento credette di non riuscire a sostenere quegli occhi nei suoi, ugualmente intensi. Per una volta quello sguardo tanto amato dalle folle, che lui stesso aveva deciso di inserire a fronte del suo nuovo album, veniva ricambiato di un’energia uguale ed opposta.
-Natalie, io non voglio che ora..
-no, non dire niente. Andiamo a vedere le stelle?
Questa volta si rifiutò di cercare uno sprazzo di logica in quella conversazione fatta di nulla e di tutto. Si limitò a prenderla per mano conducendola verso l’altura che portava il nome di sua madre, Katherine Mountain, a vedere le stelle –il resto domani- pensò, sentendosi leggero come non mai.
***



1983
-mi fornisca il passaporto, prego
-eccolo
-nome e cognome, prego
-Miranda Josephina Goméz
-provenienza
-San Juan, señor, Puerto Rico
-è qui in vacanza?
-no señor, per lavorare
-il permesso di soggiorno, prego
-eccolo
-le bambine come si chiamano
-Paula Esther Goméz e Natalia Goméz
-ha i certificati di nascita?
-no señor, sono trovatelle, ho solo questo documento, non mi hanno ancora rilasciato il certif..
-signora Goméz, i documenti sono a posto. Il visto scade tra tre mesi, si ricordi di rispettare i tempi. Faccia completare la documentazione per le bambine e si ricordi che nel nostro paese le leggi sull’immigrazione sono così come le trova scritte, non si fanno sconti. Buona permanenza e benvenuta negli Stati Uniti d’America.


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