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Ultimo Aggiornamento: 29/04/2012 20:37
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13/09/2010 21:38
 
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Buonasera a signori, signore e signorine ;)
Mi sono iscritta solo ieri, anche se vi seguo (e vi apprezzo) da quasi un anno. Il motivo per cui apro questa discussione è semplice: ho in mente da un po' di tempo una storia e muoio dalla voglia di raccontarvela, sperando che vi piaccia. Non le ho ancora trovato un nome preciso (quello del titolo è - probabilmente - provvisorio), e da questo punto di vista sono ben accetti tutti i tipi di consigli e suggerimenti ;) Per il momento vi lascio un primo breve capitolo: Michael non appare subito semplicemente perché avevo bisogno di un po' di spazio per presentare la nostra narratrice e la sua storia, ma nel prossimo capitolo entrerà in scena per la prima volta, e se tutto va come spero dovrei riuscire a postarlo questa sera sul tardi. Buona lettura e... Fatemi sapere :)


1.

My shadow runs with me
Underneath the big wide sun
My shadow comes with me as we leave it all
We leave it all far behind

La mia ombra corre con me
Sotto il grande ampio sole
La mia ombra viene con me mentre ci lasciamo tutto
Ci lasciamo tutto alle spalle

Far Behind, Eddie Vedder. Traduzione riportata da pearljamonline.it.

*

Questa storia inizia precisamente alle tre e sedici del mattino, su un pianerottolo al quinto piano di un vecchio palazzo grigio e pieno di crepe con la facciata principale su corso Regina Margherita, appena fuori dalla Torino centro. Il cuore di Delia batte all'impazzata, una lacrima scivola muta sulla sua guancia calda mentre dà un'ultima sbirciata al corridoio di quella che era stata fino a qualche secondo prima la sua casa, lievemente rischiarato dalla luce dei lampioni e dai fari delle macchine che corrono sotto di lei, veloci e incosapevoli del dramma che si sta consumando nell'aria sopra le loro ruote, sopra i cervelli stanchi e le scarpe impolverate dei loro conducenti, protagonisti di qualche altra storia che forse un giorno verrà raccontata - o forse lo è già stata, chissà. Le mani le tremano violentemente mentre, tirando su col naso, chiude la porta spingendo leggermente, premurandosi di non fare troppo rumore. Lei sa che, chiusa la porta e uscita nell'aria gelida e frizzantina di quell'Ottobre 2009, sarà tutto più facile, anche se non si può proprio dire che sia mai stato facile, per chiunque l'abbia fatto, abbandonare del tutto una vita vissuta per quasi vent'anni, portando con sé solamente quelle poche cose che un trolley di medie dimensioni e una grossa borsa possono contenere. Prima di scendere le scale (è un palazzo vecchio, non ha l'ascensore) Delia riavvolge accuratamente intorno al collo la sua sciarpa di cotone, fili intrecciati bianchi, azzurri e blu, e chiude fino all'ultimo bottone il suo paltò rosso scuro. Le nove rampe di scale deserte scorrono lentamente sotto le sue vecchie Converse rosse, lo scalpiccio delle suole di gomma accompagnato ogni tanto dal lieve fruscio che il tessuto della valigia produce a contatto col marmo delle scale. Per tutto il tragitto non si ferma né si volta, neppure con la coda dell'occhio: non è sicura che, una volta guardatasi indietro, la sua forza di volontà sia sufficiente per continuare a scendere quelle scale, che mai le sono sembrate così aliene. Apre meccanicamente il portone e si precipita letteralmente in strada, camminando più svelta che può, gettando soltanto un rapido sguardo al grigio palazzo che conosce a memoria, sfondo abituale della sua infanzia e della sua adolescenza; quella rapida occhiata le provoca un senso di soffocamento, per fortuna di breve durata. Mentre attende nervosamente che il taxi da lei chiamato arrivi ("cinque minuti", ha detto frettolosamente l'operatrice), Delia ripensa agli ultimi mesi passati a Torino. Il diploma di maturità classica conseguito a luglio (un 65 senza infamia e senza lode), il lavoretto estivo come cameriera ufficialmente necessario per pagare le tasse universitarie, in realtà fine all' acquisto di un biglietto aereo di sola andata Malpensa - Los Angeles International Airport con scalo al Kennedy di New York, accuratamente occultato in una tasca interna della borsa; infine, la valigia sbrigativamente riempita in due ore, poco prima di uscire dalla porta di casa per l'ultima volta, poche ore dopo avere salutato per l'ultima volta tutti i suoi amici e i suoi genitori, al telefono o dal vivo, senza che tutti loro sospettassero nulla di quello che li avrebbe travolti l'indomani, al loro risveglio. Nessuno sa nulla. Lei preferisce partire così, fuggendo. Non avrebbe mai avuto il coraggio di comunicare la sua decisione ai personaggi del suo piccolo mondo italiano; non l'avrebbero mai accettata, non gliel'avrebbero mai permesso. Ammettiamolo, era una follia bella e buona: chi mai sarebbe così pazzo da partire per Los Angeles con meno di trecento euro in tasca e una valigia striminzita, avendo come unica sicurezza una prenotazione online per una camera d'albergo che non si è affatto sicuri di potersi permettere? "Tuttavia questa è la mia unica possibilità", pensa Delia una volta indicata al tassista la sua destinazione - la stazione dei treni, Porta Nuova, dove alle quattro e mezza un treno parte per Milano - , "la mia unica possibilità". Se avesse aspettato ancora avrebbe finito per non andarci mai più, a Los Angeles; l'avrebbe semplicemente considerato un sogno svanito, impossibile da realizzare dopo aver preso degli impegni a Torino, dopo aver iniziato una nuova fase della sua vita nel posto dove era nata e cresciuta. A quel punto, non sarebbe mai riuscita a mollare tutto. E poi, venalmente parlando, le sarebbe dispiaciuto buttare alle ortiche tutti i soldi che aveva guadagnato con le sue mani per poter acquistare quel singolo biglietto.
Aveva scelto una strada e l'avrebbe percorsa fino al suo termine. Nel momento in cui si prende una così radicale decisione c'è sempre qualcuno che soffre: o se stessi o gli altri, e Delia, anche se un po' a malincuore, ha scelto se stessa.
Una volta arrivata a Porta Nuova, Delia paga il tassista e gli lascia una piccola mancia, un po' perché l'ha aiutata a scaricare la valigia dal portabagagli, un po' perché le ha augurato buon viaggio e un po' perché vuole salutare anche lui, che non sa di essere una comparsa di questo racconto. Lascia sul marciapiede l'ultimo groppo in gola: essere alla stazione è come essere già partiti. Non ha scritto lettere a nessuno, ma soltanto un post-it attaccato sullo specchio del bagno, due sole parole, scritte lentamente e nella sua migliore grafia: "non preoccupatevi". Spera che basti, e nel frattanto medita che forse in futuro potrebbe mandare qualche lettera, anche se prima è meglio valutare un po' la situazione. Per qualche minuto si sofferma, una strana espressione sul volto, ad osservare il panorama urbano all'esterno della porta a vetri. Torino sta lentamente scivolando nel suo passato, e sa che dovrà passare molto tempo prima di rivederla. Mormora un "a presto" a fior di labbra e si volta, diretta alla sala principale. Le ci vuole molto poco per salire sul suo treno, e appena sistemata la valigia un controllore assonnato passa e le oblitera il biglietto, scivolando subito dopo in mezzo agli altri (pochi) passeggeri. Tutto è avvolto, ai suoi occhi, da una coltre leggerissima e rugiadosa di malinconia. Si siede ed aspetta immobile e silenziosamente la partenza del treno. Uno scossone, un lento dondolio: il treno caracolla pigramente fuori dalla stazione. Un'ultima lacrima le cade dagli occhi nel momento in cui perde di vista la stazione e tutto diventa case e campi e binari. Chiude gli occhi, fa qualche respiro profondo, osserva gli occupanti della sua carrozza mentre il verde e l'azzurro fuori dal finestrino diventano sempre più sfocati. Le è sempre piaciuto molto osservare la gente, osservarla per capirla e in qualche modo conoscerla. Si passa una mano tra i capelli corti e scuri, spettinati; qualcuno dice che assomigli ad Audrey Hepburn, solo con uno sguardo un po' più scuro e meno sorridente. Osserva il proprio riflesso sul vetro sporco del vagone: una ragazza alta, proporzionata, equilibrata, col naso dritto e le sopracciglia sottili perfettamente delineate, il mento sprofondato nelle pieghe della sciarpa. Alla fine di questo esame, Delia accenna un lieve sorriso. I suoi occhi riflessi le rimandano un brillio soddisfatto. Mentre una prima linea di luce inizia a filtrare all'orizzonte, rischiarando il cielo, Delia inizia a pensare seriamente alla sua nuova vita, che in quella notte lattiginosa è venuta al mondo sfuggendo alla sua natura di mera possibilità e trasformandosi in realtà.
13/09/2010 21:49
 
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intaressante questo inizio! mi piace come scrivi, continua [SM=g27823]

If you wanna make the world a better place take a look in yourself than make a change~Michael Jackson

'Cause nothin' lasts forever and we both know hearts can change and it's hard to hold a candle in the cold November rain~Guns n' Roses

Remember yesterday walking hand in hand love letters in the sand I remember you~Skid Row

I'm just the pieces of the man I used to be,too many bitter tears are raining down on me~Queen

And I will love you, baby Always and I'll be there forever and a day always~Bon Jovi

Come as you are,as you were,as I want you to be as a friend,as a friend,as an old enemy~Nirvana

Rock ’n’ roll ain’t noise pollution Rock ’n’ roll ain’t gonna die~ACϟDC

There's a lady who's sure all that glitters is gold and she's buying a stairway to heaven~Led Zeppelin
13/09/2010 22:01
 
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molto bello, posta presto il seguito ti prego! mi piace il tuo modo di scrivere =)

13/09/2010 22:13
 
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Complimenti è scritta molto bene !!!!! Brava !!!!!!
13/09/2010 22:21
 
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Mi piace il tuo modo di scrivere, brava!!!! Sono curiosa di leggere il seguito, spero presto.....

It's all for Love...L-O-V-E - Michael Jackson




The Dancer on the Moon - our Michael Jackson Blog.

14/09/2010 12:34
 
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I miei complimenti cara!! ben scritta...dettagliata al punto giusto!!! continua presto!

Lu
14/09/2010 12:52
 
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in trepidante attesa...curiosa...curiosa...curiosa!!!!!
14/09/2010 13:07
 
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ma che bello una nuova ff!!!! continua mi piace mi piace!!!


I wish I was a camera sometimes
so I could take a picture in my mind
and put in a frame for you
to see how beautiful Y O U really are to me.
14/09/2010 18:47
 
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molto bello qsto capitolo sono molto curiosa...





15/09/2010 01:07
 
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Mi scuso immensamente per l'attesa, scrivendolo mi sono resa conto del fatto che il capitolo era più complesso e lungo di quanto pensassi - c'era ancora una parte introduttiva da completare, prima di entrare nel vivo della storia (cosa che alla fine di questo capitolo inizio a fare): diciamo che dovevo delineare, almeno con tratti grossolani, lo sfondo e alcuni personaggi secondari.
Vi ringrazio di cuore, una per una, e spero che la lettura di questo capitolo vi risulti abbastanza divertente e che risponda alle vostre aspettative, in modo che io possa ricambiare la vostra meravigliosa accoglienza. :)
Fatemi sapere se vi è piaciuto, oppure il perché non è stato così.
Un abbraccio a tutte! :)





2.
The sea will rise...
Please stand by the shore...
Oh, oh, oh, I will be...
I will be there once more

Il mare si alzerà...
Per favore attendi sulla spiaggia...
Io ci sarò
Io ci sarò ancora una volta...

Oceans, Pearl Jam (traduzione ad opera di pearljamonline.it)


Delia lucida con un panno il bancone del bar in cui lavora e nel frattempo si esibisce come novella Lady GaGa, ballando senza ritegno Poker Face che passa alla radio proprio in quel momento. Alza il volume al massimo, considerato che sono le quattro meno un quarto del mattino e che gli ultimi clienti se ne sono andati intorno alle due.
Delia è atterrata a Los Angeles ormai cinque mesi fa, e può dirsi moderatamente ambientata.
Durante il check-in a Milano era letteralmente, irrimediabilmente terrorizzata. Non aveva mai preso un aereo prima di allora e non ne aveva mai sentito la più minima urgenza. Mentre le ruote si staccavano da terra e la pressione le comprimeva il petto, Delia aveva provato una sensazione terribile per riprendersi dalla quale aveva avuto bisogno di un'oretta buona e di tutto il sostegno psicologico che la hostess poteva darle. In volo sopra l' Atlantico aveva iniziato a tranquillizzarsi, anche se non riusciva assolutamente a guardare fuori dal finestrino e teneva lo sguardo fisso sul libro che si era portata. Scendere a terra a New York per lo scalo era stato come un dono divino; non aveva mai apprezzato tanto il suono che le suole delle sue scarpe producevano sul pavimento. Era salita sull'aereo successivo cercando di convincersi (ma soprattutto di convincere i suoi nervi) che ormai soltanto poche ore mancavano alla fine di quella tortura, e che il più era fatto. Ma, nonostante i suoi sforzi, mentre allacciava le cinture di sicurezza aveva notato che le sue mani erano fredde e sudate. L'ultimo passeggero a salire era stato un ragazzo alto, sulla ventina, che aveva il biglietto per il posto vicino al suo, quello di destra, accanto al finestrino. Osservandolo più da vicino aveva notato che aveva i capelli biondi, ma che le punte erano tinte di azzurro cielo. Aveva qualche lentiggine sul naso, e gli occhi azzurri, di un azzurro incredibilmente chiaro e puro. Appena sistemato, si era girato verso di lei e le aveva sorriso: un sorriso aperto, amichevole. Con una voce piuttosto profonda e gentile le aveva chiesto se parlava inglese. Delia rispose che lo parlava abbastanza bene.
"Bene! Io sono Leindert,piacere."
"E io sono Delia, lieta di conoscerti." Delia aveva meditato un attimo, poi aveva proseguito: "che nome curioso. Da dove vieni?"
Il ragazzo aveva sogghignato. "Tutti me lo chiedono! Sono nato ad Amsterdam, ma ho frequentato le superiori a Londra e ho alcuni parenti in Cornovaglia e a Galway. Da un paio d'anni giro l'Europa. E tu? Per caso sei spagnola?"
"A dire la verità, sono italiana, e ho vissuto sempre nella stessa città."
"E come mai ora sei qui, all'aereoporto di New York, su un volo diretto a Los Angeles?"
"Be'... "
I motori dell'aereo avevano iniziato a rombare, a ruggire. Delia si era lasciata sfuggire un gemito, e Leindert l'aveva guardata con più attenzione, stringendo le palpebre.
"Cosa c'è? Qualcosa non va?"
Lo aveva fissato, un'ombra di paura negli occhi.
"Non avevo mai volato prima d'ora, e non mi sono ancora abituata a... Alla sensazione dell'attimo in cui decolla."
Il ragazzo aveva avvicinato il suo viso a quello di lei.
"Facciamo così. Quando l'aereo inizierà a decollare, io ti prenderò la mano e te la stringerò per tutto il tempo in cui tu avrai bisogno di sostegno. In cambio, tu mi prometti che appena ti sarai calmata guarderai giù dal finestrino."
Delia era decisamente dubbiosa. "Non so se riuscirò a farlo..."
"Se non provi, non sai. Dovresti vederla, almeno una volta, questa vista" aveva ribattuto lui, enigmatico.
"Se la metti così... Va bene! Ci proverò."
"Allora siamo d'accordo."
La mano di Leindert era calda e un po' callosa; forse suonava qualche strumento. I terribili momenti del decollo le erano sembrati un po' meno spaventosi mentre si concentrava sulla sensazione tattile che lo stringere quella mano le procurava. Le ci era voluta una ventina di minuti per riprendersi, e altri cinque per convincersi che stava per guardare l'inguardabile.
"Dai, forza, me l'hai promesso!" Il ragazzo rideva, i suoi occhi brillavano, due raggi di luce dispersi nel mare.
"Ok, ok, con calma, con calma! Adesso guardo, adesso... " Si era interrotta, trattenendo il fiato e allungandosi sul sedile del ragazzo per poter osservare il panorama sottostante. Sotto di lei si trovava un'immensa coltre di nuvole, morbide come sbuffi di panna; nell'immediato le aveva trovate bellissime, ma appena aveva realizzato che stava galleggiando nel vuoto ad un'altezza oltre le sue capacità immaginative si era ritratta con un fremito.
"Allora? Ti è piaciuto?" aveva chiesto Leindert. Lei teneva gli occhi chiusi.
"Sì, stupendo", aveva replicato Delia, "ma non chiedermi di farlo un'altra volta."
Durante le rimanenti ore di viaggio Delia aveva iniziato a divertirsi sul serio, per la prima volta da quando aveva lasciato la sua città. Non fecero altro che parlare, ridere e ancora parlare. Delia aveva appreso che Leindert suonava la chitarra elettrica in un gruppo rock ispirato al primo punk, quello dei Sex Pistols e dei Clash. A dire la verità, in Europa non erano riusciti ad attrarre un pubblico sufficiente a metterli in risalto agli occhi di qualche grande compagnia che avrebbe potuto essere interessata a metterli sotto contratto. Per cui avevano deciso di comune accordo di utilizzare i soldi guadagnati con le loro esibizioni per trasferirsi a Los Angeles, sperando che nella capitale dello show-business ci fosse un'opportunità anche per loro. Avevano già trovato qualcuno disposto ad ospitarli: Joey, un ragazzo che si era diplomato tre anni prima di loro nella stessa scuola e che ora cercava di affermarsi come tatuatore.
"... Diciamo che è praticamente un viaggio costituito di speranza", aveva terminato lui.
Delia era rimasta per qualche minuto in silenzio. Aveva valutato pro e contro ed esaminato la maggior parte delle possibilità e alla fine aveva deciso di fidarsi di lui, che l'aveva trattata con gentilezza e riguardo. Aveva deciso di essere sincera, come lui.
"Anche il mio è un viaggio costituito di speranza. A dire la verità, sono scappata di casa", aveva esordito. Leindert l'aveva ascoltata apparentemente senza giudicarla, a volte domandandole qualche chiarimento, e lei gli aveva raccontato tutto, dall'inizio alla fine. Ne aveva bisogno. Quando lei aveva terminato il suo racconto lui, osservandosi i piedi, le aveva semplicemente detto che se quello era il suo sogno, la sua massima aspirazione, aveva fatto bene ad inseguirlo con tutte le sue forze, anche compiendo azioni che difficilmente sarebbero state comprese o perdonate.
"Questa vita non dura per sempre", aveva aggiunto.
Arrivati nella Città degli Angeli, lui aveva insistito lungamente affinché lei annullasse la prenotazione all'albergo e si stabilisse, almeno per un po', a casa di Joey. Delia aveva finito per cedere alle sue pressanti richieste (e ai suoi occhi luminosi), e si era ritrovata ad aprire la zip della sua valigia in una piccola ma funzionale camera da letto. Gli altri due membri della band sono arrivati dopo qualche giorno, e da allora la situazione ha trovato un suo equilibrio.
L'appartamento è effettivamente abbastanza grande per poter ospitare comodamente i suoi sei inquilini: Joey, il tatuatore, un afroamericano alto ed elegante con le braccia e il torso interamente ricoperti di tatuaggi; Zazù, la sua bellissima e biondissima ragazza che s'intende veramente poco di inglese, tanto che nessuno riesce a parlarci abbastanza a lungo da riuscire a capire quale sia il suo vero nome; Jacques il francese, il bassista della band, corti capelli bruni (mossi, troppo mossi, secondo lui) e naso aquilino, sempre pronto a prorompere in una sonora risata appena se ne presenta l'occasione; Cesar lo spagnolo, il batterista, tanto introverso quanto acuto, occhi e capelli neri, pelle scura - la mente manageriale del gruppo; ed infine, lei e Leindert, che spesso si baciano e qualche volta vanno oltre il bacio senza essersi ancora definiti come coppia. Jacques dubita che lo faranno mai. "Si divertono troppo", dice.
Delia ha iniziato a lavorare al Black Dog più o meno due mesi fa, ovvero quando aveva letto l'annuncio affisso sulla porta a vetri del locale. Il proprietario del Black Dog si chiama Dean ed è un irlandese per il quale il '68 è iniziato e non è ancora finito. Delia lavora al turno di notte, un ragazzo dai capelli rossi e dall'aria malaticcia tiene aperto il bar di giorno. Ha visto Dean solamente due volte, considerando anche il colloquio con il quale è stata assunta ("ho pochissima esperienza, va bene lo stesso?" aveva chiesto lei; "sei una ragazza volenterosa, e poi ti piace Janis Joplin", aveva risposto lui). Principalmente, il proprietario del Black Dog passa il tempo scorrazzando su e giù per il paese con una vecchia Harley-Davidson alla ricerca di concerti e ritrovi in odore di rivoluzione, ricordandosi di spedire lo stipendio ai suoi due baristi una volta al mese. Tutto sommato, Delia se la passa piuttosto bene. Nel frattempo, la band di Leindert ha iniziato a provare e a suonare durante qualche serata: il sound sembra piacere. Se il concerto finisce in tempo, Leindert non tralascia mai di passare dal Black Dog e di trascorrere le ultime ore di apertura insieme a lei, aiutando quando serve e allietando quando può (sempre); ma in questa sera di inizio Marzo 2010 Leindert suonerà fino a tardi e Delia è convinta che terminerà il suo turno in solitudine, ballando Poker Face e passando lo straccio sul bancone di mogano.
Dietro la porta a vetri, come dietro al tendone di un palcoscenico, appare un'ombra scura; la nostra ballerina riesce, con un balzo, ad abbassare la radio ad un livello accettabile appena in tempo per evitare una pessima figura o una parte in un musical di bassa qualità. Getta uno sguardo rapido al locale, ricontrollando che sia tutto in ordine, e subito dopo i suoi occhi e la sua mente si concentrano sulla persona (una figura alta e sottile - sarà l'ora, ma le sembra ritagliata da un libro di racconti sul fantastico) che ora avanza lentamente verso il bancone. E' un uomo, ma non saprebbe stimarne l'età: ha il viso parzialmente coperto da una sciarpa nera, un cappello dello stesso colore (modello Fedora, a prima vista: ma non si ritiene un'esperta) ed un paio di Ray-Ban modello aviatore con le lenti scurissime. Trova quest'ultimo particolare particolarmente assurdo, ma in fondo non potrebbe mai sostenere di non aver visto, a Los Angeles, persone con abitudini ben più assurde dell'entrare in un locale alle quattro di mattina con un paio di occhiali da sole sul naso. Il completo nero è sicuramente di buona fattura, e potrebbe scommettere che sia firmato.
"Buonasera! Cosa desidera, mister?" domanda Delia, accompagnando una domanda di circostanza con un sorriso altrettanto di circostanza.
L'uomo sembra rifletterci per un momento, poi risponde dicendo che gradirebbe molto un bicchiere d'acqua, grazie. Detto ciò, si siede su uno degli sgabelli che costeggiano il fianco del bancone, dandole la possibilità di osservagli le mani (immagina che abbia poco più di quarant'anni - a parte questo, nota anche che sono grandissime, con le dita lunghe e sottili). La ragazza si abbassa sotto il bordo del lungo tavolo per procurarsi la bottiglia. Probabilmente il chiedere un bicchiere d'acqua alle quattro del mattino è in linea con il personaggio che si trova davanti.
Porge il bicchiere: il mister ringrazia, e subito dopo le chiede se per caso ha origini italiane.
"E' così", replica lei, "ma come fa a saperlo?"
"Oh, è una questione di accento."
"Complimenti per la perspicacia, allora." Delia sorride, e gli sembra di vedere che, sotto la sciarpa, anche lui le stia sorridendo. E' raro incontrare persone che hanno voglia di parlare due ore prima dell'alba. Il signore prende un sorso d'acqua tra le labbra - rapidamente ed in silenzio - poi le domanda se s'interessa di arte.
"Sì, abbastanza, devo dire, mister."
Parlano di arte a lungo e con piacere, attraversando secoli e correnti a rapidi balzi, due uccelli in una foresta di splendidi rami. Rimane affascinata dalla profonda conoscenza che il mister dimostra riguardo Michelangelo e l'arte rinascimentale ("per caso si occupa d'arte anche nella vita diurna?" domanda lei - "in un certo senso sì", risponde lui). Si ritrova seduta davanti a lui, un gomito appoggiato al bancone e del Baileys on the rocks alla sua sinistra. Ha provato ad offrirgli qualcosa, del rum, della vodka, un cocktail; "non ora, grazie", ha risposto lui, senza scomporsi. Non riesce a ricordare le connessioni logiche per le quali dall'arte antica sono passati all'arte moderna, e di lì alla musica - ma, di fatto, stanno parlando di quest'argomento, nel quale il mister si dimostra anche più preparato. Resta ad ascoltarlo a lungo, mordendosi il labbro, rispondendo e domandando (per lo più la seconda). Le sembra di star compiendo un viaggio onirico nel tempio delle muse. Sembra che, per quest'uomo, il mondo intero sia una melodia divina, e il trasporto e la passione con cui ne parla non possono che catturarla sempre di più. Per qualche istante Delia è distratta dall'ondeggiare molle di un ricciolo nero vicino allo zigomo del suo interlocutore. Sobbalza lievemente nel momento in cui si rende conto di avere ignorato una domanda.
"Mi scusi", esordisce, vergognandosi molto. "Mi scusi tanto, ero soprappensiero, mister. Se può ripetere..."
"Certo, nessun problema" ribatte lui, accennando forse un lieve sorriso (Delia ha capito come riconoscere un sorriso - gli zigomi si alzano in un modo del tutto particolare). "Ti ho chiesto se apprezzi la musica black."
"La conosco veramente poco, mister... Non saprei cosa rispondere."
"Capisco..." Il modo in cui pronuncia quest'unica parola fa pensare a Delia che la persona davanti a lei stia macchinando qualcosa.
Il signore fa scrocchiare le nocche delle mani. Delia si alza e si stiracchia, buttando un occhio all'orologio sul muro; sono le sei meno dieci. Non è l'unica a guardare l'orologio.
"Credo che sia ora di andare", mormora l'uomo - un mormorio delicato, fruscio di seta tra dita di bambino. "Ti ringrazio per la chiaccherata."
"Io la ringrazio, mister."
"Non ti ho chiesto nemmeno il tuo nome, ti prego di perdonarmi."
"Mi chiamo Delia, mister."
"Piacere di averti conosciuta, Delia."
Le chiede il prezzo del bicchiere d'acqua, lei risponde che non importa, offre la casa. Si sentirebbe in colpa se facesse pagare un bicchiere d'acqua ad un uomo con cui ha parlato così piacevolmente per due ore.
Quando ha già la maniglia in mano, il signore si volta verso di lei.
"Mi piacerebbe se, la prossima volta, non mi chiamassi più 'mister'. Pensi di poterlo fare?"
"Certamente!"
"Allora a presto."
Subito dopo, Delia esce nell'aria frizzantina dell'alba per tirare giù la serranda. Thomas, il ragazzo del turno di giorno, arriverà solamente tra un paio d'ore. Rialzandosi, nota a breve distanza da lei tre figure che camminano lente nella penombra. Riconosce immediatamente la figura centrale - l'ha salutata poco meno di cinque minuti fa -, mentre i due uomini ai lati le sono del tutto sconosciuti. Anche loro sono vestiti di nero, e sono piuttosto imponenti. Sembrano in tutto e per tutto guardie del corpo. Sbatte un paio di volte le palpebre, e si rende conto che il mister non si è presentato. Rapidamente, connette questo particolare con la sciarpa, il cappello, gli occhiali da sole. E' chiaro che non vuole essere riconosciuto. Si domanda se non sia un qualche pezzo grosso dello show business, ma non le pare di aver notato qualche cosa che lo ricollegasse a qualcuno in particolare. Sì, forse aveva pensato che potesse ricordare straordinariamente Michael Jackson, ma prima di tutto non l'aveva visto bene in viso, ed oltretutto fino a prova contraria Michael Jackson era deceduto il giugno passato. Abbastanza improbabile.
Mentre s'incammina a piccoli passi verso casa, dove sa che ad attenderla c'è un caffelatte caldo e Leindert pronto a porgeglielo con un abbraccio nel silenzio e nel buio della casa addormentata, inizia a sentire una certa trepidazione per il momento in cui incontrerà di nuovo questo misterioso personaggio.






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