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Berlusconi salva la Mondadori con la legge ad aziendam: la maxicausa chiusa con una transazione

Ultimo Aggiornamento: 01/10/2011 10:53
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11/08/2010 11:11
 
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Tasse evase, si conclude una vicenda iniziata nel 1991 con una plusvalenza da 173 milioni. Sono bastati 8,6 milioni
CONFLITTO INTERESSI
La legge ad aziendam salva la Mondadori
la maxicausa chiusa con una transazione
Tasse evase, si conclude una vicenda iniziata nel 1991 con una plusvalenza da 173 milioni. Una cifra su cui per il fisco andavano pagati Ilor e Irpeg. Sono bastati 8,6 milioni
di SARA BENNEWITZ ed ETTORE LIVINI
La sede della Mondadori a Segrate
MILANO - Legge salva-Mondadori doveva essere e legge salva-Mondadori è stata. La casa editrice controllata dalla Fininvest si avvia a chiudere con una mini-transazione da 8,6 milioni un contenzioso quasi ventennale in cui l'agenzia delle entrate le contestava il mancato pagamento di 173 milioni di tasse evase nel '91, in occasione della fusione tra Amef e Arnoldo Mondadori. Segrate ha già contabilizzato a tempo di record nella sua semestrale il versamento della sanzione per calare il sipario sulla partita con l'amministrazione finanziaria "grazie al decreto legge 25 marzo 2010 n. 40 sulla chiusura delle liti pendenti". Si tratta - in soldoni - del cosiddetto "Lodo Cassazione", un provvedimento contestato dall'opposizione per il macroscopico conflitto d'interessi del premier che consente di archiviare i processi tributari arrivati in Cassazione con due sentenze favorevoli al contribuente mediante il pagamento del solo 5% del valore della lite.

La società di Marina Berlusconi - che aveva vinto in primo e secondo grado le cause con il fisco - ha colto subito la palla al balzo archiviando questo delicatissimo caso giudiziario prima della decisione della Corte suprema. I vertici di Segrate hanno confermato nella relazione di bilancio "la convinzione della correttezza" del proprio operato ma hanno preferito metter mano al portafoglio per "non esporre l'azienda a una situazione di incertezza ulteriore". Anche perché negli ultimi mesi il contenzioso con l'erario aveva causato più di un attrito tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini.

Il presidente della Camera negli ultimi due anni si è messo di traverso per ben due volte alla norma salva-Mondadori che la maggioranza ha provato a far approvare a più riprese: in una prima occasione facendo cancellare la cosiddetta "definizione agevolata delle liti" dal pacchetto giustizia per il processo breve messo a punto da Angelino Alfano e poi costringendo il governo a sfilarla lo scorso novembre dalla finanziaria 2010 dopo essere stato avvisato in extremis della presenza del decreto tra le pieghe della legge di bilancio dal relatore al Senato Maurizio Saia (Pdl).

L'ennesima legge ad personam, però, una volta uscita dalla porta, è rientrata dalla finestra ben mimetizzata all'interno del Dl incentivi. E a questo punto, nella scorsa primavera, anche Fini ha ceduto, dando luce verde al provvedimento che ha consentito tra l'altro alla società di casa Berlusconi di evitare un imbarazzante braccio di ferro con il ministero dell'economia di Giulio Tremonti. La controllata Fininvest a dicembre 2009 aveva accantonato in bilancio solo 1,8 milioni a fronte delle liti pendenti con l'erario.

Il vecchio contenzioso fiscale di Segrate era un serio cruccio pure per lo stesso presidente del consiglio che in una conversazione telefonica intercettata con l'ex consigliere Agcom Giancarlo Innocenzi si lamentava delle richieste per il divorzio di Veronica Lario - "mia moglie vuole 45 milioni" - paragonandole alla voracità di un fisco che gliene chiedeva 900 milioni. In realtà la cifra richiesta dalle Entrate alla Mondadori (tecnicamente legata al disavanzo di fusione con Amef) era di soli 173 milioni dell'epoca destinati a salire con gli interessi a 350 milioni. Una cifra comunque molto importante per la casa editrice di Segrate che ha chiuso l'esercizio 2009, un anno difficile per tutta l'editoria, con 34 milioni di utile netto e un giro d'affari di 1,5 miliardi di euro.
(11 agosto 2010)

www.repubblica.it/politica/2010/08/11/news/mondadori_tasse-6213685/?ref...

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Rischia la “Salva-Mondadori” La Cassazione ricorre alla Corte di Giustizia. Tutta colpa di un vecchio guaio fiscale di De Benedetti La guerra di Segrate per il controllo della Mondadori continua, ma è durata così a lungo – vent’anni – che ormai assume forme sempre più strane. Per un caso del destino, un vecchio guaio fiscale di Carlo De Benedetti è diventato l’occasione per bloccare il regalo del governo Berlusconi alla Mondadori (che è della Fininvest, cioè la holding che fa capo proprio a Silvio Berlusconi). I giudici della Cassazione, partendo dal procedimento che riguarda gli ex partner di De Benedetti della 3M Italia, fanno ricorso alla Corte di Giustizia europea, per bloccare la norma “ad aziendam” che permette alla Mondadori di risolvere un contenzioso con il fisco da 200 milioni pagandone solo 10. E tutto questo mentre la Cassazione – e proprio il procedimento Mondadori – sono al centro dell’inchiesta sulla cosiddetta P3. Ma partiamo dall’inizio.

DOPO SEGRATE. Nel 1991 la Fininvest di Silvio Berlusconi riesce a sottrarre la Mondadori a Carlo De Benedetti grazie a una sentenza che tre gradi di giudizio hanno stabilito essere stata comprata, con i giudici corrotti da Cesare Previti nell’interesse della Fininvest. Grazie all’imprenditore Giuseppe Ciarrapico, mandato da Giulio Andreotti, si trova una mediazione: a De Benedetti restano L’espresso, Repubblica e i quotidiani locali, in quel momento parte della Mondadori, a Berlusconi tutto il resto. Vent’anni dopo non è ancora finita, pende ancora un risarcimento da 750 milioni di euro che la Fininvest potrebbe dover pagare alla Cir di De Benedetti. Una vicenda marginale di quello scontro riguarda un contenzioso della Mondadori con il fisco, derivante da una fusione interna al gruppo seguita alla guerra di Segrate. Lo Stato chiede alla Mondadori 200 milioni di euro per plusvalenze non contabilizzate in una fusione tra due holding (operazione preliminare al passaggio delle testate giornalistiche a De Benedetti). Mondadori vince il primo e il secondo grado di giudizio, ma lo Stato non si arrende, nel 2000 la vicenda finisce in Cassazione: a firmare il ricorso per conto della Mondadori è un famoso fiscalista, l’avvocato Giulio Tremonti. Dieci anni dopo Tremonti è ministro dell’Economia; mentre sta approvando la Finanziaria 2010 compare un emendamento che si presenta come un condono mirato: i soggetti che hanno contenziosi aperti con il fisco, hanno vinto i primi due gradi e sono in Cassazione, possono sanare la propria posizione pagando solo il 5 per cento del dovuto. E’ l’identikit della Mondadori, che se la caverebbe con 10 milioni. Il blitz salta, lo ferma Gianfranco Fini, presidente della Camera. La Procura di Roma, nelle carte dell’inchiesta sulla nuova loggia P3 ipotizza che a quel punto un gruppo di soggetti che agisce nell’interesse di Berlusconi sceglie un’altra strada. I pm attribuiscono il trasferimento (28 ottobre 2009) dal giudice competente alle sezioni unite alle pressioni su Vincenzo Carbone, primo presidente della Cassazione fino a gennaio e quindi presidente delle sezioni unite, fatte da Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi, due degli esponente più attivi della cosiddetta P3. In cambio a Carbone sarebbe stato promesso uno slittamento di tre anni della pensione (obbligatoria a 75 anni). Per Berlusconi era anche il candidato ideale alla presidenza della Consob. Se le cose sono andate come dice l’accusa, la norma serve a guadagnare tempo. In primavera i parlamentari Pdl tornano all’assalto e la norma salva-Mondadori diventa legge a maggio, come emendamento al decreto sugli incentivi.

TUTTO INUTILE? Ma forse è stato tutto inutile. Il primo ad approfittarne non è però Berlusconi, bensì un partner d’affari di De Benedetti negli anni Novanta, 3M Italia. Lo si apprende solo ora perché il 4 agosto la Cassazione, presieduta da Ernesto Lupo, ha depositato un’ordinanza con cui si chiede alla Corte di Giustizia europea di pronunciarsi sulla norma “salva-Mondadori”, per stabilire se è compatibile con la normativa comunitaria. La storia comincia nel 1996. La Procura di Ivrea chiede il rinvio a giudizio di varie persone, tra cui Carlo De Benedetti allora alla testa dell’Olivetti, per una presunta elusione fiscale da 43 miliardi di lire dell’epoca. La debenedettiana Olivetti, secondo l’accusa, si era prestata a una complessa operazione finanziaria con la quale due società americane, la 3M e la Shearson Lehman usavano una filiale italiana, la 3M Italia, per pagare meno tasse sui dividendi. L’Olivetti incassava i dividendi della 3M Italia, controllata della 3M, per conto della Sherman. Si chiama dividend washing. La vicenda penale si chiude per De Benedetti nel 1997, quando viene prosciolto “perché il fatto non sussiste”. Ma il fisco la pensa diversamente. Nel 2005 la sezione tributaria della Cassazione stabilisce che ha ragione lo Stato a chiedere indietro i soldi alla Olivetti, nel 2010 è ancora in pista il contenzioso tra il Tesoro e la 3M: lo Stato reclama 43 milioni di euro. I vecchi partner di De Benedetti nell’operazione considerata legittima dalla giustizia penale ma truffaldina dal fisco erano stati fulminei: a meno di una settimana dall’entrata in vigore della “salva-Mondadori” stavano già approfittandone per chiudere il contenzioso pagando soltanto 1,1 milioni su 43.

IL DIRITTO UE. Ma la Cassazione protesta. Secondo i magistrati della sezione contabile, il regalo governativo alla Mondadori si configura come un abuso di uno dei principi su cui si regge il mercato unico europeo, cioè la libertà di movimento dei capitali. In pratica, dicono i giudici, l’Italia rinuncia all’impegno di “reprimere pratiche abusive”, rinunciando quasi del tutto alle “pretese impositive”. E questo, stando al testo della legge, non è motivato da ragioni di politica economica, ma è una resa di fronte ai tempi lunghi della giustizia. Se la Corte di Strasburgo darà ragione alla Cassazione, il condono pensato e approvato per la Mondadori non sarà applicabile. E De Benedetti, che ancora aspetta i 750 milioni di euro di risarcimento dalla Fininvest, avrà almeno un’occasione di esultare in questa ennesima puntata della guerra iniziata a Segrate vent’anni fa.

Da Il Fatto Quotidiano del 11 agosto 2010


www.ilfattoquotidiano.it/2010/08/11/rischia-la-%E2%80%9Csalva-mondadori%E2%80%9...

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Marina Berlusconi attacca Repubblica
la replica: Mondadori presa con la frode
Il presidente di Fininvest sulle "leggi ad aziendam". Ezio Mauro: "Create dal premier per usufruirne"
Marina Berlusconi
ROMA - "La signora Berlusconi ha lo spazio di un'intera pagina, ma non affronta mai il problema capitale. La sedia su cui è seduta alla Mondadori è stata ottenuta fraudolentemente con la corruzione dei magistrati, strappando l'azienda al legittimo proprietario, attraverso la frode e la corruzione dei magistrati. Tutto questo certificato da tre gradi di giudizio e da una sentenza passata in giudicato. Di che cosa stiamo parlando?". Il direttore de La Repubblica, Ezio Mauro, risponde così alla figlia del premier che, in un'intervista al Corriere della Sera, ha sollevato "una questione di coerenza" a proposito della "polemica avviata e cavalcata da Repubblica sulla presunta "legge ad aziendam" per un contenzioso fiscale che riguardava la Mondadori". Secondo Marina Berlusconi, oltre alla Mondadori altre centosette aziende hanno usato la legge e, tra queste, "il gruppo di De Benedetti con l'editrice di Espresso e Repubblica. In silenzio hanno usato quella stessa norma che pubblicamente li ha fatti gridare allo scandalo". Il presidente della Mondadori, peraltro, ha accusato Repubblica di essere "la vera Formula uno del fango".

"Mi dispiace dovermi occupare per un minuto di una miseria italiana - ha replicato Mauro nel corso di "Repubblica domani" 1 in onda su "Repubblica Tv" -. Io non ho mai tirato in causa Marina Berlusconi, ma lei tira in causa impropriamente e maldestramente Repubblica. Merita non una risposta, ma un richiamo ai fatti. Il nostro gruppo usufruisce delle leggi della Repubblica italiana, diverso è costruirsi le leggi per poterne usufruire. E' una differenza che capisce chiunque, meno la signora Berlusconi. Un conto è muoversi nella legalità - ha aggiunto Mauro -, un conto è intervenire su quella legalità forzandola al punto da costruire strumenti di cui poi si usufruisce, come dimostra la legislazione ad personam, ancor più di quella ad aziendam".

Marina Berlusconi, dopo l'intervento del direttore de La Repubblica, è tornata di nuovo sulla polemica: "Il signor Ezio Mauro - ha affermato il presidente della Mondadori in una nota - non trova di meglio che dare "maldestramente" lezioni di legalità e arrivare alla totale manipolazione dei fatti. Un ottimo esempio, questo sì, di assoluta coerenza rispetto alla linea editoriale e ai comportamenti suoi e del suo giornale".
(06 maggio 2011)

www.repubblica.it/economia/2011/05/06/news/marina_berlusconi-1...

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04/07/2011 18:18
 
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Nella manovra un comma
per bloccare risarcimento a Cir
Prevista la sospensione delle maxicondanne in sede civile. Il Pd: "Una vergogna, lacrime e sangue per il paese, e protezione ai più ricchi"
Carlo De Benedetti

ROMA - Nelle pieghe della manovra un'altra norma ad personam per il presidente del Consiglio e le sue aziende. Viene infatti deciso lo stop in appello all'esecuzione delle condanne civili che superino i dieci milioni di euro e stop in Cassazione per quelle che vanno oltre i 20 milioni, in cambio di una idonea cauzione. Due modifiche al codice di procedura civile che potrebbero influire anche sull'attesa sentenza d'appello per il Lodo Mondadori, prevista per la fine di questa settimana. Mediaset in primo grado era stata condannata a risarcire la Cir con 750 milioni di euro.

La bozza aggiunge infatti un comma all'articolo 283 del codice di procedura civile che parla dei provvedimenti sull'esecuzione provvisoria in appello e che prevede che il giudice dell'appello, "su istanza di parte quando sussistono gravi e fondati motivi sospende in tutto o in parte l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione". Il comma aggiuntivo che sarebbe spuntato nella manovra economica recita: "La sospensione prevista dal comma che precede è in ogni caso concessa per condanne di ammontare superiore a dieci milioni di euro se la parte istante presta idonea cauzione".

LE TAPPE DEL PROCESSO MONDADORI 1

IL TESTO PROVVISORIO DELLA FINANZIARIA 2

La capogruppo del Pd in commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, ha duramente criticato la norma. "Sono senza vergogna, è scandaloso che in una finanziaria che prefigura lacrime e sangue per il paese sia contenuta una norma di classe, che consente ai più ricchi dilatare il regolare corso della giustizia e che, guarda caso, molto probabilmente farà tirare un sospiro di sollievo alle aziende del presidente Berlusconi", ha dichiarato in una nota. "Si tratta di una norma nascosta alla fine dell'articolo 37 della manovra che modificando l'articolo 373 del codice di procedura civile, guarda caso, interviene sul processo Fininvest-Cir, quello sulla vicenda del Lodo Mondadori imponendo l'automatica esecuzione della sentenza che ha condannato Fininvest a risarcire Cir con 750 milioni di euro. Siamo davanti ad una norma 'pro Berlusconi', altro che partito degli onesti, anche in momenti così difficili il premier non dimentica gli interessi delle proprie imprese", ha spiegato.


(04 luglio 2011)


www.repubblica.it/politica/2011/07/04/news/nella_manovra_un_comma_per_bloccare_il_risarcimento-18652993/?re...

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04/07/2011 18:18
 
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Norma pro Berlusconi nella manovra
Il governo blocca il Lodo Mondadori Una norma inserita nella manovra economica potrebbe sospendere l’esecutività del mega risarcimento da 750 milioni di euro a carico della Fininvest e a favore della Cir di Carlo De Benedetti, se fosse confermato in appello dai giudici di Milano il verdetto di primo grado sul Lodo Mondadori.

Si tratta di una modifica di due articoli del codice di procedura civile che obbliga il giudice, a differenza di quanto accadeva sinora, a sospendere l’esecutività della condanna nel caso di risarcimenti superiori ai 20 milioni di euro (10 in primo grado) dietro il pagamento di “idonea cauzione”, in attesa che si pronunci in via definitiva la Cassazione. Insomma, una vera e propria norma a favore di Silvio Berlusconi che proprio in questi giorni sta attendendo di sapere se, quando e quanto dovrà pagare a De Benedetti.



www.ilfattoquotidiano.it/2011/07/04/manovra-confermata-la-stretta-sulle-pensioni-risbuca-il-taglio-alle-rinnovabili...
[Modificato da angelico 04/07/2011 18:23]

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04/07/2011 18:41
 
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Accordi, retromarce, processi
le tappe del Lodo Mondadori
Dall'accordo del 1988 fra Cir e Formenton alla mediazione di Ciarrapico. La battaglia nelle aule giudiziarie fino alla storica sentenza che chiude la "guerra di Segrate"ROMA - La vicenda giudiziaria dello scontro fra la Cir di Carlo De Benedetti e la Fininvest di Silvio Berlusconi ha origine nel lontano 1988 quando l'Ingegnere, Berlusconi, Mondadori e Formenton erano soci nella società che controllava la Arnoldo Mondadori editore. Quell'anno, infatti, venne siglato un accordo Formenton-Cir che portava l'Ingegnere ad avere la maggioranza nella Amef società controllante il grande gruppo editoriale. Accordo che però, dopo le pressioni della Fininvest i Formenton vollero disdire. Perso un primo giudizio arbitrale la famiglia Formenton chiese alla corte d'Appello di Roma, sezione civile, l'annullamento del cosidetto Lodo Mondadori. Annullamento concesso dal giudice Vittorio Metta nel 1991. La Cir, sconfitta in tribunale, si trovò dunque costretta ad accettare una compromesso: con la mediazione di Giuseppe Ciarrapico, la casa editrice fu spartita. A De Benedetti conservò Espresso, Repubblica e Finegil mentre alla Mondadori, ovvero a Berlusconi, i libri e i settimanali (fra cui Panorama). Cir, debole nella trattativa dopo la sentenza del giudice Metta si trovò a pagare un conguaglio di 365 miliardi di lire.

Sembrava tutto finito quando, il 29 aprile 2003, il tribunale di Milano dopo una lunga e complessa vicenda giudiziaria nata dalle dichiarazioni nel 1995 di Stefania Ariosto, condannò il giudice Vittorio Metta (colui che diede al Cavaliere la vittoria in quella che è passata alla storia come "la battaglia di segrate) a 13 anni con l'accusa di aver ricevuto
soldi da uomini Fininvest per aggiustare la vicenda. Sentenza ribadita in Cassazione nel 2007. Il tribunale riconosce infine alla parte civile Cir il diritto ai danni morali e patrimoniali, da quantificare in separata sede civile: "Tanto il danno emergente quanto il lucro cessante, sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi effettivi di cessione della Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato dei titoli azionari".

Dalla sentenza penale prende le mosse la causa civile promossa da Cir contro Fininvest. Il 3 ottobre 2009 il Tribunale di Milano (giudice Raimondo Mesiano pesantemente "molestato" dalle telecamere di Canale 5) emette la sentenza di primo grado secondo cui Cir ha diritto al risarcimento da parte di Fininvest del danno patrimoniale da "perdita di chance" che viene quantificato in 749.955.611,93 euro oltre al risarcimento di danni non patrimoniali. Il Tribunale, in pratica, accoglie per l'80% la richiesta di risarcimento presentata da Cir. Fininvest annuncia lo stesso giorno la presentazione di un ricorso in Corte d'Appello.

Il 1 dicembre, davanti alla Corte, le parti raggiungono un accordo che prevede la sospensione dell'esecutività della sentenza di primo grado in cambio del rilascio da Fininvest a Cir di una fideiussione a prima richiesta da 806 milioni di euro comprensiva di interessi e accessori. La Corte, inoltre, si impegna con le parti a concludere l'appello in tempi rapidi. Il 23 febbraio 2010 inizia il processo d'Appello. Fininvest chiede di riformare la sentenza di primo grado poiché, a suo giudizio, la Cir non subì alcun danno nella vicenda Mondadori. Diversa la posizione dei legali di Cir, che ribadiscono la richiesta di risarcimento poiché, a loro dire, la corruzione del giudice Metta ha alterato i rapporti di forza tra le due società, indebolendo la posizione negoziale di Cir nelle trattative per la spartizione della Mondadori.

Nella prima udienza d'appello, i legali di Fininvest (che in secondo grado rafforzano il pool dei legali composto dagli avvocati Vaccarella, De Nova, Lombardi) chiedono alla Corte di effettuare una perizia per determinare la congruità con i prezzi di mercato del valore delle azioni nella spartizione della Mondadori dell'aprile 1991. Il 4 marzo 2011 la Corte, presieduta dal giudice De Ruggero, concede una perizia (consulenza tecnica d'ufficio) ma su un quesito diverso rispetto a quello chiesto da Fininvest. Ai tre consulenti tecnici Guatri, Martellini, Pellicelli, la Corte chiede di verificare "se e quali variazioni dei valori delle società e delle aziende oggetto di scambio tra le parti siano intervenute fra giugno del 1990 e aprile del 1991". I tre consulenti rispondono consulenti rispondono al quesito sottolineando che tra il giugno del 1990 e l'aprile del 1991 il valore delle aziende si era ridotto di circa il 18%.

Il processo va avanti fino all'ultima udienza del 4 marzo. Cir chiede che le venga riconosciuto il 100% del danno (e non l'80%) o, in alternativa, la conferma della sentenza di primo grado. Fininvest chiede di riformare la sentenza di primo grado poiché ritiene che Cir non abbia subito danno. Intanto, fuori dalle aule giudiziarie, in più occasioni, ultima il G8 in Francia, il premier denuncia: "Mi vogliono attaccare anche nel patrimonio".
(04 luglio 2011)


www.repubblica.it/politica/2011/07/04/news/scheda_lodo_mondadori-17046479/?re...

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04/07/2011 19:39
 
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"La signora Berlusconi ha lo spazio di un'intera pagina, ma non affronta mai il problema capitale. La sedia su cui è seduta alla Mondadori è stata ottenuta fraudolentemente con la corruzione dei magistrati, strappando l'azienda al legittimo proprietario, attraverso la frode e la corruzione dei magistrati. Tutto questo certificato da tre gradi di giudizio e da una sentenza passata in giudicato."



Questi sono giudici non comunisti,allora ci sono,non tutti i giudici perseguitano Berlusconi e la sua famiglia!Bisogna che si informi Obama!
05/07/2011 14:05
 
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L'ultimo trucco "ad aziendam" di Berlusconi
il 'padrone' del paese corrompe la democrazia
Nelle pieghe della manovra una norma per proteggere la Fininvest del Cavaliere e sospendere il pagamento del risarcimento da 750 milioni di euro per il Lodo Mondadori. È la ventesima legge ad personam del premier
di GIUSEPPE D'AVANZO
Silvio Berlusconi e carlo De Benedetti in una foto degli anni '80

ARTICOLO
Accordi, retromarce, processi le tappe del Lodo Mondadori

ARTICOLO
Un comma pro-Berlusconi per bloccare risarcimento a Cir
CHI SI ERA illuso che Berlusconi, avvilito dagli scandali e depresso per le bocciature elettorali, fosse ormai al capolinea, è servito. L'uomo sarà anche all'ultimo atto - arriva sempre e per tutti un ultimo atto - ma non ha alcuna voglia o possibilità di abbandonare la scena, come lascia intendere con mosse teatrali incoronando capo del suo partito una comparsa, un attor giovane, Angelino Alfano.

LE TAPPE DELLA VICENDA 1

La cruda verità è che Berlusconi non può abbandonare. Deve restare lì, al governo e al potere, al riparo di un macroscopico conflitto d'interessi per proteggere la sua roba e il suo destino.

L'Egoarca non ha altra preoccupazione che se stesso e non è una novità, ma ormai la consapevolezza di ventisette milioni di italiani che hanno cancellato nel voto referendario il "legittimo impedimento", di fatto dicendogli che non avrebbero più tollerato leggi personali. L'Egoarca non se ne dà per inteso. Si fece leader politico per venir fuori dai suoi guai finanziari. Era più o meno alla rovina nel 1994. Aveva debiti a medio-lungo termine per 2927 miliardi di lire e a breve per 1528 miliardi a fronte di un capitale netto di 1053 miliardi. Per non farla lunga, un fallito. Dopo diciassette anni e dopo il suo ennesimo fallimento - questa volta, politico - stiamo ancora qui a parlare dei suoi soldi, delle sue utilità, di che cosa gli conviene, di che cosa non gli conviene.

Così mentre il governo chiede agli italiani - e agli italiani più deboli, i pensionati, i precari, i giovani - di versare lacrime e sangue per riequilibrare i conti dello Stato, Berlusconi si apparecchia il solito codicillo "ad personam" o "ad aziendam" che permetterà a lui - il Tycoon miliardario della Fininvest - di fare festa in tempi di stenti risparmiando di pagare un risarcimento di 750 milioni di euro.

I fatti sono noti e non può far velo a Repubblica prendere posizione anche se il beneficiario di quel risarcimento è l'editore di Repubblica. La ragione di questa serenità è che all'inizio di questa storia c'è un fatto provato, accertato, indiscutibile: la corruzione di un giudice. Quindi, un delitto, un reato. È un "dettaglio" che - per nulla misteriosamente - scompare sempre nelle ipocriti o servili ricostruzioni del caso.

Dunque, due imprenditori, due privati cittadini, Berlusconi e De Benedetti, hanno una contesa d'affari. In gioco è la proprietà della Mondadori. Finiscono in tribunale. Berlusconi si compra chi deve decidere della controversia, il giudice Metta. La corruzione della toga viene accertata al di là di ogni ragionevole dubbio in tre gradi di giudizio. La sentenza è definitiva e ha uno strascico: come risarcire chi si è visto privato di un bene con un crimine? Un altro giudice - un giudice civile, poi aggredito e degradato per vendetta dalla "macchina del fango" - decide che il prezzo giusto per il danno subito da De Benedetti è di 750 milioni di euro.

Berlusconi si appella. La decisione è attesa di qui a qualche giorno, ma l'Egoarca la teme. Se ne lagna, con pose da vittima, appena può. Al funerale del suo miglior amico. Al matrimonio della sua ministra. Tace di aver corrotto il giudice. "Vogliono colpirmi nel patrimonio" dice trascurando di aver colpito il patrimonio altrui. Lavora in silenzio. Non lascia trapelare un sospiro. Anche se qualche traccia rimane nel terreno.

Nei giorni scorsi, quando i manager della Fininvest presentano il bilancio della holding, svelano di non aver messo in conto nessun accantonamento, a copertura dell'eventuale risarcimento alla Cir. Sanno che "il Dottore" si sta muovendo per salvare se stesso e i conti del gioiello di famiglia. Nella bozza di manovra presentata nel pre-consiglio dei ministri il codicillo non c'è. Non c'è nella bozza consegnata ai ministri, giovedì scorso. Appare tra sabato e domenica - dunque quando materialmente il documento è ancora a Palazzo Chigi. Devono averla affatturata gli avvocati del premier. È proprio il tira e molla tra presidenza del Consiglio con i suoi legulei e il ministero del Tesoro con i suoi tecnici deve aver ritardato la trasmissione del documento al Quirinale.

A scrutinare oggi il decreto legge si scorge un metodo rituale: cambio un comma di una legge, neutralizzo la giustizia, incasso il vantaggio privato. In questo caso, si manipolano due commi del codice di procedura civile. Finora il giudice poteva sospendere le pronunce di condanna in attesa della sentenza di Appello o di Cassazione. Ora riformati il primo comma dell'articolo 283 e dell'articolo 373, il giudice deve obbligatoriamente in forza delle legge "ad personam", pensata per proteggere la Fininvest del Cavaliere, sospendere il pagamento del risarcimento.

Così l'Egoarca che nei prossimi giorni - la sentenza era prevista in settimana - avrebbe dovuto sborsare alla Cir di Carlo De Benedetti tra i 750 e i 500 milioni di euro può tenere la borsa chiusa e attendere tempi migliori per cancellare tutto, magari con un'altra legge, con un altro codicillo, con un colpo di mano che - altro che ultimo atto! - lo porti al Quirinale che poi magari dal Colle più alto è più facile ottenere obbedienza dei giudici e sentenze accomodate.

Ora a occhio nudo possiamo vedere quel che accade ancora una volta, per la ventesima volta (tante - venti - sono le leggi ad personam). Berlusconi pretende che il suo destino sia il destino dell'Italia. Con questa convinzione, si è impadronito della "cosa comune" e ne fa una "cosa propria". Impone leggi personali corrompendo la nostra democrazia. Per proteggere la democrazia dalla corruzione esiste la Costituzione. Per dirlo con le parole di Gustavo Zagrebelskj, la funzione della Costituzione "è precisamente di evitare che qualcuno, una parte soltanto, s'impadronisca della "cosa di tutti"". Come si è impadronito Berlusconi deformando a proprio vantaggio addirittura la manovra finanziaria per la quale saremo giudicati dai nostri creditori, dai Paesi con cui condividiamo l'euro, dai mercati.

Declinato così questo nuovo caso di corruzione della democrazia italiana, bisogna allora guardare al Quirinale. Giorgio Napolitano firmerà il decreto legge? Quali sono gli eventi che rendono quel codicillo (il giudice deve sospendere l'esecutività di una condanna di ammontare superiore a venti milioni di euro) "necessario e urgente" come prevede l'articolo 77 della Costituzione? È sufficiente il buon senso per rispondere. Non si avvista alcun fatto nuovo, se non la prossima soluzione di un singolo caso - la contesa Fininvest-Cir, Berlusconi-De Benedetti. Sarà per questo che la firma del decreto, come conferma la presidenza della Repubblica, non c'è stata ieri e non ci sarà oggi perché è ancora in corso un'"attenta e scrupolosa valutazione", formula che lascia trasparire tutte le perplessità di Napolitano.

Il Colle ferma così l'orologio per chiedere al governo, a Berlusconi, a Tremonti, un ripensamento. Questo più o meno il ragionamento: il governo ha inviato soltanto una bozza. Come ogni lavoro provvisorio e non definitivo, è ancora possibile emendarla e correggerla e il testo della manovra va corretto nella forzature privatistiche imposte dagli interessi di un Egoarca attento alla sua roba.

La finestra che ha aperto il capo dello Stato consentirà a molti di mostrare di quale pasta sono fatti e al Paese di apprezzarne responsabilità e senso dello Stato. Potrà Tremonti conservare intatta la credibilità di moralizzatore della finanza pubblica se non si spenderà a favore dei dubbi del Quirinale? E quali parole di sostegno alla "leale collaborazione" di Napolitano sentiremo invece da Angelino Alfano, indicato come il "cuoco della frittata" e l'ambizioso capo di un partito che si vuole "degli onesti"? Ancora poche ore e sapremo.
(05 luglio 2011)

www.repubblica.it/politica/2011/07/05/news/padrone_paese-18672269/?re...

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05/07/2011 14:06
 
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Mondadori, storia di una sentenza comprata Nel 1991 la Corte d'appello annulla il Lodo arbitrale e sfila il primo gruppo editoriale italiano al patron dell'Espresso. Il corruttore è Cesare Previti che, con gli avvocati Pacifico e Acampora, pagò il giudice Vittorio MettaChe la sentenza Mondadori del 1991 che annullò il Lodo arbitrale e sfilò il primo gruppo editoriale italiano a Carlo De Benedetti consegnandolo a Silvio Berlusconi fosse comprata, dovrebbero saperlo tutti. Il corruttore si chiama Cesare Previti che, assieme agli avvocati Attilio Pacifico e Giovanni Acampora, pagò il giudice Vittorio Metta per conto di B. e con denaro della Fininvest di B., utilizzatore finale del mercimonio criminale. Da vent’anni dunque il presidente del Consiglio possiede abusivamente una casa editrice, con i suoi libri e i suoi settimanali, usandoli per accumulare utili e consensi. Ma non vuole saperne di restituire il maltolto. Un po’ di storia.

IL LODO
Nel 1988 Berlusconi, che già da tempo ha messo un piede nella casa editrice rilevando le azioni di Leonardo Mondadori, annuncia: “Non voglio restare sul sedile posteriore”. De Benedetti, che controlla il pacchetto di maggioranza, resiste all’assalto e si accorda con la famiglia Formenton, erede di Arnoldo, che s’impegna a vendergli il suo pacchetto azionario entro il 30 gennaio 1991. Ma gli eredi cambiano idea e, nel novembre del 1989, fanno blocco con Berlusconi che, il 25 gennaio 1990, si insedia alla presidenza della casa editrice. Oltre a tre tv e al Giornale, dunque, il Cavaliere s’impossessa del gruppo editoriale che controlla Repubblica, Panorama, Espresso, Epoca e i 15 giornali locali Finegil, spostandolo dal campo anti-craxiano a quello filo-craxiano. La “guerra di Segrate”, per unanime decisione dei contendenti, finisce dinanzi a un collegio di tre arbitri, scelti da De Benedetti, dai Formenton e dalla Cassazione. Il lodo arbitrale, il 20 giugno 1990, dà ragione all’Ingegnere: il suo patto con i Formenton resta valido, le azioni Mondadori devono tornare a lui. Berlusconi lascia la presidenza, arrivano i manager della Cir debenedettiana: Carlo Caracciolo, Antonio Coppi e Corrado Passera. Ma il Cavaliere rovescia il tavolo e, assieme ai Formenton, impugna il lodo dinanzi alla Corte d’appello di Roma. Se ne occupa la I sezione civile, presieduta da Arnaldo Valente (secondo Stefania Ariosto, frequentatore di casa Previti). Giudice relatore ed estensore della sentenza: Vittorio Metta, anch’egli intimo di Previti. La camera di consiglio si chiude il 14 gennaio 1991. Dieci giorni dopo, il 24, la sentenza viene resa pubblica: annullato il Lodo, la Mondadori torna per sempre a Berlusconi. L’Ingegnere lo sapeva già: un mese prima il presidente della Consob, l’andreottiano Bruno Pazzi, aveva preannunciato la sconfitta al suo legale Vittorio Ripa di Meana. “Correva voce – testimonierà De Benedetti – che la sentenza era stata scritta a macchina nello studio dell’avvocato Acampora ed era costata 10 miliardi… Fu allora che sentii per la prima volta il nome di Previti, come persona vicina a Berlusconi e notoriamente molto introdotta negli uffici giudiziari romani”. Nonostante il trionfo, comunque, Berlusconi non riesce a portare a casa l’intera torta. I direttori e molti giornalisti di Repubblica, Espresso e Panorama si ribellano ai nuovi padroni. Giulio Andreotti, allarmato dallo strapotere di Craxi sull’editoria, impone una transazione nell’ufficio del suo amico Giuseppe Ciarrapico: Repubblica, Espresso e i giornali Finegil tornano al gruppo Caracciolo-De Benedetti; Panorama, Epoca e il resto della Mondadori rimangono alla Fininvest.

I SOLDI
Indagando dal 1995 sulle rivelazioni della Ariosto sulle mazzette di Previti ad alcuni giudici romani, il pool di Milano scopre un fiume di denaro dai conti esteri Fininvest a quelli degli avvocati del gruppo e da questi, in contanti, a Metta. Il 14 febbraio ‘91 dalle casse All Iberian parte un bonifico di 2.732.868 dollari (3 miliardi di lire) al conto “Mercier” di Previti. Da questo, il 26 febbraio, altro bonifico di 1 miliardo e mezzo (metà della provvista) al conto “Careliza Trade” di Acampora. Questi il 1° ottobre bonifica 425 milioni a Previti, che li dirotta in due tranche (11 e 16 ottobre) sul conto “Pavoncella” di Pacifico. Il quale preleva 400 milioni in contanti il 15 e il 17 ottobre e li fa recapitare in Italia a un misterioso destinatario: secondo l’accusa, Metta. Il giudice, nei mesi successivi, acquista e ristruttura un appartamento per la figlia Sabrina e compra una nuova auto Bmw, il tutto con denaro contante di provenienza imprecisata (circa 400 milioni). Poi lascia la magistratura, diventa avvocato e dove va a lavorare con la figlia Sabrina? Allo studio Previti, naturalmente. Al processo, Previti giustificherà quei 3 miliardi Fininvest in Svizzera come “tranquillissime parcelle”, ma non riuscirà a documentare nemmeno uno straccio di incarico professionale in quel periodo. Mentiranno pure Acampora e Pacifico. E così Metta, che tenterà di spacciare l’improvvisa liquidità per un’eredità. L’ex giudice giurerà di aver conosciuto Previti solo nel ‘94, ma i pm Boccassini e Colombo scopriranno telefonate fra i due già nel 1992-‘93.
Poi ci sono le modalità a dir poco stravaganti della sentenza Mondadori: dai registri della Corte d’appello emerge che Metta depositò la motivazione (168 pagine) il 15 gennaio 1991: il giorno dopo la camera di consiglio. Un’impresa mai riuscita a un giudice, né tantomeno a lui, che impiegava due-tre mesi per sentenze molto più brevi. Evidente che qualcuno l’aveva scritta prima che la Corte decidesse.

IL PROCESSO
Nel 1999 il pool chiede il rinvio a giudizio per Berlusconi, Previti, Metta, Acampora, Pacifico. Nel 2000 il gup li proscioglie tutti con formula dubitativa (comma 2 art. 530 cpp). Ma nel 2001 la Corte d’appello accoglie il ricorso della Procura e li rinvia a giudizio tutti, tranne Berlusconi, appena tornato a Palazzo Chigi e salvato dalla prescrizione: a lui i giudici accordano le attenuanti generiche. Perché a lui sì e agli altri no? Per “le attuali condizioni di vita individuale e sociale il cui oggettivo di per sé giustifica l’applicazione” delle attenuanti. La Cassazione conferma: il Cavaliere non è innocente, anzi è “ragionevole” e “logico” che il mandante della tangente a Metta fosse proprio lui. Ma un fatto tecnico come le attenuanti “per la condotta di vita successiva all’ipotizzato delitto” giustifica le attenuanti ad personam. Anziché rinunciare alla prescrizione per essere assolto nel merito, B. prende e porta a casa. E fa bene: gli altri coimputati, senza le attenuanti, saranno tutti condannati. In primo grado, nel 2003, Metta si prende 13 anni, Previti e Pacifico 11 anni sia per Mondadori sia per Imi-Sir, e Acampora (per la sola Mondadori) 5 anni e 6 mesi. Nel 2005, in appello, tutti condannati per Imi-Sir e tutti assolti (comma 2 art. 530) per Mondadori. Nel 2006 la Cassazione annulla le assoluzioni e ordina un nuovo appello che condanni pure per Mondadori.

LA SENTENZA
Il 23 febbraio 2007, in Corte d’appello, Previti, Pacifico e Acampora si vedono aumentare la pena di un altro anno e 6 mesi e Metta di 1 anno e 9 mesi, “in continuazione” con le condanne ormai definitive per Imi-Sir. Scrivono i giudici che la sentenza Mondadori fu “stilata prima della camera di consiglio”, “dattiloscritta presso terzi estranei sconosciuti” e al di “fuori degli ambienti istituzionali”. Tant’è che al processo ne sono emerse ”copie diverse dall’originale”. B. era all’oscuro dell’attività corruttiva dei suoi legali (che non assistevano la Fininvest nella causa, seguita dagli avvocati Mezzanotte, Vaccarella e Dotti)? Nemmeno per sogno: aveva – scrivono i giudici – “la piena consapevolezza che la sentenza era stata oggetto di mercimonio”. Del resto “l’episodio delittuoso si svolse all’interno della ‘guerra di Segrate’, combattuta per il controllo di noti ed influenti mezzi di informazione; e si deve tener conto dei conseguenti interessi in gioco, rilevanti non solo sotto un profilo meramente economico, comunque ingente, ma anche sotto quello prettamente sociale della proprietà e dell’acquisizione dei mezzi di informazione di tale diffusione”. Quando De Benedetti, sconfitto dalla banda Previti-Metta & C, accettò la transazione Ciarrapico per recuperare almeno parte del maltolto, si verificò un fatto inspiegabile: B. si oppose con foga al tentativo – assolutamente normale – della Cir di accennare, nel preambolo dell’accordo, alla sentenza che aveva appena annullato il lodo. Perché mai non voleva firmare un atto che facesse riferimento alla sentenza Metta? Perché – deduce la Corte – era “a conoscenza dell’inquinamento metodologico a monte determinato dall’intervenuta corruzione del giudice”. Alla fine i giudici citano la testimonianza “pienamente attendibile” della Ariosto, cui Previti aveva confidato “probabilmente nel luglio 1991 di essere stato lui a vincere la guerra di Segrate, e non Dotti”. Anche i giudici d’appello definiscono Berlusconi il “privato corruttore”. Ma, diversamente dai loro colleghi che avevano disposto il rinvio a giudizio, stabiliscono che Previti, Pacifico e Acampora non concorrono nel reato del giudice Metta, bensì in quello del “privato corruttore”, cioè di B.: “L’attività degli extranei nella consegna del compenso illecito si sostituisce a una condotta, che, altrimenti, sarebbe giocoforza posta in essere, in via diretta, dal privato interessato… La retribuzione del giudice corrotto è fatta nell’interesse e su incarico del corruttore”. In pratica i tre avvocati Fininvest agirono come intermediari di B. che li incaricò di pagare Metta e, in seguito alla sentenza comprata, s’intascò la Mondadori. Essi, diversamente da lui, non meritano le attenuanti generiche, “non ravvisandosi alcun elemento positivo per attenuare il trattamento sanzionatorio”. E questo per “l’enorme gravità del reato [e per] la gravità del danno arrecato non solo alla giustizia, ma all’intera comunità, minando i principi posti alla base della convivenza civile secondo i quali la giurisdizione è valore a presidio e a tutela di tutti i cittadini con conseguente ulteriore profilo di gravità per l’enorme nocumento cagionato alla controparte nella causa civile e per le ricadute nel sistema editoriale italiano, trattandosi di controversia (la cosiddetta guerra di Segrate) finalizzata al controllo dei mezzi di informazione; [per] la spiccata intensità del dolo; [per] i motivi a delinquere determinati solo dal fine di lucro e, più esattamente, dal fine di raggiungere una ricchezza mai ritenuta sufficiente”.

I DANNI
La Corte riconosce infine alla parte civile Cir di De Benedetti “tanto il danno emergente quanto il lucro cessante, sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi effettivi di cessione della Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato azionario”. Danni da quantificare in separata sede civile. Il 13 luglio 2007 la II sezione penale della Cassazione mette il timbro finale al caso, confermando in toto la sentenza d’appello-bis. La vicenda – scrivono i giudici – “coinvolgente la Fininvest, fonte della corruzione e pagatrice del pretium sceleris”, cioè del “mercimonio” della sentenza Metta, non ammette attenuanti: per “l’elevata gravità del reato e del relativo danno, l’intensità del dolo, i motivi a delinquere e i comportamenti processuali” caratterizzati da “mendacio”. A quel punto la Cir, con gli avvocati Giuliano Pisapia ed Elisabetta Rubini, chiede alla Fininvest 1 miliardo di euro di danni. Nel 2009 il Tribunale civile di Milano condanna B. e Fininvest a risarcire Cir con 750 milioni. Il giudice Raimondo Mesiano viene pedinato e linciato da Canale5 e dalla stampa Mondadori, addirittura perché porta i calzini turchesi. La Fininvest e B., diversamente da chiunque altro perda una causa civile, ottengono una sospensiva dell’immediata esecutorietà della sentenza: depositano una fidejussione e non pagano, in attesa dell’appello. Ora che la sentenza di secondo grado è alle porte, un codicillo nascosto nella manovra finanziaria li esenta dal pagare anche se perdono in appello. È il “partito degli onesti”.

da Il Fatto Quotidiano del 5 luglio 2011


www.ilfattoquotidiano.it/2011/07/05/mondadoristoria-di-una-sentenza-comprata...

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06/07/2011 09:08
 
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A parte la gravita' della faccenda,avendo fatto inserire alla chetichella la norma,non vorrei che questo distogliesse la gente dall'ancor piu' oscena manovra finanziaria che,ancora una volta,va a gravare sulle categorie piu' deboli!Il rimando a dopo la fine della legislazione della parte piu' onerosa dei tagli e' ancora piu' oscena,in quanto studiata per mettere in cattiva luce i prossimi eletti!
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