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Raccogliamo qui le nostre Emozioni, i nostri Pensieri e Tributi dedicati all'angelo Michael Jackson.

 
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Neverland... Once upon a time.

Ultimo Aggiornamento: 13/07/2009 22:11
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13/07/2009 22:11
 
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Mio tributo a Michael.
Il mio tributo a Michael è un libro... cosa ne pensate di questo primo capitolo?

-Chaltuu, devi prendere la medicina! –Le urla strepitanti di Rose echeggiavano nel tetro corridoio dell’ospedale Matany. Nascosta nell’angolo ero intenzionata a non farmi scoprire, perciò non risposi.
-Oh, eccola qui! –Quella non era la voce della dolce –anche se insistente- Rose.
-Bem! Che cavolo vuoi?! Abbassa la voce! –Mi voltai in cerca della pillola nemica stretta nel pugno della premurosa infermiera che, fortunatamente, non ci aveva sentiti.
-E perché dovrei? –Ammise arricciando il naso all’in su e incrociando le braccia.
Sbuffai, sicura che da un momento all’altro l’avrei strozzato. Bem era fastidioso, antipatico e cinico! Lo odiavo, era un impiccione e il suo hobby era quello di rovinare la vita altrui. In quel momento ero capitata proprio io al centro del suo mirino: Chaltuu, vittima del giorno! Wow! Per lui doveva essere assai allettante, essendo l’odio corrisposto.
-Se non mi darai il libro di Kirikù e la strega Karabà… -Interruppi quella che somigliava ad una minaccia.
-Ma se non sai neanche leggere! –Sospirai.
-Non importa, so che l’hai a cuore e sai che mi basta. –Sorrise beffardo, scrutandomi ansioso con i suoi enormi occhi a palla.
-No! Scordatelo! –Quasi come uno sputo urlai la risposta che attendeva. Ero in piedi e in collera. Non poteva ricattarmi così, era sleale! Ma d'altronde, cosa potevo aspettarmi da lui?
-E allora sarò costretto ad avvisare Rose, urlando naturalmente.
Le nostre ombre si riflettevano sulla parete sterile: io ero più bassa di lui e il suo naso adunco, sul muro, sembrava molto più grande. Solo una cosa ci accomunava: la gracilità.
-Eccoti, finalmente! Ci risiamo con i tuoi nascondigli! Chaltuu, potremo giocare a nascondino quando vuoi ma prima prendi questa medicina. Non farti implorare, per favore.
Gli occhi azzurri di Rose, mi convinsero. Non avevo nessuna intenzione di farla disperare, inoltre non avevo voglia di correre per tutto l’edificio, seguita da lei e dall’idiota.
-Okay, dammi questa medicina! -Le dissi, ormai arresa.
Per tutta risposta, mi dedicò uno dei suoi splendenti sorrisi che placò tutto l’odio che avevo accumulato nei confronti di Bem.
La pillola era ormai troppo vicina alle mie labbra che, seguite dal solito istinto di rigetto, si irrigidirono.
Rose premette ai lati della mia bocca che, involontariamente, si schiuse quel tanto che bastava.
La pillola si muoveva sulla mia lingua tremante, non trovavo la forza di ingurgitarla, ma dovevo; la sensazione fu orribile: l’aspro gusto del farmaco fece in modo che il sapore della mia saliva divenne insostenibile. Sentii un fremito, la voglia di espellere quel corpo estraneo fu tanta ma non ce la feci perché, ormai, era arrivato dritto nel mio stomaco. Fortuna che la parte peggiore era finita.
-Bleah! –Esclamai davvero disgustata.
Bem sogghignava spudoratamente e Rose lo fulminò con un’occhiataccia.
-Dai, andiamo o salterete il pranzo.
-Chiamalo pranzo! –E, per una volta nell’arco dei miei otto anni, ero d’accordo con lui.
-Non dire così! Ringrazia Dio per questo, invece di minimizzare tutto! –Indignata, Rose proseguì velocemente verso la sala mensa. Incrociai lo sguardo di Bem che, come me, si pentì di aver pensato ed espresso tali parole.
-Minimi... min… mimi…
-Minimizzare? Significa ridurre il significato di una determinata cosa! Ti avevo detto di non saltare le lezioni, imbecille! –Sospirai, ancora una volta sorpresa dall’imprevedibilità di Bem. –E pensare che ero convinta che ti dispiacesse…
Entrammo nella sala più grande dell’edificio; tutti stavano prendendo posto mentre io raggiungevo Dalila, la mia migliore amica che, entusiasta, gesticolava animatamente.
-Ehi Chaltuu, cosa ci facevi con quello? –Mi disse posizionando le stampelle accanto a sé.
-Niente, lasciamo perdere.
Finalmente la campanella suonò e, il signor Timoty Burcher, salì per proferire la preghiera che precedeva il pranzo.
-Amen. –Un coro di voci si diffuse nell’aria.
Un secondo dopo le forchette affondarono nelle patate e, il rumore di ognuna di esse, si tramutò in un unico e rimbombante suono.
Erano passati cinque minuti e il piatto della maggior parte di noi era vuoto. Ne approfittai per aiutare Dalila che era una dei pochi a non aver finito. Con una mano sulla sua spalla, attesi che imboccasse l’ultima patata e, con estrema delicatezza, la voltai verso me cingendo quello che rimaneva delle sue esili gambe.
-Ecco. –Le dissi trasportandola dalla panca, sulla sedia a rotelle.
-Grazie. –Sorrise celando la sua tristezza; sapevo che non accettava ciò che il destino le aveva serbato, perciò volevo rimanerle vicino.

Ricordo perfettamente quel giorno in cui raggiungemmo la fonte d’acqua, lontana chilometri dalla capanna in cui abitavamo. Era rischioso affrontare quel viaggio ma, avendo perso le nostre famiglie in tempi di guerra, dovevamo tentare per sopravvivere.
Intraprendemmo l’escursione mattina presto e arrivammo tarda notte. Trascorremmo quel poco che rimaneva delle ore buie a riposare e, alle prime luci del mattino, riprendemmo il viaggio verso casa con i secchi pieni d’acqua. Tutto sembrava tranquillo, mancavano pochi metri e saremmo arrivate a destinazione ma, ad un certo punto, udii le urla strazianti di Dalila non poco lontane da me. Mi voltai per soccorrerla ma non la vidi: era sparita. Lasciai per terra i secchi d’acqua e mi catapultai nel posto dove si trovava poco prima: immediatamente mi resi conto che c’era un piccolo ma letale fossato. Era lì, ne ero certa.
-Chaltuu, non sento più le gambe! –Non potevo vederla poiché era troppo tetro e profondo ma, fortunatamente, potevo sentire ancora la sua voce.
-Non preoccuparti, uscirai di lì. Te lo prometto! –Io stessa, in quel momento, sentii una nota di ipocrisia nelle mie parole. Era impossibile aiutarla, eravamo circondate dal nulla. Sarei riuscita ad arrivare in tempo al villaggio? Dalila ce l’avrebbe fatta?
Un assordante rumore riportò la mia mente alla realtà, non serviva porsi domande: dovevo trovare una soluzione. Non dovetti sforzarmi più di tanto, capii subito che quella specie di mosca con le ali sulla testa, mi avrebbe aiutata.
Così, iniziai a saltare, ad urlare, a mostrare le mie mani al cielo e, come d’incanto, “l’insetto” atterrò a pochi metri di distanza da me e dall’invisibile ma pericoloso cratere.
Spento il motore e alleviato il frastuono, un uomo alto e biondo mi raggiunse.
-Piccola, cosa ci fai qui? –Chiese, cingendomi le spalle.
-. Mi aiuti, la prego! La… la mia amica è caduta… –Supplicai in preda all’ansia, indicando alle mie spalle.
-Stai tranquilla, la tireremo fuori. Luke, dammi una corda e vieni qui, sbrigati!
Un secondo uomo ci raggiunse con una fune fra le mani, il gentile signore se la legò alla vita e si calò nel fossato.
-Quando ti avviso, tiraci su. Pronto? –La sua determinazione mi ispirò fiducia.
-Pronto Tim! –Rispose con altrettanto entusiasmo e vigore Luke.
Improvvisamente sparì e sentii dei bisbigli, riconobbi la voce di Dalila e tirai un sospiro.
Dopo pochi minuti arrivò il segnale e il ragazzo, con molto sforzo, tirò su la corda e quando fu abbastanza l’uomo posò Dalila sul terreno.
Mi catapultai verso di lei, respirava ancora e mi sorrise.
-Dalila! Oddio, grazie! Grazie! –Le presi il viso fra le mani e l’abbracciai calorosamente.
-Andiamo, Luke prendi la bambina. –I due si scambiarono sguardi d’intesa e Tim sembrava davvero preoccupato. –Vieni. –Mi porse il palmo che afferrai all’istante.
Salimmo sopra l’elicottero –così si chiamava- e, durante il tragitto, nessuno disse niente, un silenzio assordante e insopportabile regnava l’atmosfera.
-Allora, come vi chiamate? –Probabilmente anche “l’eroe” si rese conto della situazione che creatasi e cercò di rompere il ghiaccio.
-Io sono Chaltuu, la mia amica si chiama Dalila. Lei?
-Oh, dammi del tu. Sono Timoty Burcher, direttore dell’ospedale Matany. E’ lì che stiamo andando, dove la piccola avrà le cure mediche necessarie. –Disse cercando di rassicurarmi.
-Grazie.


-Ehi! Ti sei addormentata? –La voce di Dalila mi riportò alla realtà e riconobbi nei suoi occhi il velo di malinconia che, dal giorno in cui le amputarono le gambe, marcava le sue iridi. Erano passati due anni e ricordo bene i primi giorni dopo l’intervento, quando si nascondeva da sé stessa e dagli altri, oppure quando rifiutava di parlarmi e di uscire a giocare in cortile.
-No, ero soprappensiero.
-Okay, andiamo fuori? –Udire Dalila pronunciare quella proposta, mi fece trasalire.
-Certo! –Sorrisi entusiasta.
Purtroppo, però, non ebbi tempo di fare due passi perché qualcuno mi chiamò.
-Ehi Chaltuu aspetta un attimo! –Mi voltai e il signor Burcher era accanto a me. Sapevo già cosa mi aspettava, strinsi i pugni e attesi la solita ramanzina…
-Ho saputo che hai fatto disperare, ancora una volta, la signorina Rose.
-Sì, scusami ma quella medicina fa proprio…
-Ovviamente. –Sorrise e mi diede due pacche sulla testa.
-Ora andiamo a fare un giro in cortile, ci vediamo! –Afferrai la sedia a rotelle e fuggii via senza attendere la risposta.
-Ma… Chaltuu, và piano! -Urlò disperatamente il direttore.
-Certo, certo! –Risposi prendendo velocità, soffocando la fragorosa risata di Dalila.
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