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Joy Division: Unknow Pleasure

Ultimo Aggiornamento: 28/10/2008 07:18
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09/05/2008 00:16
 
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A Rarronno.
Come anticipato nella tua Presentazione, apro qui le danze sulla Divisione della Gioia.

La mia passione per i Joy Division iniziò nella tarda adolescenza.
La decadenza e la tragedia mista allo straordinario standard qualitativo della loro produzione, furono un sonoro colpo di fulmine per me!

Materiale audio ufficiale in studio ritengo di possederlo tutto (compreso qualcosa dei Warsaw), sui live vado meno bene.
In video ho un concerto soltanto: Here Are The Young Men. Vhs che comprai nei primi anni 90.
Non ricordo di loro video, a parte Love Will Tear Us Apart...
YouTube lo frequento poco purtroppo e non per scelta!

Comunque, tutto questo per rassicurati sul fatto che so di cosa parli in argomento JD [SM=g27823] .
I contributi che hai postato sono riuscita a vederli solo in parte. Ho una connessione lenta che mi limita parecchio.

Tornando all'interpretazione nel film, la danza di Ian ha qualcosa di inquetante, non è esattamente intrattenitiva.
Non mi riesce bene di capire se nelle riprese siano riusciti a rappresentarla bene, l'attore è alto e dinoccolato, in questo certo gli somiglia molto (anche se un pò più attraente di Ian).
I movimenti sono quelli, è vero, ma qualcosa non mi convince... Mah, dovrei però vederlo per intero prima di giudicare...


[Modificato da ShadowPlayZone 09/05/2008 00:23]
09/05/2008 20:56
 
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Hai ragione, l'attore, pur somigliante è molto più bello di Ian. Credo che sia un pregio quello di riuscire a sembrare un poco impacciato e dinoccolato come l'originale.
Son convinto che l'attore sia un ragazzo decisamente affascinante, e che abbia dovuto limitare il suo sano charme naturale per poter essere credibile nei panni di un ragazzo inglese maledetto e infelice, tutt'altro che un vincente da tutti amato.

Sulla danza, è una questione di impressioni. Ne riparleremo quando avrai visto il film :)

Credo che lo spezzone che ti ho mandato sia preso proprio da Here are the young men.

La cosa che più mi ha colpito comunque rimane la passione che traspare in ogni fotogramma del film.
Ho scoperto ora tra l'altro che Corbijn l'ha auto finanziato insieme a (tra gli altri) Martin Gore.


“You have to be realistic about these things.”
16/05/2008 21:00
 
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La notte tra sabato 17 e domenica 18 maggio, esattamente come 28 anni fa, ricorrerà l'anniversario della morte, violenta, di Ian Curtis.
Posto questo articolo, pubblicato sull’Unità nell’aprile scorso, a beneficio di coloro che non conoscendo il gruppo, vorrebbero capirci qualcosa (di questa discussione) e a coloro i quali sia la biografia cinematografica “Control” che il recentissimo libro pubblicato da Arcana Editrice, possono in qualche modo interessare…


Joy Division, dalla caverna alla stanzetta
Silvio Bernelli

Una sera dell'autunno 1979 la radio sparò nella mia stanzetta di adolescente una ritmica compressa e aggressiva. Pochi secondi e un giro di basso si aggiunse alla batteria: una pulsazione profonda e melodica come mai si era sentita prima. Poi fu il turno della chitarra, dopo ancora di una voce satura di sonorità abissali, come se il cantante avesse eseguito la registrazione da dentro una caverna. "Aspettavo una guida che venisse a prendermi per mano" gridava.

Dire che quel pezzo alla radio suonasse del tutto nuovo è poco; sembrava proprio musica da un altro pianeta. Era Disorder, la canzone che apriva Unknown pleasures il primo capolavoro della band inglese Joy Division. Con alle spalle solo un mediocre 45 giri, ma forte di un nome-shock che richiamava le baracche delle prostitute all'interno del Lager nazisti e di un talento assolutamente originale, la band di Manchester riusciva con Unknown plaeasures a imporsi all'attenzione della scena post punk grazie a suoni aggressivi e testi malinconici. Autore delle liriche era il cantante Ian Curtis che nei mesi successivi avrebbe prestato la voce ad alcune delle canzoni più belle di sempre. Tra queste vanno ricordate almeno Transmission, Atmosphere e la celebre Love will tear us apart, ripresa poi negli anni da ogni tipo di musicisti: dal mieloso Paul Young agli sperimentali Swans, che ne firmano probabilmente la cover più bella.

La notizia del suicidio di Ian Curtis, appena ventitreenne, arrivò nella mia stanzetta d'adolescente pochi mesi più tardi, sempre attraverso la radio. Il cantante si era impiccato il 18 maggio 1980. La morte del frontman proiettò il nuovo disco dei Joy Division, Closer, in testa alle classifiche in Gran Bretagna. Da lì in poi la band avrebbe continuato una carriera da leggenda con la nuova denominazione New Order e Ian Curtis sarebbe rimasto per sempre nell'olimpo del mito rock.

Alla parabola dei Joy Division e alla personalità complessa di Ian Curtis è dedicato Control, film d'esordio del talentuoso fotografo olandese Anton Corbijn. Presentato con successo allo scorso Festival di Cannes, è basato sul libro Così lontano, così vicino scritto da Deborah Curtis, moglie di Ian, pubblicato in Italia da Giunti. In un rigoroso bianco e nero il film ripercorre la vicenda del cantante; l'adolescenza nel popolare sobborgo di Macclesfield; l'incontro con gli altri membri della band a uno show dei Sex Pistols; la comparsa dell'epilessia; l'incontro con l'amante Annick e le successive crisi famigliari con Deborah; la controversa fase finale terminata con un suicidio che a molti sembrò l'epilogo più corretto per chi cantava con trasporto di una vita triste e priva di vie di fuga. Tra le scene migliori, restano nella memoria Ian che s'incammina all'ufficio di disoccupazione, dove lavora come impiegato, con la scritta Hate (Odio) sul giubbotto; l'attacco epilettico che mette fine a un concerto; la paranoia che coglie il cantante all'entrata in scena in una delle ultime esibizioni, interrotta sul nascere da una rissa tra pubblico e membri del gruppo.

Molto intensa la parte finale sul suicidio, che Corbijn non mostra mai, in segno di rispetto per la triste scelta di Curtis.

Sobrio, molto composto, ben recitato dalla coppia di attori Sam Riley-Samantha Morton nelle parti di Curtis e della moglie, Control riesce insomma nell'intento di portare sul grande schermo non solo la storia del gruppo di Manchester, ma anche la sua anima.

Uscito in diversi Paesi con buoni riscontri di critica e pubblico, il film sembrava destinato alle sale cinematografiche anche qui in Italia. I soliti problemi distributivi (leggi: gli addetti ai lavori hanno giudicato il film troppo poco commerciale) hanno però privato migliaia di appassionati della possibilità di godersi il film sul grande schermo. Così, prima o poi, Control uscirà direttamente in dvd. Sempre ai fan della band di Manchester è dedicata la biografia Joy Division - Broken heart romance di Marco Di Marco appena pubblicata da Arcana Editrice, arricchita in chiusura da una dettagliata appendice con discografia aggiornata. Nato nel 1976, autore della monografia Air. French touch (Arcana, 2003), Di Marco è un collaboratore del magazine Il Mucchio. Ha pubblicato racconti su Linus e nel 2007 è stato inserito nell'antologia di scrittori esordienti Voi siete qui, edita da minimum fax.

Di Marco sceglie i sofferti testi di Curtis come filo narrativo per raccontare, con il piglio del critico musicale e la passione del fan, la vicenda dei Joy Division. E così Broken heart romance si dipana attraverso l'analisi di ciascuna canzone firmata dalla band, senza però dimenticarsi di descrivere la scena punk prima e new wave poi che ruotava intorno alla band, o analizzare l'impatto che il lavoro di molti collaboratori, in primis il produttore discografico Martin Hannet e l'art director Peter Saville, ha avuto sul gruppo.

Di più, mettendo a confronto le liriche dolenti di Curtis con le vicissitudini della sua vita privata, Di Marco racconta la storia dei Joy Division da un punto di vista tutto intimo. A questo approccio tipico della critica musicale più avvertita si accompagnano citazioni e stralci di libri e articoli presi di peso dai giornali underground dell'epoca, inglesi in maggioranza, ma in più di un caso anche italiani.

L'analisi di ciascun testo è capace di guidare il lettore alla scoperta della visione del mondo di Ian Curtis, probabilmente il cantante-poeta che, insieme a Kurt Cobain dei Nirvana, meglio di chiunque ha saputo raccontare – e poi purtroppo incarnare - il disagio giovanile in tutte le più dolorose sfaccettature. Ne è un esempio She's lost control, in cui Curtis mette in scena la vicenda di una ragazza epilettica, in cui aveva per la prima volta visto dal vivo l'esplicitarsi del Grande Male di cui lui stesso avrebbe sofferto.

"Ho perso di nuovo il controllo/ Ma si espresse in molti modi/ Finché perse di nuovo il controllo/ E camminava al limitare di un vicolo cieco e ridendo diceva/ Ho perso il controllo." Di Marco fa notare quanto la descrizione della crisi da cui è colpita la ragazza assomigli alle performance a cui lo stesso Curtis si abbandonava duranti i concerti. Più pessimisti e oracolari invece i versi di Atrocity exhibition, un pezzo che fin dal titolo, (La mostra delle atrocità), richiama uno dei capolavori del visionario scrittore inglese J.G. Ballard: "Vedrete gli orrori di un corpo remoto/ Incontrerete faccia a faccia gli architetti della terra/ Vedrete genocidi di proporzioni mai viste/ E tutti quelli che ci hanno dato dentro per realizzarli." Di Marco pone qui l'accento su un: "distacco testimoniale che cede a una partecipazione morale". Ed è nel continuo oscillare tra questi due poli che l'autore sembra trovare la chiave di lettura della poetica dei Joy Division. Un gruppo che ha lasciato il segno per tutti quelli che, ascoltando la radio nella propria stanzetta da quindicenni, scoprirono che con rabbia e tristezza si poteva inventare una musica rivoluzionaria. E anche morirne.

Discografia essenziale:
Album

Unknown Pleasures (LP, Factory FACT 10, June 1979)
Closer (LP, Factory FACT 25, July 1980)
Still (rarità, live) (2×LP, Factory FACT 40, October 1981)
Substance 1977–1980 (compilation) (CD, Factory FACD 250, June 1988)
The Peel Sessions (LP, Strange Fruit SFRLP 211, 1990)
Permanent (compilation, 1995)
Heart And Soul (4 CD complete works, 1997)

[SM=g27823]

17/05/2008 09:28
 
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Joy Division & Ian Curtis, Poeta Del Post-Punk.
Contributi dalla rete...

BIO
I Joy Division sono stati uno dei più importanti gruppi inglesi della fine degli anni Settanta, periodo di superamento dell'era propriamente Punk: volontà di stupire e scandalizzare, sia a livello visivo che da un punto di vista sonoro, nichilismo (l'etica del "No-Future") e l'idea di musica realizzabile da chiunque, quasi senza l'ausilio di alcuna capacità tecnica; questi i suoi aspetti principali, ma già verso il '78 - '79 la spinta propulsiva di questa prima ondata sembra essersi esaurita, e gran parte dei gruppi si orientano verso nuove sonorità che strizzano l'occhio a volte all' elettronica (e di qui la New Wave), altre a sonorità più dark, ed ecco qui quello che viene denominato (semplicisticamente, come in molti altri casi, quando si tratta di affibbiare un'etichetta che racchiuda spazi sonori assai più vasti e diversificati) Post - Punk.

Sarebbe riduttivo però fermarsi qui: i Joy Division hanno rappresentato e rappresentano ancora oggi uno dei gruppi più influenti sull'evoluzione musicale degli ultimi 25 anni: basti pensare agli shoegazers Jesus & Mary Chain e My Bloody Valentine, e ad altri come Jesus Lizard, Nine Inch Nails, o ancora oggi gli Interpol,... nonchè alle analogie tra le storie personali di Ian Curtis e Kurt Cobain, anche se questo è un altro discorso...

Il gruppo nasce a Manchester all'inizio del 1977, dall'unione di Bernard Sumner (chitarra), Peter Hook (basso) e Terry Mason (batteria), già uniti in un gruppo punk chiamato Stiff Kittens, con Ian Curtis (voce), 21enne infatuato di Iggy Pop, David Bowie e Lou Reed, conosciuto durante un concerto in città dei Sex Pistols: il nome iniziale del gruppo è Warsaw, mutuato dalla canzone Warszawa di Bowie: all'inizio le sonorità sono propriamente punk, con pezzi più vivaci e tirati quali l'omonima Warsaw, Leaders of men e No Love Lost, ma già dal nome, che evoca atmosfere cupe e tetre, si può leggere un indizio delle strade che il gruppo si troverà presto a percorrere.

Dopo diversi concerti tra Manchester e dintorni, le prime registrazioni in compilation descrittive della scena locale, e il cambio del batterista con l'arrivo di Steve Morris, Ian e soci hanno ormai una certa fama in zona, e vengono messi sotto contratto dalla Factory, una piccola label locale; il gruppo, siamo ormai al '78, decide di cambiare nome in Joy Division, nome con il quale i soldati nazisti nei lager chiamavano il contingente di donne ebree utilizzate come prostitute personali: la scelta è sicuramente provocatoria e di cattivo gusto, ma rispecchia anche l'interesse di Ian Curtis (sempre dichiaratosi conservatore) per il mondo e l'iconografia nazista (già utilizzata per uno dei primi Ep del gruppo).

L'altra faccia della medaglia in questa crescita esponenziale della fama dei Joy Division è data dalla crescente instabilità di Ian Curtis: un carattere capace di sbalzi estremi dall'allegria alla depressione totale, un atteggiamento arrivista e pronto a tutto per raggiungere il successo, come se già sapesse di avere un posto riservato nell' Olimpo del Rock, l'epilessia da poco cominciata che lo tormentava continuamente, e un impeto distruttivo sul palco, dove inscenava ad ogni concerto quella che agli occhi del pubblico e dei suoi compagni sembrava una recita macabra e gotica, ma che in realtà era semplicemente un modo di mostrare agli altri il proprio dramma e la propria sofferenza.

Intanto le sonorità del gruppo erano mutate, assumendo toni più bassi e ossessivi, sovrastati dai testi oscuri e enigmatici di Ian, cantati con una voce glaciale da oltretomba: sono questi gli aspetti fondamentali del loro esordio su LP, nel 1979, con 'Unknown Pleasures': ed è un gioiello nero.

Dieci brani da brivido, il malessere dell'uomo e il nichilismo fatti musica; gelidi sin dalla copertina, un elettrocardiogramma bianco su sfondo nero e nulla più, gelidi ancor di più nelle note, basti pensare a pezzi come Disorder e Day of the Lords, con quel basso sordo e compatto, o ancora al senso di anestesia che ispirano Candidate o New Dawn Fades, e anche quando il ritmo si fa più serrato, come in Shadowplay o Wilderness, i brani che più si avvicinano al punk e alle prime composizioni del gruppo, senti comunque che c'è qualcosa di diverso, qualcosa di strano e inesplicabile, come una presenza spiritica in sottofondo.

Con l'uscita dell'album il nome Joy Division comincia a circolare seriamente nel mondo degli addetti ai lavori: Ian Curtis compare per un paio di volte in copertina su NME, e il gruppo diventa una testa di serie a Manchester, grazie anche ad un lungo tour come spalla ai Buzzcocks, nel quale finiscono per diventare l'attrazione principale.

Le condizioni del leader vanno però sempre peggiorando, non solo per i sempre più frequenti attacchi di epilessia, ma anche per i suoi problemi familiari: la moglie, Deborah Curtis (autrice della biografia uscita postuma, una decina d'anni fa), viene a sapere della sua relazione con una groupie della band, relazione alla quale Ian sembra dare sempre più peso, e l'impossibilità di scegliere una strada netta, o la moglie e la figlia o l'amante, lo portano sull'orlo del baratro, e proprio il giorno prima di partire per una lunga tournee negli USA, decide di farla finita impiccandosi in casa, il 17 maggio del 1980.

La leggenda vuole che prima di morire abbia visto il film "La ballata di Stroszek" di Werner Herzog, e che al momento del ritrovamento, la mattina successiva, 'The Idiot' di Iggy Pop girasse ancora sul giradischi: vero o no, l'unica cosa certa era la perdita di una grandissima figura, un poeta decadente dei nostri tempi, e di uno dei più grandi gruppi della storia del Rock tutto.


Quel malessere che ha accompagnato Ian negli ultimi mesi della sua vita è possibile sentirlo in 'Closer', uscito poco dopo la sua morte: i temi e le sonorità sono gli stessi di 'Unknown Pleasures', solo meglio curati dal punto di vista degli arrangiamenti, se possibile più ripuliti, e che abbracciano un più ampio ventaglio sonoro; secondo e ultimo capolavoro dei Joy Division, con perle quali Isolation, A means to an end , Heart and Soul e Decades, solo per citarne alcuni... rimane il rimpianto per quello che ancora avrebbero potuto esprimere, e a nulla valgono nè le infinite raccolte postume uscite dall' 80 in poi, con le prime incisioni della band, sin dal tempo dei Warsaw, nè il lavoro fatto in seguito dai tre restanti membri del gruppo, che per rispetto cambiarono il nome in New Order, per avventurarsi quasi da subito in altri territori, quelli dell'elettronica: da ricordare comunque la creazione da parte di Sumner (leader della nuova band) e soci dell' Hacienda, che alla fine degli anni '80 diventerà il punto cardine della scena cittadina, e per un breve periodo porterà a consacrazione la favolosa "Madchester" come capitale mondiale della musica ... ma anche questo è un altro discorso.


Componenti
Ian Curtis - voce, chitarra
Peter Hook - basso
Bernard Sumner - chitarra, tastiere
Stephen Morris - batteria

Discografia
Singoli
An Ideal for Living ("Warsaw"/"No Love Lost"//"Leaders Of Men"/"Failures") (7"EP, Enigma Records PSS 139, June 1978) — 1000 copies
An Ideal for Living (12"EP, Anonymous Records ANON 1, September/October 1978) — 1200 copies
"Transmission"/"Novelty" (7", Factory FAC 13, October 1979; 12" FAC 13.12, December 1980)
Licht und Blindheit ("Atmosphere"/"Dead Souls") (7", Sordide Sentimental SS 33022, March 1980) — 1578 copies
"Komakino"//"Incubation"/"As You Said" (7" flexi disk, Factory FAC 28, April 1980)
"Love Will Tear Us Apart"//"These Days"(7", Factory FAC 23, April 1980; 12", Factory FAC 23.12, June 1980)
"Atmosphere"/"She's Lost Control" (12", Factory US FACUS 2, August 1980)
"Atmosphere"/"The Only Mistake"/"Sound Of Music" (12", Factory FAC 213, June 1988)
"Atmosphere"/"Transmission (live)"/"Love Will Tear Us Apart" (CD, Factory FACD 213, June 1988)
"Video 5 8 6 (New Order)"/"As You Said" (12", Touch TONE 7.1, July 1997)

Album
Unknown Pleasures (LP, Factory FACT 10, June 1979)
Closer (LP, Factory FACT 25, July 1980)
Still (rarità, live) (2×LP, Factory FACT 40, October 1981)
Substance 1977–1980 (compilation) (CD, Factory FACD 250, June 1988)
The Peel Sessions (LP, Strange Fruit SFRLP 211, 1990)
Permanent (compilation, 1995)
Heart And Soul (4 CD complete works, 1997)

Video
Here Are The Young Men (VHS, Ikon FACT 37V; Beta, Ikon FACT 37B, August 1982)
Substance Video (VHS, Factory/Qwest FACT 277; 1988)
17/05/2008 19:26
 
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Recensione del nuovo libro dedicato al gruppo...

Di Marco Marco - Joy Division. Broken Heart Romance

Qualche anno fa, in una non eccessivamente famosa canzone di una band del New Jersey, i Thursday, Geoff Rickly cantava: “And No Signs From Cinema / No City Skyline / No Paper Scraps And No Unfolding At / Five O’ Clock (…) / We Heard Ian Curtis Kill Himself Again / In Your Bed…”. Era l’album d’esordio dei Thursday, “Waiting” (Eyeball Records, 1999): il pezzo si chiamava “Ian Curtis”.
Qualcosa è cambiato, nel frattempo. Il culto della personalità del genio suicida di “Love Will Tear Us Apart” e del sound d’una band seminale come i Joy Division ha cessato d’essere esclusivo patrimonio di agguerrite nicchie di aficionado di Madchester, di cose della Factory Records e di spiriti rock: progressivamente, il cinema ha battuto qualche colpo – in principio fu Winterbottom, “24 Hour Party People” del 2002, quindi “Control” (2007) del vecchio fan, già regista del video di “Atmosphere” Anton Corbjin: entrambi sinora (aprile 2008) inediti in Italia – e ci si avvicina alla consapevolezza che un giorno i Joy Division potranno essere conosciuti almeno quanto i Radiohead.
La canzone dei Thursday parlava di un clima di indifferenza che sembrava accompagnare, dovute eccezioni a parte, la vicenda di Ian Curtis. Qualcosa è cambiato, dicevamo, se in Italia Giunti ha addirittura ristampato dopo una vita la biografia della sua ex moglie Deborah Curtis e Arcana ha pubblicato questa interessante monografia di Marco Di Marco: sì, ora la civiltà è a portata di mano.
Destinato a quanti, tra i neofiti, hanno intenzione di scoprire la ricchezza dei riferimenti letterari, musicali e cinematografici del fu frontman dei Joy Division (da quel Ka-Tzetnik che ispirò, nel romanzo “House of Dolls”, il nome definitivo della band, passando per Ballard, Dostoevskij, Burroughs, sino a Lou Reed, David Bowie, Iggy & The Stooges, Werner Herzog, David Lynch e via dicendo) il saggio di Marco Di Marco è una splendida sintesi di quanto avevamo letto e studiato negli anni, complici gli scritti di Mick Middles (almeno “From Joy Division To New Order”, 1996), il film di Winterbottom, il fumetto “The Crow” di James O’Barr, la biografia della signora Curtis e gli stupendi siti web dei fan (cfr. linkografia, in calce). Elementi innovativi stanno, ad esempio, in due richiami a “Il Nome della Rosa” di Umberto Eco (!, cfr. p. 154) e a qualche verso di Quasimodo, suggestive forzature che denotano l’italianità della ricerca. Chiamiamola cifra stilistica. Il resto è un lavoro a metà tra l’adesione empatica alle lyrics, la biodiscografia e la dolorosa e circospetta indagine delle ragioni del suicidio dell’artista: massacrato non solo dalla sua sensibilità e dalle non eccessivamente contorte sue vicende sentimentali (un matrimonio in giovane età e una relazione clandestina a breve distanza), ma dall’aggravarsi del suo oscuro male, l’epilessia, che Curtis viveva – a ragione – come una tragedia. Completo di campionature di aneddoti e retroscena sulla lavorazione dei dischi, protagonisti gli illustri compagni di viaggio (da Tony Wilson a Rob Gretton, da Martin Hannett a Vini Reilly e Peter Hook) della vita del cantante dei Joy Division, “Broken Heart Romance” è un omaggio necessario a un artista – meno a una band – che ha cambiato le nostre vite, sin dal primo incontro.
Ogni volta che la letteratura e il cinema regalano opere nuove dedicate a Ian Curtis, da qualche anno a questa parte, mi attendo da un momento all’altro orde di nuovi fan in cerca dei due studio album, delle compilation postume di b-sides, inedite e registrazioni bootleg, un po’ come accadde nei primi anni Novanta dopo “The Doors” di Oliver Stone.
Non accade per diverse ragioni. La prima è che i Joy Division non ebbero, nella loro breve vita, la fortuna di pubblico e di critica della band di Morrison. La seconda è che Ian Curtis non ha molto a che fare con Jim Morrison: era senza dubbio affascinato dai suoi versi e dalla sua presenza scenica, ma in questo senso non sarà né il primo né l’ultimo (chi, appena letterato, può resistere a un carisma del genere?). E certamente definire il baritono di Curtis “Jim Morrison meno dionisiaco e più cerebrale”, come fa Di Marco (p. 149), è corretto solo se accompagna il lettore all’intuizione che di antitesi si tratta, e non di vaga somiglianza o discendenza. Uniti da una pulsione autodistruttiva ma ben distinti nell’esito delle loro esistenze, e delle loro fortune commerciali, esercitano fascino per ragioni diverse: Morrison è, restando fedeli alla sua automitologia, una creatura dionisiaca; Curtis non era mai uscito dall’Ade, nell’Ade viveva. Né orfico né dionisiaco, semplicemente ossesso dalla morte, dal dolore, dall’esistenza stessa dei sentimenti, dalla corruzione dell’intelligenza del genere umano.
La terza è che il fu Tony Wilson – il deus ex machina di Manchester, del suo “rinascimento” rock e pop, il profeta della libertà creativa delle band – è sconosciuto in Italia e misconosciuto, in generale, al di là della cerchia dei cultori della scena di Madchester, dei Joy Division e dei New Order: tutto sarà diverso, un giorno, quando questo Stato vivrà una rinascita culturale e cercherà modelli di mecenate nell’Europa del Novecento, modelli di ispiratori di movimenti e di creatori di scene, fondatori di etichette editoriali, discografiche o meno. Allora, quando in molti scopriranno la musica degli ex Warsaw e la grandezza della poesia – qui tradotta in maniera molto letterale e prosaica – di Ian Curtis, altri si domanderanno chi ha permesso a quella musica e a quella poesia di vivere e circolare. Scopriremo che in una città industriale e grigia come Manchester potevano nascere opere di genio, e fiori destinati a restare scolpiti nel tempo: prenderemo esempio, sarà rigenerazione.
Tony Wilson era il segreto primo. Ian, un poeta prestato al rock.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Marco Di Marco (1976), editor di Minimum Fax, saggista e narratore italiano.
Marco Di Marco, “Joy Division. Broken Heart Romance”, Arcana, Roma, marzo 2008. Prefazione di Marco Di Marco. In appendice, discografia e bibliografia selezionata.
Progetto grafico, illustrazione di copertina e logo design: Maurizio Ceccato. Collana Testi, a cura di Stefano Scalich; vol. 11

18/05/2008 00:12
 
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Closer: il testamento di Ian Curtis.


Il 18 maggio 1980 moriva suicida Ian Curtis: venne trovato in ginocchio, in cucina, con un cappio intorno al collo. Non aveva ancora 24 anni.
Il tormentato leader dei Joy Division, band di Manchester nata nella scena punk intorno al 1977 ma musicalmente molto diversa dalla maggior parte di band del luogo, poneva così fine a una vita minacciata da continui conflitti, interiori e esteriori, che lo avevano reso poco più che un morto vivente e, contemporaneamente, poco meno che una leggenda del rock.
Non era ancora stato pubblicato l’ultimo album dei Joy Division, Closer, quando Ian decise di farla finita. Diceva che il primo album, Unknown Pleasures, era tutto ciò che voleva dalla sua carriera musicale. Era sempre stato il suo sogno emulare i suoi miti: David Bowie, Jim Morrison e Lou Reed su tutti. Ci era riuscito, in parte. Gli mancava la definitiva consacrazione. La ottenne percorrendo quella via di non ritorno che purtroppo scelgono troppi geni del rock.
Così, dopo la sua morte, Closer assunse tutt’altro significato: non era più il secondo disco nato all’ombra del successo del primo. Era il disco definitivo, finale, dei Joy Division. Era il loro capolavoro. Era il testamento di Ian Curtis, la chiave per capire i tormenti che l’avevano spinto al gesto estremo e, in generale, la sua vita. Forse nessuno l’aveva davvero compresa.

Closer, dunque. Un titolo enigmatico: più vicino musicalmente all’anima del gruppo o più vicino tragicamente alla fine, che appare quasi annunciata da Ian nei suoi testi? L’artwork di copertina (una foto della tomba della famiglia Appiani al Cimitero monumentale di Staglieno di Genova) introduce alla perfezione le atmosfere funerarie e gotiche che ossessivamente percorrono l’intero album. Le musiche cupe e la voce di Ian, monotona ma nonostante ciò incredibilmente espressiva, ci conducono in una sorta di viaggio spirituale dell’anima.
La prima canzone, Atrocity Exhibition, è un lento e martellante invito ad entrare nella mente del cantante. Un invito a vedere il mondo con i suoi occhi, per osservare con desolazione gli agghiaccianti orrori di cui l’uomo è l’artefice. La prima strofa è un riferimento alla sua personale condizione: a causa degli attacchi di epilessia e dei disturbi che coglievano spesso Ian proprio mentre era sul palco, il ragazzo era diventato più che altro un fenomeno da baraccone. La gente era colpita dalla sua particolarità, dai suoi problemi. Ma guardava il tutto da fuori, come chi osserva un manicomio con le porte aperte. Entrate dentro di me, canta lentamente e apaticamente Ian, è questa la via.

“Asylums with doors open wide
Where people could pay to see inside
For entertainment they watch his body twist
Behind his eyes he says: I still exist
This is the way, step inside”

Segue la frenetica Isolation, ballata paranoica scossa da un basso cupo e ossessivo. Ian è sempre più solo e, nella vergogna, lotta disperatamente per salvare la sua vita.

“Mother I tried please believe me
I’m doing the best that I can
I’m ashamed of the things I’ve been put through
I’m ashamed of the person I am”

Con Passover il ritmo si fa più pacato: Ian si rende conto che è giunta la crisi che ha sempre temuto e che, ora, tutte le sue certezze cadono inesorabilmente una dopo l’altra. La frustrazione prosegue nella claustrofobica Colony, dove si mescolano l’insoddisfazione familiare e i tristi ricordi di gioventù.

“I can’t see why all these confrontations
I can’t see why all these dislocations
No family life, this makes me feel uneasy
Stood alone here in this colony
In this colony, in this colony, in this colony, in this colony”

La lucida e disperata A Means To An End sintetizza, in pochi e lapidari versi, la perdita della fiducia in valori come amore e amicizia. La voce cupa di Ian esprime tutto il suo sconforto per come sono andate le cose. L’ipnotica Heart And Soul ci conduce all’interno dell’abisso della mente umana per un viaggio di non ritorno. Il mondo intorno brucia, l’esistenza perde il suo significato in bilico tra passato e futuro: tutto giunge ad una fine, solo una cosa sopravviverà: la nostra anima.

“Existence, well what does it matter?
I exist on the best terms I can
The past is now part of my future
The present is well out of hand
The present is well out of hand
Heart and soul, one will burn”

La tragica lotta di Ian contro se stesso ha un potente e catartico epilogo in Twenty Four Hours: Ian è sull’orlo del precipizio nell’estremo tentativo di salvare la propria vita. Lancia l’ultimo grido di aiuto, mentre il tempo batte inesorabilmente le ore e il suo destino sembra sfuggirgli per sempre.

“I never realised the lengths I’d have to go
All the darkest corners of a sense I didn’t know
Just for one moment I heard somebody call
Looked beyond the day in hand, there’s nothing there at all”

Le ultime due canzoni si potrebbero interpretare idealmente come postume alla morte di Ian. Si potrebbe dire che è uno spirito a cantare: la voce di Ian si fa ancora più distaccata, quasi aldilà di ogni riferimento temporale. The Eternal è una vera e propria marcia funebre, vista dall’esterno. La marcia funebre per la sua morte? A detta dello stesso Curtis, è ispirata alla storia di un conoscente che, impossibilitato da un handicap, trascorreva le sue giornate dietro le sbarre di un cancello fissando dal suo giardino la gente che passava. La melodia superba di un pianoforte introduce l’atmosfera di dolore per il ricordo di una persona cara venuta a mancare. Rapide immagini contribuiscono poi a evocare la malinconia: il lento camminare della gente, i fiori bagnati dalla pioggia, le foglie che cadono dagli alberi. Cadono lacrime di impotenza dagli occhi, lacrime di bambino nonostante il tempo renda tutti più anziani. E’ Ian questo bambino?

“Procession moves on, the shouting is over
Praise to the glory of loved ones now gone
Talking aloud as they sit round their table
Scattering flowers washed down by the rain
Stood by the gate at the foot of the garden
Watching them pass like clouds in the sky
Try to cry out in the heat of the moment
Possessed by the fury that burns from inside
Cry like a child, though these years make me older
With children, my time is so wastefully spent
Burden to keep, though their inner communion
Accept like a curse, an unlucky deal
Played by the gate at the foot of the garden
My view stretches out from the fence to the wall
No words could explain, no actions determine
Just watching the trees and the leaves as they fall”

Chiude l’album Decades, dove l’eco della voce di Ian risuona dalle tetre stanze infernali e rievoca i dolori patiti in passato collocandoli in quel ciclo continuo di nascita e morte di cui ogni uomo fa parte. Nel ciclo eterno del tempo vengono rievocati gli atroci abomini dell’uomo e le immagini di due guerre mondiali che hanno distrutto l’umanità. Ecco le nuove generazioni, canta, ecco i giovani. Ecco l’inferno del mondo: noi tutti siamo gli spettri che lo abitano, impossibilitati a essere liberi.

RIP
21/05/2008 17:54
 
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Grazie ShadowPlay, tutto molto interessante!

Mi sa che comunque siam gli unici due fan qua [SM=g27824]

“You have to be realistic about these things.”
21/05/2008 22:33
 
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Se fossimo gli unici interessati...
...non ci sarebbero state tante visite alla discussione! [SM=x47983]
E' che sono timidi...

Non disperare comunque, qualcuno lo convertiremo prima o poi [SM=g27828]
Tu che sei più tecnologico di me, se vuoi e se puoi, posta qualche contributo audio/video: per la causa!

[SM=x47965]




[Modificato da ShadowPlayZone 22/05/2008 00:20]
11/06/2008 01:59
 
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Uno dei pochi video ufficiali




La bellissima Transmission in un live in tv



Shadowplay sempre live e giusto per rimanere in tema di nicknames



Dead souls live, anche se la qualità video è pessima



Un fan made video della mia preferita, New Dawn Fades.

[Modificato da Rarronno 11/06/2008 02:13]

“You have to be realistic about these things.”
11/06/2008 14:40
 
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Grazie...
...per i contributi video! [SM=x47928]

New Down Fades è probabilmente (anche) il mio pezzo preferito dei JD.
[SM=x47981]

Scrivo su Candidate di David Bowie.
[Modificato da ShadowPlayZone 11/06/2008 14:42]
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