[top news] 'Leaving Neverland' - il nuovo documentario diffamatorio su Michael Jackson

Ultimo Aggiornamento: 27/03/2024 19:40
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rosi@, 23/03/2019 02.09:

Flop di Leaving Neverland anche in Francia:
Part 1 (21h09-22h56) : 1.785.000 (8.8%)
Part 2 (22h56-00h44) : 1.064.000 (11.3%)


P.S.: Stavo seguendo una conversazione su twitter di alcuni fan francesi e sono venuta a conoscenza che Gilles Ganzmann per Jara Production manderà in onda su TF1, che è il principale canale in Francia, un documentario di 90 minuti. È stato girato tra Parigi e Los Angeles e vi hanno partecipato i fratelli di Michael, Joseph prima di morire, Debbie Rowe, lo staff di Neverland, i produttori, i manager ecc. Verrà mandato in onda il prossimo 25 giugno ed è stato già venduto a 20 Paesi.




8,8% DI ASCOLTI IN FRANCIA, 2% IN ITALIA

Si aggiunge anche la Francia ai vari flop in giro per il mondo collezionati dall'infamante documentario "Leaving Neverland". Trasmesso ieri in versione ridotta (tre ore no stop) dall'emittente M6, il film di Dan Reed è stato visto da 1,8 milioni di spettatori (8,8% di share) fino alle 22:56, per poi crollare a 1,1 milioni nelle due ore successive.

Tanto per farci un'idea, il secondo episodio del gioco di sopravvivenza "Koh-Lanta", trasmesso eccezionalmente di giovedì a causa della partita di calcio Francia-Moldavia, ha tenuto incollati allo schermo 3,7 milioni di spettatori, corrispondenti al 19,8% di share. Quasi due milioni in più rispetto al deludente "Leaving Neverland".

::: I NUMERI NEL RESTO DEL MONDO :::

In Italia (argomento di cui volutamente non vi abbiamo parlato fino ad ora), il documentario ha raccolto il 2% di share nella prima serata e l'1,8% nella seconda, con una media di 450 mila spettatori. Numeri risibili che comunque non vanno sottovalutatati, viste le reazioni scomposte che stiamo purtroppo registrando in questi giorni.

Da ricordare anche il mezzo flop in Gran Bretagna, dove la coppia Robson-Safechuck non è riuscita a superare i 2 milioni di spettatori. Mentre in Spagna è andata molto peggio: 59 mila spettatori totali e lo 0,5% di share. Si chiude con gli Stati Uniti, dove il film ha raccolto soltanto 1 milione e 285 mila spettatori nella prima serata.


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Quel pasticciaccio brutto di Louis Vuitton e Michael Jackson. Anche Lvmh si arrende al politically correct
Quando una faccenda è parecchio complicata, la cosa migliore è raccontare i fatti seguendo la linea temporale lungo la quale sono accaduti.
Parigi, 17 gennaio 2019.

Il (veneratissimo) direttore creativo di Louis Vuitton, Virgil Abloh, presenta la sua seconda collezione maschile per l’autunno/inverno 2019, che – per usare le parole di Fashionista – è «un variopinto omaggio a Michael Jackson». Dagli inviti (un singolo guanto bianco tempestato di cristalli) alla t-shirt raffigurante i celebri mocassini, passando per le giacche bianche in stile militare, i fedora a tesa larga, la stampa raffigurante i personaggi del film The Wiz del 1978… ogni cosa costituisce un chiaro riferimento all’iconico guardaroba e al personaggio di Jacko. Le recensioni di critica ed esperti di settore sono entusiaste, applausi, bravo, bis.


Park City, Utah, 25 gennaio 2019.

Al Sundance Film Festival debutta Leaving Neverland, il documentario in quattro parti, della durata di quattro ore, in cui Wade Robson e James Safechuck raccontano gli abusi sessuali subiti per anni dall’amico di famiglia Michael Jackson quando erano bambini. Andato in onda su HBO il 4 marzo (in Italia il 19 e 20 marzo, in prima serata sul Nove), Leaving Neverland raccoglie ampissimi consensi e valutazioni assai elevate: secondo Nielsen, gli spettatori raggiungono i 3,67 milioni per la prima parte nella prima settimana, rendendolo il terzo documentario dell’emittente più visto nell’ultimo decennio.


New York, inizio marzo 2019.

In un profilo pubblicato sull’edizione cartacea del New Yorker, Abloh sostiene di non aver affatto sentito parlare del documentario, e di essersi voluto concentrare «sul Michael che credevo fosse universalmente accettato, sul suo lato buono e umanitario». Nel 2018, il 38enne ex architetto reinventatosi designer, direttore creativo del (veneratissimo, non è manco da specificare) brand Off-White, prende il controllo della linea maschile di Louis Vuitton, diventando il primo direttore creativo afroamericano della maison francese. Gli addetti ai lavori lo amano senza riserve, perché solo lui pare capace di attingere in maniera sapiente – e furba – da diverse influenze, incluse la propria infanzia e la cultura pop, e di plasmare così una sorta di poetica attorno al rapporto tra Jackson e la moda. Per Abloh la popstar rappresenta «l’icona definitiva», e se da questa timeline eliminassimo gli avvenimenti del 25 gennaio e del 4 marzo forse la sua affermazione finirebbe in qualche libro di storia del costume. Se non fosse che Leaving Neverland ha avuto come conseguenza principale quella di polarizzare nel peggiore dei modi un’eredità già di per sé abbastanza complicata.

Le stazioni radio canadesi e neozelandesi hanno deciso di non trasmettere più le canzoni di Jacko; il re dell’hip hop Drake di non eseguire più Don’t Matter to Me, pezzo contenente un featuring di Jackson; i Lakers di eliminare Beat It dalla loro line-up d’intrattenimento; i Simpson di cancellare l’episodio d’apertura della terza stagione che vede il Re del Pop come guest star. Come scrive Alexandra Mondalek su Business Of Fashion, «non esiste una scienza esatta quando un personaggio pubblico passa da controverso a radioattivo», ma per Abloh e per un brand che vale 28 miliardi di dollari il terreno è di colpo minato.

Il gruppo LVMH ha assunto Abloh e investito milioni di dollari nella promozione delle collezioni da lui disegnate al solo scopo di elevare il suo brand principale a una potenza del menswear. La preoccupazione prioritaria di Louis Vuitton, quindi, non è tanto di origine finanziaria – ok, l’AW19 avrebbe potuto benissimo essere un fiasco, ma il prêt-à-porter maschile costituisce soltanto una piccola frazione delle entrate totali – quanto di reputazione del marchio, soprattutto in un momento storico dove i consumatori non sono disposti a perdonare (presunti) passi falsi.


L’inghippo è però ben più sottile, e si evince facilmente dalla dichiarazione rilasciata a Business Of Fashion da Anne Hunter, vicepresidente esecutivo di strategia e crescita presso Kantar Consulting: «lo scenario migliore è che Louis Vuitton venga considerato un pioniere nell’approccio alla gestione di celebrity problematiche. Il brand è stato in grado di celebrare Michael Jackson come artista attraverso il suo stile, pur non celebrando le sue azioni come persona. Lo scenario peggiore è che Louis Vuitton venga percepito come indifferente alle accuse di abusi sessuali che da decenni pesano su Jackson».


In realtà, pare che dalla messa in onda di Leaving Neverland chiunque si sia (volutamente?) dimenticato di due fondamentali avvenimenti, che basterebbero da soli a stroncare qualsiasi possibile dubbio o polemica. In primis, le 333 pagine che documentano i tredici anni di indagini segrete dell’FBI a carico di Michael Jackson, da tutti consultabili con estrema facilità: intercettazioni telefoniche; conti bancari sotto controllo; microspie piazzate all’interno del ranch a Santa Barbara; tre perquisizioni a sorpresa con settanta agenti che ne setacciano ogni centimetro quadrato; oltre duecento testimoni ascoltati – tra cui trenta bambini frequentatori abituali di Neverland – che hanno sempre negato qualsiasi forma di violenza sessuale. Elementi di devianza riscontrati: nessuno.


Poi, la sentenza del tribunale di Los Angeles datata 13 giugno 2005 e passata in giudicato: la giuria ha ritenuto la popstar non colpevole non solo delle accuse di molestie sessuali a minorenni, ma anche di quelle di contorno. Al momento della sentenza, quattordici «not guilty» hanno accompagnato la lettura dei quattordici capi di imputazione per cui il cantante era stato processato, scagionandolo completamente.


Un documentario – senza entrare troppo nei dettagli, un documentario che fornisce due punti di vista univoci, privi di contraddittorio e di prove tangibili, zeppo di testimonianze rivelatesi incongruenti e non attendibili – capace di ottenere maggiore visibilità e credibilità di un processo penale rischia di diventare il pericoloso rovescio della medaglia del movimento #MeToo, dove i processi sono mediatici ed è il pubblico da casa a stabilire o meno la colpevolezza dell’imputato, in barba al principio giuridico della presunzione d’innocenza.

Nessun magazine statunitense o britannico, ad eccezione di Pitchfork, mette vagamente in discussione le accuse di Robson e Safechuck: dall’LA Times al Guardian, da Variety al Telegraph parte una damnatio memoriae senza precedenti, forte pure del fatto che – secondo la legislazione americana – il reato di diffamazione non è applicabile alle persone decedute.

Devono aver passato parecchie notti insonni, i vertici di LVMH e pure Virgil Abloh. Giorni di silenzio stampa intervallati da congetture dei media: quale sarà il destino della collezione, che tra l’altro non è una partnership ufficiale e non include un accordo di licenza con la Jackson Estate? Rimarrebbero ispirazioni differenti su cui far leva? A chi spetta la decisione finale?

«L’industria della moda va incontro alle polemiche forte del fatto che gli americani hanno una capacità d’attenzione molto scarsa» sostiene Tanisha Ford, docente presso l’Università del Delaware e autrice di Dressed in Dreams: A Black Girl’s Love Letter to the Power of Fashion «i designer possono creare qualcosa di molto provocatorio, socialmente o politicamente, noi ci indigneremo per una settimana o due e intanto verranno generate attenzione, vendite ed entrate pubblicitarie per i marchi. Dopodiché, tutti andranno avanti. Questa è la natura del fashion cycle». Tuttavia, i brand del lusso pare stiano scoprendo che la mentalità del «purché se ne parli» ha dei limiti: Gucci (col maglione balaclava) e Prada (con la scimmietta Otto di Pradamalia) sono finiti nell’occhio del ciclone social a causa dei riferimenti espliciti al blackface e hanno dovuto correre ai ripari, scusandosi pubblicamente, ritirando i prodotti incriminati dal mercato e annunciando iniziative volte a promuovere la diversità per sedare la protesta.

Redazione di WWD, 15 marzo 2019.

In una dichiarazione rilasciata in esclusiva, Louis Vuitton e Virgil Abloh sciolgono la prognosi: «So che alla luce del documentario la sfilata ha suscitato reazioni emotive. Condanno severamente ogni forma di abuso su minori, violenza e azione che va contro i diritti umani» ha dichiarato il direttore artistico. «Per la sfilata, la mia intenzione era quella di fare riferimento a Michael Jackson in quanto artista emblematico della cultura pop. Si riferiva unicamente alla sua vita pubblica che tutti conosciamo e alla sua eredità che ha influenzato un’intera generazione di artisti e designer».

«Troviamo le accuse profondamente preoccupanti e disturbanti», ha aggiunto il Ceo Michael Burke. «La sicurezza dei bambini e il loro benessere è per Louis Vuitton un tema di prima importanza. Siamo totalmente impegnati nel sostenere questa causa».

Il brand ha concluso con una presa di posizione netta: ogni capo e accessorio «che ha al suo interno elementi direttamente riconducibili a Michael Jackson» sarà messo fuori produzione.

E mentre il pubblico da casa esulta e Tmz lancia falsi scoop prontamente smentiti, i più smaliziati scommettono – non senza una punta terrore – sul prossimo che verrà gettato in pasto al pubblico ludibrio. Possibilmente in meno di 240 minuti.


it.businessinsider.com/quel-pasticciaccio-brutto-di-louis-vuitton-e-michael-jackson-anche-lvmh-si-arrende-al-politically-...


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Michael Jackson “rinnegato” dopo Leaving Neverland. “Siamo in un periodo di caccia alle streghe che non va a vantaggio di chi subisce realmente violenze”
di Davide Turrini

“In questo momento in milioni di case del mondo ci sono milioni di dischi, dvd, vhs, file con tracce di brani e filmati di artisti finiti nella bufera. E lì rimarranno per parecchio tempo. Il tentativo di modificare il passato per modificare le idee di oggi è un’operazione storicamente e culturalmente ridicola”, spiega a FqMagazine Domenico Secondulfo, già professore di sociologia dei consumi dell’Università di Verona

Un tratto di penna, o il tasto cancella, e le canzoni di Michael Jackson non sono più in radio. L’ultimo radicale capitolo di damnatio memoriae verso il mondo dell’arte sembra aver colpito una delle popstar più adorate al mondo. Complice il documentario Leaving Neverland e la scure di un arrabattato oblio è calata. Disegnando un inedito scenario futuro fatto di opere d’arte improvvisamente all’indice per presunte colpevolezze private dell’artista ancora non passate in giudicato. Oltretutto nell’era del web dove la moltiplicazione di tracce sembra non avere limiti.

“È un gesto radicale e discutibile che colpisce una specie di memoria virtuale ma non quella della gente, ovvero una memoria privata”, spiega al FQMagazine Domenico Secondulfo, già professore di sociologia dei consumi dell’Università di Verona. “In questo momento in milioni di case del mondo ci sono milioni di dischi, dvd, vhs, file con tracce di brani e filmati di artisti finiti nella bufera. E lì rimarranno per parecchio tempo. Il tentativo di modificare il passato per modificare le idee di oggi è un’operazione storicamente e culturalmente ridicola”. “Badate bene, non sono i fan che insorgono. Questa è la reazione da parte di strutture che hanno paura della percezione che si avrebbe di loro se non compissero quel gesto. La definirei un’operazione politically correct verso gli influencer dettata dalla paura di vedere intaccata la propria reputazione”, afferma Roberto Grandi, già professore ordinario di Sociologia della Comunicazione all’Università di Bologna. “Dietro non c’è un grande ragionamento. I manager odierni compiono azioni che gli permettono solo di subire meno rischi, e non quelle più giuste o dietro le quali c’è un pensiero critico o filosofico”.

Le tracce di persone considerate indegne che vengono cancellate da spazi di esposizione pubblica è una pratica che ha origine durante l’età imperiale della Roma antica, e che si è ripetuta di fronte ai simboli delle grandi dittature del Novecento, ma raramente ha colpito il mondo dell’arte e dello spettacolo. L’accelerazione è avvenuta durante l’ondata di protesta #Metoo con l’attore Kevin Spacey cancellato da un film che aveva già interpretato (Tutti i soldi del mondo), arrivando fino ad oggi con la più clamorosa volontaria cancellazione dell’episodio dei Simpsons in cui appare come doppiatore Michael Jackson. “Nei tempi oscuri era la Chiesa che dovendo difendersi eliminava libri contrari alla sua morale, li bruciava o faceva in modo che non venissero riprodotti dai calligrafi – spiega Grandi – a questo punto ai giorni nostri, proprio nell’era della riproducibilità avremo qualcuno che scrive o scriverà un Nome della Rosa su alcuni episodi che sono stati cancellati, ma che da qualche parte sono stati conservati”.

“Anche valutare l’omicidio compiuto da Caravaggio nella sua epoca, con i criteri comportamentali contemporanei, lo trovo comunque fuori luogo – aggiunge Secondulfo – il paradosso è che dopo tutte le giuste battaglie degli ultimi mesi oggi ci si ritrovi di nuovo in un periodo di caccia alle streghe non va di certo a vantaggio di chi subisce realmente violenze o molestie. Michael Jackson è stato attaccato decine di volte, quando era in vita e dopo la morte, ma non c’è mai stata una sentenza di colpevolezza contro di lui”. “Con la storicizzazione, il recupero storico dell’artista e della sua arte avverrà in automatico – conclude Grandi – rispetto a un tempo quando erano possibili operazioni così perché i contenuti veicolati dai media erano pochi, oggi i contenuti sono in qualsiasi intercapedine ed eliminare tracce artistiche, come se il rapporto tra chi produce arte e chi la fa vedere o ascoltare, non ci fosse stato, è pura propaganda”.

www.ilfattoquotidiano.it/2019/03/22/michael-jackson-dopo-leaving-neverland-siamo-in-un-periodo-di-caccia-alle-streghe-che-non-va-a-vantaggio-di-chi-subisce-realmente-violenze/...
[Modificato da FOREVER. 23/03/2019 11:40]

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Riporto per chi non ha Facebook il post della pagina del Forum


::: SGAMATA LA MADRE DI ROBSON :::

LIKE AI POST SU MICHAEL FINO AL 2015

Clamorosa notizia diffusa dal giornalista e conduttore radiofonico John Ziegler. Joy Robson, la madre di Wade, ha continuato a frequentare gruppi Facebook dedicati a Michael Jackson, con tanto di like ai post pubblicati dai fan, almeno fino al 2015.

Sì, avete capito bene: mentre Robson era impegnato nella sua battaglia legale (iniziata nel Maggio del 2013) per i presunti "abusi" subiti da MJ, sua madre metteva i like ai post dei gruppi dedicati all'uomo accusato di aver abusato di suo figlio.

Premettendo che di tutto ciò che vi diremo troverete link e prove fotografiche sia nella foto qui sotto che nei commenti di questo post, ecco la cronaca dei fatti.
________________________

::: IT'S ALL FOR M.O.N.E.Y. :::

Nel gruppo Facebook "It's all for L.O.V.E <3", Joy Robson risulta tuttora iscritta dal 3 Gennaio 2011. Qui i suoi like compaiono in almeno quattro post, pubblicati nelle seguenti date: 29 Agosto 2013, 3 Settembre 2013, 18 Marzo 2015 e 25 Aprile 2015.

C'è però un problema: nella giornata di ieri, dopo essere stata smascherata dall'utente Twitter "Stenna" (che per fortuna aveva già screenshottato tutto), la signora Robson ha deciso in fretta e furia di blindare la privacy del suo profilo personale.

Risultato? Se vi recate nel gruppo Facebook sopracitato e cercate, ad esempio, il post della torta datato 29 Agosto 2013, vi risulteranno 7 like. Ma, quando cliccherete sui like, vi compariranno soltanto 6 utenti. Di chi sarà il misterioso like invisibile? :)

Insomma ragazzi, in tutta questa storia, una cosa è sicura: quando penseremo che nulla di più assurdo potrà mai accadere, state certi che verremo puntualmente smentiti.
________________________

A cura di Vincenzo Compierchio dal nostro Gruppo Facebook Michael Jackson FanSquare • ITALIA.
[Modificato da MJJ 23 23/03/2019 13:11]
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::: DIANA ROSS :::


«CREDO IN MICHAEL, FERMATEVI»

«Questo è ciò che ho nel cuore stamattina. Io credo e ho fiducia nel fatto che Michael Jackson sia stato, ed è, una magnifica, incredibile forza per me e per molti altri. FERMATEVI NEL NOME DELL'AMORE».

- Diana Ross, Twitter, 23 Marzo 2019.

Twitter
[Modificato da DOUBLE-D 23/03/2019 19:35]


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::: CONTRO-DOCUMENTARIO IN FRANCIA :::
SARÀ TRASMESSO IN 20 PAESI NEL MONDO

Dopo il flop di "Leaving Neverland" (8,8% di share), trasmesso il 21 Marzo dal canale M6, l'emittente francese TF1 ha annunciato la realizzazione di un contro-documentario, già venduto in venti Paesi nel mondo, che si rivelerà «l'esatto opposto» del film prodotto da HBO.

«Torneremo sulle circostanze della sua morte», spiega il produttore televisivo Gilles Ganzmann. «Spiegheremo come, a 50 anni, avesse raggiunto quel livello di esasperazione e di dipendenza dai farmaci. Questa è una storia mai raccontata finora».

«Ma ripercorreremo anche la sua infanzia mai vissuta, che rivela così tanto della sua vita da adulto», aggiunge il produttore del documentario Christophe Koszarek.

Che incalza: «Sarà l'esatto opposto del documentario della HBO. Stiamo per dimostrare che Michael venne manipolato e derubato di molti soldi per tutta la sua vita.

Parleremo di una nipote di Michael, Brandi Jackson, che fu la fidanzata di Wade Robson nel periodo in cui afferma di essere stato abusato. E spiegheremo come quest'ultimo approfittò della generosità della star»


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1 - John Ziegler ha segnalato anche questo video:

www.youtube.com/watch?v=2hKUe2RdyJA&feature=youtu.be

2 - Siggy Jackson (figlio di Jackie e fratello di Brandi) difende lo zio Michael:



3 - Smascherato il piano contro MJ:



4 - Scambio di tweet tra John Ziegler e Perez Hilton:

John Ziegler
✔ @Zigmanfreud

A moron, because there have been 4 (not 6), of which, one was found not credible by a jury & two testified FOR him. A complete moron because you have 0 idea what Paris Jackson did or why. If she did try to commit suicide it could have been due to idiotic media coverage like yours

(Un idiota, perché ce ne sono stati 4 (non 6), di cui uno non è stato trovato credibile da una giuria e due hanno testimoniato per lui. Un completo idiota perché hai 0 idea di cosa ha fatto Paris Jackson o perché. Se ha provato a suicidarsi avrebbe potuto essere a causa di una copertura mediatica idiota come la tua.)

Perez
✔ @ThePerezHilton

Antwort an @Zigmanfreud
A moron because I believe the SIX men who have accused Michael Jackson of sexual abuse? Fuck you! xoxo
00:26 - 17. März 2019

(Un idiota perché credo ai SEI uomini che hanno accusato Michael Jackson di abusi sessuali? Fanculo!)
[Modificato da rosi@ 23/03/2019 19:56]
23/03/2019 19:39
 
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oggi ad amici di maria de filippi performance creata dal coreografo timor ( ex ballerino di this is it ) sulle note di Scream!

nessuna polemica nessuna censura, tutto come se nulla fosse accaduto!


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