[top news] 'Leaving Neverland' - il nuovo documentario diffamatorio su Michael Jackson

Ultimo Aggiornamento: 27/03/2024 19:40
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22/03/2019 00:12
 
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TistedMonroe, 21/03/2019 16.46:

..... E c'è chi gli ha dato pure corda sperando di diventare famoso pure lui.


Ci si debbono impiccare con quella corda! Chi l'ha ricevuta e chi gliel'ha data.

22/03/2019 00:14
 
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Think Fathers @SeanyOkane
Dear all, I am excited to announce that from Thur 21st March, our campaign #MJINNOCENT will be advertised on the FRONT PAGE of the UK's 'Voice' newspaper @TheVoiceNews This is such a fitting venture to help ensure the growth of our global movement & in solidarity with free speech
00:01 - 21. März 2019

Carissimi, sono entusiasta di annunciare che a partire da giovedì 21 marzo, la nostra campagna #MJINNOCENT sarà pubblicizzata sulla PAGINA FRONTALE del quotidiano britannico 'Voice' @TheVoiceNews Questa iniziativa vuole contribuire a garantire la crescita del nostro movimento globale e la solidarietà per la libertà di parola.

22/03/2019 00:36
 
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Con quello che stanno cercando di fare con l'eredità di Michael Jackson, l'avv. Carly Lee parla della urgente necessità di approvare una legge anti diffamazione anche per i defunti (perché la democratica America ancora non ce l'ha [SM=g5818224]:

22/03/2019 09:31
 
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I fan di Michael Jackson in Cina attirano l'attenzione in tutto il mondo nel loro sostegno per idol


www.globaltimes.cn/content/1142940.shtml?fbclid=IwAR10hLPPAPVfpveD6lFmz1GBNK-ti0tl3OtOWlUWPNBqQ7y0Egi...


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Quel pasticciaccio brutto di Louis Vuitton e Michael Jackson. Anche Lvmh si arrende al politically correct

Quando una faccenda è parecchio complicata, la cosa migliore è raccontare i fatti seguendo la linea temporale lungo la quale sono accaduti.
Parigi, 17 gennaio 2019.

Il (veneratissimo) direttore creativo di Louis Vuitton, Virgil Abloh, presenta la sua seconda collezione maschile per l’autunno/inverno 2019, che – per usare le parole di Fashionista – è «un variopinto omaggio a Michael Jackson». Dagli inviti (un singolo guanto bianco tempestato di cristalli) alla t-shirt raffigurante i celebri mocassini, passando per le giacche bianche in stile militare, i fedora a tesa larga, la stampa raffigurante i personaggi del film The Wiz del 1978… ogni cosa costituisce un chiaro riferimento all’iconico guardaroba e al personaggio di Jacko. Le recensioni di critica ed esperti di settore sono entusiaste, applausi, bravo, bis.


Park City, Utah, 25 gennaio 2019.

Al Sundance Film Festival debutta Leaving Neverland, il documentario in quattro parti, della durata di quattro ore, in cui Wade Robson e James Safechuck raccontano gli abusi sessuali subiti per anni dall’amico di famiglia Michael Jackson quando erano bambini. Andato in onda su HBO il 4 marzo (in Italia il 19 e 20 marzo, in prima serata sul Nove), Leaving Neverland raccoglie ampissimi consensi e valutazioni assai elevate: secondo Nielsen, gli spettatori raggiungono i 3,67 milioni per la prima parte nella prima settimana, rendendolo il terzo documentario dell’emittente più visto nell’ultimo decennio.


New York, inizio marzo 2019.

In un profilo pubblicato sull’edizione cartacea del New Yorker, Abloh sostiene di non aver affatto sentito parlare del documentario, e di essersi voluto concentrare «sul Michael che credevo fosse universalmente accettato, sul suo lato buono e umanitario». Nel 2018, il 38enne ex architetto reinventatosi designer, direttore creativo del (veneratissimo, non è manco da specificare) brand Off-White, prende il controllo della linea maschile di Louis Vuitton, diventando il primo direttore creativo afroamericano della maison francese. Gli addetti ai lavori lo amano senza riserve, perché solo lui pare capace di attingere in maniera sapiente – e furba – da diverse influenze, incluse la propria infanzia e la cultura pop, e di plasmare così una sorta di poetica attorno al rapporto tra Jackson e la moda. Per Abloh la popstar rappresenta «l’icona definitiva», e se da questa timeline eliminassimo gli avvenimenti del 25 gennaio e del 4 marzo forse la sua affermazione finirebbe in qualche libro di storia del costume. Se non fosse che Leaving Neverland ha avuto come conseguenza principale quella di polarizzare nel peggiore dei modi un’eredità già di per sé abbastanza complicata.

Le stazioni radio canadesi e neozelandesi hanno deciso di non trasmettere più le canzoni di Jacko; il re dell’hip hop Drake di non eseguire più Don’t Matter to Me, pezzo contenente un featuring di Jackson; i Lakers di eliminare Beat It dalla loro line-up d’intrattenimento; i Simpson di cancellare l’episodio d’apertura della terza stagione che vede il Re del Pop come guest star. Come scrive Alexandra Mondalek su Business Of Fashion, «non esiste una scienza esatta quando un personaggio pubblico passa da controverso a radioattivo», ma per Abloh e per un brand che vale 28 miliardi di dollari il terreno è di colpo minato.

Il gruppo LVMH ha assunto Abloh e investito milioni di dollari nella promozione delle collezioni da lui disegnate al solo scopo di elevare il suo brand principale a una potenza del menswear. La preoccupazione prioritaria di Louis Vuitton, quindi, non è tanto di origine finanziaria – ok, l’AW19 avrebbe potuto benissimo essere un fiasco, ma il prêt-à-porter maschile costituisce soltanto una piccola frazione delle entrate totali – quanto di reputazione del marchio, soprattutto in un momento storico dove i consumatori non sono disposti a perdonare (presunti) passi falsi.


L’inghippo è però ben più sottile, e si evince facilmente dalla dichiarazione rilasciata a Business Of Fashion da Anne Hunter, vicepresidente esecutivo di strategia e crescita presso Kantar Consulting: «lo scenario migliore è che Louis Vuitton venga considerato un pioniere nell’approccio alla gestione di celebrity problematiche. Il brand è stato in grado di celebrare Michael Jackson come artista attraverso il suo stile, pur non celebrando le sue azioni come persona. Lo scenario peggiore è che Louis Vuitton venga percepito come indifferente alle accuse di abusi sessuali che da decenni pesano su Jackson».


In realtà, pare che dalla messa in onda di Leaving Neverland chiunque si sia (volutamente?) dimenticato di due fondamentali avvenimenti, che basterebbero da soli a stroncare qualsiasi possibile dubbio o polemica. In primis, le 333 pagine che documentano i tredici anni di indagini segrete dell’FBI a carico di Michael Jackson, da tutti consultabili con estrema facilità: intercettazioni telefoniche; conti bancari sotto controllo; microspie piazzate all’interno del ranch a Santa Barbara; tre perquisizioni a sorpresa con settanta agenti che ne setacciano ogni centimetro quadrato; oltre duecento testimoni ascoltati – tra cui trenta bambini frequentatori abituali di Neverland – che hanno sempre negato qualsiasi forma di violenza sessuale. Elementi di devianza riscontrati: nessuno.


Poi, la sentenza del tribunale di Los Angeles datata 13 giugno 2005 e passata in giudicato: la giuria ha ritenuto la popstar non colpevole non solo delle accuse di molestie sessuali a minorenni, ma anche di quelle di contorno. Al momento della sentenza, quattordici «not guilty» hanno accompagnato la lettura dei quattordici capi di imputazione per cui il cantante era stato processato, scagionandolo completamente.


Un documentario – senza entrare troppo nei dettagli, un documentario che fornisce due punti di vista univoci, privi di contraddittorio e di prove tangibili, zeppo di testimonianze rivelatesi incongruenti e non attendibili – capace di ottenere maggiore visibilità e credibilità di un processo penale rischia di diventare il pericoloso rovescio della medaglia del movimento #MeToo, dove i processi sono mediatici ed è il pubblico da casa a stabilire o meno la colpevolezza dell’imputato, in barba al principio giuridico della presunzione d’innocenza.

Nessun magazine statunitense o britannico, ad eccezione di Pitchfork, mette vagamente in discussione le accuse di Robson e Safechuck: dall’LA Times al Guardian, da Variety al Telegraph parte una damnatio memoriae senza precedenti, forte pure del fatto che – secondo la legislazione americana – il reato di diffamazione non è applicabile alle persone decedute.

Devono aver passato parecchie notti insonni, i vertici di LVMH e pure Virgil Abloh. Giorni di silenzio stampa intervallati da congetture dei media: quale sarà il destino della collezione, che tra l’altro non è una partnership ufficiale e non include un accordo di licenza con la Jackson Estate? Rimarrebbero ispirazioni differenti su cui far leva? A chi spetta la decisione finale?

«L’industria della moda va incontro alle polemiche forte del fatto che gli americani hanno una capacità d’attenzione molto scarsa» sostiene Tanisha Ford, docente presso l’Università del Delaware e autrice di Dressed in Dreams: A Black Girl’s Love Letter to the Power of Fashion «i designer possono creare qualcosa di molto provocatorio, socialmente o politicamente, noi ci indigneremo per una settimana o due e intanto verranno generate attenzione, vendite ed entrate pubblicitarie per i marchi. Dopodiché, tutti andranno avanti. Questa è la natura del fashion cycle». Tuttavia, i brand del lusso pare stiano scoprendo che la mentalità del «purché se ne parli» ha dei limiti: Gucci (col maglione balaclava) e Prada (con la scimmietta Otto di Pradamalia) sono finiti nell’occhio del ciclone social a causa dei riferimenti espliciti al blackface e hanno dovuto correre ai ripari, scusandosi pubblicamente, ritirando i prodotti incriminati dal mercato e annunciando iniziative volte a promuovere la diversità per sedare la protesta.

Redazione di WWD, 15 marzo 2019.

In una dichiarazione rilasciata in esclusiva, Louis Vuitton e Virgil Abloh sciolgono la prognosi: «So che alla luce del documentario la sfilata ha suscitato reazioni emotive. Condanno severamente ogni forma di abuso su minori, violenza e azione che va contro i diritti umani» ha dichiarato il direttore artistico. «Per la sfilata, la mia intenzione era quella di fare riferimento a Michael Jackson in quanto artista emblematico della cultura pop. Si riferiva unicamente alla sua vita pubblica che tutti conosciamo e alla sua eredità che ha influenzato un’intera generazione di artisti e designer».

«Troviamo le accuse profondamente preoccupanti e disturbanti», ha aggiunto il Ceo Michael Burke. «La sicurezza dei bambini e il loro benessere è per Louis Vuitton un tema di prima importanza. Siamo totalmente impegnati nel sostenere questa causa».

Il brand ha concluso con una presa di posizione netta: ogni capo e accessorio «che ha al suo interno elementi direttamente riconducibili a Michael Jackson» sarà messo fuori produzione.

E mentre il pubblico da casa esulta e Tmz lancia falsi scoop prontamente smentiti, i più smaliziati scommettono – non senza una punta terrore – sul prossimo che verrà gettato in pasto al pubblico ludibrio. Possibilmente in meno di 240 minuti.


it.businessinsider.com/quel-pasticciaccio-brutto-di-louis-vuitton-e-michael-jackson-anche-lvmh-si-arrende-al-politically-...


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22/03/2019 12:05
 
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Non riesco a capire cos'è!!!Qualcuno mi aiuti....grazie!
22/03/2019 14:30
 
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Dal 22/3 al 14/7 a Bonn....Non ho capito l'articolo perché è in tedesco!
[Modificato da IvanaJackson 22/03/2019 14:30]
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Ragazzi, io e una mia amica abbiamo fatto un video nel quale parliamo di Leaving Neverland e cerchiamo di spiegare alcune cose, se il video vi piace aiutateci a diffonderlo, grazie.

22/03/2019 15:57
 
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se non ricordo male la smentita di jordan è stata a sua volta smentita
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