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Michael Jackson e quell'ombra del "colonialismo mentale"

Ultimo Aggiornamento: 23/05/2017 00:13
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22/05/2017 01:34
 
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Una serie di esposizioni al Museo della Diaspora Africana mostrano Michael Jackson attraverso le lenti del "colonialismo mentale", e alla costruzione di narrativa in Africa.

(Michael Jackson Remains Invincible, Jonathan Curiel, 17 Maggio 2017).


Riguardo a Michael Jackson sono stati scritti moltissimi libri (più di 1000), prodotti numerosi film (almeno 250) e organizzate centinaia di mostre d'arte, tanto che sembra quasi impossibile per chiunque creare qualcosa di unico incentrato sull'acclamato "Re del Pop".
Tuttavia finalmente arrivano Todd Gray, primo fotografo ufficiale di Jackson, e il Museo della Diaspora Africana (MoAD), dove Gray ha analizzato Jackson da una prospettiva completamente originale e controintuitiva: l'idea che Jackson abbia vissuto la sua vita nell'ombra del "colonialismo mentale". La vita di Jackson, sostiene Gray, era leggermente collegata alla lunga storia del colonialismo "fisico" che, come l'altro colonialismo, ha lasciato un'eredità che continua a soffocare milioni di persone in tutto mondo.

La mostra, intitolata "Todd Gray: My Life In the Bush With MJ and Iggy" (letteralmente: La Mia Vita nel Bosco con MJ e Iggy) va ben oltre la vita di Jackson, ma è l'ex voce principale dei Jackson Five, le cui operazioni chirurgiche atte a cambiare il suo aspetto furono oggetto di speculazioni in tutto il mondo e fungono da provocazione introduttiva alla mostra d'arte di Gray. Mentre la colorazione della pelle di Jackson era dovuta a una condizione chiamata vitiligine, afferma Gray, il cantante ha ceduto alle sue insicurezze mentre diventava l'artista di maggior successo commerciale.

"Il colonialismo mentale è ciò su cui intendevo davvero puntare i riflettori, dato che mi sono reso conto che Michael non si stava allontanando dal suo essere Nero," dice a SF Weekly lo stesso Gray, che è afroamericano. "Lui, come me e molti altri appartenenti a minoranze culturali, ha ricevuto pressioni culturali che hanno generato complessi di inferiorità. E sostanzialmente le pressioni culturali creano un'equazione secondo la quale la cultura dominante è superiore e tu, in quanto appartenente a una minoranza culturale, sei inferiore.


"Questo è stato utilizzato nel colonialismo occidentale per centinaia e centinaia d'anni," aggiunge Gray.
"Ed io non mi sono reso conto del mio stesso colonialismo mentale finché non ho iniziato ad analizzare Michael e a pensare erroneamente che lui stava allontanando il suo essere Nero, abbracciando la cultura di maggioranza e l'essere bianco.
Poi mi sono reso conto che stava effettivamente cercando, con gli interventi al naso e cose del genere, di rendersi più bello. Ma chi definisce la bellezza? La cultura di maggioranza definisce la bellezza. E nelle mie ricerche, mi sono accorto che è così che la cultura dominante mantiene il suo dominio."




Tuttavia, l'arte di Gray non è demagogica. Infatti, le parole "colonialismo mentale" non si possono trovare da nessuna parte all'interno della mostra al MoAD. Jackson stesso compare raramente per intero al MoAD. Al contrario, Gray minimizza le immagini di Jackson: in alcune opere pone altre immagini sulla faccia di Jackson, mentre in altre si limita ad accennare a lui. Gray immerge Jackson in una sorta di provocazione astratta che capovolge le aspettative dei visitatori.

Un esempio: la surreale opera di Gray intitolata Gang Star - Red, che mostra un membro di una gang dal set dove è stato filmato il video per la hit del 1983, "Beat It". Per il video, Jackson insistette per utilizzare veri membri delle bande di strada di Los Angeles, le gang dei Crisps e dei Bloods. Per Gang Star - Red, Gray ha ripescato dal suo archivio un immagine di un membro di una gang che mostrava un segno di pace con due dita.


Ma non vediamo la sua faccia. Gray l'ha coperta con un'immagine circolare dello spazio scattata dal telescopio Hubble. E all'interno di quest'immagine c'è un'immagine di un giovane uomo di colore che sta in piedi su una barca, in uno specchio d'acqua circondato da felci, probabilmente risalente ai tempi in cui Gray si trovava in Ghana, in cui ha avuto uno studio fotografico per molti anni.



"Stavo pensando a Rembrandt, e a come Rembrandt dipinse il cittadino comune," dice Gray al telefono dal Sud Africa, in cui si sta occupando di un nuovo progetto fotografico. "E' stato uno dei primi pittori a dipingere gente comune, e non solo l'elite o l'aristocrazia. Ho pensato, chi è il più detestato nella nostra cultura? E per noi è il membro di una gang. Quello è il gradino più basso sulla scala sociale."

Gray continua: "Volevo riconoscere l'umanità del membro della gang. Volevo dare effettivamente un'immagine meravigliosa di quella persona e usare il cosmo in modo di parlare di possibilità. Siamo tutti
un accumulo di polvere di stelle. Veniamo tutti dal cosmo. Eppure a causa di come la società è strutturata, con potere e oppressione sistematica, abbiamo questa cultura delle gang… che è il prodotto della cultura capitalista. Volevo fare un omaggio a quello. E qualcosa che porta luce, non solo oscurità. E i membri delle gang erano degli extra nel video di "Beat It". Li ho estratti dal mio archivio su Jackson".

Quell'archivio è pieno zeppo di immagini degli anni 80, quando Gray seguiva Jackson ovunque, come un'ombra. Nel 2009 pubblicò un libro, Michael Jackson: Before He Was King (letteralmente: prima che fosse re), che evidenziò il meglio della collezione di Gray. Ma Gray, che risiede principalmente a Los Angeles, si è ritirato da molto tempo dalla pop culture, nonostante fosse più vicino di chiunque altro. Oltre ad aver stretto amicizia con Michael Jackson e i suoi
fratelli, Gray conobbe anche il cantante Iggy Pop e Ray Manzarek, dei Doors. Per un progetto artistico personale, ha indossato i vestiti di Manzarek per un anno dopo la sua morte, avvenuta nel 2013: un tributo ad un artista che conobbe nel 1968 e che influenzò Gray a tal punto da farlo diventare egli stesso un artista.

L'omaggio sartoriale di Gray divenne parte di una mostra nel 2016 al Los Angeles Hammer Museum, intitolata "Made in L.A. 2016", ma lì non c'erano foto di Gray, solo la sua corrispondenza con la vedova di Manzarek. Da quando è invecchiato, Gray evita di fornire ai frequentatori di mostre lavoro che possa essere ridotto a semplici messaggi. Al MoAD, le sue opere includono due lavori con animali imbalsamati, entrambi provenienti dal suo progetto "California Missions". Includono specchi e foto che suggeriscono al visitatore che egli stesso è connesso con lo spopolamento e i massicci spostamenti culturali che coincisero con l'arrivo degli Europei nel diciottesimo secolo.

"Puoi creare un rallentamento attraverso la complessità, ed è ciò che sto facendo tramite l'astrazione," dice Gray, "così che lo spettatore debba arrivare a capire cosa sta effettivamente guardando. Qual è il suo ruolo nella relazione tra queste figure? Deve inserire se stesso, la sua stessa storia, il suo stato mentale ed emotivo ed arrivare alla sua personale conclusione".


Fonte

- Traduzione e impaginazione a cura di dearmichael per il Michael Jackson FanSquare -
- Vietata la riproduzione, anche parziale, su altri siti web, forum o social media -
[Modificato da dearmichael 22/05/2017 02:17]
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