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The Weeknd, che dice il "michaeljacksonometro"?

Ultimo Aggiornamento: 04/02/2017 21:52
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15/12/2016 10:12
 
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E allora facciamola, la solita domanda: questo è il Michael Jackson del nuovo millennio?
Il cigno. Questo quindi è il cigno che sognava di diventare quel brutto anatroccolo di cinque anni fa. Questo è il sound che voleva il ventenne che in cameretta caricava i brani anonimamente su YouTube. Questo è l’adulto che si nascondeva dietro il ragazzo che realizzava mixtape da scaricare gratuitamente su internet. Questo è lo status da popstar cui ambiva l’appassionato di musica che si aggirava nei meandri dell’R&B. E allora facciamola, la solita domanda: questo è il Michael Jackson del nuovo millennio?

Fuori dal buio. La risposta è Starboy, il nuovo album di The Weeknd, vero nome Abel Makkonen Tesfaye, 26 anni, canadese di origine etiope. Il terzo album ufficiale dopo tre meno ufficiali. Tutto in cinque anni. Cinque anni in cui il buio del “fine settmana” (sic) si è gradualmente aperto alla luce. Se nel 2011 nell’inquietante House of balloons campionava Siouxsie & the Banshees ora prende You don’t know my name di Alicia Keys e sul risultato – Sidewalks con Kendrick Lamar – potresti quasi schioccare le dita. Ma in 18 brani e quasi 70 minuti di musica c’è di tutto: Rockin’ cita gli Inner City di Kevin Saunderson, gli albori della techno; Secrets prende i Tears For Fears di Pale Shelter e ci costruisce sopra una bella canzone che crolla solo quando il campionamento diventa invadente; Lonely night è disco music aggiornata grazie a Max Martin, il re mida scandinavo che confeziona successi per Britney Spears e Taylor Swift e che già aveva firmato Can't feel my face del 2015, hit mondiale di The Weeknd; False alarm è un concentrato di adrenalina degna dei Prodigy; si toglie anche lo sfizio di ospitare Lana Del Rey per uno stacchetto, Stargirl. In mezzo un sacco di brani meno memorabili, tra soul classico, R&B anni Novanta e un pizzico di trap, ma sapientemente incorniciati dalle due collaborazioni con i Daft Punk che chiudono e aprono l’album. Rispettivamente: I feel it coming, con l’immancabile marchio di fabbrica del duo francese, il vocoder, e Starboy, che dopo il quinto ascolto smette di sembrare un’occasione perduta e si dimostra un bel colpo da fuoriclasse.

Il metro. C’è uno strumento poco scientifico che a questo punto potrebbe tornare utile: il michaeljacksonometro. È il metro con cui si misura da anni il potenziale di qualunque popstar si cimenti con brani anche vagamente debitori nei confronti del “king of pop”. È servito per capire che Justin Timberlake faceva sul serio (michaeljacksonometro a 8). Che Chris Brown sapeva ripetere alla perfezione i passi di danza del maestro (ma non va oltre il 4). Che per Bruno Mars vale il michaeljacksonometro quanto il jamesbrownometro e persino il jackiewilsonometro. Altri due contendenti, Ne-Yo e soprattutto Usher, sembrano essersi un po’ persi per strada. Rimane The Weeknd. Uno con un nome con quell’ortografia. Uno che oggi preferisce omologarsi ai suoi rivali invece di cercare una via personale. Uno che non balla tanto e ricorda Jackson soprattutto in quel modo di cantare un po’ piagnucoloso che il “re del pop” perfezionò in classici come Dirty Diana e che per lui erano solo uno dei tanti registri possibili. Uno che però quando azzecca i singoli giusti fa ballare mezzo mondo. Il michaeljacksonometro per ora fatica ad andare oltre il 6. Oggi, tanto basta.

www.repubblica.it/spettacoli/musica/2016/12/13/news/the_weeknd-15...
[Modificato da DOUBLE-D 15/12/2016 14:03]


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