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So Baby, Be Mine - Color of my soul Rating: verde

Ultimo Aggiornamento: 14/10/2014 12:56
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11/08/2014 12:58
 
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2 Capitolo - Santa Ana brought me to you


Erano passati alcuni giorni da quell’insolita, gradita, emozionante visita, e Aura non aveva mai smesso di cercare tra i suoi ricordi il riflesso ancora nitido di quello sguardo magnetico e profondo.
Natale era ormai alle porte e, se fino a un paio di settimane prima il suo unico desiderio era stato quello di riuscire a raggiungere la famiglia per le feste in Illinois, ora se n’era aggiunto un altro, forse anche più impossibile da realizzare che non quello di partire. Anzi, partire sarebbe stato elementare ormai, con l’assegno che Michael le aveva fatto! Di ora in ora la voglia di rivederlo cresceva a dismisura, tanto che iniziava a pensare di essere impazzita. Il pomeriggio dopo quell’incontro aveva addirittura chiuso il negozio, era corsa al centro commerciale e aveva fatto il pieno di musicassette e vhs, nel tentativo di recuperare quello che si era persa in quegli anni – e anche un po’ per il gusto di poterlo vedere.
Fu proprio mentre guardava Moonwalker che incontrò di nuovo quel giovane uomo dagli occhi innocenti e, proprio come la prima volta in cui lo aveva incrociato, le mancò la terra sotto ai piedi.
 
Seduta sul divano di casa sua, dopo l’ennesima giornata infruttuosa in negozio, Aura rigirava tra le mani il biglietto dove Michael aveva scritto l’indirizzo per la consegna dei mobili. Da qualche giorno le era balenata nella testa l’idea di farsi un giro, giusto per vedere dove abitasse una pop star di quel livello, ma tutte le volte aveva accantonato l’idea. Troppo codarda, troppo indecisa, troppo… impaurita, in primis da se stessa che non si era mai invaghita così di qualcuno, fosse famoso o meno. Negli ultimi anni aveva pensato solo al lavoro, al sogno di avere un negozio tutto suo e diventare interior designer, lasciando indietro il resto del mondo; poi di colpo il risveglio, e Michael ne era stato l’artefice. Forse era quello il motivo per cui provava tutto quel trasporto verso di lui. Non c’era nulla di romantico o sentimentale: Michael era semplicemente la prima persona che avesse visto appena riaperti gli occhi!
Stropicciò il foglietto con la reale intenzione di buttarlo e non pensarci più, eppure c’era qualcosa che ancora la bloccava. Sapeva di dover lasciar perdere, in fondo lui era una superstar internazionale, che cosa poteva aspettarsi? Le sue mani, intanto, avevano preso quel pezzo di carta e lo avevano chiuso tra le pagine di “Il vecchio e il mare”, il suo libro preferito, uno di quelli che leggi e rileggi ma non ti stancano mai.
«Sarà il caso che la smetti, Auralee, o impazzirai!»
Il fatto che cominciasse anche a parlare da sola la diceva davvero lunga sul suo stato mentale, ma non si fermò troppo ad analizzare la questione, si alzò e si decise finalmente ad andare a letto.
 
Passarono altri giorni e Aura cercò con tutta se stessa di concentrarsi sul lavoro e accantonare quei nuovi pensieri che le avevano invaso la testa da quando Michael aveva fatto la sua comparsa al negozio. Ascoltava spesso la sua musica, adorava la sua voce piena, angelica; spesso si sorprendeva commossa dalla capacità che quell’uomo aveva di tramutarsi in tigre sul palco e poi essere tanto dolce e delicato nella vita – per quel poco che le era stato possibile constatare. Tutto sommato, comunque, si sforzò di andare avanti, fingendo quasi di non averlo mai incontrato.
Fu un paio di giorni prima di Natale, l’ultimo che avrebbe passato a Los Angeles prima delle feste, che quei sentimenti affiorarono nuovamente.
Il Santa Ana(*) soffiava più forte che mai quella mattina, e Aura aveva fatto non poca fatica per raggiungere a piedi il negozio. Quando finalmente vi giunse, sovrappensiero si chinò per aprire la serratura della saracinesca e si accorse di un foglio piegato, incastrato nello stipite del portoncino. Lo prese con noncuranza, convinta di avere a che fare con la solita pubblicità, entrò e si dedicò subito alla routine di apertura, abbandonando quel pezzo di carta sulla scrivania nel retro.
Solo più tardi, quando ebbe terminato i suoi compiti e decise di dedicarsi alla posta abbandonata da giorni in ufficio, lo aprì e il cuore le si fermò nel petto. La cosa che spiccava su tutto era la firma in basso a destra: era quella di Michael. Con una grafia tenera e irregolare le aveva lasciato un messaggio:
 
“Mi sono affacciato alla finestra e guardavo l’orizzonte, quando il Santa Ana mi ha raggiunto. Lo so, è strano, è sembrato anche a me, ma sentivo la necessità di seguirlo e vedere dove mi avrebbe portato. E sono finito qui: il vento mi ha condotto da te…”

Appena dopo l’ultima parola c’erano delle macchioline d’inchiostro. Le analizzò attentamente, sembrava come se lui avesse voluto scrivere altro, ma poi si fosse bloccato.
Aura aveva il cuore in gola, perché non poteva credere che Michael fosse davvero stato lì, che avesse scritto quelle parole a lei, lei che non era qualcuno di importante, che era… a lei che era nessuno, Michael aveva dedicato un pezzo di sé.
Continuava a fissare la carta, incredula, inebetita, emozionata, esaltata, sorpresa, eccitata da quella mole enorme di sensazioni a cui non sapeva dare un nome esatto. Si sentiva sopraffatta. Sedette lentamente su uno dei divani esposti, sempre con gli occhi puntati su quelle parole, incapace di muovere anche un solo dito, finché il telefono non prese a suonare.
Avrebbe dovuto alzarsi e andare a rispondere, per cui con quanta più forza riuscì a trovare, si diresse nel retro e con mano tremante alzò il ricevitore.
«Furniture Love, buongiorno, in cosa posso esserle utile?»
«Il nome del tuo negozio è stata la prima cosa a colpirmi» una voce come quella era impossibile da dimenticare. Le ginocchia si fecero budino e Aura dovette trovare un appiglio al quale tenersi per non cadere. Perché diamine le faceva quell’effetto?
«M-Michael, ciao…» l’emozione tangibilissima nella voce e nel solo modo di pronunciare quel nome.
«Ciao Aura, hai trovato il mio biglietto?» le chiese anch’egli evidentemente un po’ impacciato.
«Io, io sì, l’ho trovato. Io lo stavo leggendo e, beh… veramente, non so che cosa dire. È davvero bellissimo.»
Aura percepì che Michael stesse sorridendo a quelle parole; non sapeva come, ma se lo sentiva. Il suo cuore si riempì di tenerezza crescente, e più quella aumentava, più la voglia di rivederlo si faceva incontenibile. E alla fine quel desiderio esplose, sfacciato.
«Senti, Michael, io… - dovette prendere un lungo respiro prima di trovare il coraggio per arrivare alla fine della frase, ma sapeva di non aver nulla da perdere, doveva provarci – a me piacerebbe venire a trovarti.»
Lo disse velocemente, per evitare di cambiare idea e sostituire il tutto con un «Spero che con i mobili sia tutto ok», per esempio.
Per un istante lui non proferì verbo, cosa che fece temere ad Aura di aver completamente sbagliato tutto.
«Scusa, scusami, non volevo fare la sfacciata… è che…»
«Ti va se vengo io da te?» chiese lui con la medesima urgenza che aveva avuto lei di domandare, forse con la stessa paura di non riuscire ad arrivare fino in fondo alla frase.
Aura deglutì. Non si era resa conto di aver trattenuto il fiato perciò si lasciò andare lentamente e un sorriso ebete si fece largo sul suo viso.
Michael le aveva chiesto se potevano vedersi da lei… e lei non vedeva l’ora di averlo di nuovo di fronte a sé.
«Ma certo, ti do l’indirizzo.»
 
(*) forte vento asciutto e caldo tipico delle zone sud della California



"Smile, what's the use of crying, you'll find that life is still worthwhile, if you just smile"
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