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Michael Jackson: il mondo ha 12 anni, di Furio Colombo

Ultimo Aggiornamento: 02/04/2012 18:22
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28/03/2012 23:20
 
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articolo su La Stampa del 4 Agosto 1984 citato in una edizione di Peter Pan
Io non conoscevo questo articolo e sono curiosa di leggere di Michael nel periodo in cui non lo seguivo.
Sono arrivata a questo articolo di Furio Colombo leggendo l'introduzione di una edizione di Peter Pan dove appunto ne cita la fonte e quindi l'ho cercato sull'archivio del sito internet de La Stampa (ci sono anche altri articoli su Michael dell'epoca [SM=g27822] )

Avverto che è un pò lungo ma così mi posso vendicare [SM=g27828]

L'introduzione del libro "Peter Pan"


fonte articoloLaStampa


Michael Jackson: il mondo ha 12 anni

NEW YORK — La sua musica, calcolata in modo impeccabile e non priva di raffinatezze e di astuzia, non ha l'impeto aspro del Rolling Stones. Non ha la pensierosità malinconica o allegra ma sempre ricchissima di invenzioni melodiche dei Beatles. La voce di Michel Jackson non grida al vento di un abbandono esistenziale come Bob Dylan. Scivola via senza mai toccare il già fatto, immemore sia della musica bianca che della musica negra, del folk, del country, del Detroit sound, del "disco" e anche del neo rock che continua a rinascere lungo la linea Liverpool-Londra, tra l'Insorgere musicale del Blue collars e il soddisfatto regnare di una upper class dorata e colta.
Il suo slalom gentile ignora la pace e la guerra, le tensioni corteggiate da Mick Jagger, profetizzate dal Police, cantate persino da Cindy Lauper.

Le forme, i modi e le mode degli altri non lo riguardano. Non c'è influenza nè parodia. La sua musica non e né passione né evasione. Tecnicamente non è un millimetro al disotto di tutta la musica giovane che popola gli ultimi vent'anni.
Non conosco alcun esperto che lo indichi "al di sopra". Solo nel "package" del suo prodotto, che il pubblico giudica straordinario, c'è un abile montaggio che ricorda il passato.
La giacca rossa con alamari viene dalla copertina di un celebre disco del Beatles. Il guanto bianco (un solo guanto, sempre) ricorda una lunga tradizione di show business che risale fino al giorni gloriosi del Cotton Club di Harlem. I suol pantaloni stretti e corti che lasciano scoperte le calze bianche sono strettamente Elvis Presley (sua è soltanto la grazia con cui richiama la moda non bella degli Anni Cinquanta). Ma questa musica che il pubblico giudica straordinaria lo è davvero? e qual è il suo pubblico?

Il ponte fra i due termini, il "performer", e la sua "audience", come sappiamo, è il successo in questo caso un successo immenso, una misura che non ha precedenti nel mondo dello spettacolo, della canzone o del cinema.
Le vendite si possono calcolare sommando tutti i dischi venduti dai Rolling Stones a tutti i dischi venduti dai Beatles e moltiplicando per quattro. Ma è un conto che la rivista Rolling Stones aveva fatto nel marzo del 1984 e che adesso, dopo il VIctory Tour - la serie di estivi concerti attraverso l'America — deve considerarsi superato. Siamo forse al doppio di quella somma moltiplicata per quattro, e la febbre non sembra fermarsi. Ma la febbre di chi?
Parlano le statistiche e indicano un punto che demograficamente è vastissimo: l'area intorno ai dodici anni, senza alcun segno di suddivisione fra maschi e femmine, caso assolutamente unico.
Parlano gli psicologi e dicono che la sua musica è priva di quelle lo barriere irsute (la linea provocatrice dei Rolllng Stones) o ironiche (il sorriso dei Beatles) che imbarazzava gli adulti. Gli adulti qui si avvicinano senza difese, si lasciano attrarre, si accomodano. E la folla si ingrossa. Madri con figli o padri con figli, a questi concerti vanno insieme. O ascoltano insieme questa musica senza guardarsi di scorcio con imbarazzo. Senza provocazione da parte del ragazzini. Senza finto giovanilismo dei grandi.
Però, avverte l'esperto, non è una musica che unisce o accende entusiasmi. Qui non passano le grandi onde frenetiche del tempi di Woodstock che scuotevano la folla come un mare.

Michael Jackson, eroe dei bambini americani e delle loro sorelle, delle ragazze americane e dei loro "boyfrlends", è capace di passare senza danno la frontiera delle generazioni, è negro. Per chi vive in America e vede da vicino l'intrigo di questo tessuto, la sua tenuta unica al mondo e le sue tensioni che reggono alle tempeste ma sono grandissime, questa qualità di Michael Jackson appare difficilissima da spiegare.

Consideriamo per un attimo l'altro Jackson, il leader, il predicatore, il politico. La sua comparsa audace e imprevista ha spazzato e cambiato l'orizzonte politico. Lo ha anche diviso. La sua presenza indica immediatamente una vittoria ma anche un problema, uno straordinario fatto nuovo ma anche l'ansia per le puntate che seguiranno. In Michael Jackson l'essere negro non divide, unisce. Eppure non risulta esserci in lui o nella sua musica alcun messaggio connotabile come "buono" o migliore o benevolo.
C'é anzi nella infinita grazia del Jackson cantante qualcosa di neutro, un passo indietro o di fianco rispetto a ogni tipo di controversia. E' come se Michael Jackson, che pure è il cantante di successo che tutto il mondo conosce, non usasse mai la parola, un Harpo Marx ricciuto e bruno invece che ricciuto e bianco. La sua arpa è veloce, ritmata, incalzante e perfetta. Ma è un'arpa.

Voce bianca
Tutti conoscono la voce di Jackson. E' la voce di maschio bambino. E' una voce bianca di un Peter Pan senza la scadenza improbabile del diventare adulto. Dodici anni è l'età del suo pubblico. Dodici anni è non l'età ma il Paese abitato e rappresentato da Jackson.
Età misteriosa, sanno bene gli psicologi, perché è estrema frontiera dell'infanzia, conosce il rischio che corre, quel morire e rinascere in cui cambia la voce e si stravolge il corpo, abitato dalla forza estranea della natura.
Qui il miracolo consiste nell'avere fermato tutto appena un minuto prima. Il cantante nero in questa arca bianca (bianca non in senso opposto ma strananmente complementare) si veste di rosso e diventa il clown che sognava Felllni. Non quello buffo dei piedoni, delle sberle e del lamenti. Quello delicato e introverso che fa silenzio suonando una tromba. I tratti di questo tipo di clown (il "clown bianco", nella tradizione del circhi) si sono misteriosamente sommati nell'immagine, nella voce e nei gesti di Michael Jackson e sono forse il segreto non decifrato del suo successo infinito.
I dodicenni lo amano in nome di una nostalgia — non chiara però fortissima — che provano già per se stessi. Gli altri in nome della nostalgia vera e riconoscibile per quell'estrema frontiera di infanzia che si può rimpiangere ma non si può ricostruire o ricordare.

L'Intera storia di "Fanny e Alexander", l'ultimo bellissimo film di Bergman, potrebbe essere una spiegazione, e mostrare anche dove le bambine si legano ai bambini nel decretare questo immenso successo. Fanny osserva Alexander agire e Alexander osserva se stesso, teso verso una crescita che sta per venire, già capace di "sentire" il mistero di essere bambino, quasi di guardarlo da fuori.
Michael Jackson ha cominciato a cantare a cinque anni e deve avere colto un segreto. I bambini sono una razza. Diventare il titolare di quella razza rende impossibile il calcolo del suo essere negro. Non che essere negro sia un problema insuperabile nel momdo dello spettacolo o in America.

Resta il fatto che nessun negro prima di lui ha toccato un successo neppure lontanamente paragonabile. Quel tipo di successo (che lui ha poi moltiplicato) spettava ai bianchi. Jackson ha stabilito l'esistenza di una razza più forte dei bianchi. I bambini.
Perfezionandone stile e qualità musicali, e aggiungendoli alla forza sfidabile di quella razza, ha toccato vertici che non hanno precedenti. Alle sue spalle c'è una zona poco conosciuta.
Vive una specie di isolamento, "in famiglia", il mistero consiste nel suo essere autenticamente bambino di frontiera (cioè quasi non più bambino, ma saldatamente fermo su quel territorio) e nel suo guidare se stesso, musica, teatro, coreografia, gesti, vestiti, come un manager adulto molto esperto e molto astuto.
Accanto a questo Peter Pan della musica non si conosce infatti alcun mostro, non c'è nessuno di quei leggendari managers che hanno messo insieme Beatles e Rolling stones, che hanno spinto sulla strada ("On the road") persino Bob Dylan.
Guardando i "credits" di uno dei celebri "video" di Michael Jackson si nota che decine di talenti di Hollywood hanno lavorato per lui. Ma non si scopre alcun genio in agguato, non si trova il segno di uno più forte. Il più forte è lui, bambino di fantascienza con gli occhi neri eppure di ghiaccio.
Oltre due anni fa, e dunque prima del suo balzo immenso, dalla celebrità comune al successo assoluto, Michael Jackson aveva detto a Andy Warhol in una intervista per "Interview Magazine", "Io mi trovo bene con i bambini. Mi piace averli intorno come a certa gente piace veder pascolare i cavalli. Pensandoci bene non è il bambino in carne e ossa che mi piace. E' l'idea di bambino e la bambinità".

Un segreto
E' possibile che con questa frase Michael Jackson abbia rivelato il suo segreto. Ma gli altri continuano a cercare spiando i gesti, le intonazioni, le parole, il modo di ballare e saltare, la fantasia che punta sul modo in cui la parola freme insieme al suono ("beat it") o sulle variazioni della paura "infantile" come in un "Thriller", dove ci sono morti, teschi e fantasmi, proprio come nei tipici scarabocchi che compaiono sui quaderni dei ragazzini al confine dell'adolescenza. Una folla immensa lo adora, giovanissimi circondati da adulti stupiti.
Eppure non c'è in giro neppure l'ombra dell'imitazione. Probabilmente impossibile. A meno di riuscire a violare quella sua strana frontiera, a meno di far parte della sua razza bambina, superiore e vincente.

Furio Colombo

[Modificato da patrimj71 29/03/2012 18:46]
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