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Tumori : colon, lo studio: “Un batterio presente in bocca è collegato alla crescita del tumore”.

Ultimo Aggiornamento: 28/04/2024 19:25
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Dove curo il tumore? È online la mappa degli ospedali sicuri
di LETIZIA GABAGLIO
Per garantire una assistenza adeguata è fondamentale che gli ospedali eseguano un minimo di interventi all'anno. Ora sul web si può controllare quanti ne fanno, Regione per Regione

20 GIUGNO 2019
PUBBLICATO + DI UN ANNO FA
4 MINUTI DI LETTURA
MAGGIORE è il numero di pazienti con tumore che vengono operati in un ospedale, migliore è la qualità dell'assistenza che possono ricevere. È una questione di competenza e di esperienza. D'altronde, preferireste che la vostra macchina fosse riparata da un meccanico che ne ha visti almeno 100 di modelli come il vostro o da uno che ne ha toccati solo 10? Per orientare i pazienti oncologici e i loro familiari nella scelta del centro a cui rivolgersi per affrontare la malattia, Fondazione AIOM dedica due sezioni del sito a “Dove mi curo” e “Come mi curo”, temi al centro di un convegno nazionale oggi a Roma (Palazzo Giustiniani), realizzato con il contributo incondizionato di 3M.
Le soglie minime
Nel caso della cura dei tumori e della chirurgia oncologica, il primo presidio nella cura del cancro, la comunità scientifica ha stabilito che se non si eseguono almeno un tot di interventi l'anno non ci si può considerare “esperti”. Per il tumore del polmone sono 70, per quello della mammella 150 e così via. La mappa disegnata sul sito della Fondazione fa emergere un quadro per certi versi preoccupante: nella chirurgia del carcinoma del polmone, solo il 27% esegue il numero minimo di operazioni; soltanto il 23% dei centri (rispetto al 33% del 2016) è “esperto” di tumore dello stomaco; solo quattro Regioni (Veneto, Lombardia, Toscana e Lazio) hanno un centro che esegue il minimo di operazioni stabilito per il tumore al pancreas. Dall’altro lato, il nostro Paese registra miglioramenti nel cancro della mammella: nel 2017, il 20% degli ospedali ha effettuato almeno 150 interventi chirurgici, lo standard stabilito per legge, rispetto al 16,5% del 2015. Non solo. La proporzione di re-interventi di resezione entro 120 giorni da un’operazione conservativa per carcinoma della mammella si è ridotta nel tempo, passando dal 12,3% del 2010 al 7,4% del 2017, a conferma che alti volumi di attività garantiscono migliore qualità delle cure. “I dati della letteratura scientifica hanno confermato la forte associazione tra volumi di attività chirurgica più alti e migliori esiti delle cure oncologiche. Vogliamo offrire ai cittadini una fotografia delle strutture sanitarie ad alto volume di chirurgia oncologica”, sottolinea Fabrizio Nicolis, presidente di Fondazione AIOM. “Devono aumentare i centri che rispondono alla soglia minima di procedure chirurgiche richiesta”.
Le buone pratiche
La quantità da sola, però, non basta. Ci vogliono anche le buone pratiche assistenziali prima, durante e dopo la chirurgia. “Un obiettivo che può essere realizzato solo grazie a team multidisciplinari, che caratterizzano ad esempio le Breast Unit/Centri di senologia”, va avanti Nicolis. “È significativo anche il dato sugli interventi di ricostruzione contestuale a un’operazione chirurgica demolitiva per carcinoma della mammella, che è migliorato nel tempo, passando dal 35,5% del 2010 al 50% del 2017. Questa procedura consente di semplificare il processo ricostruttivo dell’organo e di ridurre l’impatto psicologico e sociale dell’intervento demolitivo, senza modificare il percorso terapeutico della paziente”. Un miglioramento che non procede però spedito su tutto il territorio: l’Umbria e la Provincia Autonoma di Trento riportano il 70% di ricostruzioni contestuali rispetto al 26% di Calabria e Campania. E spesso ci sono differenze marcate anche dentro le stesse Regioni.

“È innegabile il progresso verso una razionalizzazione e centralizzazione delle patologie oncologiche maggiori in centri ad alto volume di attività. Ad esempio, in 5 anni (2013-2017), la percentuale dei centri sopra la soglia richiesta è raddoppiata per il cancro del polmone e della mammella, anche se siamo ancora lontani dal conseguimento di un risultato ottimale”, afferma Alessandro Gronchi, Presidente Eletto Società Italiana di Chirurgia Oncologica (SICO). “È quindi indispensabile arrivare a un sistema di riferimento dei pazienti, qualsiasi sia la loro patologia, cioè a centri ad alto volume per la patologia specifica. Il tutto andrebbe organizzato in una logica di rete, per minimizzare gli spostamenti dei pazienti alle fasi di cura in cui è strettamente necessario. Le reti oncologiche regionali, così come la rete nazionale tumori rari, dovrebbero diventare il cardine della riorganizzazione, per massimizzare gli outcome e minimizzare le spese del nostro sistema”.
Non bastano i volumi
“Un ampio bacino di pazienti e il superamento delle soglie non rende automaticamente un ospedale virtuoso in termini di completezza e qualità assistenziali”, dice ancora Nicolis. “Per garantire standard elevati, servono centri dotati di un team multidisciplinare composto da figure esperte”. Lo specialista in anestesia-rianimazione-terapia intensiva del dolore, per esempio, oltre a giocare un ruolo trasversale come medico del perioperatorio, può supportare il percorso terapeutico sia nelle fasi diagnostiche propedeutiche al trattamento, che nell’assistenza alla fragilità che molti di questi malati sviluppano e che richiede cure personalizzate. “Anche l’intervento, di conseguenza, deve essere inserito in un contesto globale, programmato con tempi e modalità improntati alla massima efficacia e alla minima sofferenza, salvaguardando la sicurezza e definendo insieme alla persona in cura la compromissione tollerabile della qualità della vita, scelta del tutto personale”, spiega Flavia Petrini, Presidente Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI). Fondamentale anche la figura dell'infermiere “che deve possedere notevoli capacità relazionali, comunicative e competenze altamente specialistiche. Siamo infatti a contatto con pazienti spesso fragili che presentano diversi bisogni, a partire dalla necessità di mantenere una qualità di vita soddisfacente”, afferma Alessio Piredda, Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (FNOPI).
I bisogni dell'individuo
La medicina di eccellenza data dai grandi volumi non può pero ignorare la dimensione dell’individuo e delle sue abitudini e stili di vita entro cui si iscrive l'intervento chirurgico oncologico programmato. Uno dei tanti problemi da affrontare riguarda, ad esempio, lo stato nutrizionale dei pazienti. Il successo della chirurgia oncologica non è esclusivamente correlato alla qualità ed efficacia del gesto chirurgico, infatti, ma anche alla capacità dell’organismo di reagire a questo trauma con un supporto nutrizionale adeguato. “La malnutrizione del paziente sottoposto a chirurgia oncologica provoca un prolungamento della permanenza in ospedale dopo l’intervento, un aumento delle complicanze postoperatorie e della mortalità postoperatoria e, spesso, un ritardo nell’inizio di ulteriori terapie. Per questo, la valutazione preoperatoria dello stato nutrizionale e il supporto dietologico in preparazione, durante e dopo il ricovero sono alcuni dei fattori che determinano l’esito positivo delle cure”, spiega Nicolis.
Da dove provengono i dati
Il sito di Fondazione AIOM, nelle sezioni dedicate a “Dove mi curo” e “Come mi curo”, utilizza i dati forniti dal Programma Nazionale Esiti (PNE) dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS). I numeri sono suddivisi per Regione e per intervento chirurgico, riportando i dati degli ospedali che effettuano un numero totale di interventi superiore ad una determinata soglia. “Questo valore, per ciascuna patologia oncologica, è individuato da fonti nazionali e, nel caso di assenza di un riferimento normativo, si è fatto ricorso alla letteratura scientifica internazionale più recente”, sottolinea Maria Chiara Corti, Coordinatore delle Attività del Programma Nazionale Esiti di AGENAS. “I dati della letteratura sono concordi nel sottolineare che il rischio post-operatorio per i pazienti diminuisce all’aumentare dei volumi di attività delle strutture e dei reparti. Le conoscenze scientifiche, da sole, non consentono di identificare per gli indicatori di volume un preciso e puntuale valore soglia, minimo o massimo, ma è possibile stabilire un intervallo, al di sotto del quale il rischio di esiti negativi aumenta notevolmente”. È dimostrato che la mortalità a 30 giorni dopo l’intervento chirurgico diminuisce decisamente nei centri con almeno 50-70 interventi all’anno per tumore del polmone, nei centri con almeno 50 interventi per carcinoma del pancreas e nei centri con 20-30 interventi per tumore dello stomaco.



www.repubblica.it/oncologia/news/2019/06/20/news/dove_curo_il_tumore_e_online_la_mappa_degli_ospedali_migliori-22...
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